Fermo tecnico del veicolo incidentato: non rappresenta un danno in re ipsa

Il danno da fermo tecnico del veicolo incidentato non è risarcibile in via equitativa ove la parte non abbia provato di aver sostenuto oneri e spese per procurarsi un veicolo sostitutivo, né abbia fornito elementi, quali i costi assicurativi o la tassa di circolazione, idonei a determinare la misura del pregiudizio subito.

Così la III Sezione Civile della Suprema Corte di Cassazione, nell’ordinanza n. 9348/19, depositata il 4 aprile. Danno da fermo tecnico. Il Collegio della III Sezione Civile di Piazza Cavour, nel rigettare un ricorso formulato in ordine alla quantificazione del risarcimento del danno da sinistro stradale, ha dapprima precisato che quando il veicolo sia stato riparato e non sia stata prodotta la fattura, il giudice può ben ritenere che l’IVA non sia stata assolta e, pertanto, che non ci sia, sotto tale aspetto, un danno risarcibile. Quindi gli stessi giudici passano in rassegna il danno da fermo tecnico. Più in particolare, in merito al quesito se il danno da fermo tecnico rappresenti o meno un danno in re ipsa , si era registrato un contrasto giurisprudenziale. Il Collegio rammenta che con la decisione n. 15089/15 della III Sez. Civile, si è formato un orientamento, ribadito in plurime occasioni successive e al quale lo stesso collegio ritiene opportuno dare continuità. Secondo siffatto indirizzo, l’indisponibilità di un veicolo durante il tempo necessario per le riparazioni rappresenta un danno che deve essere allegato e dimostrato. Discende che, la prova del danno, non può consistere nella dimostrazione della mera indisponibilità del mezzo, bensì si rende necessario fornire la prova della spesa sostenuta al fine di procurarsi un mezzo sostitutivo, ovvero della perdita subita per aver dovuto rinunciare ai proventi ricavati dall’utilizzo del mezzo. Detta presa d’atto, secondo gli Ermellini, si fonda su quattro premesse, che rappresentano altrettanti fondamentali precisazioni sulla tematica del fermo tecnico del mezzo sinistrato. Prima premessa danno in re ipsa. Non hanno ingresso nel nostro ordinamento i danni in re ipsa , poiché in primo luogo il danno non trova coincidenza con l’evento dannoso, bensì individua gli effetti dallo stesso prodotto e, in secondo luogo, ammettere il risarcimento del danno per la mera lesione dell’interesse giuridicamente protetto, significherebbe utilizzare la responsabilità civile in funzione sanzionatoria, al di fuori delle ipotesi esplicitamente previste dalla legge. Per spiegare tale prima premessa, i Giudici richiamano la decisione n. 31233/18, dove si era affermato che il concetto di danno in re ipsa giunge ad identificare il danno con l’evento dannoso ed a configurare un vero e proprio danno punitivo, ponendosi così in contrasto sia con l’insegnamento delle Sezioni Unite della stessa Corte sentenza n. 26972/08 secondo il quale, quel che rileva ai fini risarcitori, è il danno-conseguenza, che deve essere allegato e provato, sia con l’ulteriore intervento nomofilattico Sentenza n. 16601/17 che ha riconosciuto la compatibilità del danno punitivo con l’ordinamento solo nell’ipotesi di espressa sua previsione normativa, in applicazione dell’art. 23 Cost Seconda liquidazione equitativa. La liquidazione equitativa non può sopperire al difetto di prova del danno, in quanto la stessa presuppone che il pregiudizio del quale si reclama il risarcimento sia stato accertato nella sua consistenza se detta certezza non sussiste, il giudice non può procedere alla quantificazione del danno in via equitativa, non sottraendosi tale ipotesi all’applicazione del principio dell’onere della prova come regola di giudizio, secondo cui qualora l’attore non abbia fornito la prova del suo diritto in giudizio, la relativa domanda deve essere di rigettata, in quanto il potere del giudice di liquidare equitativamente il danno non riveste l’unica funzione di colmare le lacune insuperabili ai fini della sua precisa determinazione. Per spiegare la riportata seconda premessa, il Collegio richiama l’ordinanza n. 11698/18, dove, magistralmente, si era precisato che l’esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c., presuppone che sia provata l’esistenza di danni risarcibili e che risulti oggettivamente impossibile, ovvero particolarmente difficile, provare il danno nel suo preciso ammontare, sicché grava sulla parte interessata l’onere di provare non solo l’an debeatur del diritto al risarcimento, ove sia stato contestato o non debba ritenersi in re ipsa , bensì pure ogni elemento utile alla quantificazione del danno, così da consentire al giudice l’esercizio del potere di liquidazione in via equitativa, che ha l’unica funzione di colmare le lacune insuperabili ai fini della precisa determinazione del danno medesimo. Terza spese di bollo e assicurazione. La tassa di circolazione e le spese di assicurazione non possono considerarsi come inutilmente pagate la prima, avendo natura di tassa di proprietà, prescinde dall’utilizzo del veicolo, le seconde in quanto, attraverso una condotta atteggiata al rispetto di quanto disposto all’art. 1227, comma 2, c.c., possono essere sospese dietro istanza del danneggiato. Quarta deprezzamento del mezzo . Il deprezzamento del veicolo non si trova in relazione causale col fermo tecnico, bensì con la necessità di procedere alla riparazione del mezzo.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 21 febbraio – 4 aprile 2019, n. 9348 Presidente Amendola - Relatore Gorgoni Fatti di causa F.S. ricorre per la cassazione della sentenza n. 314/17 del Tribunale di Brindisi, pubblicata il 20/02/2017, formulando un unico articolato motivo. Nessuna attività difensiva è svolta dalle resistenti. La vicenda ha per oggetto la richiesta di risarcimento dei danni al motociclo Honda di proprietà dell’attuale ricorrente, parcheggiato in strada e privo di copertura assicurativa, cagionati, durante una manovra di retromarcia, dalla vettura di proprietà di M.M. , assicurata dalla Genertel SPA. Il Giudice di Pace di Brindisi, adito da F.S. , con sentenza n. 91/93, rigettava la domanda attorea, avente ad oggetto la richiesta, a titolo risarcitorio, della somma di Euro 4.030,46, a saldo di quanto a lei asseritamente spettante per i danni subiti dal motociclo, quantificati in Euro 7.355,46, e per i danni da fermo tecnico durato tre giorni, pari ad Euro 150,00, detratto l’acconto di Euro 3.475,00 ricevuto dalla Genertel SPA. Il Tribunale di Brindisi, con la sentenza oggetto dell’odierna impugnazione, investito del gravame da F.S. , rigettava l’appello e condannava l’appellante alla rifusione delle spese di lite. Le ragioni della sentenza sono le seguenti la somma ottenuta dalla compagnia assicurativa doveva ritenersi integralmente satisfattiva del danno materiale subito dal motociclo non era dovuta l’Iva perché il motociclo era stato alienato previa riparazione, ma senza produzione di alcuna documentazione fiscale attestante l’avvenuta riparazione e la sopportazione dell’onere dell’IVA il danno da fermo tecnico non competeva alla richiedente perché il motociclo, essendo sprovvisto di assicurazione, non poteva circolare. Ragioni della decisione 1.La ricorrente censura la sentenza impugnata, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, deducendo che a secondo la prevalente giurisprudenza, il risarcimento del danno relativo ad un veicolo danneggiato deve comprendere anche l’Iva, indipendentemente dal fatto che la riparazione sia avvenuta, perché la funzione del risarcimento del danno è quella di porre il patrimonio del danneggiato nello stato in cui si sarebbe trovato senza l’evento lesivo, a prescindere dagli esborsi effettuati b il danno da fermo tecnico non richiede una prova specifica, essendo la sosta forzata fonte di spese tassa di circolazione, premio assicurativo, naturale deprezzamento del bene c erroneamente, la mancata liquidazione dell’Iva era stata fatta discendere da vicende successive al danneggiamento, omettendo di considerare che il danno deve delinearsi al momento dell’eventus damni e che su di esso sono ininfluenti le scelte successive del danneggiato. 2. Il motivo è, per alcuni versi, inammissibile, per altri, infondato. In via preliminare deve rilevarsi che, ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., comma 4, applicabile, nel caso di specie, essendo stato l’appello introdotto con atto notificato dopo l’11 settembre 2012 , avendo il giudice del primo e quello del secondo grado condiviso le medesime valutazioni di fatto, alla ricorrente era precluso porre a fondamento del motivo di ricorso la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, a meno di indicare - ciò che non è avvenuto nel caso di specie - che le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello erano tra loro diverse ex plurimis Cass. 22/12/2016, n. 26774 . Ad abundantiam, si osserva altresì che la deduzione del vizio denunciato non risulta supportata dai relativi oneri di allegazione, necessari per assicurare il soddisfacimento del principio di autosufficienza del ricorso il fatto omesso, il dato extratestuale dal quale evincere la sua esistenza nonché il come e il quando tale fatto fosse stato oggetto di discussione tra le parti. La ricorrente, pur svolgendo le proprie censure anche sotto il canone della violazione di legge, tende in larga misura a rimettere in discussione – mancata attenzione per le ragioni del contrasto tra il preventivo di spesa, basato sulla sostituzione del braccio oscillante posteriore del motociclo e formulato a seguito di visione del mezzo danneggiato, e la CTU che, avvalendosi solo della documentazione fotografica, aveva ritenuto più congrua la sostituzione di tale pezzo meccanico piuttosto che la sua sostituzione - apprezzamenti che rientrano nella esclusiva discrezionalità del giudice di merito e, pertanto, sono incensurabili in questa sede. Si deve, infatti, ribadire che, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta per mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e impinge nella tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione. Sfugge parzialmente al rilievo formulato il tentativo della ricorrente di fondare la dedotta violazione di legge sul contrasto tra la decisione impugnata e l’orientamento della giurisprudenza di legittimità asseritamente più recente -viene rimproverato al giudice a quo di aver fondato le proprie motivazioni su giurisprudenza in auge almeno un ventennio fa p. 3 del ricorso , indicando l’orientamento più recente in quello espresso da talune decisioni espressamente indicate n. 1688/2010 n. 9740/2002 n. 10023/1997 n. 14535/13 -. Non è revocabile in dubbio che il risarcimento del danno patrimoniale debba comprendere anche gli oneri accessori e conseguenziali pertanto, se esso è consistito nelle spese da affrontare per riparare un veicolo, il risarcimento deve comprendere anche l’importo dovuto dal danneggiato all’autoriparatore a titolo di IVA, pur quando la riparazione non sia ancora avvenuta a meno che il danneggiato, per l’attività svolta, abbia diritto al rimborso o alla detrazione dell’IVA versata , dal momento che l’autoriparatore, per legge D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 18 , deve addebitarla, a titolo di rivalsa, al committente ex plurimis, Cass. 27/01/2010, n. 1688 . Tale principio, tuttavia, non è pertinente nel nostro caso, avuto riguardo alla concreta ratio decidendi adottata dalla sentenza impugnata. Il Tribunale ha infatti liquidato il danno senza tenere conto dell’IVA con un ragionamento così riassumibile a il veicolo è stato alienato dopo essere stato riparato b la danneggiata non ha dimostrato di avere sostenuto spese di sorta o versato l’IVA al riparatore c deve ritenersi che la riparazione sia avvenuta in economia ovvero senza versamento dell’IVA al riparatore. Il Tribunale, dunque, non ha affatto negato in iure che l’importo dovuto a titolo di IVA sul costo delle riparazioni spetti al danneggiato se il veicolo non è stato riparato ma ha semplicemente accertato in facto che il veicolo era stata riparato e non che non c’era fattura, quindi, ha ritenuto che l’Iva non fosse stata assolta e, di conseguenza, che non vi fosse sotto questo aspetto un danno risarcibile e questo è un apprezzamento di merito non sindacabile in questa sede Cass. 29/09/2016, n. 19294 . Anche quanto alla richiesta risarcitoria avente ad oggetto il danno da fermo tecnico il motivo risulta infondato. Deve prendersi atto che in ordine al se il danno da fermo tecnico sia un danno in re ipsa, come ritenuto dalla ricorrente, ovvero se esso debba essere allegato e provato da colui che ne invoca il risarcimento si è registrato in passato un contrasto giurisprudenziale protrattosi per decenni. A decisioni che lo ritenevano liquidabile in via equitativa indipendentemente da una prova specifica in ordine al pregiudizio subito, rilevando la sola circostanza che il danneggiato risultasse privato del veicolo per un certo tempo, anche a prescindere dall’uso effettivo a cui esso era destinato - in ragione del fatto che l’autoveicolo, anche durante la sosta forzata è una fonte di spesa per il proprietario tenuto a sostenere gli oneri per la tassa di circolazione e il premio di assicurazione ed è altresì soggetto a un naturale deprezzamento di valore tra le pronunce più recenti espressione di tale indirizzo cfr. Cass. 04/10/2013, n. 22687 Cass. 26/06/2015, n. 13215 - si opponevano pronunce che, ritenendo insufficiente la mera indisponibilità del veicolo, richiedevano ai fini della liquidazione del danno da fermo tecnico la dimostrazione della spesa sostenuta per procacciarsi un mezzo sostitutivo ovvero della perdita dell’utilità economica derivante dalla rinuncia forzata ai proventi ricavabili dal suo uso Cass. 07/02/1996, n. 970 Cass. 19/11/1999, n. 12820 . In seno alla Terza Sezione è maturato - a far data dalla decisione del 17/07/2015, n. 15089 - e va via consolidandosi Cass. 14/10/2015, n. 20620 Cass. 31/05/2017, n. 13718 , l’indirizzo, cui si ritiene opportuno dare continuità, che ritiene che l’indisponibilità di un autoveicolo durante il tempo necessario per le riparazioni sia un danno che deve essere allegato e dimostrato che la prova del danno non possa consistere nella dimostrazione della mera indisponibilità del veicolo, ma che occorra fornire la prova della spesa sostenuta per procurarsi un mezzo sostitutivo ovvero della perdita subita per avere dovuto rinunciare ai proventi ricavati dall’uso del mezzo. La conclusione si fonda sulle seguenti premesse a non trovano ingresso nel nostro ordinamento danni in re ipsa, giacché, in primo luogo, il danno non coincide con l’evento dannoso, ma individua le conseguenze da esso prodotte, in secondo luogo, ammettere il risarcimento del danno per la mera lesione dell’interesse giuridicamente protetto significherebbe utilizzare la responsabilità civile in funzione sanzionatoria, al di fuori dei casi espressamente previsti dalla legge ex plurimis Cass. 04/12/2018, n. 31233 b la liquidazione equitativa non può sopperire al difetto di prova del danno, giacché essa presuppone che il pregiudizio del quale si reclama il risarcimento sia stato accertato nella sua consistenza ontologica se tale certezza non sussiste, il giudice non può procedere alla quantificazione del danno in via equitativa, non sottraendosi tale ipotesi all’applicazione del principio dell’onere della prova quale regola del giudizio, secondo il quale se l’attore non ha fornito la prova del suo diritto in giudizio la sua domanda deve essere rigettata, atteso che il potere del giudice di liquidare equitativamente il danno ha la sola funzione di colmare le lacune insuperabili ai fini della sua precisa determinazione Cass. 14/05/2018, n. 11698 . c la tassa di circolazione e le spese di assicurazione non possono reputarsi inutilmente pagate la prima perché prescinde dall’uso del veicolo, essendo una tassa di proprietà le secondo perché, con un comportamento improntato al rispetto di quanto previsto dall’art. 1227 c.c., comma 2, possono essere sospese su richiesta del danneggiato d il deprezzamento del bene non è in nesso di relazione causale con il fermo tecnico, ma con la necessità di procedere alla riparazione del mezzo La sentenza gravata, dunque, ha fatto corretta applicazione dei suddetti principi, negando il risarcimento del danno da fermo tecnico in ragione del fatto che il motociclo era sprovvisto di assicurazione obbligatoria e quindi non poteva circolare. Il Tribunale ha tratto la presunzione negativa che la vittima avesse riportato un danno da fermo tecnico dalla circostanza grave, precisa e concordante che la stessa non potesse utilizzare il ciclomotore. E la ricorrente non ha allegato alcun concreto elemento atto a contrastare l’assunto che il mezzo fosse sprovvisto di copertura assicurativa e che tale condizione ne rendeva, allo stato, impossibile l’utilizzazione. 3. Ne consegue il rigetto del ricorso. 4. Nulla deve essere liquidato per le spese, non avendo le resistenti svolto attività difensiva. 5. Si dà atto della ricorrenza dei presupposti per porre a carico della ricorrente l’obbligo di pagare il doppio del contributo unificato. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Nulla liquida per le spese. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.