Malversazione e truffa in erogazioni pubbliche: può esserci concorso formale

La Cassazione conferma la possibile configurazione del concorso formale tra i reati di malversazione e di truffa in erogazioni pubbliche. Questo esclude l’applicabilità del principio di specialità.

Il caso. L’amministratore di una società industriale veniva raggiunto da ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Gip del Tribunale di Crotone per i reati di associazione per delinquere, falsità ideologica commessa da privato in atto pubblico, induzione al falso del pubblico ufficiale, frode in pubbliche forniture, malversazione, riciclaggio e reimpiego di danaro di provenienza illecita. Il nucleo delle accuse era costituito dal fatto che il soggetto aveva sistematicamente utilizzato delle società per scopi illeciti, portando al fallimento la principale società controllante, dopo aver realizzato operazioni fraudolente che avevano creato lo stato di insolvenza. Tale società aveva ottenuto dal Ministero delle attività produttive, tramite una società controllata, l’erogazione di fondi pubblici per la costruzione di una centrale a ciclo combinato. A tale scopo aveva presentato - ai fini del riconoscimento dello stato di avanzamento dei lavori – delle fatture, per un importo consistente, per lavori eseguiti da una società di Milano, fatture che dagli accertamenti della Guardia di Finanza erano risultate emesse per operazioni e servizi in realtà mai avvenuti. Non solo, la società una volta ottenuto lo svincolo della fidejussione, aveva destinato i finanziamenti ministeriali non per la costruzione della centrale ma per altri scopi. L’indagato aveva proposto riesame al Tribunale di Catanzaro, che aveva confermato i gravi indizi di colpevolezza a carico del ricorrente per i reati contestati, e la sussistenza delle esigenze cautelari, rigettando l’istanza di riesame. Il difensore ha proposto ricorso per Cassazione contro l’ordinanza del Tribunale del Riesame deducendo che l’ordinanza era affetta dai vizi di mancanza e manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo, travisamento della prova lamentando la non corretta lettura di alcune dichiarazioni testimoniali, errata applicazione di legge. A sostegno del ricorso veniva prodotta la decisione assunta dal Tribunale Fallimentare di Catanzaro che disponeva una consulenza tecnica d’ufficio per accertare le condizioni per dichiarare il fallimento della società. Il controllo di legittimità non può spingersi fino a ricostruire nuovamente i fatti emersi dall’indagine. La decisione n. 43349/2001 della Corte di Cassazione Seconda sezione Penale, depositata in data 24 novembre, si è soffermata sui limiti di denunciabilità del vizio di motivazione in tema di misure cautelari personali. Il giudizio di legittimità è condotto sul contenuto della motivazione, che diventa inattaccabile, secondo la Corte, quando risponde a due requisiti 1 se contiene l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato 2 se le argomentazioni sono congrue rispetto al fine giustificativo del provvedimento. È proprio in relazione a questi due parametri, che possono essere rilevati i vizi di assenza di motivazione, difetto di motivazione, contraddittorietà di motivazione, illogicità di motivazione manifesta. Assenza e difetto di motivazione se la motivazione viene omessa o risulta insufficiente a sostenere la decisione o la conclusione adottata. Per quanto riguarda il vizio di illogicità della motivazione, il termine manifesta” sta ad indicare secondo la Corte Suprema, che l’illogicità deve essere percepibile in maniera lampante e deve risultare dal testo del provvedimento impugnato, non potendo, per quanto sopra precisato, il giudice di legittimità procedere ad una verifica della rispondenza della motivazione ai fatti emersi nel procedimento. L’art. 606 lett. e c.p.p., riformato dalla Legge n. 46 del 20.2.2006, prevede che i vizi fin qui esaminati possano risultare anche da altri atti del processo purché specificatamente indicati nei motivi di gravame. Il concetto di altri atti del processo rappresenta un punto critico del giudizio di legittimità, perché appare come una finestra aperta sul fatto , un veicolo attraverso il quale il giudice di legittimità potrebbe trasformarsi in un giudice del fatto . A tale riguardo la Corte non ha mancato di rimarcarne i limiti concettuali affermando che la locuzione altro non rappresenta che il riconoscimento normativo della possibilità di far valere in sede di legittimità il c.d. travisamento della prova . Travisamento della prova, da non confondere con il travisamento del fatto. La Corte ha sostenuto che non spetta ad essa rivalutare il modo con cui uno specifico mezzo di prova è stato apprezzato dal giudice di merito. La suprema Corte ha precisato che il travisamento della prova si verifica nei seguenti casi 1. il contenuto della deposizione testimoniale è diametralmente contrario a quello recepito dal giudice il testimone ha dichiarato nero, il giudice ha scritto bianco 2. il giudice attribuisce alla testimonianza un contenuto inesistente nella realtà il testimone non ha dichiarato nulla sul colore, il giudice ha scritto bianco 3. il giudice trascura, non recependola nella motivazione, una testimonianza di segno opposto, risultante dagli atti, da quella invece valorizzata nella motivazione un ulteriore testimone ha dichiarato nero, il giudice ha valorizzato solo bianco dichiarato da altro testimone . Sulla testimonianza la Corte non ha poi mancato di sottolineare la peculiarità della prova, connotata sempre dall’influenza di percezioni soggettive derivanti dalla capacità cognitiva del soggetto dichiarante, dalla sua sensibilità percettiva ed emotiva, dal grado di coinvolgimento o meno negli accadimenti, per cui il giudizio di travisamento della prova diverrebbe inammissibile se vertesse su tali aspetti e non su un dato storico semplice e non opinabile come per l’esempio del colore . Alla stregua di tali criteri ermeneutici la sentenza ha risolto e rigettato il ricorso proposto dall’indagato. Ha affermato che in relazione alle testimonianze indicate dal ricorrente e apprezzate dal giudice, non era ravvisabile alcuna manifesta illogicità della motivazione. Nel dettaglio, la Corte ha ritenuto irrilevante la decisione del Tribunale Fallimentare di Crotone di disporre consulenza tecnica al fine di valutare la sussistenza dei presupposti per il fallimento della società, poiché l’art. 238 legge fallimentare, prevede che l’azione penale possa essere esercitata, nei casi previsti dal’art. 7 della medesima legge, anche prima della dichiarazione di fallimento, in presenza dello stato di insolvenza ricavato dagli indici previsti, e in ogni altro caso concorrano gravi motivi e già esista o sia stata contemporaneamente presentata domanda per la dichiarazione di fallimento. Per esercizio dell’azione penale, alla stregua del nuovo codice di rito, deve intendersi la possibilità di espletamento di tutte le indagini necessarie all’esercizio di tale azione, ed anche la possibilità di adottare misura cautelari pur in mancanza di dichiarazione di fallimento. Concorso formale tra malversazione e truffa in erogazioni pubbliche? Riguardo alla possibilità di configurare il concorso formale tra i reati di malversazione art. 316 bis c.p. e di truffa in erogazioni pubbliche 640 bis c.p. , la sentenza ha aderito al prevalente indirizzo giurisprudenziale che ammette il concorso. Ed invero, mentre l’art. 316 bis punisce la condotta di colui che destina i fondi erogati a scopi diversi da quelli programmati, la truffa aggravata in erogazioni pubbliche punisce colui che ha ottenuto i fondi con inganno o frode, mediante l’utilizzo di artifici e raggiri che gli hanno consentito di ottenere ai finanziamenti. Il primo reato punisce una condotta successiva attinente all’impiego illecito dei fondi, e non postula anche, nei suoi elementi costitutivi, che tali fondi siano stati ottenuti con frode. Il secondo reato colpisce invece il meccanismo truffaldino di ottenimento delle somme, ad esempio perché viene scoperto che la società non aveva i requisiti per accedere all’erogazione pubblica, ovvero perché la società ha presentato fatture, ai fini dell’approvazione dello stato di avanzamento, riferite a lavori che non sono mai stati effettuati. Non si applica il principio di specialità. La circostanza che i due comportamenti possano sommarsi, ha sostenuto la Corte, è irrilevante e non vale a rendere operante il principio di specialità previsto dall’art. 15 c.p. L’art. 15 c.p. prevede che quando più leggi penali o più norme della medesima legge penale regolano la stessa materia, la legge o la disposizione di legge speciale deroga alla legge o alla disposizione di legge generale, salvo che sia altrimenti stabilito. In altre parole si applica solo la disposizione di legge speciale. La concomitante presenza delle due condotte mi approprio con frode dei soldi pubblici e successivamente li destino ad altri scopi è meramente eventuale e le due norme tutelano beni giuridici diversi. La previsione dell’art. 640 bis tutela il patrimonio, in questo caso pubblico, dalle frodi il reato previsto dall’art. 316 bis c.p. tutela la pubblica amministrazione da atti contrari agli interessi della collettività, come avverrebbe se i fondi venissero impiegati in attività del tutto diverse da quelle programmate per la realizzazione di interessi pubblici. Pertanto, non si è in presenza di leggi o di norme regolatrici della stessa materia. Infine, la Corte ha ribadito il principio secondo il quale con il ricorso in Cassazione avverso una decisione in materia di misure cautelari, non può essere chiesta una rivalutazione dei gravi indizi di colpevolezza perché ritenuta maggiormente plausibile rispetto a quella affermata dal Tribunale, essendo inammissibili quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze indiziarie.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 27 ottobre - 24 novembre 2011, n. 43349 Presidente Carmenini - Relatore Verga Motivi della decisione Con ordinanza in data 10.3.2011 il Tribunale del Riesame di Catanzaro confermava l'ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa in data 24.2.2011 dal GIP del Tribunale di Crotone nei confronti di B.A. , indagato dei reati di cui agli artt. 110 c.p. 216 e 223 co. 1 L.F. capo a , artt. 110, 483, 48, 476, 479 e 640 bis c.p. capo b , art. 316 bis c.p. capo e , artt. 110, 648bis e 648 ter c.p. capo g , art. 416 c.p. capo h . Con riguardo al capo a riteneva il Tribunale sussistente a carico del B. , nella sua qualità di amministratore della società Eurosviluppo Industriale, un grave quadro indiziario, non scalfito dalla documentazione prodotta dalla difesa, in ordine alla realizzazione di operazioni fraudolente che avevano determinato lo stato di insolvenza della predetta società, tanto da indurre l'Ufficio di Procura a richiederne il fallimento in data 28.5.2010. Veniva altresì sottolineato il mancato reperimento delle scritture contabili. Con riguardo alla truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche contestata al capo b riteneva sussistente un grave quadro indiziario sulla scorta degli atti di indagine confluiti nella informativa della G.d.F Da tale documentazione emergeva che in data 19.10.2005 A B. aveva presentato - in qualità di legale rappresentante della società Eurosviluppo Industrale E.I che controllava la società Eurosviluppo Elettrica Spa E.E , autorizzata, in data 18.5.2004, dal Ministero delle Attività Produttive all'esercizio e alla realizzazione della Centrale a ciclo combinato di Scandale ed opere connesse - richiesta di riconoscimento dello stato di avanzamento dei lavori e di rilascio della fidejussione prestata a titolo di garanzia. A sostegno della richiesta aveva presentate fatture per un importo di Euro 6.470.000,00 relative a forniture poste in essere dalla società PIANIMPIANTI SpA di Milano a favore della E.I. Il 16.10.2006 MELIORBANCA aveva inviato al Ministero una relazione con cui riteneva ammissibili le spese rappresentate dalle fatture. Il 23.2.2006 il Ministero sulla base di detta relazione provvedeva allo svincolo della fidejussione a suo tempo prestata dalla E.I. Dagli accertamenti effettuati dalla GdF Nucleo Polizia Tributaria di Cremona del 15.10.2009 e dalla informativa di P.G. del 13.8.2010 era emerso che le fatture emesse dalla PIANIMPIANTI SpA a favore della E.I. e da questa utilizzate per ottenere la restituzione della fideiussione riguardavano operazioni inesistenti. Circostanza confermata anche dalle dichiarazioni di G.A. , Presidente del CdA di PIANIMPIANTI e di V.P. , AD di ERGOSUD SpA, titolare dell'autorizzazione per la realizzazione della Centrale di Scandale In ordine al reato di malversazione capo e , ritenuta la possibilità di concorso formale con la truffa aggravata, il grave quadro indiziario era individuato negli elementi di indagine già indicati dai quali era emerso che E.I. non aveva destinato i finanziamenti conseguiti dallo Stato e dalla Regione Calabria alla realizzazione delle opere in progetto. Con riguardo alla contestazione di impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita art. 648 ter c.p. contestato al capo g il Tribunale evidenziava che gli esperiti accertamenti contabili e bancali consentivano di accertare che il B. aveva impiegato le somme provenienti dai delitti di malversazione e bancarotta fraudolenta di cui ai capi e ed f in attività finanziarie. Veniva ritenuto sussistente un grave quadro indiziario anche con riguardo al contestato reato di associazione per delinquere realizzato attraverso società allo stesso riferibili che erano state piegate alla realizzazione degli illeciti in esame, come riscontrato da conversazioni intercettate dalle quali era emerso lo stretto rapporto fiduciario fra l'indagato, BA.Ro. e C.G. che lo coadiuvavano nella sistematica strumentalizzazione delle società a lui riconducibili allo scopo di raccogliere fondi pubblici in mancanza delle condizioni normativamente previste. Ricorre per Cassazione il difensore dell'indagato deducendo che l'ordinanza impugnata è incorsa in mancanza e/o manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo. Travisamento della prova con riguardo alle dichiarazioni di G.A. e V.P. . Contesta la valutazione degli elementi indiziali operata dai giudici merito con riguardo al reato di bancarotta fraudolenta e di malversazione. Lamenta l'insussistenza del reato di falso con riguardo al provvedimento di svincolo e del reato di cui all'art. 648 ter c.p. essendo contestato al B. il concorso nel reato presupposto. Si duole della non corretta ricezione delle dichiarazioni di G. e V. che allega al ricorso. Lamenta l'insussistenza di elementi di fatto attestanti la sussistenza del vincolo associativo. In data 10.10.2011 il ricorrente depositava copia della decisione assunta dalla Sezione Fallimentare del Tribunale di Crotone in data 29.7.2011 con la quale era stata disposta Consulenza Tecnica d'Ufficio al fine di accertare la sussistenza delle condizioni per la fallibilità della Società Eurosviluppo Industriale S.r.l Il ricorso è infondato e deve essere respinto. In tema di misure cautelari personali, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte suprema spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l'hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell'indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l'apprezzamento delle risultanze probatorie. Deve aggiungersi che, con riguardo alle doglianze attinenti alla tenuta argomentativa del provvedimento, il controllo di legittimità sulla motivazione non concerne né la ricostruzione dei fatti né l'apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo dell'atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile a l'esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato b l'assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. Deve aggiungersi che l'illogicità della motivazione, deve risultare percepibile ictu oculi , in quanto, come già indicato, l'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali Cass., Sez. 4, 4 dicembre 2003, Cozzolino ed altri . Deve inoltre precisarsi che il vizio della manifesta illogicità della motivazione deve risultare dal testo del provvedimento impugnato, nel senso che il relativo apprezzamento va effettuato considerando che l’ordinanza deve essere logica rispetto a se stessa , cioè rispetto agli atti processuali citati. Va altresì ricordato che, anche alla luce del nuovo testo dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e , come modificato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, non è tuttora consentito alla Corte di Cassazione di procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito. La previsione secondo cui il vizio della motivazione può risultare, oltre che dal testo del provvedimento impugnato, anche da altri atti del processo , purché specificamente indicati nei motivi di gravame, non ha infatti trasformato il ruolo e i compiti del giudice di legittimità, il quale è tuttora giudice della motivazione, senza essersi trasformato in un ennesimo giudice del fatto. In questa prospettiva il richiamo alla possibilità di apprezzarne i vizi anche attraverso gli atti del processo rappresenta null'altro che il riconoscimento normativo della possibilità di dedurre in sede di legittimità il cosiddetto travisamento della prova che è quel vizio in forza del quale la Corte, lungi dal procedere ad una inammissibile rivalutazione del fatto e del contenuto delle prove , prende in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti per verificare se il relativo contenuto è stato veicolato o meno, senza travisamenti, all'interno della decisione. Mentre, giova ribadirlo, non spetta alla Corte di cassazione rivalutare il modo con cui quello specifico mezzo di prova è stato apprezzato dal giudice di merito, giacché attraverso la verifica del travisamento della prova il giudice di legittimità può e deve limitarsi a controllare se gli elementi di prova posti a fondamento della decisione esistano o, per converso, se ne esistano altri inopinatamente e ingiustamente trascurati o fraintesi. Per intenderci, non potrebbe esserci spazio per una rinnovata considerazione della valenza attribuita ad una determinata deposizione testimoniale, mentre potrebbero farsi valere la mancata considerazione di altra deposizione testimoniale di segno opposto esistente in atti ma non considerata dal giudice ovvero la valenza ingiustamente attribuita ad una deposizione testimoniale inesistente o presentante un contenuto diametralmente opposto a quello recepito dal giudicante. Ponendosi nella richiamata prospettiva ermeneutica,le doglianze del ricorrente, contenute nei motivi in cui lamenta il travisamento della prova con riferimento alle dichiarazioni di G.A. e V.P. si palesa manifestamente infondata, non apprezzandosi nella motivazione del provvedimento impugnato alcuna illogicità che ne vulneri la tenuta complessiva. In ogni caso la doglianza sarebbe inammissibile anche alla luce di alcuni arresti di questa Corte Cass. Sez. 6 10 maggio 2007, Contrada Cass. Sez. 4 n. 15556/08 , secondo i quali, alla luce della nuova formulazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e , come modificato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, che consente di dedurre il vizio di motivazione desumibile dagli atti del processo specificamente indicati, deve per vero rilevarsi che una fonte dichiarativa è per sua stessa definizione scandita da significanze non univoche, si da doversi escludere che essa possa in linea di principio integrare gli altri atti del processo cui potrebbe o dovrebbe estendersi in sede di legittimità lo scrutinio sulla completezza e logicità della decisione impugnata. Infatti, la testimonianza, salvi i casi limite in cui l'oggetto della deposizione sia del tutto definito o attenga alla proposizione di un dato storico semplice e non opinabile ad esempio il teste dice bianco, il giudice valuta la deposizione come se avesse detto nero o non avesse detto nulla , è sempre il frutto di una percezione soggettiva del dichiarante anche se attiene a fatti di sua diretta scienza, con la conseguenza che il giudice di merito, nel valutare i contenuti della deposizione testimoniale, è sempre chiamato a depurare , in diversa misura, il dichiarato dalle cause di interferenza provenienti dal dichiarante ossia dalla sua capacità cognitiva, dalla sua sensibilità percettiva ed emotiva, dal suo stato di coinvolgimento o meno negli accadimenti che riesuma e descrive. Per l'effetto, affinché il giudice di legittimità possa esprimere un eventuale giudizio sulla completezza, logicità e non contraddittorietà della motivazione in rapporto all'apprezzamento di fatto di una fonte testimoniale operato o non operato dal giudicante, diverrebbe necessario che avesse contezza dell'intero compendio probatorio tutti gli atti processuali raccolti fino al momento della decisione, sulla base dei quali svolgere l'analisi comparativa inerente la decisività o non della fonte testimoniale e della incidenza causale dalla stessa svolta cioè della sua lacunosa o preterita considerazione nel percorso decisionale del giudice di merito ciò che è impraticabile in rapporto alla natura del giudizio di legittimità. Nel caso in esame, il Tribunale argomenta la sussistenza del grave quadro indiziario a carico dell'imputato con riguardo al reato di bancarotta fraudolenta facendo puntuale riferimento ad atti di indagine, compendiati negli accertamenti della Guardia di Finanza che hanno evidenziato il compimento di operazioni fraudolente, specificamente indicate, consistite in fittizi aumenti di capitale sociale, creazione di un'elevata esposizione debitoria, eliminazione di poste dall'attivo patrimoniale, trasferimento di risorse finanziarie all'estero all'esito delle quali il patrimonio della Società E.I. srl. registrava perdite ingenti e quantificate in oltre 13 milioni di Euro. Grave quadro indiziario che secondo il Tribunale non era minimamente scalfito dagli elementi addotti a suo discarico che venivano specificatamente analizzati. Così come riteneva sussistente il grave quadro indiziario con riguardo i delitti di truffa e falso contestati al capo b richiamando l'attività investigativa realizzata dai militari della G.d.F. suffragata da documentazione, specificamente richiamata, che aveva consentito di accertare che le fatture emesse da PIANIMPIANTI SpA a favore di E.I. s.r.l. e da questa utilizzate per ottenere la restituzione della fidejussione, riguardavano fatture per operazioni inesistenti. A fronte di tale grave quadro indiziario con riguardo al reato di bancarotta fraudolenta di nessuna rilevanza appare la decisione del Tribunale fallimentare di Crotone di disporre consulenza tecnica d'ufficio al fine di valutare la sussistenza dei presupposti di fallibilità della E.I. considerato che l'art. 238 L. Fall., prevede al comma 1 che l'azione penale, per una delle ipotesi di reato fallimentare specificamente previste, possa essere esercitata anche prima della declaratoria di fallimento nel caso previsto dall'art. 7, ossia in presenza dello stato di insolvenza desunto dagli indici normativamente previsti, e in ogni altro caso in cui concorrano gravi motivi e già esista o sia contemporaneamente presentata domanda per ottenere la dichiarazione anzidetto Come affermato dalla giurisprudenza di questa Corte la formula esercizio dell'azione penale deve essere letta alla luce del nuovo codice di rito che ha collocato l'esercizio dell'azione penale al termine della fase delle indagini preliminari. Alla stregua della disciplina codicistica, e segnatamente degli artt. 326 e 405 del codice di rito, la locuzione deve oggi intendersi nel senso della possibilità di espletamento di tutte le indagini necessarie ai fini delle valutazioni e determinazioni funzionali all'esercizio dell'azione penale. E dal momento che non sussiste coincidenza tra quest'ultimo momento e l'adozione di misure cautelari personali, nel senso che l'emissione di quest'ultime non comporta, pacificamente, esercizio di azione penale, risulta evidente che, pur in mancanza di dichiarazione di fallimento, le stesse esigenze di cautela, sottese alla previsione dell'anticipato esercizio dell'azione penale, nel senso dianzi specificato, possano giustificare l'adozione di misure cautelari personali durante la fase delle indagini preliminari. Cass. sez. 1^, 15/10/1993, n. 4191, rv. 195570 Cass. sez. 5 9.11.2005 n. 43871 Rv. 232731 Cass. sez. 5 19.12.2005 n. 8363 Rv. 233236 . Il Tribunale ha dato conto con motivazione coerente e priva di vizi logici e giuridici anche della sussistenza di un grave quadro indiziario con riguardo alla contestata associazione per delinquere. È vero che per l'esistenza di una associazione per delinquere la legge non richiede l'apposita configurazione di una organizzazione potendo a fine illecito essere utilizzata una struttura preesistente e già adibita a finalità lecite, ma è pur vero che nel caso indicato occorre dimostrare che alcuni aderenti hanno modificato le originarie regole statutarie plasmando l'organizzazione alle loro finalità illecite. Nel caso in esame il Tribunale richiamando il contenuto di conversazioni intercettate ha dato conto che l'indagato, coadiuvato da consapevoli fiduciari, ha utilizzato le società a lui riconducibili per realizzare il proprio programma delinquenziale. Con riguardo al contestato delitto di malversazione il Tribunale ha ritenuto correttamente la possibilità di concorso fra i reati di malversazione in danno dello Stato e truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche . La possibilità di concorso fra le due fattispecie è, infatti, riconosciuta dalla prevalente giurisprudenza di questa Corte si vedano, infatti Sez. 6, Sentenza n. 4313 del 02/12/2003 Cass. 1^, sent. 4663 del 7/11/98, Saccani e altro, rv. 211494 Cass. 6^, sent. 3362 del 15/12/92, Scotti, rv. 193155 alla quale questo Collegio aderisce, richiamando le seguenti considerazioni. L'art. 316 bis c.p., introdotto dall'art. 3 della legge 26.4.1990 n. 86, ha lo scopo di reprimere le frodi successive al conseguimento di prestazioni pubbliche, attuate non destinando alle finalità per le quali sono stati erogata i fondi ottenuti. La configurabilità di tale reato non postula che i fondi siano stati conseguiti con artifici o raggiri, essendo ipotizzabile una situazione nella quale il richiedente espone e documenta correttamente una situazione meritevole di contributi, versando poi in illecito solo in un momento successivo, quando, ottenuto il finanziamento, lo destina a scopi diversi da quelli in vista del quale era stato erogato. La truffa aggravata, disciplinata dall'art. 640 bis c.p., presenta invece come elemento costitutivo necessario la frode, per mezzo della quale l'erogazione pubblica viene ottenuta. Rispetto al contributo concesso dall'ente pubblico possono così configurarsi due comportamenti illeciti differenti, puniti da norme diverse quello di chi artificiosamente simuli una situazione che induca l'ente a corrispondere fondi, che altrimenti non sarebbero erogati, in vista di un fine poi effettivamente perseguito e quello di colui che, conseguite senza artifizi le pubbliche erogazioni concesse in vista di un fine prestabilito, destini i fondi ad uno scopo diverso. La circostanza che i due comportamenti possano sommarsi, nel senso che artificiosamente, allegando una situazione non rispondente al reale, in relazione ad un fine dichiarato, si ottengano pubblici contributi in concreto destinati ad uno scopo diverso e già programmato, come contestato nel caso in esame, non elude la possibilità di concorso tra i due reati. Non si verte infatti su di una stessa materia regolata da una pluralità di disposizioni penali, per la quale possa valere il criterio di specialità dettato dall'art. 15 del codice penale. La concomitanza dei due comportamenti, l'uno preso in considerazione dalla truffa, antecedente al conseguimento dei fondi pubblici, l'altro, quello punito dall'art. 316 bis c.p., a tale momento successivo, è solo eventuale, e non vale a caratterizzare la prima o la seconda delle due ipotesi delittuose come speciale rispetto all'altra. La inapplicabilità del criterio di specialità alle due norme emerge anche in considerazione della non identità degli interessi protetti. Gli artt. 640 e 640 bis c.p. tutelano il patrimonio da atti di frode, aggravata nel caso di conseguimento di erogazioni pubbliche l'art. 316 bis c.p. tutela la pubblica amministrazione da atti contrari agli interessi della collettività, anche di natura non patrimoniale. Nel caso di specie la differenza tra i due reati, e la possibilità di concorso tra essi, risulta chiaro da quanto evidenziato dai giudici del Riesame che hanno sottolineato come dagli elementi indiziali a carico del B. in particolare accertamenti della G.d.F. di Cremona in data 15.10.2009, dichiarazioni rese da G.A. e V.P. , consulenza tecnica Dott. L. , emergeva che Eurosviluppo Industriale S.r.l. non destinava i finanziamenti conseguiti dallo Stato e dalla Regione Calabria alla realizzazione delle opere in progetto. In particolare dagli esiti degli accertamenti bancari, ricostruiti nella consulenza tecnica del Dott. L. era stato acclarato che all'indomani dell'accredito delle quote di finanziamento le corrispondenti somme venivano destinate, in parte, a ripianare i debiti assunti nei confronti delle banche e per il resto confluivano in un'indicata società di diritto lussemburghese la SFC dalla quale, poi, pervenivano a conti correnti direttamente intestati al B. . A fronte di tale corretta, motivata e coerente decisione il ricorrente chiede una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento dell'ordinanza e l'adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione rispetto a quelli adottati dal giudice del merito perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Un tale modo di procedere è però inammissibile perché trasformerebbe la Corte nell'ennesimo giudice del fatto. Deve aggiungersi che in tema di misure cautelari personali, la valutazione del peso probatorio degli indizi è compito riservato al giudice di merito e, in sede di legittimità, tale valutazione può essere contestata unicamente sotto il profilo della sussistenza, adeguatezza, completezza e logicità della motivazione, mentre sono inammissibili, viceversa, le censure, che, come quelle in esame, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze già esaminate da detto decidente. Infondata è anche la censura in ordine all'insussistenza del reato di cui all'art. 648 ter c.p per essere contestato al B. il concorso nel reato presupposto considerato che i reati presupposti, così come indicato nel provvedimento impugnato, sono quelli indicati ai capi e ed f che non risultano contestati al ricorrente. Il ricorso deve pertanto essere respinto e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Si provveda a norma dell'art. 94 disp. att. c.p.p