La separazione dei genitori non esclude la responsabilità penale del figlio

Le condizioni famigliari non giustificano l'impunità.

La separazione dei genitori non è un elemento sufficiente a giustificare gli atti vandalici commessi dal figlio minorenne. Lo ha affermato la Suprema Corte di Cassazione con sentenza n. 6970 del 23 febbraio 2011. Il caso. Protagonista della vicenda è un minore torinese imputato del reato di danneggiamento per aver rigato la carrozzeria di una Bmw e del reato di ingiurie e minacce gravi nei riguardi della proprietaria dell'auto per indurla a non denunciarlo. Il Tribunale dei Minori di Torino ha dichiarato il non luogo a procedere per immaturità al momento dei fatti . Secondo i giudici infatti non sussiste alcuna prova circa la capacità di intendere e volere del ragazzo segnato dalla recente separazione dei genitori. Contro tale decisione il procuratore generale della Corte di Appello di Torino ha proposto ricorso in cassazione. Il disagio per la separazione non giustifica atti di teppismo. I giudici della Seconda Sezione Penale della Cassazione hanno accolto il ricorso della Procura di Torino. Gli Ermellini hanno stabilito che la separazione personale dei genitori non può essere considerata un fattore che compromette la capacità del minore di rendersi conto del significato delle proprie azioni e quindi di volizione delle stesse.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 26 gennaio - 23 febbraio 2011, n. 6970 Presidente Esposito - Relatore Rago Fatto e diritto P1. Con sentenza del 28/01/2010, il g.u.p. del Tribunale per i Minorenni di Torino, dichiarava il non luogo a provvedere nei confronti di M.A. - imputato dei reati di danneggiamento per aver inciso con oggetto appuntito la carrozzeria di un'autovettura Bmw e di ingiurie e minacce gravi a danno della proprietaria della stessa per indurla a non denunciarlo - rilevando che non vi è alcuna prova circa la capacità di intendere e volere dell'imputato - segnato dalla separazione dei genitori - e tale prova che deve sempre essere fornita nel processo a carico di minorenni non può essere acquisita nella fase dibattimentale tenuto conto che non è possibile accedere a una simile valutazione a una così grande distanza temporale dai fatti. Non essendo pertanto sostenibile l'accusa in dibattimento sotto il profilo della capacità di intendere e di volere - in particolare sotto il profilo della volizione, essendo il disvalore del fatto immediatamente percepibile - va dichiarato il non luogo a procedere per immaturità al momento dei fatti . p.2. Avverso la suddetta sentenza, il P.G. presso la Corte di Appello di Torino ha proposto ricorso per cassazione deducendo VIOLAZIONE DELL'ART. 98 C.P. E CONTRADDITTORIETÀ DELLA MOTIVAZIONE - per non avere il giudice indicato sulla base di quali elementi fattuali aveva ritenuto che il M. fosse incapace di intendere e volere - per avere, da una parte, affermato che il disvalore del fatto immediatamente percepibile e, dall'altra, che l'imputato era immaturo, laddove il semplice fatto che avesse percepito il disvalore dell'atto doveva far ritenere provata anche la maturità. p.3. Il ricorso è fondato. In punto di diritto, va premesso che, con costante giurisprudenza, questa Corte ha affermato il principio secondo il quale perché un minore di età sia riconosciuto - ai sensi del combinato disposto degli artt. 85, 88, 89 e 90 cod.pen - incapace di intendere e di volere al momento della commissione del reato, è necessario l'accertamento di un'infermità di natura ed intensità tali da compromettere, in tutto od in parte, i processi conoscitivi, valutativi e volitivi del soggetto, eliminando od attenuando grandemente la capacità di percepire il disvalore sociale del fatto e di autodeterminarsi autonomamente. Pertanto, specifiche condizioni socio-ambientali e familiari nelle quali il minore sia eventualmente vissuto, particolarmente dolorose e laceranti, se pure possono aver avuto influenza negativa sul soggetto, inficiando le potenzialità di valutazione critica della propria condotta e agevolando il processo psicologico di autolegittimazione del crimine, non hanno, per ciò solo, compromesso la capacità del minore di rendersi conto del significato delle proprie azioni e di volizione delle stesse e quindi non rappresentano una forma di patologia mentale legittimante un giudizio di non imputabilità Cass. 31753/2003 Rv. 226281 - Cass. 18084/2010 riv 247141 - Cass. 17661/2010 riv 247335. Ovviamente, il proscioglimento del minore per non imputabilità ai sensi dell'art. 98 c.p., necessita di un'accurata motivazione che illustri le ragioni della ritenuta incapacità. Nel caso di specie, il g.u.p., con formula stereotipata, facendo riferimento ad un solo elemento fattuale la separazione dei genitori di per sé non significativo in assenza di più pregnanti riscontri, ha ritenuto l'incapacità del minore pur avendo, in modo contraddittorio, rilevato che il disvalore del fatto era immediatamente percepibile. La motivazione, pertanto, come dedotto dal P.G. ricorrente, deve ritenersi carente e contraddittoria dal che consegue l'annullamento con rinvio per un nuovo giudizio nel quale il Tribunale si atterrà ai suddetti principi di diritto. P.Q.M. ANNULLA con rinvio la sentenza impugnata e DISPONE Trasmettersi gli atti al Tribunale per i Minorenni di Torino per nuovo giudizio.