Tombino, avvallamento e strada affollata: niente risarcimento dal Comune per la caduta

Respinta la richiesta avanzata da una donna, vittima di un capitombolo in una via di una cittadina campana. Nessuna responsabilità è addebitabile all’ente locale. Secondo i Giudici, la donna avrebbe dovuto mostrare maggiore attenzione e maggiore prudenza.

Camminare con attenzione questo il consiglio che arriva dai Giudici ai cittadini italiani che si ritrovano a dover combattere con strade e marciapiedi in condizioni precarie, se non addirittura dissestate. Mostrarsi prudenti nella propria passeggiata – che sia di piacere o, piuttosto, necessaria per un impegno personale o di lavoro – può evitare, difatti, non solo i danni di una caduta ma anche la beffa di vedersi negato ogni possibile risarcimento. Esemplare l’ultima, in ordine di tempo, vicenda affrontata dalla Cassazione, e conclusa con la vittoria di un Comune campano, che si è visto liberare da ogni responsabilità per il capitombolo subito da una donna su una strada cittadina. Decisiva la constatazione che maggiore diligenza le avrebbe consentito di evitare di finire a terra Cassazione, ordinanza n. 9315/19, sez. VI Civile - 3, depositata oggi . Insidia. Scenario della vicenda è il territorio di Amalfi. Lì, lungo una via cittadina, in pieno giorno, una donna rimane vittima di una caduta. L’episodio è attribuibile, a suo dire, ad un tombino e a un profondo avvallamento esistenti sulla strada da lei percorsa. Consequenziale è la richiesta di risarcimento avanzata nei confronti del Comune. Pretesa legittima, secondo i Giudici del Tribunale, che condannano l’ente locale a versare alla donna oltre 35mila euro. Di parere opposto, però, sono i Giudici della Corte d’Appello, i quali accolgono il ricorso proposto dai legali del Comune e addebitano la caduta alla superficialità e alla disattenzione della donna. Più precisamente, viene sottolineato che la strada da lei percorsa presentava un avvallamento di minimo spessore e quindi non esisteva alcuna insidia che non fosse evitabile applicando l’ordinaria diligenza , chiosano i Giudici di secondo grado. Questa visione è ritenuta corretta anche dalla Cassazione, che, difatti, respinge il ricorso proposto dalla donna, conferma il no” alla richiesta di risarcimento da lei presentata e libera il Comune da ogni ipotetica responsabilità. In sostanza, è emersa in modo evidente la mancanza di un nesso tra la presenza del tombino e dell’avvallamento e la caduta subita dalla donna. Ciò alla luce di una semplice constatazione la situazione dei luoghi e l’orario diurno sono la prova del fatto che l’uso dell’ordinaria diligenza avrebbe consentito dalla donna di evitare il capitombolo. Inutile, poi, la sottolineatura fatta dal legale della donna e riguardante il fatto che la strada fosse molto affollata i Giudici ribattono che tale situazione avrebbe dovuto indure la vittima della caduta ad una maggiore attenzione .

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 6 dicembre 2018 – 3 aprile 2019, n. 9315 Presidente Frasca - Relatore Cirillo Fatti di causa 1. Ro. Ti. convenne in giudizio il Comune di Amalfi, davanti al Tribunale di Salerno, chiedendo il risarcimento dei danni da lei patiti in conseguenza della caduta dovuta a suo dire ad un tombino e ad un profondo avvallamento esistenti in una strada cittadina da lei percorsa. Si costituì in giudizio il convenuto, chiedendo il rigetto della domanda. Il Tribunale accolse la domanda e condannò il Comune al pagamento della somma di Euro 35.651,67, oltre interessi e con il carico delle spese di giudizio. 2. La pronuncia è stata appellata dal Comune soccombente e la Corte d'appello di Salerno, con sentenza del 7 giugno 2017, ha accolto il gravame e, in riforma della sentenza di primo grado, ha rigettato la domanda della Ti., compensando per intero le spese dei due gradi di giudizio. 3. Contro la sentenza della Corte d'appello di Salerno ricorre Ro. Ti. con atto affidato a due motivi. Resiste il Comune di Amalfi con controricorso. Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375, 376 e 380-bis cod. proc. civ., e non sono state depositate memorie. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all'art. 360, primo comma, n. 3 , cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 329, secondo comma, cod. proc. civ., nonché dell'art. 2051 cod. civ., contestando l'errata applicazione delle regole in tema di obbligo di custodia, nonché ultrapetizione. 1.1. Il motivo non è fondato. 1.2. Quanto alla presunta violazione dell'art. 2051 cit., il Collegio osserva che questa Corte, sottoponendo a revisione i principi sull'obbligo di obbligo di custodia, ha stabilito, con le recenti ordinanze 1 febbraio 2018, nn. 2480, 2481, 2482 e 2483, che in tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull'evento dannoso, in applicazione, anche ufficiosa, dell'art. 1227, primo comma, cod. civ., richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall'art. 2 della Costituzione. Ne consegue che, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l'adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l'efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un'evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l'esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro. E' stato anche chiarito nelle menzionate pronunce che l'espressione fatto colposo che compare nell'art. 1227 cod. civ. non va intesa come riferita all'elemento psicologico della colpa, che ha rilevanza esclusivamente ai fini di una affermazione di responsabilità, la quale presuppone l'imputabilità, ma deve intendersi come sinonimo di comportamento oggettivamente in contrasto con una regola di condotta, stabilita da norme positive e/o dettata dalla comune prudenza. L'accertamento in ordine allo stato di capacità naturale della vittima e delle circostanze riguardanti la verificazione dell'evento, anche in ragione del comportamento dalla stessa vittima tenuto, costituisce quaestio farti riservata esclusivamente all'apprezzamento del giudice di merito. Nel caso in esame la Corte territoriale ha fatto buon governo di tali principi e, nonostante alcune imprecisioni giuridiche, ha accertato in punto di fatto che la strada percorsa dalla Ti. presentava un avvallamento di minimo spessore, per cui non esisteva alcuna insidia che non fosse evitabile applicando l'ordinaria diligenza. Ha aggiunto la Corte che non aveva rilievo il fatto che la strada fosse molto affollata, perché tale situazione avrebbe dovuto indurre la vittima ad una maggiore attenzione. È evidente, perciò, che, a parte l'errato riferimento all'insidia e alla necessaria alterazione della cosa, la sentenza ha in effetti accertato la mancanza di un nesso di causalità tra la presenza del tombino e dell'avvallamento e la caduta, posto che la situazione dei luoghi e l'orario diurno erano prova del fatto che l'uso dell'ordinaria diligenza avrebbe evitato la caduta il che è conforme ai principi in precedenza richiamati. 1.3. Da quanto precede risulta anche come non sia fondata la censura di ultrapetizione conseguente, secondo la parte ricorrente, alla presunta acquiescenza del Comune di Amalfi rispetto alla condanna disposta nei suoi confronti in primo grado per violazione delle norme sulla custodia art. 2051 cod. civ. . Ed invero, le argomentazioni poste a fondamento dell'atto di appello, per come sono riportate nel ricorso, dimostrano l'evidente contestazione, da parte del Comune, dell'attribuzione della responsabilità per la caduta la domanda stessa della danneggiata, del resto, era orientata nel senso di una condanna del Comune per violazione dell'art. 2043 cod. civ. e comunque non è configurabile una qualche forma di acquiescenza che giustifichi la presunta ultrapetizione della Corte d'appello. La sentenza impugnata, d'altra parte, ha fatto applicazione dei principi sull'obbligo di custodia e, a prescindere dalla formulazione della domanda risarcitoria in primo grado, ha reso una motivazione che è tale da escludere la sussistenza di una responsabilità del Comune, sia applicando le regole dell'art. 2043 cod. civ. che quelle dell'art. 2051 del codice civile. 2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all'art. 360, primo comma, n. 3 , cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell'art. 2700 cod. civ. e dell'art. 112 cod. proc. civ. in ordine alla mancanza di contestazione della relazione di servizio redatta in occasione del sinistro. 2.1. Il motivo non è fondato. La relazione di servizio redatta in occasione del sinistro non ha una valenza privilegiata se non in ordine a quanto accertato direttamente dai verbalizzanti, mentre le valutazioni dai medesimi compiute sono soggette comunque alla verifica ed alla ponderazione del giudice di merito che è ciò che la Corte d'appello ha fatto, senza incorrere nelle prospettate violazioni di legge. 3. Il ricorso, pertanto, è rigettato. A tale esito segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55, da distrarre in favore del difensore antistatario. Sussistono inoltre le condizioni di cui all'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 3.200, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge, da distrarre in favore dell'avv. Pi. Ca., che si è dichiarata antistataria. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.