Sinistro stradale, intervento dei carabinieri: telefonino sottratto da un maresciallo. Giurisdizione ordinaria, non militare

A denunciare il ‘giallo’ è la sorella della persona rimasta ferita nell’incidente e trasportata in ospedale il cellulare di ultima generazione è scomparso dalla vettura recuperata dall’Aci. A rispondere dello sgradevole episodio è un maresciallo, che non si salva neanche richiamando l’ipotetica applicazione della giurisdizione militare confermato l’addebito del reato di peculato.

Scontro tra veicoli in strada, pronto intervento dei Carabinieri, e una persona viene portata in ospedale per le ferite subite. Ad aggiungere una pennellata di ‘giallo’ all’episodio, poi, l’improvvisa scomparsa del telefono cellulare – di ultima generazione – della persona finita in ospedale. È la sorella a denunciare il fatto, e a dare il ‘la’ alla ricostruzione che porta a contestare la sottrazione del ‘telefonino’ a un maresciallo dei Carabinieri intervenuto sul luogo dell’incidente. Come qualificare il reato? Dubbi sciolti dalla Cassazione sentenza numero 33626/2012, Sesta Sezione Penale, depositata oggi è peculato, non appropriazione indebita militare. Pezzo mancante. A scatenare il contenzioso, come detto, è il mancato ritrovamento del telefono cellulare nell’automobile fatta recuperare dal ‘soccorso Aci’, che viene addebitato a un maresciallo dei Carabinieri, componente della pattuglia accorsa sul luogo del sinistro stradale. E, secondo i giudici, sia quelli ordinari che quelli militari, nessun dubbio è possibile sulla giurisdizione da applicare difatti, il gesto contestato va catalogato come peculato comune. Ma, secondo il legale del maresciallo – che propone ricorso per cassazione –, la qualificazione effettuata non è corretta. Perché la condotta illecita , compiuta da un militare in servizio , andava catalogata come appropriazione indebita militare aggravata . Regime ordinario. La prospettiva tracciata dal legale del militare è chiara, ed è fondata sull’ istituto del deposito necessario secondo il legale, la vicenda si pone in relazione ad un evento imprevisto, un sinistro stradale, in conseguenza del quale il possesso dei beni di chi riporti lesioni e non sia in grado di vigilare su di essi o scegliere a chi affidarli, ricade, con oneri di custodia e vigilanza, sul soggetto che, investito dalla pubblica autorità, ha il dovere di custodirli e, in caso di necessità, di spostarli anche in luogo più sicuro . Logica la linea di pensiero proposta l’essersi appropriato di un bene, in ordine al quale si è depositari necessari in ragione del servizio svolto e della qualifica di militare rivestita integra il reato di appropriazione indebita militare . Ma essa non viene condivisa dai giudici della Cassazione, i quali riducono, e di molto, l’impatto del deposito necessario , soprattutto ragionando, nello specifico, sulla vicenda riguardante il militare sotto accusa. Eppoi, decisiva risulta la distinzione tra rapporto organico o di servizio in connessione alla amministrazione della Difesa e attività funzionale svolta nell’espletamento di compiti istituzionali di ufficiale di polizia giudiziaria che, viene aggiunto, costituiscono presupposto dell’operazione accertatrice svolta dal militare e all’esito della quale si è impadronito del telefono caduto in suo possesso proprio in specifica ragione di tale ufficio o servizio pubblico . Evidentemente, secondo i giudici, l’intervento effettuato in strada è avvenuto nel peculiare esercizio di ordinarie funzioni di polizia stradale, per nulla impreviste o imprevedibili ma costituenti normale oggetto dell’espletamento di quelle funzioni . Tirando le somme, è lapalissiano il reato di peculato comune, con conferma piena della giurisdizione ordinaria.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 8 marzo – 4 settembre 2012, n. 33626 Presidente De Roberto – Relatore Paoloni Motivi della decisione 1. Con sentenza emessa il 27.9.2005, all’esito di giudizio abbreviato, il G.U.P. del Tribunale di Padova ha dichiarato U.F. colpevole del delitto di peculato per essersi impossessato di un telefono cellulare Nokia 8210 all’epoca dei fatti di nuova generazione” e del valore di circa lire 1.250.000 di proprietà di tale L.D. in occasione dell’intervento effettuato il 2.7.2000 - in qualità di maresciallo dei Carabinieri capo equipaggio della operante pattuglia del Nucleo R.M. di Padova - per un in cui rimaneva coinvolto l’autoveicolo del D. condotto in ospedale per le ferite riportate , il cui telefono cellulare, rimasto nell’abitacolo del veicolo, era fatto proprio dal sottufficiale, che in seguito ne faceva uso e consentiva che altri ne facessero uso. Per l’effetto il g.u.p., concessegli generiche circostanze attenuanti, ha condannato il F. alla pena condizionalmente sospesa di un anno e quattro mesi di reclusione. Il processo, instaurato in base alla denuncia della sorella del D. per il mancato ritrovamento del cellulare del fratello nell’auto fatta recuperare dal soccorso ACI, è stato scandito dalla sentenza con cui il 6.4.2004 il g.u.p. del Tribunale Militare di Padova, adito dalla richiesta di rinvio a giudizio del F. per il reato di peculato militare ex art. 215 c.p.m.p., ha dichiarato il difetto di giurisdizione dell’A.G. militare, disponendo la trasmissione degli atti al giudice penale ordinario sul rilievo che l’oggetto materiale del reato ascritto all’imputato il telefono del D. di cui egli si è appropriato non è cosa appartenente all’amministrazione militare” ma ad un privato cittadino. Di tal che per il giudice militare il fatto doveva sussumersi o nel reato di peculato comune o nel reato di furto aggravato. Il procedente p.m. presso il Tribunale ordinario di Padova ha optato per la prima alternativa in ragione della fonte dell’acquisita disponibilità del cellulare sottratto dal F., connessa alle ragioni di ufficio sottese all’eseguito intervento d’istituto per l’incidente stradale coinvolgente la persona offesa D. Il decidente g.u.p. del Tribunale ordinario di Padova ha considerato, quanto al merito della condotta del prevenuto, univocamente dimostrata la materialità del reato ex art. 314 c.p. contestato al F. in virtù dell’accertata sua indebita violatrice dei doveri di ufficio disponibilità del cellulare dell’infortunato D., fatta palese dalle testimonianze raccolte nelle indagini e dall’esame dei tabulati del traffico telefonico relativi all’uso con più schede s.i.m. e alla localizzazione spazio-temporali dell’utenza mobile codi e i.m.e.i. , tutte riconducibili in forma diretta o indiretta al F. Quanto alle questioni di diritto correlate alla regiudicanda, il g.u.p. - respingendo la tesi della giurisdizione militare avanzata dalla difesa dell’imputato - ha messo in luce che la condotta incriminata integra il reato di peculato comune, atteso che il cellulare di cui si è impadronito il sottufficiale non era di certo un bene militare” e la sua apprensione è avvenuta in coincidenza e in ragione dell’azione di p.g. compiuta dal militare rilievi concernenti un sinistro automobilistico , che ne ha acquisito la materiale disponibilità con uno specifico obbligo funzionale di custodire l’oggetto, sul quale il proprietario non era più in grado di esercitare una personale vigilanza il cellulare si trovava, dunque, di fatto e sia pure momentaneamente nella sua piena disponibilità” . 2. Adita dall’impugnazione del difensore del F., che ha rinnovato l’eccezione di difetto di giurisdizione, altresì contestando le conclusioni fattuali raggiunte dal primo giudice, la Corte di appello di Venezia con la sentenza richiamata in epigrafe ha respinto tutte le prospettazioni dell’imputato, integralmente confermando la decisione di primo grado, condividendone la ricostruzione storica dell’episodio oggetto del processo e le conclusioni giuridiche. In particolare i giudici di secondo grado, motivatamente disattese le critiche sulla valutazione delle fonti di prova per ciò che attiene al conclamato contegno di abusivo impossessamento del telefono cellulare di un privato attribuita al F., hanno stimato privo di fondamento il difetto di giurisdizione eccepito dal difensore, incardinato sull’asserita riconducibilità di quel contegno all’ipotesi di appropriazione indebita militare sanzionata dall’art. 235 co. 2 c.p.m.p., che punisce in forma aggravata il fatto appropriativo compresso su cose possedute a titolo di deposito necessario o appartenenti all’amministrazione militare”. La Corte di appello lagunare ha ritenuto non qualificabile come deposito necessario la materiale disponibilità del cellulare sottratto dal F., questa non essendosi verificata per un evento straordinario imprevisto e imprevedibile, quale la difesa suppone debba considerarsi il sinistro stradale interessante il proprietario del telefono, ma unicamente con riguardo allo svolgimento dei compiti istituzionali del sottufficiale imputato, intervenuto con una pattuglia automontata dell’Arma per svolgere gli accertamenti di rito sulla dinamica e gli esiti dell’incidente stradale. Il dovere di custodia e vigilanza sugli oggetti dell’infortunato, cioè la disponibilità nel caso di specie del telefono del D. id est il possesso per gli effetti di cui all’art. 314 c.p. , è scaturita - quindi - dall’esercizio dell’attività funzionale del F. Di guisa che la sua condotta non è qualificabile come appropriazione indebita militare ex art. 235 cpv. c.p.m.p., ma come peculato ordinario commesso da un pubblico ufficiale nell’esercizio delle funzioni e con abuso delle stesse e dei suoi doveri d’ufficio. 3. Contro la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione il difensore di U.F., che - messa da canto ogni questione sulla condotta materiale dell’imputato - ha enunciato un unico articolato motivo di censura per congiunti vizi di violazione di legge art. 314 c.p. artt. 103 Cost., 1, 263 e 235 c.p.m.p. e di insufficienza e illogicità della motivazione. Censura incentrata sulla delineata tesi del difetto di giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria in favore di quella militare e della qualificazione giuridica della condotta illecita attribuita al F., militare in servizio alle armi” al momento del fatto, come appropriazione indebita militare aggravata. La decisione impugnata discende, ad avviso del ricorrente, dall’iniziale parzialità del giudizio del g.u.p. militare che, declinando la propria giurisdizione bene oggetto del fatto ablativo non appartenente all’amministrazione della difesa per la sola ipotesi del peculato militare in origine ascritta al sottufficiale, non si è posto il problema della sussumibilità della sua condotta nel più ampio spettro dell’appropriazione indebita militare aggravata dalla natura di deposito necessario attribuibile al possesso del telefono sottratto dal militare. E’ l’istituto del deposito necessario, afferma il ricorso, la chiave di volta del corretto inquadramento del tatto ascritto al F. Non è un caso, del resto, che la figura del deposito necessario, sebbene non riprodotta dall’attuale codice civile conservi le sue valenze definitorie proprio nell’ambito della fattispecie dell’appropriazione indebita, rappresentando modalità esecutiva aggravante l’interversio possessionis del soggetto depositario necessario sia per la appropriazione indebita comune art. 646 co. 2 c.p. che per quella militare art. 235 co. 2 c.p.m.p. . La vicenda per cui è processo si pone in relazione ad un evento imprevisto, un sinistro stradale in conseguenza del quale il possesso dei beni di chi riporti lesioni e non sia in grado di vigilare su di essi o di scegliere a chi affidarli ricade, con oneri di custodia e vigilanza, sul soggetto che, investito dalla pubblica autorità, ha il dovere di custodirli e, in caso di necessità, di spostarli anche in luogo più sicuro non esposto alla pubblica mercé”. Illogicamente la Corte di Appello, mentre - da un lato - ha escluso l’ipotesi della ravvisabilità del deposito necessario prevista dalla fattispecie penale militare ex art. 235 c.p.m.p., ha ripetutamente evidenziato - d’altro lato - l’acquisita piena disponibilità del telefono dell’infortunato da parte del F. e i1 suo dovere di connessa vigilanza su detto oggetto. Dovere di vigilanza che, sul piano semantico, non può non ricondurre alla nozione di deposito necessario. Se ne inferisce, allora, che l’essersi appropriato di un bene in ordine al quale si è depositari necessari in ragione del servizio svolto e della qualifica di militare rivestita al momento del fatto e al momento del processo integra il reato di appropriazione indebita militare. La Corte di Appello di Venezia avrebbe, per ciò, dovuto dichiarare il proprio difetto di giurisdizione in rapporto a tale reato non già considerato dal giudice militare , in una situazione rispetto alla quale diventa irrilevante discettare se il fatto contestato possa essere in astratto ricondotto anche al reato comune di peculato, atteso che la presenza di una ipotesi criminosa militare impone al giudice di privilegiare la giurisdizione militare, come affermato dalla Corte Costituzionale sentenza n. 429/1992 . 4. Il ricorso presentato nell’interesse dell’imputato F. deve essere rigettato per infondatezza, per taluni versi palese, della prospettata tesi giuridica censoria focalizzata sulla qualificazione giuridica del fatto criminoso posto in essere dal prevenuto e sulla riconducibilità della sua cognizione all’autorità giudiziaria militare. 4.1. Merita precisare in limine che, al contrario di quanto sembra sostenersi in ricorso su una sorta di preminenza della giurisdizione militare nei casi di incertezza valutativa cui si crede riconducibile l’attuale regiudicanda, la lettura costituzionalmente orientata offerta dallo stesso giudice delle leggi dell’area applicativa dell’art. 103 co. 3 Cost. e della collegata disciplina penale militare in tempo di pace conduce ad esiti ermeneutici di segno opposto. Esiti che definiscono in chiari termini di residualità normativa siffatta disciplina speciale proprio alla stregua di una sinossi ermeneutica della norma costituzionale che ha disposto il mantenimento dei tribunali militari in tempo di pace. Prevista dal progetto di Costituzione elaborato dalla Commissione dei 75 per il solo tempo di guerra, l’istituzione dei tribunali militari anche in tempo di pace è stata decise dall’Assemblea Costituente con un duplice limite oggettivo cognizione di soli reati militari e soggettivo reati militari commessi da soggetti in effettivo e attuale servizio alle armi . In questa ottica interpretativa la Corte Costituzionale proprio con la sentenza 10.11.1992 n. 429, menzionata dallo stesso ricorrente, con cui ha dichiarato incostituzionale l’art. 263 c.p.m.p. nella parte in cui sottopone alla giurisdizione militare le persone cui sia applicabile la legge penale militare, anziché i soli militari in servizio alle armi o tali ritenuti dalla legge al momento del reato, ha chiarito anche richiamando proprie precedenti decisioni sentenze nn. 29/1958, 48/1959, 81/1980, 112-113/1986, 207/1987 che la nozione di appartenenza alle forze armate è nell’art. 103 co. 3 Cost. più ristretta di quella accolta nel codice penale militare di pace, essendo la prima destinata a circoscrivere entro rigorosi limiti la giurisdizione speciale militare e la seconda ispirata a far coincidere giurisdizione e assoggettamento alla legge penale militare. Tale diversità di piani tra iurisdictio e lex, presente in Costituzione ma assente nel codice penale militare, vale a sottolineare il principio secondo cui in tempo di pace per i reati militari la giurisdizione normalmente da adire è quella ordinaria, mentre quella speciale militare è eccezionale e giustificata solo ove trattasi di reati comuni commessi sotto le armi”. Con il che l’analisi della Corte Costituzionale postula una connotazione della giurisdizione militare come una giurisdizione eccezionale circoscritta entro limiti rigorosi”, cioè come una deroga alla giurisdizione ordinaria, la cui eccezionalità è sottolineata, tra l’altro, dall’uso dell’avverbio soltanto” recato dal 3° comma dell’art. 103 Cost., a conferma dell’evenienza che la giurisdizione ordinaria è da considerare, per il tempo di pace, come la giurisdizione normale”. 4.2. Tanto premesso e venendo ai contenuti espositivi del ricorso, il deposito necessario, intorno alla cui nozione sviluppata la tesi censoria dell’imputato, è - come noto - istituto giuridico risalente al diritto romano depositum miserabile ravvisato quando una persona, trovandosi in stato di pericolo grave ed urgente, era costretta ad affidare la custodia dei suoi beni al primo venuto. In questa evenienza il depositario che avesse abusato della situazione, comportandosi in modo contrario alla buona fede, rischiava una maggiore condanna in duplum , giudicandosi ovviamente più grave il suo contegno illecito. L’istituto del deposito necessario era contemplato dal codice civile Zanardelli del 1865, che ne offriva art. 1864 la seguente definizione quel [deposito] cui uno è costretto da qualche accidente, come un incendio, una rovina, un saccheggio, un naufragio o altro avvenimento non preveduto”. Lo stesso codice artt. 1865-1868 , precisando che il deposito necessario era sottoposto a tutte le regole previste per il deposito volontario salvo che per la prova testimoniale consentita per il deposito necessario , introduceva specifiche disposizioni e obblighi per particolari categorie di esercenti osti, albergatori, vetturini . L’attuale codice civile ha formalmente eliminato la figura del deposito necessario dal novero dei contratti sul presupposto del sostanziale assorbimento dei crismi di particolare affidabilità propri dell’istituto nelle connotazioni normative della vigente disciplina del contratto di deposito il depositario deve usare nella custodia la diligenza del buon padre di famiglia” art. 1768 c.c. e della novativa regolamentazione di rapporti già qualificati come depositi necessari dal codice Zanardelli deposito in albergo art. 1783 c.c. . L’unica traccia nominale del deposito necessario è oggi rinvenibile, come osserva il ricorso, nell’ordinamento penale, che considera circostanza aggravante l’appropriazione di cose custodite a titolo di deposito necessario sia nel diritto comune art. 646 co. 2 c.p. che nel diritto militare art. 235 co. 2 c.p.m p. . 4.3. Senonché tale residua rilevanza penale dell’istituto del deposito necessario non riveste alcuna incidenza ai fini iella valutazione della condotta dell’imputato sottufficiale dei Carabinieri e della qualificazione giuridica della sua condotta, come erroneamente si adduce nel ricorso. Evocare l’imprevedibilità dell’evento sinistro stradale per cui il F. e suoi colleghi sono intervenuti, quali componenti di una pattuglia del Nucleo radio-mobile Carabinieri di Padova, come causa fondante l’instaurarsi in capo all’imputato di una situazione giuridica di deposito necessario qualificante il titolo del suo possesso del cellulare del privato automobilista, di cui si è arbitrariamente impadronito, per ricondurne l’appropriazione alla norma incriminatrice militare, costituiscono un fuor d’opera e un percorso argomentativo affatto estraneo al thema decidendum. E ciò per due ordini di complementari ragioni. 4.4. Innanzitutto l’assunto del ricorso che pretende di inscrivere il contesto funzionale in cui si è trovato ad operare l’imputato e di cui ha profittato per impossessarsi del cellulare del D. nella categoria del deposito necessario è di per sé erroneo. L’originaria decisione del g.u.p. militare difetto di giurisdizione per assenza di reati militari attribuibili all’imputato quelle delle due conformi sentenze di merito dei giudici ordinari, laddove escludono l’inquadrabilità della condotta del F. nella fattispecie dell’appropriazione indebita militare, sono ineccepibili sul piano giuridico. Giammai, infatti ed a prescindere da ogni altra abduzione del ricorso, potrebbe applicarsi al F. per il caso di specie l’ipotesi criminosa militare disciplinata dall’art. 235 co. 2 c.p.m.p. La diversa tesi formulata dal ricorso nasce da una malaccorta lettura e da una inesatta interpretazione della struttura normativa del reato militare. La fattispecie di cui all’art. 235 c.p.m.p. sanziona l’appropriazione indebita del militare che abbia ad oggetto unicamente il denaro o altra cosa mobile appartenente ad altro militare”. La qual cosa rende in radice inapplicabile la norma penale militare in esame all’impossessamento del cellulare dell’automobilista D., che certamente non è era un militare art. 235 c.p.m.p. Il militare, che, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria il denaro o la cosa mobile di altro militare, di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso, è punito ” . E’ evidente, allora, che non ha alcun valore disquisire di deposito necessario con riguardo alla situazione di disponibilità, materiale e giuridica, del cellulare da parte del F. nel momento in cui ha deciso di sottrarlo. 4.5. In secondo luogo occorre sgombrare il campo da ogni equivoco in cui pure incorre il ricorso, allorché ritiene di recuperare una connotazione di appartenenza militare” del telefono giunto in custodia-possesso del F., desumendola dal dato testuale de1 2° comma dell’art. 235 c.p.m.p. fatto commesso su cose possedute a titolo di deposito necessario o appartenenti all’amministrazione militare” e connettendola, in termini incongrui e tautologici, ad una origine del detto possesso-custodia derivante dalla qualità di militare in servizio dell’imputato. Siffatta impostazione è all’evidenza erronea. Per un verso le qualità dei beni suscettibili di essere oggetto di appropriazione indebita militare definite dal capoverso dell’art. 235 c.p.m.p. non sono individuate da una endiadi, ma da una duplice tipologia di cose quelle ricevute per deposito necessario e quelle in proprietà dell’amministrazione militare. Per altro verso la semplice lettura dell’intero art. 235 c.p.m.p. rende palese come tali due categorie di cose si qualifichino pur sempre per la loro pertinenza ad un altro militare”, potenziale soggetto passivo del reato, che ne sia personale proprietario o affidatario per conto dell’amministrazione militare. Giacché, ove i beni appartenenti all’amministrazione militare abbiano una loro specifica autonomia, cioè siano privi di inerenza ad un altro militare, il militare agente commetterebbe non una semplice appropriazione indebita militare, ma i diversi e ben più gravi reati di peculato militare art. 215 c.p.m.p. o, in subordine, di furto militare aggravato art. 230 co. 2 c.p.m.p. . Ma non basta. Il ricorso confonde altresì implausibilmente il piano del rapporto organico o di servizio che lega il sottufficiale F. all’amministrazione della Difesa, in quanto militare dipendente del corpo dei Carabinieri, con il piano dell’attività funzionale svolta dallo stesso F. nell’espletamento dei suoi compiti istituzionali di ufficiale di polizia giudiziaria, che costituiscono presupposto dell’operazione accertatrice svolta dall’imputato, all’esito della quale si è impadronito del telefono caduto in suo possesso” proprio in specifica ragione di tale ufficio o servizio” pubblico. Di tal che il suo illecito contegno appropriativo integra senza possibilità di equivoci, come hanno correttamente messo in luce il giudice militare e i giudici ordinari e segnatamente l’impugnata sentenza della Corte di Appello di Venezia, il reato di peculato comune previsto dall’art. 314 co. 1 c.p. L’intervento effettuato dal F. con la pattuglia automontata autoradio di cui era a capo sul luogo dell’incidente stradale che ha coinvolto l’autoveicolo del D. è avvenuto nel peculiare esercizio di ordinarie funzioni di polizia stradale, per nulla impreviste o imprevedibili ma costituenti normale oggetto dell’espletamento di quelle funzioni. Funzioni di ufficiale di p.g. del Nucleo Radiomobile di Padova, cioè di una sezione con il Nucleo Operativo del N.O.R.M.-Nucleo Operativo Radio Mobile dei Carabinieri con specifici compiti di controllo territoriale e deputato ad effettuare operazioni e interventi su richiesta e segnalazione della centrale operativa locale dell’Arma pronto intervento-112 . L’accertamento della dinamica del sinistro stradale e delle sue conseguenze e l’attività di sgombero della sede stradale carro attrezzi dell’ACI , nel contesto delle quali il F. ha acquisito la disponibilità possesso , materiale e giuridica custodia , del telefono dell’automobilista infortunato da lui sottratto in violazione dei doveri di ufficio e con abuso delle sue funzioni sono avvenuti, per tanto, nello svolgimento di specifiche funzioni di polizia giudiziaria e per effetto della rivestita qualità di ufficiale di p.g. dell’imputato. Al riguardo è appena il caso di segnalare che l’intervento svolto in tale veste dal F. nel caso per cui è processo si inserisce, a norma dell’art. 11 del vigente codice della strada, tra i peculiari servizi di polizia stradale rilevazione di incidenti stradali, controllo sull’uso delle strade, operazioni di soccorso automobilistico, ecc. . Servizi che l’art. 12 dello stesso codice stradale, definendo i corrispondenti operatori come ufficiali e agenti di p.g. arg. ex art. 12 co. 2 c.d.s. , demanda tra gli altri organi, oltre che in via principale alla Polizia Stradale della Polizia di Stato, anche specificamente all’Arma dei Carabinieri. Al rigetto dell’impugnazione segue per legge la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.