Sì alla sanatoria degli irregolari renitenti all'espulsione

di Antimo Di Geronimo

di Antimo Di Geronimo La mancata osservanza dell'ordine di espulsione emanato dal questore non è più penalmente rilevante, per effetto della diretta applicabilità della Direttiva UE 2008/115 e, dunque, non può costituire elemento ostativo alla regolarizzazione del lavoratore extracomunitario. Ciò deriva dal contrasto tra la normativa europea e il disposto di cui all'art. 14, comma 5-ter, del D.Lgs. n. 286/98, che comporta la necessità, per il giudice, di disapplicare la norma di diritto interno che collide con le disposizioni comunitarie. La disapplicazione della norma di diritto penale interno comporta a sua volta la cessazione retroattiva degli effetti della responsabilità penale, accertata in forza della norma disapplicata. Pertanto, la sentenza penale di condanna di secondo grado, per inosservanza dell'ordine di espulsione, di cui all'art. 14, comma 5 ter, del D.Lgs. n. 286/98, in quanto disapplicato dalla Direttiva UE 2008/115, va annullata senza rinvio perché il fatto non è previsto dalla legge come reato . Sono questi i principi che si desumono da due sentenze emesse, rispettivamente, dall'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 8 del 10 maggio 2011 e della Prima Sezione penale della Corte di Cassazione n. 18586 depositata l'11 maggio 2011 . Se il reato non c'è più, il diniego della sanatoria dell'immigrato irregolare va annullato. La pronuncia dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato era stata richiesta dalla III Sezione, per dirimere alcuni contrasti giurisprudenziali in materia di sanatoria di provvedimenti di diniego di regolarizzazione di lavoratori extracomunitari, segnatamente in ordine alla preclusione prevista dalla legge in riferimento a soggetti condannati. Ma il Collegio ha deciso di bypassare la questione applicando direttamente la normativa comunitaria, in ciò facendo espresso riferimento alla sentenza 28 aprile 2011 in causa C-61/11 PPU della Corte del Lussemburgo leggi anche La Corte Ue boccia il reato di clandestinità niente carcere per gli irregolari, in Diritto e Giustizia del 29 aprile 2011 . Con tale provvedimento, infatti, i giudici comunitari hanno affermato l'incompatibilità dell'art. 14, comma 5 ter del D.Lgs. n. 286/98 con la direttiva 2008/115 artt. 15 e 16 . In più, citando anche la giurisprudenza della Corte costituzionale, l'Adunanza ha stabilito che è compito del giudice nazionale assicurare la piena efficacia del diritto dell'Unione, negando l'applicazione, nella specie, dell'art. 14, comma 5 ter, in quanto contrario alla normativa dettata dalla Direttiva n. 115 del 2008, suscettibile di diretta applicazione . E sulla base di questi presupposti i giudici amministrativi hanno concluso per la retroattività della cessazione del delitto di inosservanza dell'ordine di espulsione e hanno annullato il provvedimento di diniego di emersione del lavoro irregolare emanato dal Prefetto. L'applicabilità della Direttiva UE vizia le condanne per inosservanza dell'espulsione. Ad analoga conclusione è pervenuta anche la Suprema Corte in sede penale, in un giudizio concernente una sentenza di condanna a 6 mesi di reclusione, di un cittadino extracomunitario che non aveva osservato un ordine di espulsione. La I Sezione penale della Corte di cassazione ha fondato la decisione anzi tutto sulla presa d'atto che il decorso del termine di attuazione della Direttiva da parte dell'Italia ha determinato, in tempo utile al processo, la diretta applicabilità della normativa comunitaria. In ciò determinando l'obbligo per il giudice di disapplicare la normativa che prevede come illecito penale il delitto di cui all'art. 14, comma 5 ter, D.Lgs. n. 286/98. E a conforto di tale tesi il collegio ha fatto riferimento alla stessa sentenza della Corte di Giustizia citata dall'Adunanza plenaria C-61/11 per argomentare l'obbligo del giudice nazionale di disapplicare il decreto legislativo 286/98, perché contrario al risultato della direttiva 2008/115. Di qui la disapplicazione della norma incriminatrice posta a fondamento della pronuncia impugnata e il relativo l'annullamento della sentenza impugnata senza rinvio perché il fatto non è previsto dalla legge come reato .

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 29 aprile - 11 maggio 2011, n. 18586 Presidente Giordano - Relatore Vecchio Rileva 1. - Con sentenza, deliberata il 22 maggio 2009 e depositata il 21 luglio 2009, la Corte di appello di Perugia ha confermato la sentenza del Tribunale ordinario di quella stessa sede, 26 luglio 2005, di condanna alla pena della reclusione in mesi sei, a carico di e di , imputati del delitto previsto e punito dall'articolo 14, comma 5-terzo del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, per non aver ottemperato i decreti di allontanamento dal territorio dello Stato emessi dal Questore di Perugia il 19 aprile 2005, essendosi trattenuti in Italia fino al 21 luglio 2005. La Corte territoriale ha motivato, in relazione, alle censure degli appellanti le prospettate difficoltà economiche dei giudicabili non costituiscono giustificato motivo di inadempimento dell'ordine del Questore, laddove l'assunto non è dimostrato e laddove gli appellanti neppure abbiano presentato richiesta di ammissione al patrocinio a spese dello Stato è irrilevante la circostanza che i provvedimenti della Autorità amministrativa fossero passibili di impugnazione in quanto i decreti sono esecutivi la pena è stata contenuta nel minimo edittale, con la massima riduzioni e consentita dalle elargite attenuanti generiche. 2. - Ricorrono per cassazione entrambi gli imputati col ministero del difensore di ufficio, avvocata , mediante atto recante la data del 19 ottobre 2009, depositato il 20 ottobre 2009, col quale sviluppano quattro motivi. 2.1 - Col primo motivo il difensore dichiara promiscuamente di denunziare, ai sensi dell'decreto legge 241/2004. 2.2 - Col secondo motivo il difensore, ai sensi delle succitate lettere dell'articolo 606 cod. proc. pen., osserva che i provvedimenti del Questore di Perugia non avevano l'autorità di cosa giudicata . 2.3 - Col terzo motivo il difensore ripropone la tesi della ricorrenza del giustificato motivo, facendo riferimento alle precarie attività lavorative dei ricorrenti, alla mancanza di disponibilità economiche, alle disagiate condizioni e obiettando, in relazione al rilievo della Corte territoriale circa la mancata richiesta del patrocinio a spese dello Stato, che i giudicabili erano assistiti non come opina la Corte di appello - da difensore di fiducia, bensì da legale nominato di ufficio. 2.4 - Col quarto motivo il difensore dichiara promiscuamente di denunziare, ai sensi dell'14, comma 5-fer, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine al trattamento sanzionatone del quale la Corte - secondo i ricorrenti - non avrebbe dato conto. 3. - Il ricorso è infondato, in quanto non ricorrono né la denunziate violazioni di legge alla stregua del diritto vigente al momento della deliberazione della sentenza , né vizio alcuno della motivazione, rilevante nella sede del presente scrutinio di legittimità. 4. - Tuttavia, successivamente alla proposizione del ricorso, il 25 dicembre 2010, essendo infruttuosamente spirato il giorno precedente il termine stabilito per l'attuazione e/o per il recepimento, hanno acquisito efficacia diretta nell'ordinamento giuridico interno gli articolo 14, comma 5-ter del decreto legislativo 25 luglio 1998 n, 286. La Corte della Unione ha stabilito La articoli 15 e 16, deve essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa di uno Stato membro, come quella in discussione nel procedimento principale, che preveda l'irrogazione della pena della reclusione al cittadino di un paese terzo il cui soggiorno sia irregolare per la sola ragione che questi, in violazione di un ordine di lasciare entro un determinato termine il territorio di tale Stato, permane in detto territorio senza giustificato motivo . E, conseguentemente, ha affermato, che ai giudici penali degli Stati della Unione spettai disapplicare ogni disposizione del direttiva 2008/115 , tenendo anche debito conto del principio della applicazione della retroattiva della legge più mite il quale fa parte delle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri Par. 61 . La Corte di Kirchberg ha motivato gli Stati membri non possono introdurre, al fine di ovviare all'insuccesso delle misure coercitive adottate per procedere all'allontanamento coattivo conformemente all'articolo 8 n. 1, della direttiva 2008/115 e ritardar [dando] l'esecuzione della decisione di rimpatrio Par. 59 . 4.3 - Il principio di diritto stabilito dal Giudice della Unione implica la disapplicazione della norma incriminatrice, contestata ai giudicabile nel presente giudizio e, per l'effetto, impone l'annullamento, senza rinvio, della sentenza impugnata colla formula più favorevole per i giudicabili perché il fatto non è previsto dalla legge come reato . Si tratta, infatti, della formula che, secondo un arresto di questa Corte suprema, si attaglia al caso della inapplicabilità della disposizione penale per effetto della incompatibilità con la normativa comunitaria , stabilita dalla Corte di giustizia della Unione europea Sez. VII, 6 marzo 2008, n. 21579, Boujlaib, massima n. 239960 . P.Q.M. Annulla, senza rinvio, la sentenza impugnata, perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.

Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sentenza 2 10 maggio 2011, numero 8 Presidente De Lise Relatore Branca Fatto e diritto 1. Con ricorso numero 1270 del 2010 presentato al Tar Lombardia, sede di Brescia il signor L.F. ha impugnato il diniego di emersione del lavoro irregolare del cittadino marocchino K.B. su istanza ex art. 1 ter legge numero 102/09, emesso dal Prefetto di Mantova in data 4.10.2010 sul presupposto che l'istante era gravato da un precedente penale ostativo, consistente in una sentenza di condanna a mesi 5 e giorni 10 di reclusione emessa dal Tribunale di Mantova in data 19.6.2007, per il reato di violazione all'ordine di espulsione previsto dall'art. 14, co. 5 ter, d.lgs. 286/98. Il ricorso è stato respinto, e il sig. L.F. ha proposto appello al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale per la riforma della sentenza previa sospensione dell'efficacia. 2. Con sentenza 18 marzo 2011 numero 1653 la Terza Sezione di questo Consiglio, postasi d'ufficio la questione della ammissibilità dell'appello, la ha risolta in senso affermativo, e, inoltre, considerato il permanere dei contrasti giurisprudenziali riscontrati in merito all'interpretazione del citato art. 1-ter, comma 13, della legge numero 102 del 2009, di cui l'Adunanza Plenaria aveva dato atto con le ordinanze numero 912-917 del 21 febbraio 2011, ha rimesso l'appello a questo Consesso, a norma dell'art. 99, comma 1, c.p.a La questione è stata inscritta al ruolo della camera di consiglio dell'Adunanza Plenaria del 2 maggio 2011. L'Avvocatura Generale dello Stato ha depositato memoria per contrastare le tesi dell'appellante. Alla camera di consiglio del 2 maggio 2011 l'Adunanza Plenaria, avendone preventivamente avvisato i difensori presenti, e ritenendo sussisterne i presupposti, ha proceduto alla decisione dell'appello nel merito ai sensi dell'art. 60 c.p.a 3 L 'appello deve essere accolto. Occorre ricordare preliminarmente, pur nella concisione propria della sentenza in forma semplificata, i dubbi interpretativi manifestatisi in giurisprudenza, che hanno indotto la Sezione a rimettere la questione all'Adunanza Plenaria. Essi si riferiscono al disposto di cui all'art. 1-ter, comma 13, lett. c , della legge numero 102 del 2009, che inibisce la regolarizzazione dei lavoratori extracomunitari condannati, anche con sentenza non definitiva, compresa quella pronunciata a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell'art. 444 c.p.p., per uno dei reati previsti dagli articoli 380 arresto obbligatorio in flagranza e 381 arresto facoltativo in flagranza del medesimo codice. L'Amministrazione dell'interno ritiene che, tra i detti reati, vada ricompreso il delitto di violazione dell'ordine del questore di lasciare il territorio nello Stato, previsto dall'art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. numero 286 del 1998, punito con una pena edittale fino a quattro anni di reclusione e per il quale è previsto l'arresto obbligatorio. Secondo alcune pronunce, tale delitto, oltre a non essere espressamente menzionato nelle due disposizioni di rinvio artt. 380 e 381 c.p.p. , non potrebbe pacificamente ascriversi tra quelli di cui all'art. 380 c.p.p., per difetto della previsione di una pena edittale non inferiore nel minimo a cinque anni, e neppure tra quelli di cui all'art. 381, in quanto comportante l'arresto obbligatorio. Altre decisioni, invece, hanno condiviso la tesi dell'Amministrazione, nel senso che l'ipotesi delittuosa in questione può legittimamente farsi rientrare tra i delitti di cui all'art. 381 c.p.p., in ragione della previsione di una pena superiore nel massimo ai tre anni. 4.1. Ritiene tuttavia il Collegio che il rilevato contrasto interpretativo abbia perduto di attualità e di rilevanza ai fini della definizione del giudizio. Già con le ordinanze numero 912-917 del 21 febbraio 2011 l'Adunanza Plenaria, delibando, in sede meramente cautelare, analoghe vertenze, aveva dato atto della complessità intrinseca del problema interpretativo, segnalando fra l'altro che sulla sua soluzione poteva incidere anche il decorso del termine il 24 dicembre 2010 per il recepimento della Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 16 dicembre 2008 numero 2008/115/CE recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare . Si era in presenza, infatti, di una sopravvenienza normativa di matrice comunitaria nella materia de qua, le cui disposizioni risultavano sufficientemente precise e incondizionate, e, come tali, suscettibili di immediata applicazione negli Stati membri, secondo i principi ormai consolidati del diritto comunitario. Poteva quindi derivarne il venir meno dell'efficacia di precetti della corrispondente disciplina dettata dalla legge nazionale italiana sull'immigrazione, in quanto non compatibili con gli artt. 15 e 16 della Direttiva, e segnatamente dell'art. 14, comma 5-ter del d.lgs. numero 286 del 25 luglio 1998, dalla cui applicazione è sorto il ricordato contrasto giurisprudenziale. Tale ipotesi, infatti, è stata portata all'esame della Corte di Giustizia dell'Unione Europea, in sede di pronuncia pregiudiziale ai sensi dell'art. 267 del Trattato istitutivo, con ordinanza della Corte d'appello di Trento del 2 febbraio 2011. La Corte del Lussemburgo, accolta la domanda di procedura di urgenza, si è pronunciata con sentenza 28 aprile 2011 in causa C-61/11 PPU. Premesso che afferma la sentenza sussistono le condizioni per ritenere l'immediata applicabilità della Direttiva 2008/115, posto che è inutilmente decorso il termine fissato per il recepimento da parte dello Stato Italiano, e che le disposizioni di cui agli artt. 15 e 16 si presentano sufficientemente precise ed incondizionate parag. 45-46 , la decisione così conclude . la direttiva 2008/115, in particolare i suoi artt. 15 e 16, deve essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa di uno Stato membro, come quella in discussione nel procedimento principale, che preveda l'irrogazione della pena della reclusione al cittadino di un paese terzo il cui soggiorno sia irregolare per la sola ragione che questi, in violazione di un ordine di lasciare entro un determinato termine il territorio di tale Stato, permane in detto territorio senza giustificato motivo. . 4.2. L'Adunanza Plenaria è dell'avviso il detto pronunciamento abbia rilievo decisivo ai fini della definizione del presente appello. La vicenda in esame trae origine dalla circostanza che il legislatore italiano, nell'esercizio di una facoltà espressamente stabilita dalla Direttiva numero 115 del 2008 art. 4, comma 3, in tema di disposizioni più favorevoli , ha previsto il beneficio della emersione del lavoro irregolare, con effetto estintivo di ogni illecito penale e amministrativo art. 1-ter, comma 11, l. numero 102 del 2009 , a favore di una limitata cerchia di lavoratori, ma anche dei rispettivi datori di lavoro, che li impiegano per esigenze di assistenza propria o di familiari non pienamente autosufficienti o per lavoro domestico. Tale misura, tuttavia, non può essere concretamente accordata dall'Amministrazione ove sia stata emessa condanna dello straniero interessato per il reato di cui all'art. 14, comma 5-ter, più volte citato, che, come si è visto, punisce lo straniero che non abbia osservato l'ordine del questore di lasciare il territorio dello Stato. Ma la previsione di tale fattispecie penale, e le conseguenti condanne, non sono più compatibili con la disciplina comunitaria delle procedure di rimpatrio. In conformità, infatti, all'orientamento costantemente seguito dalla Corte di Lussemburgo a partire dalla sentenza Simmenthal in causa 106/77 , e dalla stessa Corte costituzionale italiana con la sent. numero 170 del 1984 e successive , anche la recentissima sentenza comunitaria afferma che è compito del giudice nazionale assicurare la piena efficacia del diritto dell'Unione, negando l'applicazione, nella specie, dell'art. 14, comma 5-ter, in quanto contrario alla normativa dettata dalla Direttiva numero 115 del 2008, suscettibile di diretta applicazione. L'effetto di tale diretta applicazione ha puntualizzato la Corte non è quindi la caducazione della norma interna incompatibile, bensì la mancata applicazione di quest'ultima da parte del giudice nazionale al caso di specie, oggetto della sua cognizione, che pertanto sotto tale aspetto è attratto nel plesso normativo comunitario. Corte Cost. numero 168 del 1991 . Deve concludersi che l'entrata in vigore della normativa comunitaria ha prodotto l'abolizione del reato previsto dalla disposizione sopra citata, e ciò, a norma dell'art. 2 del codice penale, ha effetto retroattivo, facendo cessare l'esecuzione della condanna e i relativi effetti penali. Tale retroattività non può non riverberare i propri effetti sui provvedimenti amministrativi negativi dell'emersione del lavoro irregolare, adottati sul presupposto della condanna per un fatto che non è più previsto come reato. 4.3. La conclusione cui il Collegio perviene non è ostacolata in modo persuasivo dalla tesi, prospettata dall'ordinanza di rimessione, secondo cui, per il principio tempus regit actum, sarebbero da ritenere comunque legittimi gli atti amministrativi adottati antecedentemente al mutamento della normativa. Il principio tempus regit actum esplica la propria efficacia allorché il rapporto cui l'atto inerisce sia irretrattabilmente definito, e, conseguentemente, diventi insensibile ai successivi mutamenti della normativa di riferimento. Tale la circostanza, evidentemente, non si verifica ove, come nella specie, siano stati esperiti gli idonei rimedi giudiziari volti a contestare l'assetto prodotto dall'atto impugnato. Non diversamente da quanto accade a seguito dell'accoglimento della questione incidentale di legittimità costituzionale, benché sulla base di una differente ricostruzione dei rapporti tra le diverse fonti coinvolte, è da ritenere che le disposizioni espunte dall'ordinamento per effetto della diretta applicabilità di norme comunitarie non possano più essere oggetto di applicazione, anche indiretta, nella definizione di rapporti ancora sub judice. 5. E' il caso di sottolineare che gli effetti della pronuncia, non conformi all'originario disegno del legislatore italiano, ben avrebbero potuto essere evitati ove, nel non breve lasso di tempo disponibile, si fosse provveduto al recepimento della direttiva, adottando misure compatibili con i relativi dettami. 5. Le spese dei due gradi di giudizio vanno poste a carico dell'Amministrazione soccombente, come in dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Adunanza Plenaria , definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto annulla il provvedimento impugnato in primo grado condanna la parte resistente alla rifusione delle spese dei due gradi del giudizio in favore dell'appellante e ne liquida l'importo in euro 3.000,00, oltre gli accessori di legge ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.