Strada pedonale rifatta a norma: il Comune avrebbe potuto fare di più ma ciò non basta ad addebitargli la caduta di una passante

Respinta la richiesta di risarcimento avanzata da una donna. A suo dire il capitombolo è stato provocato dalla eccessiva pendenza e dai materiali. Questa visione è però smentita dalla relazione del consulente tecnico che cancella ogni ipotesi di colpa dell’ente locale.

Brutta scivolata per una donna, che durante una passeggiata nel centro storico del paese viene tradita dalla pavimentazione in discesa e finisce rovinosamente a terra. Sotto accusa, a suo dire, il Comune per non avere realizzato una strada pedonale a norma, caratterizzata, difatti, da una forte pendenza e da materiali scivolosi, soprattutto d’inverno. A smentirla è però la relazione del consulente, che attesta che l’ente locale avrebbe potuto far meglio ma ha comunque sistemato quella strada rispettando i parametri fissati dalla legge. Consequenziale il no” alla sua richiesta di risarcimento, no” divenuto ora definitivo Cassazione, ordinanza n. 29302/19, sez. VI Civile - 3, depositata oggi Pendenza. Scenario dell’episodio, verificatosi a metà dicembre del 2008, è il centro storico di un piccolo paese in Abruzzo. Lì una donna sta camminando tranquillamente quando finisce a terra mentre percorre un marciapiede rifatto da poco dal Comune. Ripresasi fisicamente, la donna pone sotto accusa l’ente locale, addebitandogli la responsabilità per la propria caduta. A suo dire, difatti, il tratto di strada che l’ha vista finire a terra è stato realizzato in violazione delle norme di sicurezza e di settore , anche perché l’elevata pendenza l’aveva resa una sorta di barriera architettonica e quindi l’amministrazione comunale avrebbe dovuto prevedere la realizzazione di scale, e non una pavimentazione in porfido e in travertino che risulta particolarmente scivolosa nei mesi invernali . Questa visione viene però respinta dai Giudici di merito che prima in Tribunale e poi in Appello osservano che nessun addebito è possibile a carico dell’ente locale, poiché innanzitutto non sussisteva una normativa specifica per la realizzazione delle strade pedonali dei centri storico e poi in questo caso la strada risultava comunque realizzata ad arte, con una pendenza consentita e con pavimentazione in porfido antisdrucciolevole . A norma. A cancellare definitivamente ogni pretesa della donna nei confronti del Comune provvedono ora i giudici della Cassazione, confermando in toto la visione tracciata in appello e poggiata anche sulla relazione depositata dal consulente tecnico. Pomo della discordia anche in terzo grado sono proprio i contenuti della relazione. In particolare, è vero che il consulente ha osservato che sarebbe stato possibile fare di più nella realizzazione della strada pedonale incriminata, ma comunque ciò che è stato fatto dall’ente comunale rispetta i paletti fissati dalla legge. Irrilevante, quindi, il richiamo fatto dal legale della donna alla normativa in materia di barriere architettoniche, proprio perché è stato osservato che la pendenza di quel tratto di strada era assolutamente nei limiti consentiti. Tutto ciò permette di dedurre che il capitombolo è addebitabile esclusivamente alla condotta della donna, che quindi non può pretendere nulla dal Comune.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 3, ordinanza 23 maggio – 12 novembre 2019, n. 29302 Presidente Frasca – Relatore Positano Rilevato che con atto di citazione datato 4 maggio 2012, D.N.T. evocava in giudizio, davanti al Tribunale di Teramo, il Comune di Cermignano per sentirlo condannare al risarcimento dei danni subiti, ai sensi dell’art. 2043 o 2051 c.c., a seguito della caduta verificatasi l’11 dicembre 2008 mentre l’attrice percorreva a piedi una strada del centro storico del Comune, realizzata in violazione delle norme di sicurezza e di settore. In particolare, nel punto in cui si era verificato l’incidente, la pendenza della strada era del 28/0 che, in base al D.P.R. n. 503 del 1996, costituirebbe barriera architettonica per il cui superamento l’amministrazione comunale avrebbe dovuto prevedere la realizzazione di scale e non la pavimentazione in porfido e in travertino che, nei mesi invernali, risultava particolarmente scivolosa. Sotto tale profilo la strada pedonale costituiva una situazione di pericolo immanente. Si costituiva l’amministrazione comunale rilevando che la strada era stata realizzata nel rispetto della normativa vigente. La causa era istruita con consulenza tecnica per accertare se la strada era stata realizzata secondo i parametri normativi vigenti con sentenza del 23 maggio 2016, il Tribunale di Teramo rigettava la domanda rilevando che non sussisteva una normativa specifica per la realizzazione delle strade pedonali dei centri storici e che la stessa risultava comunque costruita a regola d’arte, con pavimentazione in porfido anti-sdrucciolevole, con una pendenza media del 19,2%, posta all’interno di quella massima del 20% consentita per le strade pedonali avverso tale decisione proponeva appello la danneggiata con atto notificato il 22 luglio 2016 lamentando la errata applicazione della normativa in materia di costruzione della strada pedonale, il mancato rispetto delle regole della migliore arte prevista per la realizzazione di tale manufatto, l’inutilizzabilità della consulenza tecnica, la violazione degli artt. 2051, 2043 e 2697 c.c. e la erroneità della condanna al pagamento delle spese processuali. Si costituiva l’amministrazione comunale chiedendo il rigetto dell’impugnazione e la Corte d’Appello, con sentenza del 24 maggio 2017, emessa ai sensi dell’art. 281-sexies c.p.c., rigettava l’appello condannando l’appellante al rimborso delle spese processuali avverso tale decisione propone ricorso per cassazione D.N.T. affidandosi a sei motivi che illustra con memoria. Resiste con controricorso l’amministrazione comunale di Cermignano. Considerato che con il primo motivo si lamenta la violazione del D.P.R. 24 luglio 1996, n. 503 e del decreto ministeriale dei lavori pubblici n. 236 del 14 giugno 1989, oltre all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Secondo la ricorrente sarebbe errata l’argomentazione della Corte territoriale secondo cui non vi sarebbe una normativa di riferimento in tema di pendenza e modalità costruttive delle strade, sebbene fondata sulla consulenza tecnica. Al contrario, il D.P.R. n. 503 del 1996 si applicherebbe proprio alle nuove costruzioni, come quella in esame con il secondo motivo si deduce l’omesso esame di un fatto decisivo e la contraddittorietà della motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5. In particolare, l’amministrazione comunale non aveva fatto tutto quello che avrebbe dovuto per rendere più sicura la strada pedonale che presentava una pendenza del 28% e questo sarebbe in contrasto con l’affermazione secondo cui non vi sarebbero disposizioni normative specifiche, con la previsione di un obbligo a carico dell’amministrazione con il terzo motivo si lamenta la nullità della motivazione in quanto apparente o contraddittoria, perché fondata sulle conclusioni del consulente, certamente errate, contraddittorie e, comunque, inutilizzabili, e ciò ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Il consulente non avrebbe risposto al quesito sottoposto dal giudice, dichiarando che la strada era stata realizzata a regola d’arte, ma ammettendo, in sede di chiarimenti, che si sarebbe potuto fare di più , ma ciò non era imposto da alcuna norma, con ciò evidenziando conclusioni contraddittorie con il quarto motivo si deduce la violazione di artt. 2051, 2043 e 2697 c.c. e l’omessa considerazione di un fatto storico, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. In particolare, l’ente pubblico non avrebbe dimostrato che l’infortunio si era verificato per caso fortuito o fatto imputabile alla ricorrente, per cui -applicando correttamente l’art. 2051 c.c. - avrebbe dovuto essere affermata la responsabilità dell’ente quale proprietario o custode della strada con il quinto motivo si lamenta la violazione dell’art. 91 c.p.c., ai sensi art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Poiché la domanda era stata rigettata in quanto, sulla base del parere del consulente, non vi era alcuna previsione normativa che obbligasse l’amministrazione comunale a realizzare quel tanto di più , ricorrevano i giusti motivi per compensare le spese legali con l’ultimo motivo si deduce la violazione delle norme in tema di patrocinio a spese dello Stato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in quanto non sussisterebbero i presupposti per la revoca del provvedimento di ammissione, in quanto il gravame non era manifestamente infondato i primi tre motivi, strettamente connessi, presentano profili di inammissibilità perché dedotti in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, perché evocano il contenuto della consulenza tecnica d’ufficio senza trascrivere o allegare tale documento, se non per brevi stralci, inidonei a consentire a questa Corte una valutazione sulla motivazione del giudice di appello, nei termini dedotti con il ricorso oltre a ciò, il primo motivo esula dal perimetro dell’art. 360 c.p.c., n. 5, perché la valutazione della realizzazione del pavimento della via XXXXXXX è stata fatta dalla Corte territoriale sulla base di un giudizio di fatto, fondato sulle risultanze processuali, mentre il tema riguarderebbe, al più, la qualificazione di tale opera come ristrutturazione come sostenuto dalla ricorrente o restauro conservativo o manutenzione straordinaria, come ritenuto in sentenza, sulla base della CTU. Rispetto a tale valutazione la doglianza è meramente assertiva e involge valutazioni che riguardano il merito, non demandabili alla Corte di legittimità. Nella memoria parte ricorrente rileva che la violazione di legge riguarderebbe la circostanza secondo cui il rifacimento della pavimentazione di via XXXXXXX costituirebbe realizzazione ex novo dell’opera con conseguente obbligo di osservare la normativa in materia di barriere architettoniche. Ma tale profilo non aggiunge elementi di novità rispetto a quanto già osservato il secondo motivo è inammissibile per genericità, poiché ancorato ad una valutazione ipotetica del c.t.u. Sotto altro profilo non individua quale sarebbe stato il fatto storico che la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare e, comunque, coinvolge un accertamento in ordine alla percentuale della pendenza, media o del luogo dell’incidente, che riguarda apprezzamenti in fatto non sindacabili in sede di legittimità il terzo motivo intende desumere la nullità della sentenza dalla pretesa contraddittorietà della consulenza che, al contrario appare coerente nell’evidenziare quello che, secondo la legge, è stato fatto e quello che sarebbe stato possibile fare, sebbene non obbligatorio, demandando poi al giudice ogni discrezionale valutazione a ciò va aggiunto che la normativa invocata rileva solo come disciplina tecnica che, eventualmente, sarebbe stata pertinente, nel caso di specie e che il consulente di ufficio ha escluso lo fosse. Non si tratta, pertanto, di norme di diritto di cui si è fatta applicazione all’oggetto del processo il quarto motivo è infondato perché non coglie l’implicita individuazione nel fatto dell’infortunata quale causa unica dell’evento rilevante ai sensi dell’art. 2051 c.c., in termini di caso fortuito. In ogni caso, la censura è strutturata come richiesta di valutazione del materiale probatorio sottoponendo alla Corte di legittimità una ricostruzione più favorevole rispetto a quella adottata dai giudici di merito la mancata compensazione delle spese legali, oggetto del quinto motivo, non è sindacabile in cassazione C. Cass. Sez. Un., n. 14988 del 2005 , e comunque la norma invocata non prevede più la compensazione per giusti motivi la censura sulla revoca oggetto del sesto motivo va proposta con l’opposizione ai sensi dell’art. 170 del testo unico sulle spese Cass. n. 29228 del 6 dicembre 2018 la memoria non apporta elementi di novità rispetto a quanto osservato. ne consegue che il ricorso deve essere rigettato le spese del presente giudizio di cassazione possono essere compensate in ragione della peculiarità della vicenda. Infine, va dato atto - mancando ogni discrezionalità al riguardo tra le prime Cass. 14/03/2014, n. 5955 tra molte altre Cass. Sez. U. 27/11/20156 n. 24245 - della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione e per il caso di reiezione integrale, in rito o nel merito. P.Q.M. Rigetta il ricorso e dichiara integralmente compensate le spese di lite. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.