Depressione destinata a peggiorare, carcere confermato. Non basta l’ipotesi di cure migliori all’esterno per riconoscere i domiciliari

Corposa documentazione medico-legale a sostegno della richiesta dei domiciliari, ma i giudici valutano più che sufficiente il regime apprestato nell’ambito del carcere. Anche per ciò che concerne la cura dei disturbi psichiatrici, oltre che per quelli fisici. E la prospettiva di una migliore assistenza all’esterno non può bastare a ritenere necessario il trasferimento fuori dalla prigione.

Detenuto malato e depresso. E, purtroppo, a rischio di un ulteriore peggioramento della sindrome ansioso-depressiva. Ma non basta – nonostante copiosa documentazione medica ad hoc – per vedere concesso il regime dei ‘domiciliari’. Perché non può essere valutata come decisiva la possibilità che le cure necessarie per il detenuto siano praticate meglio fuori dalla struttura penitenziaria Cassazione, sentenza numero 29767, prima sezione penale, depositata oggi . Niet. Condizioni di salute particolarmente gravi così il legale, che rappresenta il detenuto, motiva la richiesta di ammissione alla detenzione domiciliare . A corredo anche due relazioni medico-legali, centrate sullo status fisico e psichico dell’uomo. Ma il quadro complessivo non è ritenuto sufficiente dal Tribunale di sorveglianza istanza respinta, perché le condizioni del detenuto non sono incompatibili con lo stato di detenzione . Meglio dentro Secondo il legale, però, le valutazioni compiute dal Tribunale sono erronee. Soprattutto alla luce della ‘fotografia’ fissata dalle relazioni medico-legali, che hanno evidenziato come le condizioni di salute, anche psichica del detenuto fossero particolarmente gravi ed insuscettibili di un effettivo miglioramento in presenza di un trattamento solo farmacologico, rendendosi perciò necessario un suo ricovero in una apposita struttura esterna , peraltro già disponibile . E a rendere il quadro ancora più delicato, secondo il legale, anche il fatto che era stata segnalata la possibilità di un peggioramento della sindrome ansioso-depressiva in caso di mera somministrazione di una terapia farmacologica . Tale visione, però, è rigettata completamente dai giudici della Cassazione, i quali ricordano, innanzitutto, che la detenzione domiciliare per motivi di salute è legata alla ipotesi che si realizzi una sofferenza aggiuntiva per effetto della privazione dello stato di libertà . Alla luce di questo principio, le valutazioni compiute dal Tribunale vengono ritenute corrette, anche, anzi soprattutto, perché il detenuto era visitato con frequenza costante giornaliera a ragione di un quadro di oscillazione rapida dell’umore e il quadro del disturbo psichiatrico appariva stabile dal punto di vista clinico-farmacologico e compensato negli aspetti impulsivi-temperamentali . Quadro chiarissimo, secondo i giudici – che, difatti, confermano il rigetto della domanda avanzata dal detenuto –, i quali aggiungono un ulteriore chiarimento ciò che può risultare decisivo è l’impossibilità di praticare utilmente le cure necessarie nel corso dell’esecuzione della pena , non già la possibilità di praticarle meglio fuori dalla struttura penitenziaria .

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 3 – 20 luglio 2012, n. 29767 Presidente Giordano – Relatore Cavallo Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza deliberata il 27 settembre 2011, il Tribunale di sorveglianza di Roma, ha respinto l’istanza proposta nell’interesse di G.V. - condannato in via definitiva per illecita detenzione di sostanze stupefacenti - di ammissione alla detenzione domiciliare ai sensi dell’art. 47 ter, comma 1 ter ord. pen., in quanto persona in condizioni di salute particolarmente gravi, essendo affetto da epatopatia HCV correlata a diabete melito nonché da disturbo dell’umore, con sindrome ansioso depressiva. 1.1. Il tribunale motivava tale decisione sul rilievo che, dalla relazione sanitaria in data 20 febbraio 2011 e dalla relazione psichiatrica in data 24 settembre 2011, emergeva che le condizioni di salute del detenuto, al momento della decisione, erano tali da non essere incompatibili con lo stato di detenzione e da non richiedere costanti contatti con i presidi sanitari. 2. Ricorre per cassazione il difensore del condannato, denunziandone l’illegittimità per violazione di legge art. 47 ter, comma 1 ter ord. pen. e 27 Cost. . Nel ricorso si deduce, tra l’altro, che l’ordinanza impugnata è inficiata dalla totale sottovalutazione della gravità delle condizioni di salute del condannato, sebbene compiutamente illustrata nella copiosa documentazione medica e nelle due relazioni medico legali redatte su incarico della difesa ed allegate all’istanza, nella quale veniva evidenziato, in particolare, come le condizioni di salute anche psichica del G., con una storia di dipendenza ed eroina, fossero particolarmente gravi ed insuscettibili di un effettivo miglioramento in presenza di un trattamento solo farmacologico, rendendosi per ciò necessario un suo ricovero in una apposita struttura esterna, dichiaratasi disponibile per altro alla sua accoglienza, limitandosi il Tribunale ad affermare, incongruamente, che le pur gravi patologie da cui è affetto il detenuto risultavano adeguatamente fronteggiabili in ambito carcerario, è ciò sebbene nella relazione psichiatrica acquisita in atti veniva espressamente segnalata la possibilità di un peggioramento della sindrome ansioso depressiva, in caso di mera somministrazione di una terapia farmacologica. Considerato in diritto 1. L’impugnazione è basata su motivi infondati e va quindi rigettata. Ed invero, deve anzitutto rilevarsi che, ai fini dell’ammissione alla detenzione domiciliare per motivi di salute, non basta che il condannato, come nel caso in esame, sia affetto da plurime e gravi patologie, ma occorre, altresì, che sia accertato che il regime di detenzione non possa assicurare la prestazione di adeguate cure mediche, così da essere causa di una sofferenza aggiuntiva proprio per effetto della privazione dello stato di libertà in tal senso ex multis, Cass., Sez. 1, n. 17947 del 16/4/2004, ric. Vastante, rv 228289, secondo cui ‘‘in tema di differimento facoltativo di una pena detentiva ai sensi dell’art. 147 cod. pen.’’, ma il principio è valido, evidentemente, anche in caso di detenzione domiciliare che specificamente rileva in questa sede, ‘‘è necessario che le patologie da cui è affetto il condannato siano di tale gravità da far apparire l’espiazione della pena in contrasto con il senso di umanità cui si ispira la norma contenuta nell’art. 27 Cost. e comunque non siano suscettibili di adeguate cure nello stato di detenzione, operando un bilanciamento tra l’interesse del condannato ad essere adeguatamente curato e le esigenze di sicurezza della collettività’’ . In corretta applicazione di tali principi, il tribunale di sorveglianza ha rilevato, anche sulla base di un recenti relazioni sanitarie in atti, che le condizioni di salute dell’istante non erano, al momento della decisione, incompatibili con lo stato di detenzione, anche perché le stesse venivano costantemente trattate e seguite, in ambito penitenziario, anche sotto il profilo psichiatrico, venendo il G. visitato con frequenza costante giornaliera a ragione di un quadro di oscillazione rapida dell’umore, precisando che allo stato il quadro del disturbo psichiatrico appariva stabile dal punto di vista clinico-farmacologico e compensato negli aspetti impulsivi-temperamentali. La ‘‘ratio decidendi’’ dell’ordinanza, sin qui esposta, risulta quindi pienamente conforme alle vigenti previsioni normative ed è del tutto immune da vizi logici e giuridici, onde la valutazione posta a base della pronuncia di rigetto risulta non censurabile nel giudizio di legittimità, non indicando il ricorrente alcun concreto elemento dimostrativo di un decisivo travisamento delle risultanze processuali che consenta di ritenere che il G. abbia bisogno di cure e trattamenti indispensabili, tali da non poter essere praticati in regime di detenzione inframuraria, se del caso anche mediante ricovero in ospedali civili o in altri luoghi esterni di cura ai sensi dell’art. 11 della legge 26 luglio 1975 n. 354 cd. ordinamento penitenziario . Al riguardo non è superfluo ricordare, del resto, che sia in tema di rinvio facoltativo dell’esecuzione della pena per gravi ragioni di salute sia in caso di detenzione domiciliare per ragioni di salute, che qui specificamente interessa, il principio costituzionale di tutela della salute art. 32 Cost. e del senso di umanità art. 27 Cost. che deve caratterizzare l’esecuzione della pena, va contemperato con l’esigenza di certezza della pena nella sua esecuzione con riferimento al principio di uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge art. 3 Cost. , anche perché, come già chiarito da questa Corte, ‘‘il differimento della pena per motivi di salute può essere giustificato solo con l’impossibilità di praticare utilmente le cure necessarie nel corso dell’esecuzione della pena, non già dalla possibilità di praticarle meglio, fuori della struttura penitenziaria’’ così Sez. 1, Sentenza n. 4690 del 23/9/1996, ric. Camerlengo, Rv. 205750 , principio questo evidentemente valido anche con riferimento alla detenzione domiciliare, allorquando, come nel caso in esame, risulta motivatamente esclusa la necessità di costanti contatti con presidi sanitari territoriali esterni. 2. Il rigetto del ricorso comporta le conseguenze di cui all’art. 616 cod. proc. pen. in ordine alla spese del presente procedimento. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.