Postoperatorio amaro, disfunzione erettile per un uomo: sì al risarcimento ma escluso il danno morale

Nessun dubbio sulla responsabilità del chirurgo e della struttura ospedaliera per la disavventura vissuta da un uomo, che ottiene un corposo risarcimento. Esclusa però l’ipotesi che venga quantificato a sé il danno morale, come preteso invece dall’uomo.

Amara sorpresa postoperatoria per un uomo, che, a seguito di una ernioplastica, si ritrova con una grave disfunzione erettile e con una ridotta capacità riproduttiva. Legittima la sua pretesa risarcitoria nei confronti del chirurgo e della struttura ospedaliera. Esclusa però la personalizzazione del danno relativamente alla sterilità da lui lamentata, ed esclusa anche la liquidazione a sé del danno morale. Cassazione, sentenza n. 17663, sez. III Civile, depositata il 25 agosto . A dare il ‘la’ alla vicenda giudiziaria è la richiesta di risarcimento avanzata da un uomo per il danno conseguito ad un intervento di ernioplastica in termini di compromissione della sfera sessuale . Citati in giudizio il chirurgo e la struttura ospedaliera, che vengono condannati in Tribunale a versare all’uomo quasi 62mila euro a titolo di danno patrimoniale , 200mila euro a titolo di danno non patrimoniale e 12mila euro per invalidità temporanea . Nessun dubbio, in sostanza, per i giudici di primo grado sul nesso di causalità con la condotta negligente del medico e sull’esistenza di un danno biologico nella misura del 35-40% subito dall’uomo. In Appello, però, il danno biologico viene ridotto al 35% e il danno non patrimoniale viene quantificato in circa 170mila euro. Respinta la protesta dell’uomo per la presunta mancata personalizzazione del danno relativamente all’asserita sterilità su questo fronte i giudici di secondo grado osservano che non risultava dedotta alcuna specifica ed eccezionale circostanza suscettibile di aggravare il danno, mentre la sofferenza psichica era componente del danno biologico e non ulteriore pregiudizio esistenziale , senza dimenticare poi che la lamentata incapacità di procreare non era clinicamente accertata e vi incideva pesantemente una componente psicogena tale da frustrare la seppur ridotta ma comunque sussistente fertilità . In ultima battuta i giudici d’Appello osservano anche che pur derivando la sindrome depressiva dall’evento lesivo, non vi era prova del collegamento causale fra i postumi e l’incapacità di lavoro e che le lesioni fisiche, limitate alle disfunzioni dell’apparato genitale, non erano astrattamente in grado di frustrare irrimediabilmente la capacità lavorativa, anche considerando la pregressa attività svolta, né poteva a ciò considerarsi verosimilmente idonea la sindrome ansioso-depressiva . Per l’uomo, però, la decisione emessa dalla Corte d’appello merita di essere riveduta e corretta. Ecco spiegato il ricorso in Cassazione, ricorso che invece si rivela inutile. Dal ‘Palazzaccio’, difatti, arriva la conferma della pronuncia di secondo grado. In prima battuta l’uomo sostiene che il danno morale , in quanto sofferenza soggettiva, è autonomamente risarcibile . I magistrati ribattono osservando che in Appello nella liquidazione del danno non patrimoniale, sulla base delle nuove tabelle del Tribunale di Milano, si era proceduto ad un aumento dell’originario punto tabellare, in modo da includervi la componente già qualificata in termini di danno morale, che risultava così compreso nel danno biologico . I giudici della Cassazione tengono poi a precisare che il danno biologico cioè la lesione della salute , quello morale cioè la sofferenza interiore e quello dinamico-relazionale altrimenti definibile ‘esistenziale’, e consistente nel peggioramento delle condizioni di vita quotidiane, risarcibile nel caso in cui l’illecito abbia violato diritti fondamentali della persona costituiscono componenti dell’ unitario danno non patrimoniale che, senza poter essere valutate atomisticamente, debbono pur sempre dar luogo ad una valutazione globale . Ne consegue che, in caso di mancata liquidazione del cosiddetto danno morale, occorre che la persona danneggiata non si limiti ad insistere sulla separata liquidazione di tale voce di danno, ma che articoli chiaramente la doglianza come erronea esclusione , dal totale ricavato in applicazione delle cosiddette tabelle di Milano , delle componenti di danno diverse da quella originariamente descritta come danno biologico , poiché altrimenti risulta inammissibile la censura, atteso il carattere tendenzialmente omnicomprensivo delle previsioni delle predette tabelle . In questo caso, la censura non è stata articolata nei termini indicati, ma puramente e semplicemente nei termini di mancata autonoma determinazione del danno morale . L’uomo poi sostiene che il danno esistenziale deve essere risarcito autonomamente quale componente estranea al danno biologico . I magistrati ribattono che in tema di danno non patrimoniale da lesione della salute, costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno esistenziale, atteso che con quest’ultimo si individuano pregiudizi di cui è già espressione il grado percentuale di invalidità permanente, quali i pregiudizi alle attività quotidiane, personali e relazionali, indefettibilmente dipendenti dalla perdita anatomica o funzionale .

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 6 marzo – 25 agosto 2020, n. 17663 Presidente Armano – Relatore Scoditti Fatti di causa 1. P.G. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Pesaro - sezione distaccata di Fano ASUR Marche - Area Vasta n. 1 e Pi.Ro. chiedendo il risarcimento del danno conseguito ad intervento di ernioplastica in termini di compromissione della funzione sessuale. Si costituì ASUR Marche - Area Vasta n. 1 chiedendo il rigetto della domanda. 2. Il Tribunale adito, previo riconoscimento del nesso di causalità con la condotta negligente del medico e dell’esistenza di un danno biologico nella misura del 35-40%, liquidò in favore dell’attore Euro 61.981,85 a titolo di danno patrimoniale, Euro 200.000,00 a titolo di danno non patrimoniale ed Euro 12.000,00 per invalidità temporanea, oltre rivalutazione ed interessi. 3. Avverso detta sentenza propose appello il P. . Si costituì ASUR Marche - Area Vasta n. 1 chiedendo il rigetto dell’appello e proponendo appello incidentale. 4. Con sentenza di data 8 agosto 2017 la Corte d’appello di Ancona rigettò l’appello principale ed accolse quello incidentale, riducendo il danno biologico alla percentuale del 35% ed il danno non patrimoniale ad Euro 170.443,00. Osservò la corte territoriale, con riferimento al motivo di appello principale relativo all’omessa maggiorazione del 10%, che il CTU T. , pur avendo lasciato irrisolto il dubbio se la disfunzione erettile dipendesse anche dalla vasculopatia aortica, aveva al momento della determinazione del danno derivante dalla detta disfunzione nella misura del 20% mentre nella misura del 15% era stata stimata la sterilità operato una valutazione complessiva dei postumi invalidanti dell’intervento, atteso che non era dato sapere esattamente la quota attribuibile all’intervento o alla componente organica. Aggiunse che nella liquidazione del danno non patrimoniale, sulla base delle nuove Tabelle del Tribunale di Milano, si era proceduto ad un aumento dell’originario punto tabellare in modo da includervi la componente già qualificata in termini di danno morale, che risultava così compreso nel danno biologico, e che, quanto alla lamentata mancata personalizzazione relativamente all’asserita sterilità, non risultava dedotta alcuna specifica circostanza ed eccezionale suscettibile di aggravare il danno, mentre la sofferenza psichica era componente del danno biologico e non ulteriore pregiudizio esistenziale peraltro la lamentata incapacità di procreare non era clinicamente accertata e vi incideva pesantemente una componente psicogena tale da frustrare la seppur ridotta ma comunque sussistente fertilità . Osservò inoltre che, pur derivando la sindrome depressiva dall’evento lesivo cagionato, non vi era prova del collegamento causale fra i postumi e l’incapacità di lavoro e che le lesioni fisiche, limitate alle disfunzioni dell’apparato genitale, non erano astrattamente in grado di frustrare irrimediabilmente la capacità lavorativa, anche considerando la pregressa attività svolta nel settore pubblicitario, nè poteva a ciò considerarsi verosimilmente idonea la sindrome ansioso-depressiva. 5. Ha proposto ricorso per cassazione P.G. sulla base di quattro motivi. Resiste con controricorso ASUR Marche - Area Vasta n. 1. È stata depositata memoria. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo si denuncia omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione all’art. 116 c.p.c., artt. 2059, 1226, 123 e 2056 c.c Osserva il ricorrente che nella relazione di CTU T. la disfunzione erettile stimata nel 20% di invalidità aveva subito un abbattimento riconducibile alla prospettata concausa della vascolopatia aortica e che nella relazione di CTU specialistica G. -Z. era stato evidenziato che l’intervento di by pass di fatto aveva corretto le condizioni di deficit circolatorio risolvendone l’eventuale componente vascolare. Aggiunge che pertanto, stante l’assenza del ruolo concausale della vascolopatia aortica, si sarebbe dovuta applicare una maggiorazione del 10%. 1.1 Il motivo è inammissibile. La censura è estranea alla ratio decidendi. L’interpretazione che il giudice di merito ha fornito della CTU T. non è nel senso che la percentuale del 20% deriverebbe dall’incertezza del contributo causale della vascolopatia aortica ma è nel senso che il CTU aveva operato una valutazione complessiva dei postumi invalidanti dell’intervento, senza una previa attribuzione di quota causale alla detta vascolopatia. Tale è il giudizio di fatto del giudice di merito ed un sindacato di tale giudizio è precluso nella presente sede di legittimità. Peraltro nell’articolazione del motivo non risulta indicato uno specifico fatto il cui esame sia stato pretermesso, ma vengono solo richiamate le valutazioni dell’ausiliare del giudice. L’estraneità alla ratio decidendi fonda comunque il difetto di decisività della censura. 2. Con il secondo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 2059, 185, 1226 e 2056 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva il ricorrente che il danno morale, in quanto sofferenza soggettiva, è autonomamente risarcibile. 2.1. Il motivo è inammissibile. Ha affermato il giudice di appello che nella liquidazione del danno non patrimoniale, sulla base delle nuove Tabelle del Tribunale di Milano, da parte del Tribunale si era proceduto ad un aumento dell’originario punto tabellare in modo da includervi la componente già qualificata in termini di danno morale, che risultava così compreso nel danno biologico. Tale ratio decidendi risulta impugnata in modo inammissibile nel motivo di ricorso. Il danno biologico cioè la lesione della salute , quello morale cioè la sofferenza interiore e quello dinamico-relazionale altrimenti definibile esistenziale , e consistente nel peggioramento delle condizioni di vita quotidiane, risarcibile nel caso in cui l’illecito abbia violato diritti fondamentali della persona costituiscono componenti dell’unitario danno non patrimoniale che, senza poter essere valutate atomisticamente, debbono pur sempre dar luogo ad una valutazione globale. Ne consegue che, in caso di mancata liquidazione del cosiddetto danno morale, occorre che il ricorrente, in sede di impugnazione della sentenza, non si limiti ad insistere sulla separata liquidazione di tale voce di danno, ma che articoli chiaramente la doglianza come erronea esclusione, dal totale ricavato in applicazione delle cosiddette tabelle di Milano , delle componenti di danno diverse da quella originariamente descritta come danno biologico , risultando, in difetto, inammissibile la censura atteso il carattere tendenzialmente onnicomprensivo delle previsioni delle predette tabelle Cass. n. 20111 del 2014 n. 25817 del 2017 . La censura non è stata articolata nei termini indicati, ma puramente e semplicemente nei termini di mancata autonoma determinazione del danno morale. 3. Con il terzo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 2059, 185, 1226 e 2056 c.c., art. 115 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva il ricorrente che il danno esistenziale deve essere risarcito autonomamente quale componente estranea al danno biologico. 3.1. Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1. In tema di danno non patrimoniale da lesione della salute, costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno esistenziale , atteso che con quest’ultimo si individuano pregiudizi di cui è già espressione il grado percentuale di invalidità permanente, quali i pregiudizi alle attività quotidiane, personali e relazionali, indefettibilmente dipendenti dalla perdita anatomica o funzionale fra le tante da ultimo Cass. n. 23469 del 2018 e n. 7513 del 2018 . 4. Con il quarto motivo si denuncia omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione all’art. 116 c.p.c., artt. 2059, 1226, 123 e 2056 c.c Osserva il ricorrente, in relazione alla incapacità lavorativa, che nella CTU T. si era affermato che l’eventuale danno alla capacità lavorativa specifica, dovuto essenzialmente alla sindrome depressiva, dovrà essere oggetto di prova da parte dell’attore e che con le testimonianze e la documentazione relativa alle dichiarazioni dei redditi era stata provata la relazione eziologica fra i disagi psico-fisici e la specifica attività lavorativa. 4. 1. Il motivo è inammissibile. La censura attiene alla valutazione della prova che, in quanto giudizio di fatto, è sottratta al sindacato di legittimità. Il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio , nè in quello del precedente n. 4, disposizione che - per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, - dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante Cass. 10 giugno 2016, n. 11892, ribadita in motivazione da Cass., Sez. Un., n. 16598 del 2016, oltre che da numerose conformi . Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 e viene rigettato, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1 - quater al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore di ASUR Marche Area Vasta n. 1, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.