La quantificazione del danno per l’attività professionale dell’avvocato

Deve essere considerato il prevedibile progressivo incremento reddituale che, notoriamente, caratterizza tale attività.

Lo ha ribadito la terza Sezione Civile della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 16913/19, depositata in cancelleria il 25 giugno. Il caso. A seguito di un incidente stradale avvenuto nel 2005, la compagnia assicuratrice, riconosciuta la totale responsabilità della danneggiante, risarciva il danneggiato, avvocato, per l’importo di euro 337.500. Quest’ultimo, insoddisfatto del risarcimento, dopo aver promosso una consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite, conveniva in giudizio l’assicurazione e la proprietaria del veicolo di controparte per ottenere il risarcimento del danno stimato in euro 2.692.835. Il Tribunale, con sentenza emessa nel 2013, condannava in solido i convenuti a risarcire i danni patrimoniale e non, per l’ulteriore importo di 411.060. In sede di appello, la Corte, nel 2017, in accoglimento parziale del gravame, condannava le appellate a integrare il risarcimento del danno non patrimoniale di euro 41.028. Avverso tale sentenza l’avvocato ha proposto ricorso per cassazione, deducendo di aver chiesto quell’importo risarcitorio per il danno patrimoniale, fin dal primo grado, in relazione a quanto egli avrebbe guadagnato nell’esercizio della professione, con una crescita costante del reddito in ragione del 5% annuo, come dimostrato dai modelli unici degli ultimi cinque anni. Secondo il giudice di prime cure, invece, il suo reddito sarebbe rimasto costante, di talché aveva determinato il danno futuro patrimoniale per la vita lavorativa in modo stabile, nello stesso reddito che il danneggiato percepiva prima del sinistro nello stesso senso, il giudice d’appello aveva confermato la sentenza del Tribunale. Sempre la Corte territoriale avrebbe ignorato la doglianza relativa alla censura concernente l’erronea attualizzazione del danno patrimoniale futuro effettuata avvalendosi del coefficiente di capitalizzazione delle tavole allegate al R.D. 9/10/1922 n. 1403, recante Approvazione delle nuove tariffe per la costituzione delle rendite vitalizie della Cassa nazionale per le assicurazioni sociali. Danno permanente da incapacità. Il Supremo consesso ha ritenuto il ricorso fondato. La Corte - dopo aver osservato la non condivisibilità della scelta, quale parametro costante per tutta la vita del professionista, di un reddito percepito a breve distanza dall’inizio dell’attività - censura la sentenza di appello laddove nell’aderire alla soluzione adottata dal Tribunale 4 anni prima, non ha tenuto conto dell’evoluzione giurisprudenziale intervenuta medio tempore . Secondo la Sezione, che richiama altri propri precedenti, il danno permanente da incapacità non può più liquidarsi utilizzando gli arretrati coefficienti del 1922 che, per l’aumento della durata media della vita e per la diminuzione dei saggi d’interesse, non risultano idonei a garantire un corretto risarcimento del danno nel rispetto dell’art. 1223 c.c In altre parole, ai fini della liquidazione del danno patrimoniale futuro da perdita di capacità lavorativa specifica, devono essere utilizzati come parametri da un lato, la retribuzione media dell’intera vita lavorativa della categoria di pertinenza, desunta da parametri di rilievo normativo o altrimenti stimata in via equitativa, e, dall’altro, coefficienti di capitalizzazione aggiornati e scientificamente corretti, quali, ad esempio, quelli approvati con provvedimenti normativi per la capitalizzazione delle rendite previdenziali o assistenziali oppure quelli elaborati specificamente nella materia del danno aquiliano . La sentenza impugnata è stata, quindi, cassata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 10 aprile - 25 giugno 2019 n. 16913 Presidente Amendola – Relatore Graziosi Fatti di causa 1. A seguito di sinistro stradale avvenuto il omissis , in cui l’auto di P.D. si era scontrata con una vettura di proprietà di A.A. , condotta da P.M. e assicurata presso Lloyd Adriatico S.p.A. ora Allianz S.p.A. , quest’ultima compagnia assicuratrice riconosceva al P. la responsabilità totale della conducente Pi. nella causazione del sinistro e lo risarciva per l’importo di Euro 337.500. Per quanto qui interessa, insoddisfatto del risarcimento, il P. promuoveva davanti al Tribunale di Cremona una procedura ex art. 696 bis c.p.c., per poi convenire il 23 marzo 2010 davanti allo stesso Tribunale la compagnia assicuratrice e la proprietaria della vettura per ottenerne la condanna al risarcimento dei danni che sarebbero stati da lui subiti nella misura di Euro 2.692.835,42, al netto dell’acconto. Il Tribunale, con sentenza del 13 maggio 2013, condannava solidalmente i convenuti, detratto l’acconto, a risarcire i danni patrimoniali e non patrimoniali attorei per l’importo di Euro 411.060, oltre interessi legali dalla pronuncia al saldo. Avendo il P. proposto appello, cui le controparti resistevano, la Corte d’appello di Brescia, con sentenza del 12 gennaio 2017, lo accoglieva parzialmente, condannando tra l’altro le appellate a integrare il risarcimento del danno non patrimoniale della somma di Euro 41.028 oltre interessi. 2. Ha presentato ricorso il P. , articolandolo in sei motivi. 2.1 Il primo motivo denuncia violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e art. 132 c.p.c., n. 4 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Espone il ricorrente di avere chiesto un importo risarcitorio di Euro 2.325.805,06 per il danno patrimoniale in relazione a quanto egli avrebbe guadagnato, aumentando progressivamente i suoi redditi, esercitando la sua professione di avvocato. Il Tribunale avrebbe invece ritenuto che il reddito sarebbe rimasto costante. Si riporta il relativo motivo d’appello e si lamenta che la corte territoriale l’ha respinto con non una motivazione corretta. 2.2 II secondo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione dell’art. 112 c.p.c. Come addotto nel precedente motivo, l’attuale ricorrente aveva criticato la sentenza di primo grado per aver determinato il danno futuro patrimoniale per la vita lavorativa in modo stabile, cioè nello stesso reddito annuo che il P. percepiva prima del sinistro. Si richiama delle appellate la comparsa di risposta, che avrebbe considerato logico essa stessa un aumento del reddito. Tenuto conto dei rilievi avversari il P. nella comparsa conclusionale avrebbe rideterminato il danno patrimoniale futuro ma il giudice d’appello avrebbe deciso senza tenere conto nè delle osservazioni di controparte, nè del conseguente adeguamento effettuato dall’attuale ricorrente. 2.3 Il terzo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione degli artt. 1223, 1226, 2056 e 2729 c.c. riguardo ancora alla conferma operata dal giudice d’appello di quanto deciso dal giudice di prime cure in ordine al danno patrimoniale futuro, la corte territoriale non avendo tenuto in conto dei probabili incrementi futuri, nè della nozione di comune esperienza per cui ogni libero professionista beneficia di incrementi reddituali in funzione della durata della carriera, per la progressiva espansione delle conoscenze tecniche, dell’esperienza e della clientela . 2.4 Il quarto motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, che l’attuale ricorrente aveva censurato la sentenza di primo grado per avere attualizzato il danno patrimoniale futuro avvalendosi del coefficiente di capitalizzazione delle tavole allegate al R.D. 1403/1922 ciò sarebbe stato incongruo perchè presupponente una vita più breve di quella odierna e presupponente altresì un tasso di capitalizzazione del 4,5% mentre dal 2005 in poi il suddetto tasso sarebbe stato del 2,5% o anche inferiore la doglianza sarebbe stata ignorata dal giudice d’appello. 2.6 Il sesto motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’art. 1223 c.c Lamenta che, condividendo acriticamente i criteri di calcolo adottati dal giudice di prime cure per determinare il danno patrimoniale, il giudice d’appello avrebbe violato anche questa norma, dal momento che la giurisprudenza di legittimità si richiama in particolare Cass. 20615/2015 insegna che il danno permanente da incapacità di guadagno non è liquidabile utilizzando i coefficienti di capitalizzazione di cui al R.D. n. 1403 del 1922, a motivo dell’aumento della durata media della vita e dell’abbassamento dei saggi d’interesse. 2.7 Si è difesa soltanto Allianz S.p.A. con controricorso. Per rilievo nomofilattico la causa è stata rimessa dalla Sesta Sezione Civile di questa Suprema Corte, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., u.c. alla pubblica udienza della Terza Sezione Civile. Allianz S.p.A. ha depositato memoria. Ragioni della decisione 3. Va premesso che nella depositata memoria la controricorrente effettua integrale rinvio a quanto già illustrato nel controricorso in ordine alle ragioni di inammissibilità e di infondatezza del ricorso, dichiarando di limitare la memoria stessa all’esame esclusivamente del sesto motivo di ricorso, atteso che proprio per la rilevanza delle questioni in detto motivo prospettate la causa è stata rimessa alla trattazione in pubblica udienza . Non si può non rilevare che il contenuto di una ordinanza interlocutoria come quella de qua manifesta esclusivamente che il collegio ha ravvisato i presupposti per applicare l’art. 380 bis c.p.c., u.c. Detta ordinanza, pertanto, non identifica - e quindi non delimita l’oggetto della cognizione che verrà espletata a seguito della celebrazione della pubblica udienza, la quale invece investirà l’intero ricorso, l’ordinanza interlocutoria dispiegando effetti non sull’ampiezza della cognizione, bensì sulla modalità della cognizione, rendendo necessario nel caso concreto, come presupposto del suo esercizio, il contraddittorio orale delle parti - nelle parti entrando a questo punto pure la parte pubblica rappresentata dal Procuratore Generale che si attua nella pubblica udienza. Viene pertanto incrementata la sequenza processuale, senza però che questo produca alcuna mutatio nell’oggetto del vaglio da parte del giudice di legittimità. Vale a dire, il collegio che decide può ben individuare, qualora ricorra, valenza nomofilattica anche in motivi diversi da quello menzionato nell’ordinanza interlocutoria nell’ipotesi in cui questa ne indichi specificamente , giacchè tale provvedimento, come statuisce chiaramente l’art. 380 bis c.p.c., u.c. è finalizzato esclusivamente alla rimessione in pubblica udienza - nell’ottica di una valutazione discrezionale del collegio remittente, come si evince, da ultimo, da S.U. ord. 5 giugno 2018 n. 14437 -, non valendo neppure per rendere ferma l’esclusione delle ipotesi prevista dall’art. 375 c.p.c., comma 1, nn. 1 e 5 , al riguardo non essendovi stato ancora un reale accertamento e infatti la norma recita soltanto, in riferimento al collegio della cosiddetta sezione-filtro Se ritiene . La transiatio da un rito ad un altro del giudizio di legittimità non incide sul contenuto della cognizione in relazione all’oggetto del ricorso. 4.1 Il ricorso, come si evince dalla sintesi del contenuto sopra tracciata, verte sulla quantificazione del danno patrimoniale che il P. avrebbe subito in relazione alla sua capacità di guadagno nella misura in cui questa sarebbe stata lesa dall’evento dannoso. Per ben comprendere, allora, è opportuno richiamare con immediatezza quel che la corte territoriale - nelle pagine 9-11 della motivazione della sentenza impugnata - ha espresso al riguardo, trattandosi dell’oggetto della prima censura del gravame, errata determinazione del danno patrimoniale da lucro cessante patito da P.D. , che la corte territoriale, non a caso, ha definito il motivo di maggiore rilevanza . Dato atto che la difesa dell’appellante aveva affermato che al momento del sinistro stradale il P. era un giovane professionista destinato ad una brillante carriera che gli avrebbe consentito l’acquisizione di redditi sempre crescenti - producendo a dimostrazione di ciò copia dei modelli unici dal 2001 al 2006, la corte rimarca che, sempre secondo il motivo d’appello, tali produzioni avrebbero dimostrato che vi sarebbe stato un incremento ragguardevole, in termini percentuali, nel reddito conseguito dall’avv. P. nel biennio successivo al primo della sua attività professionale e ciò legittimerebbe una prognosi di aumento costante in ragione del 5% annuo dei compensi percepiti dall’appellante . La corte ritiene invece che la documentazione non confermi quanto addotto nel motivo, rendendo non condivisibile la tesi di un ricalcolo da effettuarsi aumentando il reddito del 5% annuo. Richiamato allora l’importo che era già stato riconosciuto al P. , per un totale di Euro 1.454.560 somma peraltro inclusiva anche del danno non patrimoniale , il giudice d’appello così conclude Ritiene la Corte che i criteri di calcolo esposti dal Giudice di prime cure a pag. 14 della sentenza impugnata per giungere alla determinazione del danno patrimoniale siano corretti e possano essere condivisi. Come detto, non può ritenersi fondato il criterio di calcolo proposto dall’appellante che ipotizza una crescita costante del reddito professionale in ragione del 5%. Risulta essere più appropriato il metodo di calcolo eseguito dal Tribunale, seppur fondato su valutazioni prognostiche eseguite in via equitativa, che considera un reddito costante nel tempo e lo ancora al parametro dell’ultima dichiarazione dei redditi antecedente all’anno in cui si è verificato il sinistro . Di qui il rigetto della doglianza. 4.2 È evidente, dunque, che, in aggiunta al rilievo della oscillazione dei redditi secondo i periodi di imposta rappresentati dai documenti prodotti, la motivazione fornita dalla corte territoriale è conformata per relationem in riferimento a quella presente nella pagina 14 della sentenza di primo grado, dove come riporta il ricorso, non privo di autosufficienza il Tribunale così si esprime .non si condividono i criteri di calcolo assunti . dall’attore, dovendosi invece equitativamente ricorrere al criterio della c.d. capitalizzazione del danno patrimoniale futuro . e ciò, in via equitativa, prendendo in considerazione le tabelle di cui al R.D. 9 ottobre 1922, n. 1403 ed escludendo dal calcolo lo scarto tra vita fisica e vita lavorativa al fine di attualizzarne la portata . Ed allora individuato il reddito medio netto annuo, questo andrà moltiplicato per la percentuale di ridotta capacità lavorativa specifica ed ulteriormente moltiplicato per il coefficiente citato la somma così ottenuta non andrà invece ridotta per addivenire ad una equa attualizzazione del coefficiente indicato nelle tabelle impiegate. Nel caso di specie il reddito annuo netto da assumere quale parametro di riferimento è quello dichiarato dall’avv. P. nell’ultima dichiarazione dei redditi antecedente al sinistro e tale reddito dovrà considerarsi costante nel tempo al fine di ridurre ad equità l’alea delle fisiologiche oscillazioni del reddito nelle libere professioni . . 4.3 È a questo punto evidente che, anche a prescindere dalla inevitabile perplessità che suscita la singolare - perchè oggettivamente assai riduttiva - scelta, quale parametro costante per tutta la vita lavorativa di un professionista, di un reddito ottenuto a brevissima distanza dall’avvio dell’esercizio dell’attività quando accadde il sinistro, P.D. aveva XX anni , la corte territoriale ha aderito, con la sua sentenza pubblicata il 12 gennaio 2017, ad una soluzione adottata dal giudice di prime cure nel 2013 la sentenza del Tribunale di Cremona era stata depositata il 13 maggio 2013 , non tenendo in conto minimamente, pertanto, la evoluzione della giurisprudenza di legittimità che nel frattempo si era compiuta e poteva ben dirsi del tutto nota quando la sentenza d’appello fu pronunciata errore di diritto che viene specificamente denunciato dal quarto e dal sesto motivo del ricorso, cui deve congiungersi il quinto, nel senso che evidenzia l’assenza di una motivazione propria della corte territoriale per mantenere una simile scelta nonostante, appunto, il diverso sfondo giurisprudenziale. 4.4 Esaminando allora ex abrupto quale ragione più liquida i tre suddetti motivi in modalità congiunta, deve darsi atto che, allo stato dell’arte , il danno permanente da incapacità di guadagno non può più liquidarsi utilizzando i coefficienti di capitalizzazione approvati con R.D. n. 1403 del 1922, dal momento che questi, sia a causa dell’aumento della durata media della vita, sia a causa della diminuzione dei saggi d’interesse, non sono più idonei a garantire un corretto risarcimento equitativo del danno e, pertanto, a rispettare il dettato dell’art. 1223 c.c. così è stato affermato, tra gli arresti massimati, anzitutto da Cass. sez. 3, 4 ottobre 2015 n. 20615 - ben antecedente, come sopra si accennava, alla sentenza qui impugnata, eppur subito divenuta assai nota - e da ultimo confermata da Cass. sez. 3, 12 aprile 2018 n. 9048, aggiungendosi pure nell’insegnamento nomofilattico che il giudice di merito è libero di adottare i coefficienti di capitalizzazione che ritiene preferibili si tratta, ovviamente, di una valutazione sostanzialmente di merito rispetto al caso concreto , a condizione però che si avvalga di coefficienti aggiornati e scientificamente corretti esempio fornito sono i coefficienti di capitalizzazione approvati con provvedimenti vigenti per la capitalizzazione di rendite assistenziali o previdenziali o i coefficienti elaborati in dottrina. Si tratta di una lettura nomofilattica che ha sviluppato quella precedente giurisprudenza di legittimità che già ben aveva avvertito l’ontologica - e dunque incompatibile - arretratezza dei coefficienti dettati dal testo normativo di molti decenni prima, là dove avevo offerto come mezzo di correzione la decurtazione dello scarto vita biologica-vita lavorativa eseguito, infatti, dalla sentenza di primo grado, la quale ha proprio richiamato la pronuncia che aveva per prima suggerito tale decurtazione Cass. sez. 3, 2 marzo 2004 n. 4186, seguita poi, tra gli arresti massimati, da Cass. sez. 3, 2 luglio 2010 n. 15738. Si trattava, peraltro, di un vero e proprio espediente, data la sua natura automatica e non flessibile, che d’altronde veniva ad aggravare l’incidenza della spiccata differenza della durata media della vita biologica tra l’epoca attuale e gli anni Venti del secolo scorso. 4.5 Questo orientamento giurisprudenziale - pienamente condiviso da questo collegio -, tra gli arresti massimati, annovera anche Cass. sez. 3, 28 aprile 2017 n. 10499, pronuncia la quale, rilevando che, anche a proposito del danno patrimoniale futuro da perdita di capacità lavorativa specifica, la liquidazione, in rispetto dell’art. 1223 c.c. e del principio - in esso insito - della integralità del risarcimento, deve essere effettuata mediante la moltiplicazione del reddito perduto per un adeguato coefficiente di capitalizzazione , rimarca che devono essere utilizzati come parametri da un lato, la retribuzione media dell’intera vita lavorativa della categoria di pertinenza, desunta da parametri di rilievo normativo o altrimenti stimata in via equitativa, e, dall’altro, coefficienti di capitalizzazione di maggiore affidamento, in quanto aggiornati e scientificamente corretti, quali, ad esempio, quelli approvati con provvedimenti normativi per la capitalizzazione delle rendite previdenziali o assistenziali oppure quelli elaborati specificamente nella materia del danno aquiliano. E l’arresto, così massimato, concerne proprio un caso assai affine a quello in esame, cioè un risarcimento da effettuarsi ad un avvocato esercente da pochi mesi la sua attività professionale e per quanto sintetizzato nella massima appena riportata ha cassato la sentenza d’appello che aveva determinato la quota di reddito perduto da prendere in considerazione in base all’imponibile fiscale dichiarato dal danneggiato nell’anno del sinistro - nel caso in ispecie, si è considerata la dichiarazione dei redditi dell’anno antecedente al sinistro -, ritenendo che la sentenza avesse errato nell’omettere di considerare il prevedibile progressivo incremento reddituale che, notoriamente, caratterizza tale attività , a ciò aggiungendo il riscontro dell’errore consistente nella moltiplicazione di tale parametro per il coefficiente di capitalizzazione tratto dalla tabella allegata al R.D. n. 1403 del 1922, sebbene ancorata a dati non più attuali . 4.6 Nè, infine, può ritenersi che l’orientamento cui aderisce questo collegio non sia ancora consolidato e lineare, nel senso che la giurisprudenza di questa Suprema Corte ancora lasci intendere la idoneità dei coefficienti tratti dal decreto del 1922 per la determinazione del danno, seppure integrata con criteri di correzione equitativa. Così sostiene, infatti, la controricorrente, richiamando a supporto un recente arresto non massimato, Cass. sez. 3, 30 aprile 2018 n. 10321, che nella parte motiva avrebbe assunto una posizione di tal genere. In realtà, tale pronuncia appare consentire l’applicazione del dismesso criterio, ma, a ben guardare il contesto delle argomentazioni, ciò deriva dalla configurazione di rito, ovvero dai limiti della regiudicanda che è stata sottoposta nel suddetto arresto alla cognizione di questa Suprema Corte. E ciò è confermato definitivamente dal fatto che la pronuncia, pur essendo alquanto recente, non assuma alcuna aperta posizione di contrasto con l’orientamento de quo, in particolare non fornendo alcun argomento che supporti la persistenza dell’applicazione di coefficienti formati a distanza - ormai - di un secolo. Per superare, infatti, l’orientamento qui condiviso occorrerebbe spiegare a prescindere dalla questione, puramente economica, dei tassi di interesse in base a quale fondamento una valutazione equitativa includente la prognosi della durata della vita umana possa ancora avvalersi della prognosi di quest’ultima formulata in un’epoca in cui, come è notorio, tale durata era nettamente inferiore, a causa tanto delle cognizioni e degli strumenti a disposizione della scienza medica - assolutamente arretrati e limitati rispetto a quel di cui può avvalersi la scienza medica odierna -, quanto del decisamente basso livello medio in termini di reddito ed istruzione che la popolazione italiana all’epoca doveva ancora sorreggere. 4.7 È dunque evidente, in conclusione, la fondatezza della censura in esame, il che, imponendo una correzione della struttura della valutazione equitativa del tipo di danno, comporta l’assorbimento degli ulteriori motivi del ricorso, attinenti sempre, come si è visto, a quest’ultimo pregiudizio. La sentenza impugnata pertanto, per l’accoglimento del ricorso come appena esposto, deve essere cassata, con rinvio, anche per le spese processuali, ad altra sezione della Corte d’appello di Brescia. P.Q.M. Accoglie il ricorso quanto al quarto motivo, al quinto motivo e al sesto motivo, assorbiti gli altri, cassa in relazione e rinvia, anche per le spese processuali, alla Corte d’appello di Brescia.