Zaini trend con le immagini dei fumetti: nessun marchio, ma riproduzione fedele, troppo fedele. Merce sequestrata, imprenditore condannato

A caratterizzare i prodotti due personaggi amati dalle giovani generazioni e dal grosso appeal commerciale. Le immagini, però, sono identiche a quelle già utilizzate dalla ditta autorizzata a gestire il merchandising ufficiale. Così, nonostante non vi sia marchio, è considerato acclarato il reato alla luce della potenziale capacità di trarre in inganno il consumatore.

Fumetti da terzo millennio, carissimi alle giovani generazioni, e accompagnati, non a caso, da un merchandising spinto, che spazia dall’oggettistica ai videogiochi, dall’abbigliamento all’attrezzatura per la scuola. Volendo sintetizzare, l’ appeal è fortissimo, il mercato enorme, gli incassi potenzialmente illimitati. Ecco perché anche le ‘copie’ – magari piazzate a un prezzo più contenuto – hanno una loro ragione d’essere Ma l’utilizzo delle immagini relative ai fumetti, seppur non registrate come marchio, comportano la violazione della normativa sulla contraffazione, con relativo sequestro e relativa condanna Cassazione, sentenza numero 11406, Terza sezione Penale, depositata oggi . Fermato all’ingresso. A finire sul banco degli imputati è una ditta individuale di ‘ import export ’ creata, in Italia, da un cittadina cinese. Alla dogana, difatti, vengono bloccati ben quattromila zaini per la scuola, caratterizzati da immagini raffiguranti due personaggi dei fumetti noti alle giovanissime generazioni l’accusa è di aver violato la norma sulla vendita di prodotti industriali con segni mendaci. Sia in primo che in secondo grado l’imprenditrice viene sanzionata, anche se, in Appello, la sua posizione viene rivista 600 euro di multa e un mese e dieci giorni di reclusione, infine, la condanna. Nessun marchio, solo immagini. Nessuna contraffazione, nessun tentativo di trarre in inganno i consumatori. È questa la tesi che propone l’imprenditrice, presentando ricorso per cassazione e spiegando che le immagini riportate sugli zaini importati non sono state registrate come marchio, né sarebbero riferibili all’azienda autorizzata alla distribuzione di prodotti simili . Secondo questa tesi, vi è stata una mera riproduzione di immagine non destinata a ingenerare confusione nei consumatori su origine, provenienza e qualità del prodotto , e, quindi, mancherebbe la rilevanza penale del fatto . Per giunta, sempre secondo l’imprenditrice, la semplice operazione di sdoganamento non può essere assimilata ad un atto idoneo a mettere in circolazione i prodotti . Inganno. Tuttavia, la prospettiva tracciata nel ricorso non viene accolta dai giudici della Cassazione. Che, innanzitutto, considerano acclarato il tentativo di vendita delle merci, perché, anche in considerazione dell’attività svolta dalla donna, la presentazione alla dogana costituisce atto idoneo ed univoco a diffondere nel mercato i prodotti, trattandosi di atto prodromico alla messa in circolazione . Nessun dubbio, quindi, sulla intenzione di porre in vendita i famigerati zaini. Resta da chiarire la potenziale capacità di catturare l’attenzione dei consumatori, traendoli in inganno sulle caratteristiche e sulla provenienza dei prodotti. Ebbene, a questo proposito, anche alla luce della consulenza di un esperto del settore, è stato accertato che le immagini dei personaggi presenti sugli zaini erano state riprodotte in modo fedele a quelle di analoghi prodotti distribuiti dall’azienda autorizzata , e, di conseguenza, è stato possibile affermare che la fedele riproduzione fosse idonea a confondere i consumatori . Evidente, quindi, per i giudici – che rigettano il ricorso e confermano la condanna emessa in secondo grado – la violazione della normativa, proprio perché, in questa ottica, è sufficiente la messa in circolazione di prodotti industriali presentati con nomi, marchi o segni distintivi, non necessariamente registrati, che imitano quelli già adottati e che, pertanto, risultano idonei a ingenerare confusione tra i consumatori .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 12 gennaio – 23 marzo 2012, n. 11406 Presidente De Maio – Relatore Rosi Ritenuto in fatto La Corte di Appello di Genova, con sentenza emessa il 7 febbraio 2011, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Genova, riqualificato il fatto come violazione degli artt. 56 e 517 c.p., e rideterminata la pena in mesi uno e giorni dieci di reclusione ed euro 600,00 di multa, ha condannato Z.X. perché, in qualità di titolare della d.i. Victoria import Export di Z.X.’’, aveva presentato al controllo doganale 4.000 zaini con segni mendaci recanti la raffigurazione di personaggi di noti fumetti e relativi loghi. Fatto commesso in Genova, il 14 luglio 2004. Avverso la sentenza l’imputata ha proposto, tramite il proprio difensore, ricorso per cassazione per i seguenti motivi 1. Erronea applicazione della legge pena e in relazione alla ritenuta sussistenza del reato di cui all’art. 517 c.p. A parere della ricorrente, difetterebbe l’elemento oggettivo della fattispecie contestata poiché le immagini riportate sugli zaini importati non sono state registrate come marchio, né sarebbero riferibili all’azienda autorizzata alla distribuzione di prodotti simili. Pertanto, venendo in rilievo una mera riproduzione di immagine insuscettibile di ingenerare confusione da parte dei consumatori quanto all’origine, provenienza e qualità del prodotto, mancherebbe la rilevanza penale del fatto. 2. Erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 56 e 517 c.p. La sentenza sarebbe censurabile, altresì, per aver ravvisato la forma tentata del delitto di cui all’art. 517 c.p. La fattispecie, incriminatrice presupporrebbe la messa in vendita dei prodotti recanti segni mendaci, mentre gli atti posti in essere dalla ricorrente non potrebbero considerarsi né idonei né univoci ad integrare il delitto di cui all’art. 517 c.p., in quanto l’operazione di sdoganamento non può essere assimilata ad un atto idoneo a mettere in circolazione il prodotti incriminati. Considerato in diritto 1. Il primo motivo di ricorso è infondato. L’art. 517 c.p. vendita di prodotti industriali con segni mendaci ha per oggetto la tutela dell’ordine economico, con la conseguenza che colui che mette in circolazione prodotti con segni ingannevoli lede l’interesse generale alla lealtà degli scambi commerciali. Pertanto, secondo la giurisprudenza di legittimità, ai fini della sussistenza del reato de quo, è sufficiente un’imitazione del marchio o del segno distintivo - ancorché non registrato - che sia idonea a trarre in inganno l’acquirente sulle caratteristiche essenziali del prodotto. cfr., ex multis, Sez. 3, n. 23819 del 30 aprile 2009, Rongzhen, Rv. 244023 . Detto in altri termini, la messa in circolazione di prodotti industriali presentati con nomi, marchi o segni distintivi, non necessariamente registrati, che imitano quelli già adottati da un altro imprenditore e che, pertanto, risultano idonei ad ingenerare confusione tra i consumatori sulla provenienza dei beni stessi, integra la fattispecie prevista dall’art. 517 c.p. Nella vicenda in esame, i Giudici di prime cure hanno fatto corretta applicazione dei princìpi sopra richiamati, valutando gli elementi probatori acquisiti nel processo, nel rispetto delle norme di legge. Infatti, anche alla luce della consulenza di un esperto del settore, è stato accertato che, le immagini dei personaggi dei fumetti Yu – Gi-Ho’’ e Jade’’ presenti sugli zaini sequestrati, anche se non soggette alla tutela dei marchi, erano state riprodotte in modo fedele a quelle di analoghi prodotti distribuiti dall’azienda autorizzata. Inoltre, i Giudici di appello hanno ritenuto che la fedele riproduzione delle immagini dei personaggi, fosse idonea a confondere i consumatori sulla effettiva provenienza degli zaini. Pertanto, correttamente è stato ravvisato l’elemento oggettivo del reato contestato. 2. Parimenti infondato è il secondo motivo di ricorso. La fattispecie incriminatrice di vendita di prodotti industriali con segni mendaci si consuma nel momento in cui la merce è messa in vendita, o comunque quando la stessa è messa altrimenti in circolazione, quindi, quando la merce esca a qualsiasi titolo dalla sfera di disponibilità del detentore. Il tentativo è configurabile quando la merce non sia ancora uscita dalla disponibilità del detentore, ma questi abbia compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco alla sua messa in circolazione. Si tratta di comprendere se, anche la presentazione della merce per lo sdoganamento costituisca atto idoneo a porre in vendita o a mettere altrimenti in circolazione i prodotti recanti segni mendaci. Sul punto, questa Corte ha affermato che la condotta concretatasi nella presentazione alla dogana di merci con nomi, marchi o segni distintivi atti ad indurre in inganno il compratore sull’origine, provenienza o qualità del prodotto, integra il reato di cui all’art. 517 cod. pen. a livello di tentativo, atteso che la presentazione della merce per lo sdoganamento costituisce atto idoneo, tenuto conto della qualità del soggetto che lo effettua, a porre in vendita o mettere altrimenti in circolazione i prodotti in questione’’ Sez. 3, n. 28372 del 11 luglio 2006 Ud., Di Matteo, Rv. 234951 . Alla luce dei princìpi richiamati, i Giudici di merito hanno tenuto conto delle concrete circostanze del caso di specie e correttamente, quindi, hanno ravvisato il tentativo di vendita di merci con segni mendaci. Infatti, non vi è dubbio che, anche in considerazione dell’attività svolta dall’imputata, la presentazione alla dogana di un numero di zaini con segni mendaci pari a ben 4000 unità costituisca un atto idoneo ed univoco a diffondere nel mercato i prodotti in questione, trattandosi di atto prodromico alla messa in circolazione degli stessi. Di conseguenza, la sentenza non appare censurabile neppure sotto questo aspetto. Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato ed al rigetto consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ex art. 616 c.p.p. P.Q.M. rigetta il ricorso, e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.