Illegittima imposizione di servitù: no alla compensatio lucri cum damno se l’incremento patrimoniale deriva da fatti estranei alla condotta illecita

Il principio della compensazione tra lucro e danno opera solo quando il vantaggio economico è arrecato direttamente dal ‘medesimo fatto concreto’ che ha prodotto il danno e non quando lo stesso deriva da circostanze del tutto estranee alla condotta del danneggiante.

Così l’ordinanza della Corte di Cassazione n. 21584/19, depositata il 22 agosto. La vicenda. L'intera vicenda giudiziaria iniziava quando un uomo conveniva davanti al Tribunale competente alcune controparti deducendo che sul proprio fondo insisteva una condotta fognaria abusiva a servizio dell'immobile di proprietà dei convenuti e domandando di accertare la inesistenza della relativa servitù, di rimuovere il manufatto e di essere risarcito dei danni. Di tutta risposta ed in via riconvenzionale, i convenuti domandavano la costituzione coattiva della servitù. Ma con la successiva sentenza il Tribunale condannava i convenuti alla rimozione della condotta fognaria ed al risarcimento dei danni liquidati in € 20.000,00. Il provvedimento veniva, però, impugnato e la Corte di Appello confermava il rigetto della domanda degli appellanti di costituzione di servitù coattive inerente alle condutture di scarico fognario mentre accoglieva, per contro, l'appello sul punto della condanna risarcitoria disposto dal primo giudice. In particolare, la Corte territoriale considerava che la permanente perdita di valore del fondo, considerata dal CTU per la inutilizzabilità dello stesso a fine edificatori, e posta a base del risarcimento accordato dal Tribunale, era comunque venuta meno in conseguenza dell'ordinata rimozione della conduttura fognaria. Inoltre, la sentenza evidenziava come lo stesso danneggiato avesse ammesso nella memoria di replica del giudizio di appello che la destinazione urbanistica del proprio fondo era di recente mutata da zona residenziale estensiva a case semplici e doppie, con conseguente incremento del valore di mercato dell'immobile, all'attualità utilizzabile per fini edificatori con maggior profitto rispetto al periodo di occupazione con la conduttura fognaria. Anche tale provvedimento veniva impugnato ma questa volta dal danneggiato il quale assumeva che, una volta accolta l'azione negatoria proposta nonché accertata l'inesistenza della servitù illegittimamente esercitata dalle controparti, non poteva non discendere la condanna in re ipsa del risarcimento dei danni atteso il concreto pregiudizio patrimoniale subìto medio tempore dal proprietario del fondo gravato. Al più, secondo la tesi del danneggiato, la Corte di Appello avrebbe potuto procedere ad una liquidazione equitativa dei danni, essendo certo l'an debeatur . Inoltre, il danneggiato censurava la omessa od insufficiente motivazione del provvedimento impugnato circa punti decisivi della controversia, evidenziando come la propria domanda proposta in primo grado avesse ben dedotto la mancata piena utilizzazione del fondo dal 1995 al 2014 -dovuta la presenza della condotta fognaria abusiva e precisando che anche dalla documentazione del fascicolo di parte del primo grado era evidente la avvenuta perdita di occasioni di vendita del terreno, con particolare riferimento ad una trattativa instaurata con un'impresa che però naufragava proprio a causa della presenza della condotta fognaria. Le argomentazioni della Suprema Corte. Gli Ermellini per affrontare il problema preliminarmente effettuano un confronto con i propri precedenti giurisprudenziali. Innanzitutto, la Corte riconosce di aver più volte sostenuto che il proprietario ha pieno diritto di usare e godere della cosa propria secondo la naturale destinazione della stessa, per cui qualsiasi intervento del vicino diretta a limitare tale uso e godimento costituisce turbativa del diritto di proprietà sul bene e legittima il proprietario a chiedere non solo la tutela in forma specifica, mediante cessazione di tale turbativa ed il ripristino della situazione antecedente al verificarsi dell'illecito, ma anche il risarcimento dei danni, arrivando spesso alla conclusione che il danno in quest'ipotesi è in re ipsa , in quanto automatica conseguenza della limitazione del godimento della diminuzione temporanea del valore della proprietà, senza neppure che vi sia necessità di una specifica attività probatoria, salva concreta determinazione del danno stesso in sede di liquidazione, cui eventualmente procedere anche in via equitativa. In tal senso, l'azione risarcitoria si dice volta a porre rimedio alla imposizione di una servitù di fatto, causa di una inevitabile perdita di valore del fondo che si produce per l'intero periodo di tempo anteriore alla eliminazione dell'abuso. Tuttavia, la Suprema Corte richiama anche altre pronunce che, parallelamente all'analogo percorso seguito per i danni non patrimoniali, negano la astratta risarcibilità in re ipsa dei danni subiti dal proprietario per la perdita o la diminuzione della disponibilità del bene, affermando la necessaria correlazione della medesima risarcibilità a rapporto causale intercorrente tra la condotta materiale, l'evento lesivo e la conseguenza dannosa, sicché identiche risulterebbero le esigenze di prova sia per l’an che per il quantum del danno non patrimoniale e patrimoniale. In realtà, anche allorché si confuta in giurisprudenza la configurabilità di un danno in re ipsa subìto dal proprietario per la indisponibilità della cosa, comunque si riconosce all'interessato la facoltà di darne prova mediante ricorso a presunzioni semplici o al fatto notorio, onerando lo stesso di indicare tutti gli elementi e le modalità e le circostanze della situazione da cui possa desumersi l'esistenza e l'entità del concreto pregiudizio patrimoniale subìto. Il danno patrimoniale correlato alla limitazione del godimento e dalla diminuzione temporanea del valore della proprietà imporrebbe, così -per scongiurare la meccanica identificazione del danno risarcibile con l'evento dannoso quantomeno la allegazione dei fatti che devono essere accertati, ossia l'intenzione concreta del proprietario di impiegare l'immobile per finalità produttive nel periodo della sua illegittima occupazione, atteso che il consentito utilizzo in materia delle presunzioni attiene all'attività probatoria e non anche a quella assertiva. È al riguardo perciò difficile superare l'obiezione diffusa in dottrina, secondo cui non vale, in concreto, a garantire la risarcibilità del danno-conseguenza da occupazione di immobile la sola imposizione di un onere di allegazione che consente al giudice di far uso delle presunzioni semplici, divenendo comunque così in re ipsa la prova del pregiudizio. La Corte osserva che in ogni caso non vi è questione, nel caso in esame, che il danneggiato avesse allegato di aver tentato una utilizzazione a fini edificatori del proprio fondo nel corso del periodo della abusiva imposizione della servitù di scarico fognario ma che la Corte di Appello era pervenuta alla conclusione di escludere il risarcimento dei danni considerando che, nel corso degli anni, il Comune aveva mutato la destinazione urbanistica del terreno con conseguente incremento del valore di mercato dell'immobile. Tuttavia, in questo modo la sentenza impugnata aveva operato -secondo la Cassazione una arbitraria compensazione tra il danno, eventualmente prodotto dalla abusiva in posizione della servitù per l'intero periodo di tempo anteriore alla eliminazione dell'abuso, ed il vantaggio, che il proprietario del fondo gravato aveva ricavato dal mutamento della destinazione urbanistica del terreno. Al riguardo, pertanto, la Suprema Corte intende riaffermare che in tema di risarcimento del danno per fatto illecito, il principio della compensazione tra lucro e danno opera solo quando il vantaggio economico sia arrecato direttamente dal medesimo fatto concreto che ha prodotto il danno, cioè quando l’incremento patrimoniale che il danneggiato ottiene sia una conseguenza immediata e diretta del comportamento illecito che cagiona il danno, ma non anche quando il vantaggio derivi da circostanze del tutto estranee alla condotta del danneggiante. Il dictum della Suprema Corte di Cassazione. In conclusione, la Suprema Corte enuncia il principio di diritto secondo cui in ipotesi di illegittima imposizione di una servitù, al proprietario del fondo gravato può riconoscersi il risarcimento del danno-conseguenza che egli subisce per l'intero periodo di tempo anteriore all’eliminazione dell'abuso e che consiste nella limitazione del godimento e nella diminuzione temporanea del valore della proprietà del bene, senza che rilevi, al fine di compensare il danno, il vantaggio economico correlato al mutamento della destinazione urbanistica del terreno intervenuto medio tempore, trattandosi di incremento patrimoniale che non deriva dal comportamento illecito causa del danno ma da circostanze ad esso del tutto estraneo.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 21 maggio – 22 agosto 2019, n. 21584 Presidente Correnti – Relatore Scarpa Fatti di causa e ragione della decisione C.E. propone ricorso articolato in due motivi contro la sentenza n. 411/2014 della Corte d’Appello di Ancona, depositata il 29 maggio 2014. Resistono con controricorso Ca.Lu. , Ch.Gu. , Ce.An.Ri. e Ce.Do. . Con citazione del 21-24 luglio 2000 C.E. convenne davanti al Tribunale di Fermo Ca.Lu. , Ch.Gu. , Ce.An.Ri. e Ce.Do. , deducendo che sul proprio fondo in omissis insisteva una condotta fognaria abusiva a servizio dell’immobile di proprietà dei convenuti e domandando di accertare l’inesistenza della relativa servitù, di rimuovere il manufatto e di risarcirgli i danni. Ca.Lu. , Ch.Gu. , Ce.An.Ri. e Ce.Do. domandarono in riconvenzionale la costituzione coattiva della servitù. Con sentenza dell’11 gennaio 2006 il Tribunale di Fermo condannò i convenuti alla rimozione della condotta fognaria ed al risarcimento dei danni, liquidati in Euro 20.000,00. Proposero gravame Ca.Lu. , Ch.Gu. , Ce.An.Ri. e Ce.Do. e la Corte d’Appello di Ancona confermò il rigetto della loro domanda di costituzione di servitù coattiva inerente alle condutture di scarico fognario, ma accolse, per contro, l’appello sul punto della condanna risarcitoria disposta dal primo giudice. La Corte di Ancona considerò che la permanente perdita di valore del fondo C. , considerata dal CTU per l’inutilizzabilità dello stesso a fini edificatori e posta a base del risarcimento accordato dal Tribunale, sarebbe comunque venuta meno in conseguenza dell’ordinata rimozione della conduttura fognaria. La sentenza impugnata evidenziò inoltre come lo stesso C. avesse ammesso nella memoria di replica del giudizio di appello che la destinazione urbanistica del suo fondo era di recente mutata da zona PEEP a zona C1 residenziale estensiva a case semplici e doppie , con conseguente incremento del valore di mercato dell’immobile, all’attualità utilizzabile per fini edificatori con maggior profitto rispetto al periodo di occupazione con la conduttura fognaria. I. Il primo motivo di ricorso di C.E. denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 949 c.c., assumendo che, una volta accolta l’azione negatoria proposta e accertata l’inesistenza della servitù illegittimamente esercitata da Ca.Lu. , Ch.Gu. , Ce.An.Ri. e Ce.Do. , non poteva non discendere la condanna in re ipsa al risarcimento dei danni, atteso il concreto pregiudizio patrimoniale subito medio tempore dal proprietario del fondo gravato. Al più, la Corte d’Appello avrebbe potuto procedere ad una liquidazione equitativa dei danni, essendo certo l’an debeatur. Il secondo motivo di ricorso censura l’omessa e insufficiente motivazione circa punti decisivi della controversia, evidenziando come la sua domanda proposta in primo grado avesse ben dedotto la mancata piena utilizzazione del suo fondo dal 1995 al 2014 dovuta alla presenza della condotta fognaria abusiva. Viene fatto rinvio al doc. n. 7 del fascicolo di parte del primo grado per prospettare la perdita di occasioni di vendita del terreno , in relazione alla trattativa instaurata con l’impresa Arc Engineering, trattativa naufragata proprio a causa della presenza della condotta fognaria. Aggiunge poi il ricorrente come in sede di comparsa conclusionale in appello, del 2 ottobre 2013, egli avesse documentato la presentazione di un progetto di edificazione, che era irrealizzabile fino al momento della rimozione della conduttura. Così ancora il ricorrente rappresenta che egli avesse rappresentato le turbative, le molestie ed i disagi subiti nella memoria di costituzione nel procedimento di sospensione della provvisoria esecuzione della sentenza di primo grado. II. Sono da superare le eccezioni pregiudiziali dei controricorrenti 1 la procura per il ricorso per cassazione è validamente conferita, soddisfacendo il requisito di specialità di cui all’art. 365 c.p.c., anche se apposta su di un foglio separato, purché materialmente unito al ricorso e benché non contenente alcun riferimento alla sentenza impugnata o al giudizio da promuovere, in quanto, ai sensi dell’art. 83 c.p.c., si può ritenere che l’apposizione topografica della procura sia idonea salvo diverso tenore del suo testo - a fornire certezza della provenienza dalla parte del potere di rappresentanza e a far presumere la riferibilità della procura medesima al giudizio cui l’atto accede nè la mancanza di data produce nullità della predetta procura, dovendo essere apprezzata con riguardo al foglio che la contiene alla stregua di qualsiasi procura apposta in calce al ricorso, per cui la posteriorità del rilascio della procura rispetto alla sentenza impugnata si desume dall’intima connessione con il ricorso cui accede e nel quale la sentenza è menzionata, mentre l’anteriorità rispetto alla notifica risulta dal contenuto della copia notificata del ricorso Cass. Sez. 1, 19/12/2008, n. 29785 2 resposizione sommaria dei fatti di causa, prevista all’art. 366 c.p.c., n. 3, suppone la narrazione dei fatti sostanziali oggetto della controversia e di quelli processuali relativi al giudizio di primo e di secondo grado, che nella specie il ricorso contiene, consentendo la comprensione delle censure proposte in sede di legittimità 3 l’osservanza del disposto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, non può che riferirsi ai soli motivi di ricorso che concernono la valutazione da parte del giudice di merito di atti processuali o di documenti. Nella specie, il secondo motivo di ricorso indica i fatti storici, il cui esame sarebbe stato omesso, i dati , testuali o extratestuali, da cui essi risulterebbero esistente, il come e il quando tali fatto siano stato oggetto di discussione processuale tra le parti, e la loro decisività ai fini della pronuncia risarcitoria. III. La Corte d’Appello di Ancona, in sostanza, ha negato la risarcibilità del danno che C.E. avrebbe subito per l’intero periodo della abusiva imposizione della servitù di scarico fognario, sulla base della sola considerazione che attualmente, per l’avvenuto mutamento della destinazione urbanistica del terreno gravato nella specie, da edilizia economica e popolare a residenziale , sarebbe consentita al proprietario un più redditizia utilizzazione dell’immobile. Ora, questa Corte ha più volte sostenuto, sin da remoti precedenti, che il proprietario ha pieno diritto di usare e godere della cosa propria secondo la naturale destinazione della stessa, per cui qualsiasi intervento del vicino diretto a limitare tale uso e godimento costituisce turbativa del diritto di proprietà sul bene e legittima il proprietario a chiedere non solo la tutela in forma specifica, mediante cessazione di tale turbativa e ripristino della situazione antecedente al verificarsi dell’illecito, ma anche il risarcimento dei danni arrivando spesso alla conclusione che il danno, in tale ipotesi, è in re ipsa, in quanto automatica conseguenza della limitazione del godimento e della diminuzione temporanea del valore della proprietà, senza neppure che vi sia necessità di una specifica attività probatoria, salva concreta determinazione del danno stesso in sede di liquidazione, cui eventualmente procedere anche in via equitativa. In tal senso, l’azione risarcitoria si dice volta a porre rimedio all’imposizione di una servitù di fatto, causa di un inevitabile perdita di valore del fondo che si produce per l’intero periodo di tempo anteriore all’eliminazione dell’abuso cfr. indicativamente, di recente Cass. Sez. 2, 31/08/2018, n. 21501 Cass. Cass. Sez. 2, 16/12/2010, n. 25475 ed invece, in epoca ben più risalente, Cass. Sez. 2, 03/10/1974, n. 2576 Cass. Sez. 2, 23/02/1965, n. 299 Cass. Sez. 2, 21/07/1962, n. 2007 . Vanno altresì richiamate altre pronunce di questa Corte che, parallelamente all’analogo percorso seguito per i danni non patrimoniali, negano l’astratta risarcibilità in re ipsa dei danni subiti dal proprietario per la perdita o la diminuzione della disponibilità del bene, affermando la necessaria correlazione della medesima risarcibilità al rapporto causale intercorrente tra condotta materiale , evento lesivo e conseguenza dannosa , sicché identiche risulterebbero le esigenze di prova sia per l’an che per il quantum - del danno non patrimoniale o patrimoniale cfr. ad esempio, Cass. Sez. 3, 25/05/2018, n. 13071 Cass. Sez. 3, 04/12/2018, n. 31233 . In realtà, anche allorché si confuta in giurisprudenza la configurabilità di un danno in re ipsa subito dal proprietario per l’indisponibilità della cosa, si riconosce comunque all’interessato la facoltà di darne prova mediante ricorso a presunzioni semplici o al fatto notorio, onerando lo stesso di indicare tutti gli elementi, le modalità e le circostanze della situazione, da cui, in presenza dei requisiti richiesti dagli artt. 2727 e 2729 c.c., possa desumersi l’esistenza e l’entità del concreto pregiudizio patrimoniale subito. Il danno patrimoniale correlato alla limitazione del godimento ed alla diminuzione temporanea del valore della proprietà imporrebbe, così, per scongiurare la meccanica identificazione del danno risarcibile con l’evento dannoso, quanto meno l’allegazione dei fatti che devono essere accertati, ossia l’intenzione concreta del proprietario di impiegare l’immobile per finalità produttive nel periodo della sua illegittima occupazione, atteso che il consentito utilizzo in materia delle presunzioni attiene all’attività probatoria e non anche a quella assertiva. È al riguardo però difficile superare l’obiezione, diffusa in dottrina, secondo cui non vale, in concreto, a garantire la risarcibilità del danno-conseguenza da occupazione di immobile la sola imposizione di un onere di allegazione che consenta al giudice di far uso delle presunzioni semplici, divenendo comunque così in re ipsa la prova del pregiudizio. Non vi è in ogni caso questione, nel caso in esame, che C.E. avesse allegato di aver tentato una utilizzazione a fine edificatori del proprio fondo nel corso del periodo della abusiva imposizione della servitù di scarico fognario. Piuttosto, la Corte d’Appello di Ancona, come visto, è pervenuta alla conclusione di escludere il risarcimento dei danni correlati all’illegittimo esercizio della servitù, considerando che nel corso degli anni il Comune di OMISSIS aveva anche mutato la destinazione urbanistica del terreno di proprietà C. , ora classificato come zona omogenea C1 - Residenziale, e non più Zona per l’edilizia economica e popolare, con conseguente incremento del valore di mercato dell’immobile. In tal modo, la sentenza impugnata ha però operato un’arbitraria compensazione tra il danno eventualmente prodotto dall’abusiva imposizione della servitù per l’intero periodo di tempo anteriore all’eliminazione dell’abuso e il vantaggio che il proprietario del fondo gravato ha ricavato dal mutamento della destinazione urbanistica del terreno. Va al riguardo riaffermato che, in tema di risarcimento del danno per fatto illecito, il principio della compensatio lucri cum damno opera solo quando il vantaggio economico sia arrecato direttamente dal medesimo fatto concreto che ha prodotto il danno, ossia quando l’incremento patrimoniale che il danneggiato ottiene sia una conseguenza immediata e diretta del comportamento illecito che cagiona il danno, ma non anche quando il vantaggio, del cui valore economico si chieda l’imputazione in conto al valore economico del pregiudizio, derivi da circostanze del tutto estranee alla condotta del danneggiante Cass. Sez. 1, 09/03/2018, n. 5841 Cass. Sez. 2, 12/05/2003, n. 7269 Cass. Sez. 1, 27/06/1967, n. 1589 . Va in definitiva enunciato il seguente principio di diritto In ipotesi di illegittima imposizione di una servitù, al proprietario del fondo gravato può riconoscersi il risarcimento del danno conseguenza che egli subisce per l’intero periodo di tempo anteriore all’eliminazione dell’abuso e che consiste nella limitazione del godimento e nella diminuzione temporanea del valore della proprietà del bene, senza che rilevi, al fine di compensare il danno, il vantaggio economico correlato al mutamento della destinazione urbanistica del terreno intervenuto medio tempore, trattandosi di incremento patrimoniale che non deriva dal comportamento illecito causa del danno, ma da circostanze ad esso del tutto estranee . IV. Il ricorso va dunque accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio alla Corte d’Appello di Ancona in diversa composizione, che deciderà la causa uniformandosi all’enunciato principio. Il giudice di rinvio provvederà anche a regolare tra le parti le spese del presente giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’Appello di Ancona in diversa composizione.