Non restituisce il corredo alla moglie. L'ex marito rischia il carcere

L'ex marito che non restituisce il corredo alla moglie rischia il carcere la querela è necessaria ai fini della condanna.

L'ex marito che non restituisce il corredo alla moglie rischia il carcere la querela è necessaria ai fini della condanna. E' quanto si evince dalla sentenza della Seconda sezione Penale della Corte di Cassazione, n. 6438 depositata il 21 febbraio 2011. La fattispecie. Un uomo veniva condannato dalla Corte d'Appello di Firenze a tre mesi di reclusione e a 300 euro di multa per appropriazione indebita aggravata dal possesso di cose a titolo di relazioni domestiche e di coabitazione a seguito di separazione coniugale, si rifiutava di restituire all'ex moglie il corredo 2 piumoni, 3 coperte estive e 2 invernali, 4 tovaglie, 2 paia di lenzuola e vari set di asciugamani . La Corte territoriale, nonostante la remissione di querela, riteneva il reato perseguibile d'ufficio per la contestazione dell'aggravante ex art. 61, n. 11, c.p L'ex marito proponeva ricorso per cassazione. La remissione di querela mette fine alla guerra del corredo . La S.C., accogliendo le ragioni del ricorrente, afferma che i fatti compresi nei delitti contro il patrimonio sono punibili a querela della persona offesa se commessi a danno del coniuge legalmente separato, intendendosi per tutti i fatti , anche quelli, che pur essendo in generale procedibili a querela, sarebbero procedibili d'ufficio in presenza di circostanze aggravanti come nel caso di specie, poiché la disposizione contenuta nell'art. 649, comma 2, c.p. non avrebbe alcun senso se riferita esclusivamente a fattispecie che, indipendentemente dalla qualità della persona offesa, sono già procedibili a querela. Pertanto, concludono gli Ermellini, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio perché il reato è estinto per remissione di querela.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 10 dicembre 2010 - 21 febbraio 2011, n. 6438 Presidente Sirena - Relatore Findanese Svolgimento del processo La Corte di Appello di Firenze, con sentenza in data 18 dicembre 2009, confermava la condanna pronunciata dal Tribunale di Arezzo 12 giugno 2008 alla pena di mesi tre di reclusione ed Euro 300 di multa nei confronti di T.F. , dichiarato colpevole del delitto di appropriazione indebita aggravata dal possesso di cose a titolo di relazioni domestiche e di coabitazione, in quanto, a seguito di separazione coniugale, si rifiutava di restituire al coniuge due piumoni, tre coperte estive e due invernali, quattro tovaglie, due paia di lenzuola e varie serie di asciugamani. La Corte di Appello, in particolare, dava atto della esistenza di remissione di querela, ma affermava che il reato è perseguibile d'ufficio per l'avvenuta contestazione dell'aggravante di cui all'art. 61 n. 11 c.p Propone ricorso per cassazione l'imputato personalmente, deducendo 1 inosservanza o erronea applicazione della legge penale, in quanto, in epoca successiva alla sentenza di primo grado, la parte offesa aveva rimesso la querela e la fattispecie dovrebbe ricadere nella sfera di applicazione del secondo comma dell'art. 649 c.p., quand'anche non si volesse ritenere applicabile la causa di non punibilità di cui al primo comma dello stesso articolo, sussistendo forti dubbi in ordine al momento consumativo del reato rispetto alla effettiva pronuncia della separazione dei coniugi. 2 inosservanza o erronea applicazione della legge penale, in quanto dovrebbe comunque escludersi l'applicabilità del terzo comma dell'art. 646 c.p., poiché marito e moglie hanno sottoscritto una scrittura privata con la quale si assegnavano alcuni beni alla moglie e il marito si impegnava alla loro restituzione, così che l'asserita appropriazione non è stata agevolata dalla relazione di coabitazione intercorsa, essendo stato costituito un rapporto giuridico nuovo, assimilabile ad un contratto di deposito. 3 mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, in quanto l'imputato sarebbe stato condannato sulla base delle sole dichiarazioni della parte civile, in assenza di riscontri ed inoltre risulterebbe indimostrata l'altruità delle cose di cui il T. si sarebbe appropriato, poiché l'accordo tra i coniugi faceva riferimento genericamente a biancheria varia . Motivi della decisione È fondata la censura di erronea applicazione della legge penale con riferimento alla intervenuta remissione della querela e alla conseguente applicabilità del disposto dell'art. 649, comma secondo, c.p Quest'ultima disposizione stabilisce che i fatti preveduti dal titolo tredicesimo del codice penale delitti contro il patrimonio sono punibili a querela della persona offesa se commessi a danno del coniuge legalmente separato deve intendersi tutti i fatti e, quindi, anche quelli che, pur essendo in generale procedibili a querela, sarebbero procedibili d'ufficio in presenza di circostanze aggravanti, come nel caso di specie art. 646, comma 3, c.p. , poiché è evidente che la disposizione dell'art. 649, comma secondo, c.p. non avrebbe senso se si riferisse a fattispecie che, indipendentemente dalla qualità della persona offesa, sono già procedibili a querela. Pertanto, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio perché il reato è estinto per remissione di querela. Gli altri motivi di ricorso sono assorbiti in quello accolto. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per remissione di querela.