Rimborsi Iva sul conto corrente personale: la restituzione all’ente deve essere immediata

Il peculato è un reato istantaneo. Quindi, per elidere la valenza appropriativa della condotta, tra la riscossione del pubblico ufficiale un commissario liquidatore e il versamento all’ente pubblico deve passare il tempo strettamente necessario al perfezionarsi dell’operazione.

La fattispecie. Il commissario liquidatore di 2 società cooperative a responsabilità limitata si appropriava indebitamente – dopo la chiusura delle procedure, la presentazione dei bilanci finali e la cancellazione delle due società da registro delle imprese – di somme di denaro di pertinenza delle cooperative, erogate a titolo di interessi di mora relativi ad avvenuti rimborsi Iva. Inoltre, ometteva di comunicare alla Regione Friuli Venezia Giulia i crediti sopravvenuti alla chiusura delle due liquidazioni. La condanna in primo grado, con pena sospesa ad un anno e mezzo di reclusione, veniva confermata anche in appello. Gli interessi maturati sui rimborsi Iva vengono incassati sul conto personale del commissario. L’imputato ricorre per cassazione sostenendo di essersi trovato imbrigliato” tra la necessità di incassare il vaglia cambiario della Banca d’Italia con cui l’ufficio finanziario restituiva gli interessi maturati su rimborsi Iva riconosciuti alle cooperative e l’impossibilità di incassare la somma se non a titolo personale, vista l’impossibilità di aprire un conto corrente intestato a persone giuridiche estinte. Il peculato ha natura di reato istantaneo. La S.C., dal canto suo, ribadisce che il reato di peculato ha natura istantanea. In pratica, si consuma nello stesso momento in cui il soggetto, venuto in possesso ratione officii di denaro della P.A., ne disponga a titolo personale uti dominus , atteso che tale denaro, fin dall’inizio appartenente alla P.A., non può essere confuso o commisto con quello personale dell’agente . Tra la riscossione e il versamento all’ente pubblico deve passare il solo tempo necessario al perfezionarsi dell’operazione. Infatti - si legge nella sentenza n. 33624/2012 depositata il 4 settembre - soltanto l’immediatezza della retrocessione, per equivalente valore monetario, all’ente pubblico della somma di denaro introitata dal pubblico ufficiale varrebbe ad elidere la valenza appropriativa della condotta . Nel caso di specie, invece, tra il versamento degli interessi di mora erariali sul conto dell’imputato e l’accertamento di tale circostanza sono passati più anni. Pertanto, il ricorso viene dichiarato inammissibile, anche riguardo al motivo di ricorso in tema di qualificazione giuridica. La Cassazione conclude precisando che il peculato d’uso art. 314, comma 2, c.p. – fattispecie di reato che il ricorrente ritiene applicabile al caso concreto – non è configurabile allorché la condotta del pubblico ufficiale investa cose fungibili come il denaro comunque non immediatamente restituite alla P.A. dopo l’uso, appunto .

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 8 marzo – 4 settembre 2012, n. 33624 Presidente De Roberto – Relatore Paoloni Motivi della decisione 1. A conclusione di giudizio svoltosi nelle forme ordinarie il Tribunale di Udine con sentenza del 19.12.2006 ha dichiarato T.G. colpevole di due imputazioni di peculato la seconda per più episodi in continuazione tra loro e, concessegli le attenuanti generiche e l'attenuante del risarcimento del danno prima del giudizio, lo ha condannato per i due ascritti reati, unificati ex art. 81 cpv. c.p., alla pena sospesa di un anno e sei mesi di reclusione. Condotte criminose integrate dall'essersi il T. , commissario liquidatore di due società cooperative a responsabilità limitata, indebitamente appropriato dopo la chiusura delle procedure, la presentazione dei bilanci finali e la cancellazione delle due società dal registro delle imprese di somme di denaro di pertinenza delle cooperative erogate a titolo di interessi di mora relativi ad avvenuti rimborsi IVA. In particolare si appropriava 1 della somma di Euro 11.465,00 di cui all'ordine di pagamento della Agenzia delle Entrate di Udine del 19.11.2001 per interessi di mora su rimborsi risalenti all'anno 1985 in favore della cooperativa Ristoratori Friulani s.r.l., la cui procedura di liquidazione era stata chiusa nel 1996, somma che, omettendo di rendere edotti del rimborso i competenti organi di vigilanza regionale, versava su un suo personale conto corrente bancario capo A della rubrica 2 delle somme di lire 510.000, lire 84.000 ed Euro 724,00 corrisposte dall'Agenzia delle Entrate dal 1997 al 2003 a titolo di interessi su rimborsi IVA per la cooperativa Unione Latterie Forgaria s.r.l., la cui procedura di liquidazione era stata chiusa nel 1994, somme della cui acquisizione non informava gli organi regionali, facendone perdere le tracce documentali capo B della rubrica . Il Tribunale, respingendo la tesi difensiva dell'asserita buona fede dell'ex commissario liquidatore, dichiaratosi convinto della conoscenza da parte della Regione Friuli V.G. delle procedure contenziose commissione tributaria da lui instaurate per ottenere i rimborsi di imposte e i connessi interessi vantati dalle liquidate cooperative, contegno di pretesa buona fede ritenuto vieppiù implausibile alla luce della comprovata esperienza professionale del T. titolare di analoghi incarichi commissariali in oltre trenta procedure concorsuali , ha considerato univocamente provata per tabulas la penale responsabilità dell'imputato. A ciò inducendo le omesse doverose comunicazioni alla Regione dei crediti sopravvenuti alla chiusura delle due liquidazioni sì da rendere indispensabile la riapertura delle procedure a cura della stessa Regione , fatte palesi dai funzionari regionali esaminati in dibattimento l'oggettiva consapevole appropriazione delle somme erogate dall'erario per le due cessate cooperative la testimonianza del nuovo liquidatore V.M. , cui il T. avrebbe rivelato dichiarazioni confessorie” di aver inteso praticare una sorta di autocompensazione per ritenuti crediti vantati verso le due procedure liquidatorie per le sue prestazioni professionali. 2. Adita dal gravame del T. , la Corte di Appello di Trieste con la sentenza pronunciata il 19.11.2009, richiamata in epigrafe, ha confermato la decisione di primo grado, ribadendo la sussistenza dei fatti di peculato contestati al prevenuto. A dimostrazione del giudizio colpevolezza dell'appellante la sentenza di secondo grado ha, tra l'altro, evidenziato che a gli uffici regionali di vigilanza sulla cooperazione non potevano essere a conoscenza, dopo la chiusura delle due liquidazioni coatte amministrative, della esistenza di possibili crediti derivanti da contenziosi tributari pendenti, dei cui sviluppi il commissario liquidatore non aveva offerto alcuna indicazione e che in ogni caso avrebbe dovuto, pur trattandosi di crediti potenziali inesistenti e inesigibili , annotare nei bilanci finali ciò che il T. , ad onta delle sue risalenti e generiche informazioni circa l'intento di richiederne in sede contenziosa la liquidazione, si è astenuto dal fare b se l'Agenzia delle Entrate non avesse, di propria iniziativa, comunicato alla Regione Friuli la corresponsione all'ordine del commissario liquidatore degli interessi sui rimborsi IVA già riconosciuti alle due società cooperative in particolare alla Ristoratori Friulani , giammai la Regione avrebbe saputo delle sopravvenienze attive incamerate dal T. evenienza che rifluisce, in uno alla mancata segnalazione anche successiva alla chiusura delle liquidazioni delle pendenze tributarie, sul dolo dei contestati fatti di peculato, l'imputato potendo fare ragionevole affidamento sulla ignoranza degli organi regionali, che lui soltanto nella sua qualità avrebbe dovuto informare onde promuovere la riapertura delle procedure concorsuali per provvedere al riparto delle sopraggiunte poste attive tra i creditori delle cessate società cooperative c la tesi dell'appellante sulla momentanea giacenza delle somme erariali riscosse su un conto bancario a lui intestato è oggettivamente e soggettivamente priva di consistenza sotto il primo aspetto per il lungo tempo trascorso dalla riscossione delle somme e le contestazioni mossegli dalla Regione fortuitamente edotta dei versamenti dagli uffici finanziari sotto il secondo aspetto per palese incoerenza di comportamento del T. , che ha aperto il conto corrente su cui versa l'importo degli interessi di mora riconosciuti alla cooperativa Ristoratori Friulani Euro 11.465,00 già fatti propri, dal quale trae l'assegno di pari importo consegnato al nuovo commissario liquidatore ciò che gli è valso il riconoscimento dell'attenuante di cui all'art. 62 n. 6 c.p. soltanto dopo le contestazioni rivoltegli dalla Regione. 3. Contro la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell'imputato, enunciando i rilievi critici di seguito sintetizzati. 3.1. Violazione dell'art. 51 c.p. in relazione agli artt. 38 e 199 L. Fall., ed illogicità e contraddittorietà della motivazione in punto di mancato riconoscimento dell'esimente dell'adempimento del dovere connesso alla carica di commissario liquidatore. Il T. si è trovato imbrigliato tra la necessità di incassare il vaglia cambiario della Banca d'Italia con cui l'ufficio finanziario restituiva gli interessi maturati su rimborsi IVA riconosciuti alle cooperative pena l'eventuale inizio di un'azione di responsabilità nei suoi confronti, ove non l'accusa di omissione di atti di ufficio e l'impossibilità di incassare la somma se non a titolo personale, non potendo all'uopo aprire un conto corrente intestato a persone giuridiche estinte le cooperative liquidate e cancellate dal registro delle imprese . La sentenza della Corte di Appello non chiarisce quale altro diverso comportamento avrebbe dovuto tenere il commissario liquidatore, che ha agito nella certezza o convinzione della conoscenza della situazione da parte della Regione, a suo tempo edotta del contenzioso tributario attivato dal commissario. 3.2. Carenza e illogicità della motivazione in ordine alla conoscenza e/o conoscibilità da parte della Regione Friuli V.G. della futura sopravvenienza delle somme che si assumono indebitamente incassate dall'imputato. La Corte giuliana misconosce o sottovaluta le comunicazioni con cui l'imputato ha informato gli organi regionali delle iniziative contenziose avviate per il recupero dei rimborsi di imposta delle cooperative. Del resto la quota capitale del rimborso IVA per l'anno 1985 è stata iscritta nel bilancio di liquidazione e tale dato implica la legittima e scontata aspettativa della riconoscibilità in favore della società Ristoratori Friulani dei connessi interessi moratori poi erogati dopo la chiusura della procedura di liquidazione. 3.3. Violazione dell'art. 533 c.p.p. e contraddittorietà e illogicità della motivazione in rapporto alla mancata prova del dolo del peculato al di là di ogni ragionevole dubbio. Le comunicazioni indirizzate dal commissario liquidatore alla Regione non soltanto valgono ad istituire la cognizione dell'ente pubblico della sopravvenienza prevedibile di somme da ricondurre all'attivo della esaurita procedura di liquidazione, ma giovano ad escludere che il contegno del T. , di cui è riconosciuta l'elevata professionalità, sia stato sorretto dal proposito di farla franca , appropriandosi di somme di cui aveva preannunciato la più o meno imminente disponibilità. 3.4. Erronea applicazione, in subordine, dell'art. 314 co. 2 c.p A tutto voler concedere la condotta del ricorrente avrebbe dovuto essere sussunta nella fattispecie del peculato d'uso, ipotesi che la sentenza impugnata ha escluso sul rilievo che tale forma attenuata di peculato non può avere ad oggetto il denaro ma soltanto cose o beni infungibili. Al riguardo appare criticabile l'orientamento giurisprudenziale prevalente, cui ha aderito la Corte di Appello, dal momento che l'oggetto del reato di cui all'art. 314 co. 2 c.p. è individuato nella generica nozione di cosa , che concettualmente include sia beni infungibili che beni fungibili e, quindi, anche il denaro . In tale prospettiva la Corte territoriale ha incongruamente negato rilevanza all'avvenuta restituzione delle somme incassate dal T. all'ente regionale in persona del nuovo commissario liquidatore. I descritti motivi di impugnazione sono richiamati e ribaditi con i motivi aggiunti depositati in cancelleria dal difensore del ricorrente il 21.2.2012. 4. Il ricorso proposto nell'interesse di T.G. va dichiarato inammissibile per genericità e infondatezza manifesta dei delineati motivi di censura, trattandosi di doglianze che, oltre a replicare acriticamente i pur vagliati e correttamente disattesi motivi di appello, si rivelano giuridicamente erronei e distonici rispetto ai contenuti derisori che investono la regiudicanda ed ai contegni che vi hanno dato causa. 4.1. I rilievi motivi primo e secondo del ricorso concernenti la scriminante dell'adempimento del dovere che avrebbe caratterizzato il comportamento del T. , elidendone la volontà criminosa dolo , in rapporto alla sua qualità di commissario liquidatore, ancorché cessato dalla carica per chiusura delle procedure commissariali , è destituito di serio pregio ed erroneo in rapporto alla struttura normativa del reato di peculato ex art. 314 co. 1 c.p Diversamente da quel che si ipotizza nel ricorso la Corte di Appello come già il giudice di primo grado ha compiutamente analizzato le comunicazioni del T. alla Regione in merito alle pendenze tributarie afferenti alle due liquidazioni societarie, ma ne ha correttamente escluso ogni possibile incidenza sulla eventuale insussistenza del reato di peculato ascritto all'imputato in ragione della loro genericità e, soprattutto, della loro considerevole anteriorità rispetto alla definizione delle procedure liquidatorie. Di tal che coerentemente non può, da un lato, ritenersi assolto l'onere informativo gravante sul T. sui sopravvenuti pagamenti degli interessi di mora sui pregressi rimborsi di imposta, sol che si osservi che per la cooperativa Ristoratori Friulani la non indifferente somma di Euro 11.465,00 per i ridetti interessi moratori è corrisposta dall'ufficio finanziario nel 2001, cioè ben cinque anni dopo l'avvenuta chiusura della liquidazione della società. Né, d'altro lato e congiuntamente, è possibile presumere la conoscenza o conoscibilità dei futuri ipotetici introiti poste attive della liquidazione da parte degli organi regionali in palese assenza di qualsiasi segnalazione o nota accompagnatoria del T. ai bilanci finali di liquidazione in merito alla potenziale aspettativa del versamento degli interessi di mora sugli avvenuti remoti rimborsi di imposta relativi agli anni finanziari 1985 e 1993 . 4.2. L'argomento censorio terzo motivo di ricorso relativo alla pretesa osservanza del canone di ultrattività della pubblica funzione di commissario liquidatore esplicitamente definito pubblico ufficiale dall’art. 199 L. Fall. , connesso alle anteriori doglianze, che varrebbe ad escludere il dolo del reato, è inconducente. Se mai, l'argomento suffraga l'oggettiva penale responsabilità del T. , perché in definitiva prova troppo. Nel senso che l'assunto difensivo nel mutato impianto enunciato nell'appello, secondo cui l'imputato, avendo agito iure privatorum perché cessato dalle cariche commissariali, non avrebbe avuto obbligo di informare a tanta distanza di tempo dalla chiusura delle procedure la Regione delle avvenute restituzioni degli interessi moratori sui rimborsi avvalora le considerazioni sviluppate dai giudici di appello, che hanno puntualmente rimarcato che prerogative ed oneri della carica commissariale munus publicum permangono anche con riferimento ad attività che si rendano necessarie dopo la chiusura delle procedure, trattandosi di attività alle stesse senz'altro pertinenti. In guisa da istituire un pacifico obbligo del commissario di una procedura di liquidazione ormai definita di avvisare i competenti organi pubblici della sopravvenienza di cespiti attivi a lui direttamente versati proprio in virtù e a causa della sua preesistente carica pubblica da soggetti od organi che non siano a conoscenza dell'avvenuto esaurirsi della procedura concorsuale, come è in concreto accaduto l'Agenzia delle Entrate, segnala la sentenza di appello, non essendo stata edotta dal commissario T. dell'estinzione delle due società cooperative in liquidazione . Né, ancora, pregio alcuno è riconoscibile all'ulteriore rilievo del ricorrente per cui egli si sarebbe visto costretto a parcheggiare i restituiti interessi di mora per la società Ristoratori Friulani delle minori analoghe somme relative alla società Unione Latterie fatte proprie dall'imputato non è stata trovata, come detto, traccia alcuna , non potendo accendere un conto corrente intestato alla cessata estinta società cooperativa liquidata. Il vero è che il T. , per un verso, ha incamerato gli interessi moratori travasandoli nel suo conto corrente personale e così facendone uso uti dominus con ripetute movimentazioni bancarie non inerenti come accertato dalla Guardia di Finanza ad alcuno dei numerosi incarichi pubblici ricoperti dall'imputato e meno che mai alle due cooperative liquidate. Con il che, per altro verso, non è discutibile che l'imputato ha consapevolmente commesso il reato di peculato, appropriandosi della somma Euro 11.465,00 , di cui ha fatto uso per motivi esclusivamente personali e privati con animus rem sibi habendi. Al riguardo è appena il caso di ribadire, come sembra dimenticare il ricorrente, che il reato di peculato ha natura di reato istantaneo, consumandosi nello stesso momento in cui il soggetto, venuto in possesso ratione officii di denaro della P.A. pertinente ad una procedura concorsuale , ne disponga a titolo personale uti dominus , atteso che tale denaro, fin dall'inizio appartenente alla P.A., non può essere confuso o commisto con quello personale dell'agente cfr., ex pluribus Cass. Sez. 6, 19.12.2008 n. 12141/09, Lombardino, rv. 243054 Cass. S.U., 25.6.2009 n. 38691, Caruso, rv. 244190 Cass. Sez. 6, 9.6.2010 n. 26476, Rao, rv. 248004 . Soltanto l'immediatezza della retrocessione, per equivalente controvalore monetario, all'ente pubblico della somma di denaro introitata dal pubblico ufficiale varrebbe ad elidere la valenza appropriativa della condotta, purché il tempo tra riscossione e versamento non ecceda quello ragionevolmente breve occorrente per perfezionare una tale operazione. Ora, nel caso di specie, tra il versamento degli interessi di mora erariali sul conto personale del T. e l'accertamento di tale circostanza per la casuale informativa, va ripetuto, dell'Agenzia delle Entrate sono intercorsi, come evidenzia la sentenza di appello, più anni. Né è seriamente pensabile -come pur aggiunge la sentenza che, stante la provata esperienza professionale del T. , costui sia incorso in una mera incolpevole dimenticanza, ictu oculi incompatibile con l'entità globale delle somme fatte proprie, quanto meno per ciò che concerne la cessata cooperativa Ristoratori Friulani. 4.3. Manifestamente infondato, infine, è il subordinato motivo di ricorso in tema di qualificazione giuridica dell'illecita condotta del prevenuto, che dovrebbe o potrebbe inquadrarsi nella meno grave fattispecie del peculato d'uso ex art. 314 co. 2 c.p Inconsistenti si mostrano, infatti, le generiche critiche mosse allo stabile indirizzo della giurisprudenza di legittimità, in base al quale detta fattispecie è configurabile soltanto con riguardo a cose o beni infungibili e non già al denaro, bene fungibile per definizione. Critiche che eludono il processo evolutivo di tale interpretazione normativa, dalla quale non è possibile decampare v., ex plurimis, da ultimo Cass. Sez. 6, 22.2.2011 n. 20940, Gentile, rv. 250055 . Posto che il reato di peculato ex art. 314 co. 1 c.p. non è escluso dal fatto che il pubblico ufficiale abbia trattenuto a titolo personale somme di denaro pubblico in una prospettiva compensatoria con propri crediti vantati verso la P.A. profilo che parrebbe emergere dalla sentenza di primo grado ma abbandonato in fase di appello , il peculato d'uso, in ordine al quale l'elemento soggettivo del reato assume valenze di dolo specifico scopo di uso momentaneo della cosa con sua immediata restituzione , non è configurabile allorché la condotta del pubblico ufficiale investa cose fungibili come il denaro comunque non immediatamente restituite alla P.A. il T. ha fatto uso per anni, come proprio, del denaro di pertinenza delle società cooperative liquidate . 4.4. L'illustrata genetica inammissibilità del ricorso, ostativa all'instaurarsi di un valido rapporto processuale impugnatorio cfr. Cass. S.U. 22.3.2005 n. 23428, Bracale, rv. 231164 Cass. Sez. 1, 4.6.2008 n. 24688, Rayan, rv. 240594 Cass. Sez. 2, 7.7.2009 n. 38704, Ioime, rv. 244809 , preclude in questa sede la verifica dell'eventuale sopravvenienza alla impugnata decisione di appello di cause estintive prescrizionali limitate alla percezione uti dominus di parte delle somme per interessi di mora lire 510.000 e lire 84.000 riscosse nel maggio 1997 dal T. in nome nella carica commissariale e per conto della liquidata cooperativa Unione Latterie s.r.l Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue per legge la condanna del T. al pagamento delle spese del presente grado di giudizio ed al versamento di una somma alla cassa delle ammende, che si reputa equo stabilire in Euro 1.000,00 mille . P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille in favore della cassa delle ammende.