Fatture false, il successivo annullamento non evita il reato

L'imprenditore che emette fatture per operazioni inesistenti, anche se successivamente annullate, commette reato a nulla vale il ravvedimento operoso.

L'imprenditore che emette fatture per operazioni inesistenti, anche se successivamente annullate, commette reato a nulla vale il ravvedimento operoso. Si è così espressa la III sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 608 depositata il 12 gennaio 2011, confermando la responsabilità penale di un imprenditore che aveva emesso false fatture, poi annullate. Sull'emissione di fatture false. In particolare, muovendo dai fatti di causa, la S.C. ha affermato che le modalità della complessiva operazione, la mancata esecuzione di contratti simulati, il difetto di movimenti di denaro corrispondenti alle fatturazioni, rappresentano elementi che, concordemente, precisamente, gravemente ed univocamente indicano, al di là di ogni ragionevole dubbio, che l'imputato emise fatture per operazioni inesistenti al solo fine di consentire l'evasione di imposte, nella forma di acquisizione di crediti d'imposta. Sull'elemento soggettivo del reato. Inoltre, osservano i giudici di legittimità, il reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti, ex art. 8, d.Lgs. n. 74/2000, è configurabile anche in caso di emissioni di fatture tra società facenti capo allo stesso soggetto, atteso che pure in questa ipotesi si delinea la intersoggettività richiesta per integrare la finalità di consentire a terzi l'evasione d'imposta. Sui contratti simulati, poi annullati. Né vale ad inficiare la dei decisione dei giudici di merito, prosegue il Collegio - la circostanza che i contratti simulati furono risoluti, con successivo annullamento dei rispettivi crediti di IVA, in quanto il reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti, ai sensi del citato art. 8, si configura come un delitto di pericolo astratto, essendo sufficiente il mero compimento dell'atto tipico. Sul ravvedimento operoso. Infine, concludono gli Ermellini, non assume alcuna rilevanza la tempistica delle note di variazione, ossia se le stesse siano state emesse prima o dopo l'inizio degli accertamenti effettuati dalla GdF, posto che rispetto al reato contestato il ravvedimento operoso costituisce post factum irrilevante.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 1° dicembre 2010 - 12 gennaio 2011, n. 608 Presidente Squassoni - Relatore Gazzara Svolgimento del processo Il Tribunale di Cassino, sezione distaccata di Sora, con sentenza del 15/1/08, dichiarava colpevole del reato di cui all'art. 8, co. 1, d.Lvo 74/2000, perché quale presidente del consiglio di amministrazione, nonché amministratore unico della V.I. s.r.I., esercente, la attività di fabbricazione di elaboratori, al fine di consentire a terzi la evasione della imposte sui redditi e sul valore aggiunto, emetteva fatture nei confronti delle società T.E. s.n.c. di , della A.E. di e della E. s.n.c. di , e lo condannava alla pena di anni 1 di reclusione, concedendo i benefici di legge, compresa la applicazione della L. 241/06. La Corte di Appello di Roma, chiamata a pronunciarsi sull'appello avanzato dal prevenuto, con sentenza del 22/4/09, ha confermato il decisum di prime cure. Propone ricorso per cassazione l'imputato personalmente con i seguenti motivi - la motivazione adottata dal giudice di merito a sostegno della affermazione di colpevolezza dell'imputato in ordine al reato di cui all'art. 8, co. 1, d.Lvo 74/2000 merita censura, in quanto non supportata da prove certe ed incontrovertibili, che possano dimostrare, al di là di ogni ragionevole dubbio, la sussistenza del dolo specifico in capo all'accusato di perseguire il fine illecito punito dalla norma in contestazione. Peraltro la circostanza della risoluzione dei contratti e l'immediato successivo annullamento del credito i.v.a. maturato rappresentano indici di una volontà tesa a non usufruire di un vantaggio fiscale ingiustificato. - erra la Corte di Appello nel ricostruire i fatti, in quanto le operazioni di verifica, effettuate dalla Guardia di finanza, iniziarono in data 4/12/02, quando le fatture incriminate erano già state annullate dalle rispettive società che le avevano emesse. Motivi della decisione Il ricorso è inammissibile, in quanto i motivi in esso libellati si palesano manifestamente infondati. La argomentazione motivazionale, adottata dal decidente a sostegno della affermata responsabilità del prevenuto in ordine al reato ad esso ascritto, appare, con netta evidenza, logica e corretta. Si contesta in impugnazione la sussistenza di prove della condotta illecita ascritta al e che il giudice di merito ha pronunciato la sentenza di condanna in difetto di elementi che potessero fare rilevare il dolo specifico in capo all'accusato, rilevando che, di contro, le risultanze processuali avrebbero dovuto condurre ad una pronuncia assolutoria, ma sono state interpretate sfavorevolmente all'imputato, al fine di sostenerne la coscienza e volontà di commettere il reato contestato. Orbene si osserva che dal vaglio di legittimità a cui è stata sottoposta la sentenza assoggettata ad impugnazione è emerso che - in primis, il giudice di merito ha dato completo riscontro alle doglianze mosse con l'atto di appello, specificando le ragioni per cui ha ritenuto le stesse prive di fondamento - il decidente, nel corso dell'iter argomentativo, ha puntualmente richiamato le emergenze istruttorie ritenute acclaranti la tesi accusatoria, in particolare dando contezza di avere valutato la piattaforma probatoria in maniera compiuta e corretta, in quanto ha preso in considerazione ogni singolo fatto ed il loro insieme, non in modo parcellizzato ed avulso dal generale contesto istruttorio, ed ha proceduto a verificare che essi, ricostruiti in sé e posti vicendevolmente in rapporto, potevano essere ordinati in una struttura logica, armonica e consonante, tale da consentirgli, attraverso la valutazione unitaria del contesto, di attingere la verità processuale, cosi da pervenire nella convinzione della colpevolezza del prevenuto. Sul punto la Corte distrettuale specifica che le modalità della complessiva operazione, la mancata esecuzione, sia pur minima, di ciascuno dei simulati contratti, il difetto di movimenti di denaro corrispondenti alle fatturazioni, la mancata reazione delle società, apparenti vittime di inadempimento, rappresentano tutti elementi che, nella loro concomitanza, concordemente, precisamente, gravemente ed univocamente indicano, al di là di ogni ragionevole dubbio, che la V.I. s.r.l. e per essa l'imputato emise le fatture indicate nel capo di imputazione per operazioni inesistenti, al solo e deliberato fine di consentire alle società destinatarie di esse la evasione di imposte, nella forma di acquisizione di crediti di imposta. La doppia conforme permette, di poi, di rilevare un ulteriore passaggio argomentativo, sviluppato dal giudice di merito, in relazione alla sussistenza dell'elemento soggettivo del reato dalla istruttoria è emerso un collegamento tra la T.E., la A. e la società amministrata dal , come comprovato dalla identica sede sociale e dalla medesima collaborazione del commercialista, nonché da ciò che quest'ultimo ha dichiarato. Ad avviso del decidente, a giusta ragione, tale circostanza è rilevante ai fini dell'elemento soggettivo del reato, posto che il reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti, di cui all'art. 8, d.Lvo74/2000, è configurabile anche in caso di emissioni di fatture tra società facenti capo allo stesso soggetto, atteso che pure in tale ipotesi si delinea la intersoggettività richiesta per integrare la finalità di consentire a terzi la evasione di imposta Cass. 15/3/06, n. 13947 . Peraltro il prevenuto era pienamente consapevole della falsità del contratto concluso con la E. s.n.c. società rivelatasi inesistente . Né vale ad inficiare il decisum la circostanza che i contratti tra le predette società furono risoluti, con successivo annullamento dei rispettivi crediti di i.v.a., per due ordini di motivi perché il reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti, ex art. 8, co. 1, d.Lvo 74/2000, si configura come un delitto di pericolo astratto, per la concretizzazione del quale è sufficiente il mero compimento dell'atto tipico Cass. 26/9/06, n. 40172 e perché sia il che le società beneficiarie, collegate alla V. nella illecita operazione, non pagarono, a seguito della risoluzione dei contratti e dello storno, il totale importo dovuto a titolo di a Conseguentemente, come osservato dal giudice di merito, non appare rilevante la tempistica delle note di variazione, cioè se le stesse siano state emesse prima o dopo l'inizio degli accertamenti effettuati dalla Guardia di finanza, posto che rispetto al reato contestato il c.d. ravvedimento operoso delle tre società beneficiarie delle fatture costituisce post factum irrilevante. Di poi, la inammissibilità del ricorso, dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi, non permette l'instaurarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude di rilevare e dichiarare la sussistenza di eventuali cause di non punibilità Cass. S.U. 22/11/2000, D.L. . Tenuto conto, poi, della sentenza del 13/6/2000, n. 186, della Corte Costituzionale, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, lo stesso, a norma dell'art. 616 c.p.p., deve essere, altresì, condannato al versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 1.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di euro 1.000,00.