I “punitive damages” si nascondono anche nel nostro ordinamento

Partendo dal presupposto per cui non è ontologicamente incompatibile con l’ordinamento italiano l’istituto, di origine statunitense, dei risarcimenti punitivi” , gli Ermellini riconoscono alla previsione di cui all’art. 96, comma 3, c.p.c. una funzione sanzionatoria e di deterrenza contro le ipotesi di abuso del processo.

Così la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 16898/19, depositata il 25 giugno, decidendo sul ricorso presentato avverso la sentenza della Corte d’Appello de l’Aquila che, confermando la decisione di prime cure, aveva respinto la domanda del ricorrente volta ad ottenere il risarcimento dei danni per diffamazione a mezzo stampa, proposta nei confronti di un quotidiano nazionale e di un giornalista. Inammissibilità del ricorso. Il ricorrente deduce la manifesta violazione e falsa applicazione delle norme di diritto richiamate nel ricorso invocando l’efficacia di giudicato di una precedente sentenza di conclusioni opposte. Gli Ermellini evidenziano però l’assoluto difetto di specificità delle censure proposte. Il giudizio di cassazione si caratterizza infatti come giudizio a critica vincolata, delimitata e cristallizzata dai motivi di ricorso che assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica. I motivi devono dunque caratterizzarsi per tassatività e specificità, esigono una precisa enunciazione con critiche mirate e comprensibili rispetto al percorso argomentativo della motivazione censurata. Nel caso di specie, il ricorso ripropone la mescolanza di tutti i fatti già esaminati e le censure proposte costituiscono un incomprensibile intreccio delle argomentazioni prospettate che si concludono, in punto di liquidazione delle spese, anche con l’erroneo riferimento al triplo grado di giudizio che disvela l’intento di ottenere una rivisitazione di merito della controversia . Lite temeraria. Accertata dunque l’inammissibilità del ricorso, gli Ermellini dichiarano sussistenti i presupposti per l’applicazione dell’art. 96, ultimo comma, c.p.c Con specifico riferimento alla funzione sanzionatoria della condanna per lite temeraria, la giurisprudenza ha recentemente sottolineato la necessità di contenere il fenomeno dell’abuso del processo ma anche l’evoluzione della fattispecie dei danni punitivi”. E’ stato infatti affermato che la condanna ex art. 96, comma 3, c.p.c. applicabile d’ufficio in tutti i casi di soccombenza, configura una sanzione di carattere pubblicistico, autonoma ed indipendente rispetto alle ipotesi di responsabilità aggravata ex art 96, comma 1 e 2, c.p.c. e con queste cumulabile, volta al contenimento dell’abuso dello strumento processuale la sua applicazione, pertanto, non richiede, quale elemento costitutivo della fattispecie, il riscontro dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa grave, bensì di una condotta oggettivamente valutabile alla stregua di abuso del processo”, quale l’aver agito o resistito pretestuosamente Cass. n. 27623/17 . Ricorda infine la Corte che può costituire abuso del diritto all’impugnazione la proposizione di un ricorso per cassazione basato su motivi manifestamente incoerenti con il contenuto della sentenza impugnata o completamento privo di autosufficienza oppure contenente una mera complessiva richiesta di rivalutazione nel merito della controversia . In tali casi risulta infatti integrato un ingiustificato sviamento del sistema giurisdizionale . Per questi motivi, dichiarando inammissibile il ricorso, la Corte condanna il ricorrente al risarcimento del danno alla controparte ex art. 96, ultimo comma, c.p.c. liquidato in 2.500 euro, oltre alle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 12 febbraio – 25 giugno 2019, n. 16898 Presidente Travaglino – Relatore Di Florio Ritenuto che 1. D.F.M. ricorre, affidandosi a tre motivi, per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello dell’Aquila che, confermando la pronuncia del Tribunale di Pescara, aveva respinto la domanda di risarcimento danni da lui avanzata nei confronti del quotidiano omissis e del giornalista B.A. per la diffamazione a mezzo stampa che assumeva fosse stata posta in essere mediante la pubblicazione, nella cronaca di Pescara del quotidiano ed in più di una edizione successiva alla data del suo arresto, di notizie relative a circostanze che l’autorità giudiziaria non gli aveva mai contestato, visto che oltre tutto era stato assolto dai reati per i quali era partita l’inchiesta giudiziaria e che i fatti a lui ascritti erano stati notevolmente ridimensionati. 2. Gli intimati si sono difesi con controricorso. Considerato che 1. Con il primo motivo, il ricorrente, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deduce la manifesta violazione e falsa applicazione delle norme di diritto richiamate nel ricorso per cassazione ed atti di parte, dai giudici e c/p, da aversi per ivi riportati e trascritti, violati e falsamente applicati nonostante il precedente contrario, nel frattempo divenuto cosa giudicata formale, come si dimostra in allegato . 1.1. In relazione a tale premessa, lamenta la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., conseguente alla soccombenza in ordine alle domande ripresentante dal terzo sulla scorta della sentenza 607/05 del medesimo Tribunale cfr. pag. 7 del ricorso denuncia altresì la violazione degli artt. 99, 100, 101, 112, 113, 115 e 116 c.p.c. a pag. 22 rigo 11 del ricorso nonchè degli artt. 347, 166, 167, 345, 346 e 329 c.p.c. cfr. pag. 13 del ricorso e la conseguente decadenza, inutilizzabilità - acquiescenza dei documenti tardivamente riprodotti. 1.2. Il motivo è inammissibile. Il giudizio di cassazione postula una critica vincolata, delimitata e cristallizzata dai motivi di ricorso che assumono una funzione identificativa, condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito. 1.3. Ne consegue che il motivo di ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato oltre a rientrare nelle categorie logiche previste dall’art. 360 c.p.c., contenga critiche mirate e comprensibili rispetto al percorso argomentativo della motivazione censurata sicchè è inammissibile la censura generica della sentenza impugnata, formulata con un unico motivo sotto una molteplicità di profili tra loro confusi e inestricabilmente combinati, non collegabili ad alcuna delle fattispecie di vizio enucleata dal codice di rito. cfr. Cass. 19959/2014 Cass. 11603/2018 . 1.4. Nel caso in esame, le censure proposte mancano del tutto di specificità. Il ricorrente, infatti, nella parte argomentativa del primo motivo, sviluppato insieme agli altri due sotto la rubrica Motivi di impugnazione, argomentazioni a sostegno delle censure indicate sinteticamente sopra , ripropone la mescolanza di tutti i fatti già esaminati in sede penale e civile dal Tribunale di Pescara mascherando la richiesta di un terzo grado di merito, notoriamente non consentito cfr. Cass. 8758/2017 Cass. 18721/2018 . 2. Con il secondo motivo, ancora, deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 ed art. 111 Cost., l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione e l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione fra le parti ed in specie la già ritenuta offesa della diffamazione commessa in danno dell’attore e soci con articolo pubblicato dai convenuti il con la sentenza all. del medesimo Tribunale adito n 607/2005 contraddetta con evidenti vizi di motivazione e conseguente nullità della sentenza d’appello che si impugna per i seguenti specifici motivi indicati con lettera e correlati al primo motivo ed al seguente pag. 8 primo cpv ricorso . Seguono argomentazioni concernenti, per lo più, la critica alla valutazione della Corte territoriale in merito all’articolo del , pubblicato sul omissis . 2.1. Il motivo è inammissibile sia perchè deduce il difetto di motivazione della sentenza, con riferimento alla formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 non più vigente dalla data di entrata in vigore della L. n. 134 del 2012 , omettendo di considerare che tale critica non è più consentita sia perchè, nel riferirsi alla sentenza del Tribunale di Pescara - rispetto alla quale lamenta l’omesso esame - non riporta i passaggi della pronuncia oggetto di censura, con difetto di autosufficienza. 2.2. Anche la doglianza in esame risulta, dunque, totalmente priva di specificità nè viene indicato con sufficiente chiarezza, in relazione alla correlativa denuncia, il fatto storico di cui sarebbe stato omesso l’esame cfr. al riguardo, Cass. 22880/2017 Cass. 22607/2014 . 3. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la manifesta nullità delle sentenze di merito impugnate ed, in specie, ex art. 347, 166, 167, 345, 346 e 329 c.p.c. deduce la decadenza, inammissibilità-acquiescenza, inutilizzabilità formale delle domande nuove, eccezioni non rilevabili d’ufficio e produzioni tardivamente fatte dalle c/p in appello, invece valutate illegittimamente con la sentenza d’appello per affermare il contrario di quanto già accertato e dichiarato con la sentenza del Tribunale n 607/2005 allegata anche per manifesta violazione degli artt. 99, 100, 101, 112, 113, 115 e 116 c.p.c cfr. pag. 16 del ricorso . 3.1. Tale censura è complessivamente inammissibile per totale assenza di specificità e per incomprensibile intreccio delle argomentazioni prospettate che si concludono, in punto di liquidazione delle spese, anche con l’erroneo riferimento, al triplo grado di giudizio cfr. pag. 27 del ricorso che disvela l’intento di ottenere una rivisitazione di merito della controversia, prospettando questioni alle quali la sentenza impugnata non fa cenno se non per precisare l’assenza di rilievo e discussione nel giudizio cfr. pag. 14 della sentenza impugnata , difetti questi che risultano reiterati in questa sede in cui non viene affatto allegata l’avvenuta deduzione di essi dinanzi al giudice di merito. 3.2. Al riguardo, questa Corte ha avuto modo di affermare il principio, pienamente condiviso da questo Collegio, secondo cui in tema di ricorso per cassazione, qualora siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di autosufficienza, anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, giacchè i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito nè rilevabili di ufficio cfr. Cass. 20694/2018 . 4. In conclusione il ricorso è inammissibile. 5. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza. 6. Ricorrono, inoltre, i presupposti di cui all’art. 96 c.p.c., u.c 6.1. Questa Corte ha recentemente riesaminato la questione relativa alla funzione sanzionatoria della condanna per lite temeraria prevista dalla norma testè richiamata, in relazione sia alla necessità di contenere il fenomeno dell’abuso del processo sia alla evoluzione della fattispecie dei danni punitivi che ha progressivamente fatto ingresso nel nostro ordinamento. 6.2. Al riguardo, è stato affermato che la condanna ex art. 96 c.p.c., comma 3, applicabile d’ufficio in tutti i casi di soccombenza, configura una sanzione di carattere pubblicistico, autonoma ed indipendente rispetto alle ipotesi di responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., commi 1 e 2, e con queste cumulabile, volta al contenimento dell’abuso dello strumento processuale la sua applicazione, pertanto, non richiede, quale elemento costitutivo della fattispecie, il riscontro dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa grave, bensì di una condotta oggettivamente valutabile alla stregua di abuso del processo , quale l’aver agito o resistito pretestuosamente Cass. 27623/2017 e cioè nell’evidenza di non poter vantare alcuna plausibile ragione. 6.3.Tale pronuncia è stata preceduta da un altro fondamentale arresto volto a valorizzare la sanzione prevista dalla norma, secondo il quale nel vigente ordinamento, alla responsabilità civile non è assegnato solo il compito di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, poichè sono interne al sistema la funzione di deterrenza e quella sanzionatoria del responsabile civile, sicchè non è ontologicamente incompatibile con l’ordinamento italiano l’istituto, di origine statunitense, dei risarcimenti punitivi Cass. SSUU 16601/2017 , nella motivazione della sentenza richiamata, l’art. 96 c.p.c., u.c. è stato inserito nell’elenco delle fattispecie rinvenibili, nel nostro sistema, con funzione di deterrenza. 6.4. In relazione a ciò, va ribadito, a mero titolo esemplificativo, che ai fini della condanna ex art. 96 c.p.c., comma 3, può costituire abuso del diritto all’impugnazione la proposizione di un ricorso per cassazione basato su motivi manifestamente incoerenti con il contenuto della sentenza impugnata, o completamente privo di autosufficienza oppure contenente una mera complessiva richiesta di rivalutazione nel merito della controversia, oppure fondato sulla deduzione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, ove sia applicabile, ratione temporis, l’art. 348ter c.p.c., u.c. che ne esclude la invocabilità. In tali ipotesi, il ricorso per cassazione integra un ingiustificato sviamento del sistema giurisdizionale, essendo non già finalizzato alla tutela dei diritti ed alla risposta alle istanze di giustizia, ma destinato soltanto ad aumentare il volume del contenzioso e, conseguentemente, a ostacolare la ragionevole durata dei processi pendenti ed il corretto impiego delle risorse necessarie per il buon andamento della giurisdizione. 6.5. Nel caso in esame, le censure contenute nel ricorso - tutte inammissibili in parte per violazione del principio di autosufficienza ed in parte perchè,sia pur attraverso il formale riferimento al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, si richiedeva, nella sostanza, un riesame nel merito dell’intera controversia, notoriamente non consentito in sede di legittimità - devono ritenersi gravemente erronee e non più compatibili coni un quadro ordinamentale che, da una parte, deve universalmente garantire l’accesso alla giustizia ed alla tutela dei diritti cfr. art. 6 CEDU e, dall’altra, deve tener conto del principio costituzionalizzato della ragionevole durata del processo art. 111 Cost. e della necessità di creare strumenti dissuasivi rispetto ad azioni meramente dilatorie e defatigatorie in tale contesto questa Corte intende valorizzare la sanzionabilità dell’abuso dello strumento giudiziario cfr. Cass. 10177/2015 , proprio al fine di evitare la dispersione delle risorse per la giurisdizione cfr Cass. SSUU. 12310/2015 in motivazione e consentire l’accesso alla tutela giudiziaria dei soggetti meritevoli e dei diritti violati, per il quale, nella giustizia civile, il primo filtro valutativo - rispetto alle azioni ed ai rimedi da promuovere - è affidato alla prudenza del ceto forense coniugata con il principio di responsabilità delle parti. 7. Deve pertanto concludersi per la condanna del ricorrente, d’ufficio, al pagamento in favore della controparte, in aggiunta alle spese di lite, di una somma equitativamente determinata in Euro 2500,00, pari, all’incirca, in termini di proporzionalità cfr. Cass. SU 16601/2017 sopra richiamata , alla metà dei compensi liquidati in relazione al valore della causa. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis. P.Q.M. La Corte, dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5200,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e rimborso spese forfettario nella misura di legge. Condanna altresì il ricorrente, ex art. 96 c.p.c., u.c., al risarcimento del danno nei confronti dei contro ricorrenti che liquida in Euro 2500,00. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.