Paziente morta, ginecologo sotto accusa. Sospensione professionale ammissibile per evitare nuovi drammatici episodi

Richiesta del P.M. rigettata 2 volte, per mancanza di precedenti e per il blocco degli interventi deciso dalla struttura ospedaliera. C'è pericolo di reiterazione, anche alla luce della personalità del medico nello svolgimento della propria attività.

Sospensione possibile per il ginecologo che ha causato, colposamente, la morte di una paziente. A dare sostegno a questa ipotesi - come chiarisce la Cassazione, con sentenza numero 425882011, sezione Quarta Penale, depositata ieri - non solo il singolo drammatico episodio, caratterizzato dalla colpa professionale, ma anche elementi specifici utili a delineare la personalità del medico. Drammatico epilogo. La vicenda, le cui ripercussioni vengono esaminate in un'aula di giustizia, è quella di una donna, che, ricoverata, muore all'improvviso. Sotto accusa finisce il medico, un ginecologo, per averne provocato la morte, con una condotta quantomeno discutibile ad esempio, secondo la ricostruzione dei fatti, una volta concluso l'intervento, il medico non diagnosticava, neppure nei giorni successivi, le ragioni del quadro gravemente precario delle condizioni di salute della donna . Sospeso? Conseguenziale, per il Pubblico Ministero, è la richiesta di applicazione della misura interdittiva della sospensione temporanea dall'esercizio dell'attività professionale . Ma questa azione, nonostante il procedimento in corso, viene ritenuta eccessiva sia dal Giudice per le indagini preliminari che dal Tribunale del riesame. Su quali basi? Perché non ricorrevano esigenze di carattere cautelare difatti, il medico non risultava avere precedenti per fatti analoghi. Per cui, pur emergendo chiari indizi di reità per i fatti contestati, doveva ritenersi che non emergessero ragioni sufficienti per la configurazione del pericolo di reiterazione di reati della stessa specie , eppoi la direzione sanitaria del nosocomio aveva vietato l'esecuzione di interventi del tipo di quello eseguito sulla paziente deceduta . Peraltro, non viene considerato rilevante neanche il fatto che il medico sia sotto accusa, per lesioni personali gravissime, per l'intervento effettuato su un'altra paziente. Personalità e professionalità. Alla Corte di Cassazione viene presentato il ricorso del Pubblico Ministero, praticamente l' extrema ratio per rimettere nuovamente in discussione l'ipotesi della sospensione del medico. A sostenere questa richiesta, in sostanza, due elementi la gravità del delitto contestato e i profili peculiari ed inusitati della colpa professionale a carico del medico. Valutazioni accettabili? Assolutamente sì, per i giudici della Cassazione, che, di conseguenza, rimettono in discussione la decisione del Tribunale del riesame, riaffidando la questione al Tribunale. Ciò che si muove, sullo sfondo, è il pericolo della reiterazione. Ebbene, in questa ottica, secondo i giudici di piazza Cavour, non sono state individuate correttamente le esigenze cautelari , alla luce delle modalità di commissione del fatto e della personalità del soggetto , e non si è tenuto in debita considerazione il 'peso' di fatti pure esterni al processo, qualificanti le modalità di svolgimento dell'attività professionale . Tutto ciò, secondo i giudici, sarebbe stato fondamentale per valutare concretamente l'ipotesi di reiterazione dei comportamenti , anche tenendo presenti gli interessi collettivi già colpiti .

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 3 – 18 novembre 2011, n. 42588 Presidente Brusco – Relatore Galbiati Ritenuto in fatto 1. La Procura della Repubblica di Pescara procedeva nei confronti del dott. O. L. - medico ginecologo - per il reato di cui agli articolo 113-589 c.p. perpetrato a danno di A. M. D.F In particolare il sanitario veniva accusato di avere provocato colposamente il decesso della paziente attuando le seguenti condotte decideva di effettuare un tipo di intervento laparoscopia in presenza di circostanze che suggerivano l'adozione di altre tecniche chirurgiche eseguiva in modo gravemente non corretto l'operazione procurando alla paziente molteplici lesioni sia alla vescica che all'intestino non si preoccupava di trattare dette lesioni iatrogene nonostante egli, nel corso dell’intervento, si fosse reso conto dell'accaduto non diagnosticava, neppure nei giorni successivi all'intervento, le ragioni del quadro gravemente precario delle condizioni di salute della donna. 2. Il P.M. chiedeva l'applicazione della misura interdittiva della sospensione temporanea dall'esercizio dell'attività professionale di medico ginecologo. Il GIP del Tribunale di Pescara rigettava ripetutamente la richiesta del P.M. e, a Sua volta, il Tribunale del Riesame dell'Aquila respingeva l'appello proposto dal P.M 3. Il Tribunale del Riesame, da ultimo, con provvedimento In data 26-5-2011, respingeva l'ulteriore appello del P.M. Osservava che allo stato non ricorrevano esigenze di carattere cautelare. Invero, si procedeva per un reato di natura colposa, in relazione ad un soggetto che non risultava avene precedenti per fatti analoghi. Per cui, pur emergendo chiari indizi di reità per i fatti contestati, doveva ritenersi che non emergessero ragioni sufficienti per la configurazione del pericolo di reiterazione di reati della stessa specie. D'altro canto, risultava che la direzione sanitaria del nosocomio dove era in servizio il L. aveva vietato l'esecuzione di interventi del tipo di quello eseguito sulla paziente deceduta. Aggiungeva che altro fatto addebitato al L., sulla base di una querela per il reato di lesioni personali gravissime a danno di M. B. in relazione ad un intervento di raschiamento uterino e di asportazione dell'utero, era tuttora in fase di indagini tecniche essendo in corso l'accertamento ad opera del consulente nominato dal P.M 4. Il P.M. presso il Tribunale di Pescara propone va ricorso per cassazione. Evidenziava che il dott. L. era incorso in gravissima negligenza ed imperizia nello espletamento dell'attività chirurgica ed alcuni profili della sua condotta apparivano configurare addirittura un'ipotesi di omicidio volontario sotto l'aspetto del dolo eventuale. Sottolineava che il Tribunale di L'Aquila non aveva tenuto conto e valutato proprio gli elementi più significativi che giustificavano l'adozione della misura cautelare, e cioè la gravità del delitto contestato ed i profili peculiari ed inusitati della colpa professionale ascrivibili all'indagato. Chiedeva l'annullamento dell'ordinanza del Tribunale del Riesame. Considerato in diritto 1. Il ricorso deve essere accolto perché fondato. Si osserva che il Tribunale del Riesame non ha correttamente individuato e preso in considerazione le esigenze cautelari di per sé eventualmente idonee a giustificare l'applicazione della misura interdittiva, ai sensi degli articolo 287-290-308 c.p.p., in riferimento all'art. 274 lett. c configurante il pericolo di reiterazione da parte dell'imputato di delitti della stessa specie di quello per cui si procede. Sotto tale profilo, giusta il citato disposto dell'art. 274, devono essere esaminate ed apprezzate compiutamente le concrete modalità di commissione del fatto attribuito costituente reato, e tutti gli altri parametri enunciati nell'art. 133 c.p. che possono evidenziare la personalità del soggetto. Al riguardo, appare sicuramente rilevante considerare il grado della colpa, inteso questo concetto nel senso di valutazione del grado di difformità della condotta dell'autore rispetto alle regole cautelari violate, al livello di evitabilità dell'evento ed al quantum di esigibilità dell'osservanza della condotta doverosa pretermessa. Nella configurazione degli elementi delineanti la personalità dell'indagato potrà tenersi conto di ulteriori emergenze, pure esterne al presente processo, qualificanti le modalità di svolgimento dell'attività professionale da parte del L Tanto per pervenire, nell'ambito della materia della colpa professionale in questione, ad un'eventuale prognosi di reiterazione dei comportamenti in relazione alle caratteristiche della struttura in cui il professionista opera ed al comportamento da questo tenuto nel caso oggetto di giudizio e l'offesa temuta agli stessi interessi collettivi già colpiti. 2. Pertanto, l'ordinanza impugnata va annullata con rinvio al Tribunale di L'Aquila per un nuovo esame della vicenda sulla base dello schema motivazionale indicato da questa Corte di legittimità. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di L'Aquila.