Danno da cose in custodia: il dovere generale di ragionevole cautela e la colpa specifica del danneggiato

Quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l'adozione da parte dello stesso danneggiato di normali cautele, tanto più incidente sarà l'efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno.

Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 18415/19, depositata il 9 luglio. Il caso. Un’autovettura subiva dei danni a causa di un dissuasore automatico del traffico che, senza preavviso, si era azionato, sfondando il detto veicolo che si trovava momentaneamente in sosta su di esso. Il relativo proprietario avanzava domanda risarcitoria -intesa proposta ex art. 2051 c.c. e, in subordine, ex art. 2043 c.c. che, però, veniva rigettata dal tribunale competente. Il danneggiato, successivamente, proponeva appello, contro cui il Comune resisteva, e la Corte territoriale accoglieva con sentenza favorevole il gravame, dichiarando per i fatti accaduti al danneggiato il Comune responsabile ex art. 2051 c.c., per danno da cose in custodia, con condanna a risarcire i danni. Era il Comune, a questo punto, a ricorrere per la cassazione della detta pronuncia. I motivi di ricorso. Tra i vari motivi di censura risultavano rilevanti quelli riguardanti l’accertamento della responsabilità del Comune ai sensi dell'art. 2051 c.c., quale custode della strada dove si trovava il dissuasore, ma il centro delle doglianze consisteva nella ricorrenza o meno di caso fortuito identificabile nella condotta illegittima dello stesso danneggiato, caso fortuito che il giudice di appello aveva escluso. La Suprema Corte rileva che, in effetti, la Corte territoriale dopo aver osservato che la presenza del dissuasore era resa nota con segnali di pericolo e di divieto, tali che, arrivato in zona ed avvisato del pericolo, l'autista attento poteva e doveva, comunque, scorgere il dissuasore sia nella posizione innalzata sia la sua corona, laddove nel frangente si trovasse calato nel terreno. Inoltre, nella detta sentenza trovava posto anche il riferimento alla facilità nel riconoscimento, in strada, della corona del dissuasore , in quanto dotata di lampeggianti che si accendevano quando il distorsore si muoveva in alto od in basso e con un certo anticipo rispetto all'inizio delle dette manovre. Sul punto, la Corte territoriale aveva constatato che la condotta del danneggiato, quando avvenne il sinistro, non era stato rispettoso del Codice della Strada, perché egli con la vettura si era fermato sopra il dissuasore, in zona in cui erano vietati sia il transito di autovetture che la loro sosta. Tuttavia, da tale violazione la legge la Corte d’appello non aveva tratto alcuna incidenza su quel che ha presentato come profilo della imprevedibilità della condotta del danneggiato, aggiungendo anzi a qualificare la violazione di legge un elemento del tutto irrilevante in quanto -secondo il giudice di secondo grado il sostare in zona in cui vige relativo divieto, il fermarsi lungo la strada, anche laddove siano presegnalati pericoli, il transitare in zona ove ciò è vietato, sono comportamenti giornalmente assunti da una moltitudine di automobilisti poco disciplinati ed in quanto tali sono assai prevedibili. Anzi -continua la Corte d’appello – sono specificatamente previsti e sanzionati dal Codice della Strada, pertanto, il comportamento del danneggiato, seppur irrispettoso delle regole di corretta condotta, perché contrario al Codice della Strada, non essendo imprevedibile non è da intendersi idoneo a interrompere il nesso causale tra il diffusore, non correttamente funzionante, ed il danno, ed integrare quindi la prova liberatoria invocata dal Comune. In tal modo, La Corte territoriale desumeva dal fatto che le norme di legge possono essere violate, l’asserzione secondo cui la loro violazione non è imprevedibile, ragione per cui la condotta conseguentemente illecita del danneggiato non è idonea a costituire un caso fortuito, nel senso che non può incidere sulla responsabilità del custode. Il dovere generale di ragionevole cautela. La Suprema Corte evidenzia che non esiste un unicum di caso fortuito in relazione ai limiti di responsabilità del custode. Da un lato, infatti, sussiste il caso fortuito consistente in un fatto naturale o del terzo, ove si rinviene realmente la ‘imprevedibilità/inevitabilità’. E, dall'altro, sussiste il ben diverso caso fortuito rappresentato dalla condotta del potenziale danneggiato e questa seconda specie deve essere valutata tenendo anche conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso all'art. 2 della Costituzione. Con la conseguenza che, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l'adozione da parte dello stesso danneggiato delle cautele normalmente prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l'efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompe il nesso causale tra fatto ed evento dannoso, quando lo stesso comportamento, benché astrattamente prevedibile, sia da escludere come evenienza ragionevole ed accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale. Detto in altri termini, la imprevedibilità di questo tipo di condotta umana viene, in ultima analisi, a coincidere tendenzialmente con una condotta negligente o imprudente, cioè divergente da una condotta doverosamente cauta. Con la conseguenza che, anche se è vero che la responsabilità dell'art. 2051 c.c. non discende direttamente dall’inadempimento dell'obbligo di custodia ovvero da una illecita condotta del custode, bensì dalla trasformazione del rischio in un evento dannoso, è altrettanto vero che questo paradigma non si svincola da un contrappeso che ne confina il contenuto, ed il limite che il legislatore ha posto proprio nel caso fortuito è la condotta negligente del soggetto tutelato che, in quanto tale, infrange la serie causale preesistente -attinente al custode mediante la propria condotta. Solo con tale ragionamento si rispetta il principio secondo cui, quanto più la situazione di possibile pericolo può essere superata attraverso l'adozione di normali cautele da parte del danneggiato, tanto più incide la efficienza causale della imprudente condotta della vittima, fino ad interrompere il nesso causale tra la cosa ed il danno e ad escludere, dunque, la responsabilità del custode ex art. 2051 c.c. Il principio di diritto. Per la Suprema Corte è in questo l’errore della Corte territoriale, cioè, laddove la stessa ha privato di ogni incidenza la violazione della normativa stradale da parte dell'automobilista, per il semplice fatto che tale normativa può essere violata materialmente non giuridicamente , neutralizzando così l'obbligo di rispetto e le sue conseguenze con la ‘puramente fattuale possibilità di non adempierlo’. La assoluta irrilevanza che, in conclusione, il giudice dell’appello ha attribuito alla colpa specifica, che pure aveva riscontrato senza dubbio nella condotta del danneggiato, costituisce violazione dell'articolo 2051 c.c. nella ricostruzione della responsabilità del custode. La sentenza, pertanto, viene cassata con rinvio alla stessa Corte territoriale in diversa sezione, per l'applicazione del principio di diritto secondo cui nella fattispecie dell’articolo 2051 c.c. la condotta del danneggiato può costituire caso fortuito o concausa dell'evento dannoso se è colposamente incauta, non occorrendo che a livello fattuale sia imprevedibile.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 3, sentenza 14 marzo– 9 luglio 2019, n. 18415 Presidente Frasca – Relatore Graziosi Rilevato che Con sentenza 492/2015 il Tribunale di Bolzano rigettava domanda risarcitoria, in tesi proposta ex art. 2051 c.c. e in subordine ex art. 2043 c.c., di S.A. verso il Comune di Borgata Campo Tures per i danni subiti dalla sua automobile a causa di un dissuasore automatico del traffico che senza preavviso si era azionato, sfondando l’auto momentaneamente in sosta su di esso, ritenendo il Tribunale che tale sosta fosse stata una condotta imprudente dell’attore. S.A. proponeva appello, cui il Comune resisteva. La Corte d’appello di Trento, sezione distaccata di Bolzano, con sentenza del 18 febbraio 2017, accoglieva il gravame e dichiarava il Comune responsabile ex art. 2051 c.c., conseguentemente condannandolo a risarcire i danni. Il ricorso proposto dal Comune si articola in quattro motivi. Il primo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1226 e 2056 c.c. per avere il giudice d’appello utilizzato il criterio equitativo per sopperire alle carenze probatorie imputabili al danneggiato sulla verifica del danno risarcibile. S.A. avrebbe potuto provare senza difficoltà, e in particolare per farlo avrebbe dovuto chiedere un accertamento tecnico preventivo oppure coniugare una perizia con prove testimoniali. Il secondo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 2051 e 2697 c.c. per avere la corte territoriale ritenuto che la documentazione fotografica prodotta da S.A. , corredata dalle testimonianze e dal rapporto sull’incidente, sarebbe prova della dinamica del sinistro, nonché denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di fatto discusso e decisivo per avere la corte territoriale omesso di tenere conto della eccepita assenza di testi oculari. Il terzo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 2051 c.c. e art. 1227 c.c., comma 2, per avere la corte territoriale ritenuto che il comportamento di S.A. non fu idoneo a spezzare il nesso causale integrando caso fortuito, e per aver omesso di considerare che il danno avrebbe potuto essere evitato dall’automobilista con l’ordinaria diligenza. Il quarto motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1227 c.c. per avere la corte territoriale ritenuto che il malfunzionamento del dissuasore non fu prevedibile per S.A. e che quindi non si verificò un concorso di colpa. S.A. si è difeso con controricorso. Considerato che 1. Seguendo un evidente percorso logico-giuridico, da esaminare in primis sono il secondo, il terzo e il quarto motivo, attinenti all’an della responsabilità del Comune in rapporto anche al ruolo dello S. nella causazione dell’incidente, il primo motivo concernendo invece il danno che il Comune dovrebbe risarcire nel caso in cui sia responsabile dell’evento dannoso che ha investito l’automobilista. Vagliando allora congiuntamente le censure riguardanti l’accertamento della responsabilità del Comune - attualmente ricorrente - quale custode della strada ai sensi dell’art. 2051 c.c., il centro delle doglianze risiede nella ricorrenza o meno di un caso fortuito identificabile nella condotta dello stesso danneggiato, caso fortuito che il giudice d’appello ha escluso. La corte territoriale si vedano le pagine 8ss. della motivazione della sentenza impugnata , dopo avere osservato che la presenza del dissuasore era resa nota con segnali di pericolo e di divieto, tali che, arrivato in zona ed avvisato del pericolo, l’autista attento poteva/doveva comunque scorgere il dissuasore sia nella posizione innalzata sia la sic sua corona, laddove nel frangente si trovasse calato nel terreno - e ciò era facilitato dal fatto che la corona era dotata di lampeggianti che si accendevano quando il dissuasore si muoveva in alto o in basso, e con certo anticipo rispetto all’inizio delle dette manovre -, e osservato altresì che, essendosi arrestata sopra il dissuasore calato nel terreno , la vettura non poteva che avere oltrepassato, seppur di poco, la linea oltre la quale vigeva il divieto di transito e di sosta , ha richiamato la normativa concernente i dissuasori di sosta, rimarcando tra l’altro che essi devono essere dotati di rilevatori induttivi di veicoli in transito, per evitare pericoli nella fase di sollevamento , e quindi ha affermato Si può convenire con l’appellante che l’assenza o il malfunzionamento dei descritti rilevatori è provata dalla stessa dinamica del sinistro e ciò ha reso la cosa in custodia altamente pericolosa non solo per automobilisti sprovveduti che vi si fermino sopra o inizino l’attraversamento del tratto stradale in cui era affossata, ma anche per pedoni che pure a pieno diritto potevano transitare nella zona. Ovviamente, il pericolo non poteva essere previsto dal conducente S. , che - anche laddove si fosse accorto di sostare sul dissuasore del traffico, in quel momento calato nel sottosuolo - poteva comunque confidare nella presenza di un funzionante sistema automatico di rilevamento di ostacoli, impedenti la indisturbata emersione. Ed è a tale pericolosità insita nella cosa che deve essere raffrontato il comportamento tenuto nell’occasione dall’attore appellante, per valutare se esso sia o no talmente imprevedibile ed inimmaginabile, da valere quale interruzione del nesso causale tra cosa e danno e quindi prova liberatoria a favore del custode . Sul punto, la corte territoriale ha constatato che la condotta dello S. , quando avvenne il sinistro, non era stata rispettosa del Codice della strada, poiché egli con la vettura si era fermato sopra il dissuasore, in zona in cui erano vietati sia il transito di autovetture che la loro sosta . Da tale violazione di legge la corte però non ha tratto alcuna incidenza su quel che ha presentato come profilo della imprevedibilità della condotta dello S. , giungendo anzi a qualificare la violazione di legge un elemento del tutto irrilevante, in quanto il sostare in zona in cui vige relativo divieto, il fermarsi lungo la strada anche laddove siano presegnalati pericoli, il transitare in zona ove ciò è vietato, sono comportamenti giornalmente assunti da una moltitudine di automobilisti poco disciplinati, ed in quanto tali sono assai prevedibili ed anzi specificatamente previsti e sanzionati dal Codice della Strada pertanto il comportamento dell’attore/appellante, seppur irrispettoso delle regole di corretta condotta impartite dal Codice della Strada , non essendo imprevedibile non è da intendersi idoneo a interrompere il nesso causale tra il dissuasore, non correttamente funzionante, ed il danno, e integrare quindi la prova liberatoria invocata dal Comune . 2. La corte territoriale, in tal modo - e questo è il vero nucleo del suo ragionamento -, desume dal fatto che le norme di legge possano materialmente, non giuridicamente essere violate l’asserto che la loro violazione non è imprevedibile, onde la condotta conseguentemente illecita del danneggiato non è idonea a costituire un caso fortuito, nel senso che non può incidere sulla responsabilità del custode. In realtà l’imprevedibilità della condotta del danneggiato ai fini di integrare il caso fortuito di cui all’art. 2051 c.c. deve essere intesa non in termini atecnici e fattuali, bensì come una componente del concetto giuridico di caso fortuito, il quale a sua volta, anche in riferimento alla sua origine, deve essere interpretato e parametrato nell’ambito del complessivo paradigma di responsabilità proprio di questa fattispecie. Per una prima contestualizzazione, non si può non considerare che l’art. 2051 c.c. nella species di responsabilità civile tradizionalmente qualificata come oggettiva o comunque - nella dottrina più moderna - come trasferente il rischio per esigenze sociopolitiche di allocazione dei rischi propri di certi soggetti su altri soggetti determinati nel caso in esame, la ratio è l’allocazione del rischio non su chi patisce la pericolosità della cosa entrandovi in contatto, ma su chi ha la signoria della cosa, così controbilanciando tale suo godimento indipendentemente dalla colpa di chi ne viene quindi gravato, nonostante questa apparenza prima facie, la condotta del custode, logicamente id est ineludibilmente proprio per la sua qualifica custodiale e non meramente di dominio, non può essere irrilevante in misura assoluta quanto all’insorgenza della sua responsabilità vale a dire, una custodia corretta e compiutamente diligente non può non incidere sulla responsabilità di chi la effettua, nel senso di rendere l’origine dell’evento dannoso in certi casi imprevedibile, vale a dire nell’ottica dinamica - una serie causale del tutto estranea e sostitutiva di quella che discende dalla cosa custodita, così degradata soltanto ad occasione. 3. Il che si traduce nella conformazione processuale dell’accertamento si tratta di una responsabilità oggettiva relativa perché sussistente solo in assenza di caso fortuito quale causa liberatoria di tale evento e quindi dal punto di vista processuale il paradigma è riconducibile a una responsabilità presuntiva in quanto sorge dalla presunzione d’inesistenza di una serie causale estranea. Grava dunque sul convenuto il clou del thema probandum. Se, infatti, l’attore deve allegare e dimostrare che il convenuto è custode della cosa, che si è verificato un evento che gli ha cagionato danni e che tale evento discende per nesso causale dalla cosa stessa, il nesso causale, a questo punto come oggetto di prova negativa e in tale negatività risiede il favor per il preteso danneggiato , è però oggetto anche dell’onere probatorio del convenuto, come una intersezione dell’attività processuale richiesta alle parti che attesta il rilievo dirimente del nesso. La prova liberatoria consiste infatti nella prova negativa del nesso discendente dalla cosa custodita, che si trasforma a sua volta in una prova positiva, ovvero la prova del caso fortuito e quindi dell’esistenza di un diverso nesso causale. 4. Il caso fortuito diventa una vera e propria fictio quando consiste nella condotta del danneggiato, poiché l’imprevedibilità dell’evento dannoso che tradizionalmente viene intesa come insita nella natura fortuita della serie causale liberatoria viene a contaminarsi ed anzi a scambiarsi con la prevedibilità di tale evento dal punto di vista del soggetto danneggiato, nell’ipotesi in cui il caso fortuito consista in una condotta di quest’ultimo. Invero, una condotta incauta tenuta in uno scenario inclusivo anche di una cosa pericolosa non può non definirsi condotta da cui è oggettivamente prevedibile che derivi un evento dannoso per chi la compie. Proprio la prevedibilità fonda la restituzione del rischio al soggetto che vi è direttamente esposto, il quale mediante una condotta incauta e quindi idonea a rendere prevedibile l’evento dannoso manifesta di non meritare più - per le sue censurabili scelte - una particolare tutela. 5. Questo dato, a ben guardare arrecante il necessario equilibrio al paradigma, da un lato rende nell’ambito del caso fortuito il concetto di imprevedibilità questa volta, dal punto di vista del custode poiché non è certo imprevedibile che vengano tenute condotte colpose da chi entra in contatto con la cosa custodita difforme dal significato semantico e impregnato di peculiarità tecnica/giuridica dall’altro si rapporta all’intrinseca reciprocità delle tutele rinvenibile nel sistema di diritto, ove, pur in misura differente a seconda della loro posizione, tutti i soggetti devono ricevere una protezione, perché il diritto è relazione e tutela. Coerentemente, pertanto, recenti arresti di questa Suprema Corte hanno riletto il tradizionale paradigma riproponendolo ma altresì ravvisando nella condotta colpevole del danneggiato - superata, almeno formalmente, la teoria dell’autoresponsabilità - la violazione di obblighi solidaristici, di livello costituzionale e sovranazionale. In particolare, Cass. sez.3, ord. 1 febbraio 2018 n. 2482 - operando una complessiva ricostruzione della fattispecie di cui all’art. 2051 c.c. ad essa ben può rimandarsi quanto al consolidato insegnamento giurisprudenziale ivi riassunto e attentamente precisato - in motivazione osserva che al dovere di precauzione imposto al titolare della signoria sulla cosa è affiancato un dovere di cautela in capo a chi entra in contatto con la cosa e quest’ultimo può ricondursi - se non all’ormai non più in auge principio di autoresponsabilità - almeno ad un dovere di solidarietà, imposto dall’art. 2 Cost., di adozione di condotte idonee a limitare entro limiti di ragionevolezza gli aggravi per gli altri in nome della reciprocità degli obblighi derivanti dalla convivenza civile, in adeguata regolazione della propria condotta in rapporto alle diverse contingenze nelle quali si venga a contatto con la cosa e infatti la responsabilità civile per omissione può scaturire non solo dalla violazione di un preciso obbligo giuridico di impedire l’evento dannoso, ma anche dalla violazione di regole di comune prudenza, le quali impongano al compimento di una determinata attività a tutela di un diritto altrui principio affermato sia quando si tratti di valutare se sussista la colpa dell’autore dell’illecito, sia quando si tratti di stabilire se sussiste un concorso di colpa della vittima nella produzione del danno . Richiamato al riguardo anche la CEDU, poi, riafferma il principio già enunciato in giurisprudenza per cui chi, pur capace di intendere di volere, si esponga volontariamente ad un rischio grave e percepibile con l’uso dell’ordinaria diligenza, tiene una condotta che costituisce causa esclusiva dei danni eventualmente derivati, e rende irrilevante la condotta di chi, essendo obbligato segnalare il pericolo, non vi abbia provveduto integrandolo nel modo seguente un detto principio deve dirsi contemperare adeguatamente le esigenze di tutela del diritto alla vita da parte dello Stato e dei pubblici poteri con conclusione che si estende agevolmente alla tutela del diritto alla salute od all’incolumità in genere e, per di più, ai rapporti tra privati, anche a questi applicandosi la Convenzione da ultimo, Corte EDU 20/12/2016, Ljaskaj c. Croazia con quella - altrettanto imperiosa e dettata da elementari esigenze di ragionevolezza - di non accollare alla collettività - o comunque immotivatamente al prossimo - le conseguenze dannose, soprattutto di natura economica e quindi tutelate dall’articolol del primo protocollo aggiunto alla richiamata Convenzione Europea , che derivino da condotte che siano volontaria e consapevole esposizione a rischio serio o grave per la vita da parte della potenziale vittima e quindi unica causa del danno da questa patito . E dunque, quando il comportamento del danneggiato sia apprezzabile come ragionevolmente incauto - il che significa, non si può non aggiungere, un comportamento che rende prevedibile per chi lo pone in essere l’evento dannoso in quanto percepibile dalle sue capacità razionali - lo stabilire se il danno sia stato cagionato dalla cosa o dal comportamento della stessa vittima o se vi sia concorso causale tra i due fattori costituisce valutazione squisitamente di merito , che va compiuta sul piano del nesso eziologico ma che comunque sottende sempre un bilanciamento fra i detti doveri di precauzione e cautela . E l’arresto giunge a smontare il tabù della imprevedibilità mediante la seguente affermazione Pertanto, ove la condotta del danneggiato assurga, per l’intensità del rapporto con la produzione dell’evento, al rango di causa esclusiva dell’evento e nel quale la causa abbia costituito la mera occasione, viene meno appunto il nesso causale tra la cosa custodita e quest’ultimo e la fattispecie non può più essere sussunta entro il paradigma dell’art. 2051 c.c., anche quando la condotta possa essere stata prevista o sia stata comunque prevedibile, ma è esclusa come evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale . Evidenzia quindi l’arresto, in sostanza, che non esiste un unicum di caso fortuito in relazione ai limiti di responsabilità del custode. Da un lato, infatti, sussiste il caso fortuito consistente in un fatto naturale o del terzo, ove si rinviene realmente l’endiadi imprevedibilità/inevitabilità dall’altro sussiste il ben diverso - caso fortuito rappresentato dalla condotta del potenziale danneggiato non è il caso ancora di qualificarlo danneggiato tout court, occorrendo, oltre l’accertamento della causalità materiale, il successivo accertamento della causalità giuridica rispetto ai danni che vengano prospettati e questa seconda species - correttamente puntualizza la pronuncia - deve essere valutata tenendo anche conto del dovere generale di ragionevole cautela riconducibile ai principi di solidarietà espresso dall’art. 2 Cost. Pertanto, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte dello stesso danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando lo stesso comportamento, benché astrattamente prevedibile, sia da escludere come evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale . 6. È evidente che nella parte conclusiva di questo ragionamento l’ordinanza si è posta - mentre nei passi precedenti si era collocata dal punto di vista del danneggiato - dal punto di vista del custode, in tal senso dovendosi intendere l’affermazione altrimenti non condivisibile della non più possibile sussumibilità di quanto esaminato all’art. 2051. La realtà è che la condotta del potenziale danneggiato può essere come expressis verbis chiarisce - non divergendo peraltro da precedenti meno analitici ma comunque in sostanza compatibili - questa recente pronuncia anche prevista o comunque prevedibile e ciò perché quel che conta, a ben guardare, è la colpevolezza che intride tale condotta, la quale infatti, costituisce un comportamento apprezzabile come ragionevolmente incauto . E allora, applicando correttamente il criterio probabilistico di regolarità causale, il nesso causale si avvince a tale condotta ragionevolmente incauta , ovvero ad una condotta prevedibilmente quantomeno da parte di chi la compie pericolosa. 7. L’assoluta necessità di non travalicare il limite degli obblighi costituzionali di solidarietà - fonte a livello prioritario dell’obbligo del soggetto che entra in contatto con la cosa di tenere un comportamento adeguato, e quindi anche il canone interpretativo della relativa norma codicistica -, che a loro volta controbilanciano i diritti costituzionalmente riconosciuti per evitarne l’abuso, è stata contemporaneamente affermata anche da Cass. sez. 3, ord. 1 febbraio 2018, n. 2477, che in motivazione, dopo avere ribadito i tradizionali insegnamenti per cui, prospettato e provato dal danneggiato il nesso causale tra cosa custodita ed evento dannoso, la colpa o l’assenza di colpa del custode rimane del tutto irrilevante e per cui altresì anche l’imprevedibilità che vale a connotare il fortuito deve essere oggettiva senza che possa riconoscersi alcuna rilevanza dell’assenza o meno di colpa del custode , evidenzia che quanto più la situazione di possibile pericolo sia suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione delle normali cautele da parte dello stesso danneggiato, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso e infatti l’imposizione di un dovere di cautela in capo a chi entri in contatto con la cosa risponde a un principio di solidarietà ex art. 2 Cost. , che comporta la necessità di adottare condotte idonee a limitare entro i limiti di ragionevolezza gli aggravi per i terzi, in nome della reciprocità degli obblighi derivanti dalla convivenza civile . 8. Si può concludere, dunque, che la questione dell’allocazione del rischio, qualora l’origine non sia la condotta del soggetto che altrimenti ne patirebbe, ben restringe gli spazi del caso fortuito quale via d’uscita dalla responsabilità, mentre al contrario ben ampia è la dimensione liberatoria quando la nuova serie causale discende dalla condotta del soggetto sul piano fattuale esposto al rischio, perché qui la imprevedibilità della condotta non può essere intesa in senso semantico/atecnico, ma creandosi d’altronde pure una ineludibile contaminazione dell’elemento soggettivo nella struttura oggettiva/causale , pienamente giuridico. L’imprevedibilità di questo tipo di condotta umana viene allora, in ultima analisi, a coincidere con una condotta negligente o imprudente, cioè divergente da una condotta doverosamente cauta. Ragionando diversamente, nel caso in cui il custode di una cosa pericolosa si adoperi in modo sufficientemente diligente per segnalare la sua presenza e la sua pericolosità, ritenere che l’apposizione di tali segnalazioni sia tamquam non esset, ovvero che sia inidonea a rendere caso fortuito nel giuridico senso la condotta di chi non ne tiene alcun conto costituisce una reductio ad absurdum, nel senso che il rispetto dell’obbligo di custodia giammai può avere giuridica conseguenza quando viene ad interagire con la condotta di chi ha comunque interesse alla efficienza ed integrità della sua custodia, in quanto il custode sarà sempre responsabile, ad eccezione - estrema - di una condotta del danneggiato assolutamente abnorme. Quindi - e così si governerebbe la vicenda in esame - la violazione della normativa stradale in relazione all’obbligo di attenzione a segnali di pericolo e di rispettare i correlati divieti di accesso in determinate aree pubbliche giammai potrebbe incidere sull’evento dannoso, non solo tramite l’introduzione nella dinamica fattuale di un’assorbente serie causale diversa, ma neppure inferendo a livello di concausa. Il paradigma di oggettività della responsabilità custodiale raggiungerebbe, a questo punto, una pregnanza tale da prospettare ovvie criticità costituzionali, se non altro riguardo all’obbligo di adempimento dei doveri di solidarietà economica e sociale di cui all’art. 2 Cost. L’allocazione dei rischi a carico di soggetti diversi rispetto a quelli che in essi incorrono, infatti, come già si osservava, è una scelta lato sensu politica di tutela a favore di questi ultimi, scelta che però non può non trovare un limite nei valori ordinamentali. Il soggetto che trasgredisce, senza patirne alcuna conseguenza, regole che sono dettate - tra l’altro - proprio per prevenire il sinistro e quindi anch’esse poste a sua tutela espanderebbe con una siffatta condotta la responsabilità del custode al punto da renderne assolutamente inutile, come già osservato, ogni attività di custodia, e svuoterebbe altresì l’ulteriore strumento di protezione fornitogli dal sistema giuridico. E se è vero che la responsabilità dell’art. 2051 c.c. non discende direttamente dall’inadempimento dell’obbligo di custodia, ovvero da una illecita condotta del custode, bensì dalla trasformazione del rischio in evento dannoso, è altrettanto vero che questo paradigma non si svincola da un contrappeso che ne confina il contenuto il limes che il legislatore ha posto proprio nel caso fortuito così come interpretato giuridicamente, in modo che, quanto all’intrusione causale umana nella concretizzazione del rischio, la condotta negligente del soggetto tutelato che detta concretizzazione effettua restituisce, per così dire, il rischio al danneggiato stesso, in quanto quest’ultimo infrange la serie causale preesistente - attinente al custode mediante la propria condotta cfr., oltre agli arresti già citati, da ultimo Cass. sez. 3, 29 gennaio 2019 n. 2345, per cui, in sostanza, quanto più la situazione di possibile pericolo può essere superata attraverso l’adozione delle normali cautele da parte del danneggiato , tanto più incide l’efficienza causale dell’imprudente condotta della vittima, fino ad interromperne il nesso tra la cosa ed il danno ed escludere, dunque, la responsabilità del custode ex art. 2051 c.c. . 9. E infine, a ben guardare, quantomeno sul piano pratico il rispetto di tali obblighi presidia pure il valore costituzionale del sistema giustizia si arriverebbe altrimenti non essendo probabile in simili casi un risarcimento spontaneo o comunque stragiudiziale a gravare la giurisdizione mediante una pluralità di azioni risarcitorie promosse, paradossalmente, da chi si è danneggiato da se stesso, per avere violato le norme di diritto - realizzando una condotta affetta da colpa specifica -, o anche soltanto le ordinarie norme comportamentali - realizzando una condotta affetta da colpa generica. Ed è a questo, invece - si ripete -, che è giunta la corte territoriale laddove ha privato di ogni incidenza la violazione della normativa stradale da parte dell’automobilista, per il semplice fatto che tale normativa può materialmente però, e non giuridicamente distinzione che la corte territoriale ha omesso essere violata, neutralizzando così l’obbligo di rispetto e le sue conseguenze con la puramente fattuale possibilità di non adempierlo. L’assoluta irrilevanza che, in conclusione, il giudice d’appello ha attribuito alla colpa specifica che pur aveva riscontrato sine dubio nella condotta del danneggiato, costituisce pertanto violazione dell’art. 2051 c.c. nella ricostruzione dell’an della responsabilità del custode. Il ricorso - assorbito ogni altro profilo -, deve pertanto essere accolto e la sentenza deve essere cassata con rinvio, anche per le spese, alla stessa corte territoriale, nella diversa sezione di Trento. Il giudice di rinvio dovrà applicare il principio di diritto per cui nella fattispecie dell’art. 2051 c.c. la condotta del danneggiato può costituire caso fortuito o concausa dell’evento dannoso se è colposamente incauta, non occorrendo che a livello fattuale sia imprevedibile. P.Q.M. Accogliendo il ricorso, cassa la sentenza impugnata con rinvio, anche per le spese, alla Corte d’appello di Trento.