Limiti dell’ordinanza anticipatoria di condanna richiesta dal danneggiato

In caso di giudizio con pluralità di cause o di parti, qualora l’istanza di emissione di provvedimento anticipatorio di condanna ex art. 186-quater c.p.c. non coincida con l’intero oggetto del giudizio, il giudice è tenuto a pronunciare, al fine di non incorrere nel vizio di ultrapetizione, nei limiti dell’oggetto dell’istanza stessa.

Così la Suprema Corte con la sentenza n. 27984/19, depositata il 31 ottobre, decidendo sul ricorso proposto da una casa di cura e da un medico condannati dalla Corte d’Appello di Catania al risarcimento del danno subito da una donna durante il parto. La Corte territoriale rigettava contestualmente la domanda di condanna proposta dalla danneggiata nei confronti delle compagnie assicurative dei convenuti, confermando la decisione di prime cure che non aveva pronunciato sulle domande di manleva in assenza di specifica richiesta di parte circa l’ordinanza anticipatoria di condanna. Le compagnie assicurative hanno resistito con distinti controricorsi. Provvedimento anticipatorio di condanna. Ripercorrendo lo sviluppo dell’intricata vicenda processuale, il Collegio giunge ad affermare che, in caso di giudizio con pluralità di cause o di parti, qualora l’istanza di emissione di provvedimento anticipatorio di condanna ex art. 186- quater c.p.c. non coincida con l’intero oggetto del giudizio, o perché formulata da uno solo degli attori o contro uno soltanto dei convenuti, ovvero perché concernente uno solo dei distinti rapporti giuridici in cui le domande hanno titolo, il giudice è tenuto a pronunciare, onde non incorrere nel vizio di ultrapetizione, nei limiti dell’ oggetto della istanza” in quanto è tale l’ambito oggettivo della efficacia di giudicato che i commi 3 e 4 dell’art. 186 -quater c.p.c. riconoscono al provvedimento di condanna, in caso di estinzione del giudizio, o in caso di dichiarazione della parte intimata di rinuncia alla pronuncia della sentenza e – dopo la riforma del comma 4 disposta dall’art. 2, comma 1, lett. m , della l. n. 263/2005 - in caso di omessa manifestazione della volontà della parte intimata di vedere decisa la controversia con sentenza . In caso di cause connesse concernenti domande di condanna come per la causa di risarcimento danni per responsabilità civile del convenuto e la causa avente ad oggetto l’adempimento delle obbligazioni derivanti da rapporto di garanzia impropria tra convenuto-garantito e terzo-garante chiamato in causa , il cumulo oggettivo determinato dall’introduzione nell’originario processo della distinta causa di garanzia non determina il nascere di un litisconsorzio necessario tra le parti dei diversi rapporti, né impone un vincolo di trattazione unitaria delle cause. Il giudice mantiene infatti la facoltà di disporre, espressamente o implicitamente, nel corso del giudizio di primo grado, la separazione delle cause laddove ne ricorrano i presupposti indicati dall’art. 103, comma 2, c.p.c Conseguentemente, sia nel caso in cui l’istanza ex art. 186- quater c.p.c. abbia ad oggetto la sola domanda relativa al rapporto principale che nel caso in cui coinvolga anche la domanda di condanna formulata nella causa di garanzia, il provvedimento anticipatorio del giudice in accoglimento dell’istanza relativa alla domanda principale acquisterà efficacia di sentenza impugnabile limitatamente all’oggetto della sola istanza accolta. Si viene così a realizzare, seppur in assenza di un provvedimento formale, la separazione delle cause originariamente connesse, dovendo proseguire il processo in primo grado per la definizione della causa di garanzia. Precisa inoltre la sentenza che spetta esclusivamente alle parti intimate la scelta di attribuire carattere decisorio e definitivo alla ordinanza di condanna, al fine di impugnare direttamente il provvedimento avente efficacia di sentenza, accettando in conseguenza la separazione delle cause, ovvero, al contrario, la scelta di mantenere la unitarietà della trattazione e decisione delle domande cumulate nel processo . La norma processuale richiama rimette infatti a ciascuna delle parti la facoltà di chiedere una definizione anticipata e parziale dell’oggetto del giudizio, ma tale richiesta non ha alcuna vis attractiva in ordine alla decisione anticipata anche sulle altre domande connesse, neppure se formulata all’udienza fissata per la precisazione delle conclusioni. In conclusione, la Corte ritiene corretta la pronuncia impugnata che ha rigettato l’appello principale proposto dalla casa di cura e dal medico avverso l’ordinanza ex art. 186- quater c.p.c. rilevando che i convenuti-garantiti avrebbero dovuto proseguire il giudizio di primo grado onde pervenire alla decisione – con sentenza – sulla distinta causa inerente il rapporto di garanzia, implicitamente separata dalla domanda attorea principale. Il ricorso viene quindi rigettato.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 3 dicembre 2018 – 31 ottobre 2019, n. 27984 Presidente Armano – Relatore Olivieri