Visibili i dislivelli del marciapiede: caduta attribuibile a mera disattenzione

Respinta la richiesta di risarcimento avanzata da una donna nei confronti di un Comune. Per i Giudici non vi sono dubbi sul fatto che il capitombolo sia collegato al suo comportamento. Significativo, a questo proposito, il fatto che i dislivelli presenti sul marciapiede fossero ampiamente visibili e facilmente superabili.

Se il marciapiede è in condizioni precarie, allora è necessario passeggiare con cautela. A dirlo è la Cassazione, respingendo definitivamente la richiesta di risarcimento avanzata da una donna nei confronti del Comune di Monza. Per i Giudici il capitombolo da lei subito va attribuito esclusivamente alla scarsa attenzione prestate al dislivello presente sul marciapiede e facilmente visibile Cassazione, ordinanza n. 7097/19, sez. VI Civile - 3, depositata oggi . Buca. Ricostruito l’episodio, verificatosi a Monza, in Tribunale il Comune viene condannato a risarcire la donna caduta a causa di una buca presente sul marciapiede . Questa decisione viene però ribaltata in Appello, laddove i Giudici osservano che la donna non aveva prestato la dovuta attenzione, comunemente esigibile dai pedoni e concludono che ella aveva determinato l’evento lesivo . Decisiva, in particolare, l’osservazione secondo cui il pericolo poteva essere agevolmente evitato, essendo costituito da un dislivello – ampiamente visibile e prevedibile – del marciapiede . A questo proposito, i Giudici sottolineano la presenza di illuminazione pubblica sul luogo dell’incidente e l’assidua frequentazione di quella zona da parte della donna, che, difatti, aveva riferito di conoscere bene che il marciapiede presentava dissesti . Attenzione. La vittoria del Comune viene sigillata dalla Cassazione, che respinge il ricorso proposto dal legale della donna. Per i Giudici del Palazzaccio, difatti, è corretto il ragionamento tracciato in Appello. In sostanza, come certificato dalla documentazione fotografica, è emerso che la pavimentazione era caratterizzata da modesti dislivelli nella superfice, ampiamente visibili e, comunque, facilmente superabili con l’attenzione ordinaria esigibile da qualsiasi persona. Ciò comporta che al comportamento distratto della donna era attribuibile la caduta. E, ovviamente, decade ogni ipotesi di responsabilità del Comune.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile 3, ordinanza 25 ottobre 2018 – 12 marzo 2019, n. 7097 Presidente Frasca – Relatore Olivieri Premesso La Corte d'appello di Milano, con sentenza in data 20.7.2016 n. 3056, rigettando l'appello principale proposto da Ma. Li. ed accogliendo l'appello incidentale del Comune di Monza, in totale riforma della decisione di prime cure che aveva condannato l'ente pubblico -ritenuto responsabile ex art. 2051 c.c. a risarcire il danno patito dalla Li. caduta procurandosi lesioni a causa di una buca presente sul marciapiede, rigettava la domanda risarcitoria, ritenendo non adeguatamente provato la dinamica del fatto storico in quanto l'unico teste escusso aveva riferito di aver notato la Li. quando era già in terra e, comunque, ritenendo interrotto il nesso di causalità tra la res e le conseguenze lesive, dalla condotta negligente della danneggiata la quale non aveva prestato la dovuta attenzione comunemente esigibile ai pedoni, determinando in tal modo l'evento lesivo, pur potendo essere agevolmente evitato il pericolo, costituito dal dislivello presente sul marciapiede, in quanto ampiamente visibile e prevedibile, in considerazione sia dello stato dei luoghi presenza di illuminazione pubblica , sia della assidua frequentazione del luogo da parte della danneggiata che aveva riferito di conoscere bene che il marciapiede presentava dissesti. La sentenza di appello, notificata in data 8.9.2016, è stata tempestivamente impugnata per cassazione dalla Li., con due motivi. Resiste con controricorso il Comune. La causa è stata ritenuta definibile mediante procedimento in camera di consiglio, in adunanza non partecipata, ai sensi degli artt. 375 col nn. 1 e 5 e 380 bis c.p.c, essendo formulata proposta di inammissibilità del ricorso. La parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa ex art. 380 bis c.p.c. Ritenuto Con il primo motivo art. 360col n. 4 c.p.c. la ricorrente censura la sentenza impugnata per omessa rilevazione della inammissibilità dell'atto di appello incidentale proposto dal Comune di Monza sebbene i motivi di gravame fossero da ritenere aspecifici e senza alcun collegamento con le circostanze indicate o le argomentazioni esposte nella pronuncia [ndr di primo grado] impugnata , in violazione dell'art. 342 c.p.c. Il motivo è inammissibile. Ribadendo un principio di diritto espresso costantemente da questa Corte, qualora vengano denunciati con il ricorso per cassazione errores in procedendo -in relazione ai quali la Corte è anche giudice del fatto, potendo accedere direttamente all'esame degli atti processuali del fascicolo di merito si prospetta preliminare ad ogni altra questione quella concernente l'ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che, solo quando sia stata accertata la sussistenza di tale ammissibilità diventa possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo e, dunque, esclusivamente nell'ambito di quest'ultima valutazione, la Corte di cassazione può e deve procedere direttamente all'esame ed all'interpretazione degli atti processuali cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 8077 del 22/05/2012 . Ne segue che il ricorrente, ove censuri la statuizione della sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso l'inammissibilità, per difetto di specificità, di un motivo di appello, ha l'onere di trascrivere il contenuto del mezzo di impugnazione nella misura necessaria ad evidenziarne la genericità, e non può limitarsi a rinviare all'atto medesimo cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 12664 del 20/07/2012. Con riferimento alla censura della speculare statuizione che dichiara, invece, inammissibile il motivo di gravame per difetto di specificità Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 20405 del 20/09/2006 id. Sez. 5 , Ordinanza n. 22880 del 29/09/2017. Vedi Corte cass. Sez. L, Sentenza n. 11738 del 08/06/2016 . Orbene nella esposizione del motivo in esame difetta qualsiasi richiamo ai motivi di gravame incidentale svolti dal Comune, dei quali è omessa del tutto la trascrizione, con la conseguenza che, in difetto di una esplicazione comparativa tra il testo della sentenza di prime cure riportata a pag. 5 e 6 del ricorso ed il tenore dei motivi di gravame la cui trascrizione è stata del tutto omessa , rimane impedito a questa Corte ogni possibile controllo, alla stregua del contenuto del ricorso, dell'asserito vizio di nullità processuale in cui sarebbe incorsa la Corte distrettuale. Non fornisce alcuna ulteriore delucidazione la memoria illustrativa depositata dalla ricorrente che si limita a ribadire di aver esposto in ricorso ampiamente le ragioni della insufficiente specificità dei motivi dell'appello incidentale ma se può convenirsi con il difensore della ricorrente che il requisito di ammissibilità ex art. 366, comma 1, n. 6 c.p.c. non impone necessariamente e sempre la trascrizione integrale dell'atto di impugnazione in relazione al quale si contesta la valutazione di specificità dei motivi di gravame compiuta dal Giudice di appello, non pare che tale affermazione possa giustificare il requisito predetto mediante la mera declamazione della aspecificità dei motivi dell'atto di impugnazione ex art. 342 c.p.c., omettendo di fornire alcun elemento descrittivo indispensabile alla definizione del ferro processuale appunto i motivi dell'atto di appello incidentale oggetto della verifica di legittimità la mancata conoscenza dei motivi dell'appello incidentale impedisce a questa Corte ogni controllo della allegazione secondo cui il Comune si sarebbe limitato a riproporre le difese già svolte in primo grado. Con il secondo motivo si censura la sentenza di appello per violazione degli artt. 2043, 2051, 1227 c.c. degli artt. 40 e 41 c.p., in relazione all'art. 360col n. 3 c.p.c. La ricorrente sostiene che la Corte territoriale, nell'escludere il nesso di derivazione tra il pericolo ingenerato dalla res e le conseguenze lesive subite dalla Li., non avrebbe fatto corretta applicazione del criterio causale ex art. 1227, comma 1, c.c. in quanto anche il comportamento disattento dell'utente non sarebbe idoneo ex se ad esonerare l'ente pubblico proprietario della strada dalla responsabilità per custodia, nella specie tanto più irrilevante in quanto non si era tenuto conto che la strada presentava vistose sconnessioni, che la luce artificiale era carente, che vi erano zone d'ombre, elementi che impedivano di prevedere la esistenza del pericolo. Il motivo è inammissibile. Premesso che in tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull'evento dannoso, in applicazione anche ufficiosa dell'art. 1227, comma 1, c.c., richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall'art. 2 Cost., sicché, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l'adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l'efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un'evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l'esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro cfr. Corte cass. Sez. 3 , Ordinanza n. 2480 del 01/02/2018 id. Sez. 3 , Ordinanza n. 2481 del 01/02/2018 , osserva il Collegio che, a monte della critica rivolta alla valutazione compiuta dai Giudici di appello del comportamento della vittima secondo cui dall'esame della documentazione fotografica risultava una pavimentazione caratterizzata da modesti dislivelli nella superficie, ampiamente visibili e non costituenti tuttavia ostacoli al percorso pedonale e comunque facilmente superabili con l'attenzione ordinaria esigibile da qualsiasi utente , la ricorrente ha del tutto omesso di censurare la ratio decidendi secondo cui difettava la prova dello svolgimento della dinamica del sinistro, nulla essendo stato in grado di riferire l'unico teste escusso che aveva soccorso la Li. dopo la caduta, quando era già in terra. La statuizione sulla mancanza di prova dell' an non risulta investita dal motivo di ricorso in esame, con la conseguenza che, qualora la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l'omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l'autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l'annullamento della sentenza cfr. Corte cass. III sez. 7.11.2005 n. 21490 id. III sez. 11.1.2007 n. 389 id. SS.UU. 20.6.2007 n. 14297 id. SS.UU. 23.12.2009 n. 27210 id. III sez. 12.3.2010 n. 6045 id. Sez. 6 L, Ord. 3.11.2011 n. 22753 id. SS.UU. 29.3.2013 n. 7931 . Per il resto la critica rivolta alla sentenza si incentra sulla ricerca del grado di maggiore o minore attenzione che la Li. avrebbe dovuto osservare in relazione alle condizioni di tempo e di luogo, venendo quindi ad investire, attraverso l'errore di diritto, quello che più propriamente può essere ricondotto ad errore nella ricostruzione della fattispecie concreta secondo il prudente apprezzamento delle risultanze probatorie, errore che, ricadendo nell'accertamento in fatto, è sottratto al sindacato di legittimità se non nei circoscritti limiti imposti dall'art. 360 comma 1, n. 5 c.p.c, nel testo riformato dall'art. 54 del D.L. n. 83/2012 conv. in legge n. 134/2012, che non risultano peraltro neppure osservati non essendo stato addotti fatti storici decisivi che il Giudice avrebbe omesso di considerare e che se correttamente valutati avrebbero determinato un diverso esito della controversia. In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e la parte ricorrente va in conseguenza condannata alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, inserito dall'art. 1 comma 17 della L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma I-bis, dello stesso articolo 13.