La Suprema Corte sulla prescrizione dell’azione di risarcimento del danno da atto amministrativo illegittimo

L’azione di risarcimento dei danni da atto amministrativo illegittimo è assoggettata al termine decennale dell’actio iudicati di cui all’art. 2953 c.c., che decorre dal passaggio in giudicato della sentenza amministrativa che abbia riconosciuto l’illegittimità dell’atto, a condizione che il danno sia direttamente riferibile a tale illegittimità.

Questo è il principio della Corte di Cassazione con sentenza n. 6321/19, depositata il 5 marzo. La vicenda. Poste Italiane s.p.a. ricorre per la cassazione della pronuncia di secondo grado che aveva respinto l’impugnazione avverso la decisione del Tribunale di accoglimento dell’opposizione all’esecuzione avanzata da una donna contro il titolo esecutivo e il precetto notificatole dalla società in relazione all’importo oggetto di condanna per fatti penalmente rilevanti, con riferimento ai quali era stata dichiarata la sua responsabilità contabile. Il risarcimento da atto amministrativo illegittimo e la prescrizione dell’azione. In ordine a ciò, come più volte affermato già in precedenza, la giurisprudenza di legittimità ha sostenuto che l’azione di risarcimento dei danni da atto amministrativo illegittimo è assoggettata non al termine quinquennale di prescrizione di cui all’art. 2947 c.c., ma al termine decennale dell’” actio iudicati ” di cui all’art. 2953 c.c., che decorre dal passaggio in giudicato della sentenza amministrativa che abbia riconosciuto l’illegittimità dell’atto, a condizione che il danno sia direttamente riferibile a tale illegittimità. I principi affermati dalla Suprema Corte. La suddetta specialità” del regime prescrizionale deve essere interpretata, secondo il Supremo Collegio, con riferimento all’inizio del giudizio di cognizione e va declinata con riferimento alla qualificazione della domanda proposta, ma ciò non può superare la ordinaria disciplina relativa agli effetti della sentenza di condanna passata in giudicato che ha definito il giudizio e per la quale si applica l’art. 2953 c.c., ossia il termine prescrizionale di 10 anni. Prosegue ancora la Corte di Cassazione, affermando che un atto ha efficacia interruttiva qualora contenga l’esplicitazione di una pretesa idonea a manifestare l’inequivocabile volontà del titolare del credito di far valere la propria pretesa nei confronti dell’obbligato, che, ove non la contesti, pone in essere comportamenti concludenti che traducendosi nel riconoscimento del diritto fatto valere contro di lui, concorrono, ex art. 2944 c.c., a consolidare l’effetto interruttivo la valutazione delle reciproche condotte è rimessa al giudice di merito che ha il compito di esaminare, fornendo adeguata motivazione, tutte le emergenze processuali delle quali possano essere tratte conseguenze significative al fine di qualificare i comportamenti omissivi o omissivi tenuti . Sulla base di tali principi, gli Ermellini accolgono i motivi di ricorso.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 19 dicembre 2018 – 5 marzo 2019, n. 6321 Presidente Spirito – Relatore Di Florio Svolgimento del processo 1. Poste Italiane Spa ricorre, affidandosi a tre motivi illustrati anche con memoria, per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Bologna che aveva respinto l’impugnazione proposta avverso la pronuncia del Tribunale di Piacenza di accoglimento dell’opposizione all’esecuzione avanzata da B.R. contro il titolo esecutivo ed il precetto a lei notificati dalla società in relazione all’importo oggetto di condanna, per fatti di rilevanza anche penale, in ordine ai quali era stata accertata la sua responsabilità contabile con la sentenza definitiva della Corte dei Conti n 101/1994, depositata il 25.3.1994. Per ciò che interessa in questa sede, il credito residuo venne dichiarato prescritto ai sensi della L. n. 20 del 1994, art. 1 comma 2. 2. L’intimata ha resistito con controricorso e memorie. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo, la società ricorrente deduce, ex art. 360, comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 20 del 1994, art. 1, comma 2 e comma 2ter e dell’art. 2953 c.c. e art. 12 disp. gen Lamenta che la Corte d’Appello, nel confermare la pronuncia del Tribunale, aveva interpretato erroneamente la L. n. 20 del 1994, art. 1, comma 2 che, nel limitare a cinque anni la prescrizione dell’azione di responsabilità contabile dei dipendenti pubblici, si riferiva all’azione di accertamento con annessa eventuale condanna al risarcimento ma non al recupero successivo derivante dall’esecuzione della sentenza già emessa e divenuta definitiva, per la quale continuava a trovare applicazione l’art. 2953 c.c., disciplinante il termine di prescrizione delle sentenze passate in giudicato. 2. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per omessa pronuncia o, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 112 c.p.c. e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, con violazione dell’art. 111 Cost Assume che la Corte territoriale aveva omesso di pronunciarsi in ordine alla specifica censura relativa alla sussistenza di atti interruttivi la cui esistenza era stata già negata dal Tribunale che aveva affermato che il riconoscimento di debito doveva essere espresso con condotta volontaria , atti che, nel caso di specie, erano stati posti in essere attraverso le ritenute mensili sulla pensione, mai contestate dalla B. che aveva, anzi, aderito all’iniziale piano di rientro la ricorrente deduce, al riguardo, che tale condotta doveva essere qualificata come un comportamento concludente talmente inequivoco da costituire il presupposto di cui all’art. 2944 c.c. per ritenere che il suo diritto fosse stato dalla controparte riconosciuto. 3. Con il terzo motivo, infine, la società deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione fra le parti ed, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 20 del 1994, art. 1, comma 2, dell’art. 2934 c.c. e dell'art. 2944 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c Assume, al riguardo, che anche la condotta della B. che non aveva mai contestato la pretesa di recupero del credito doveva ritenersi un fatto storico che la Corte territoriale non aveva affatto esaminato, incorrendo altresì nell’errata interpretazione sia delle norme in materia di prescrizione sia della condotta della società che aveva esercitato il proprio diritto attraverso le trattenute sul trattamento di quiescenza, risultanti dagli atti prodotti. 4. Il primo ed il terzo motivo devono essere congiuntamente esaminati per intrinseca connessione logica. Essi sono entrambi fondati. 4.1. In ordine al primo, l’interpretazione dei giudici di merito è erronea in quanto la L. n. 20 del 1994, art. 1, comma 2, nel sancire che il diritto al risarcimento del danno si prescrive in ogni caso in cinque anni dalla data del fatto o dalla scoperta se venga occultato , si riferisce all’azione di accertamento del fatto costitutivo della pretesa e della condanna ad esso conseguente. Questa Corte ha avuto modo di affermare, in fattispecie assimilabile al caso in esame che l’azione di risarcimento del danno da atto amministrativo illegittimo è assoggettata non già al termine quinquennale di prescrizione di cui all’art. 2947 c.c., ma al termine decennale della actio iudicati ex art. 2953 c.c., decorrente dal passaggio in giudicato della sentenza amministrativa che abbia riconosciuto l’illegittimità dell’atto, a condizione però che il danno sia direttamente riferibile a tale illegittimità, il che si verifica quando la lesione della posizione giuridica accertata dal giudice amministrativo costituisce l’oggetto della domanda risarcitoria cfr. Cass. 430/2019 . A tale principio questo collegio intende dare seguito in quanto la specialità del regime prescrizionale va interpretata con riferimento all’inizio del giudizio di accertamento del diritto e declinata in relazione alla qualificazione della domanda proposta, ma non può valere a superare la disciplina ordinaria relativa agli effetti della sentenza di condanna passata in giudicato che ha definito quel giudizio, per la quale si applica l’art. 2953 c.c. e, dunque, il termine di prescrizione decennale cfr. Cass. 6901/2015 Cass. SU 23397/2016 Cass. 2003/2017 . 4.2. E, tanto premesso, anche la terza censura risulta fondata sotto entrambi i profili prospettati. La Corte territoriale, infatti, negando del tutto che fra la notifica della sentenza avvenuta in data 30.8.1994 ed anteriormente alla notifica del precetto avvenuta in data 3.4.2004 cfr pag. 3, secondo cpv della sentenza impugnata , fossero intervenuti atti interruttivi della prescrizione, non ha affatto esaminato le trattenute sulla pensione mensilmente effettuate dalla società, documentate nel giudizio di primo grado cfr. pag. 19 del ricorso primo cpv ed oggetto di specifica censura nel giudizio d’appello cfr. il richiamo a pagg. 15,16 e 17 del ricorso . 4.3. Al riguardo, questa Corte ha avuto modo di chiarire che un atto, per avere efficacia interruttiva, deve contenere, oltre alla chiara indicazione del soggetto obbligato, l’esplicitazione di una pretesa e l’intimazione o la richiesta scritta di adempimento, che - sebbene non richieda l’uso di formule solenni, nè l’osservanza di particolari adempimenti - sia idonea a manifestare l’inequivocabile volontà del titolare del credito di far valere il proprio diritto, nei confronti del soggetto indicato cfr. Cass. 16465/2017 Cass. 7820/2017 Cass. 15714/2018 . Ricorre pertanto il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 applicabile ratione temporis al caso in esame anche in presenza di c.d. doppia conforme , in quanto la Corte, effettivamente, ha omesso di valutare sia la documentazione prodotta che la condotta e l’intenzione della debitrice, tenuto conto che dalle emergenze processuali risultava che, per numerosi anni, la B. aveva ricevuto gli emolumenti pensionistici gravati da trattenute mensili che non erano mai state da lei contestate. 4.4. E, in relazione a ciò, deve ritenersi fondata anche la seconda censura del terzo motivo infatti, tenendo conto che la sentenza della Corte dei Conti risale al 25.3.1994 e risulta notificata il 30.8.1994 che la prima richiesta di pagamento è del 22.1.2004 e che con successiva intimazione del 27.8.1994 è stata richiesta l’intera somma, deve concludersi che i giudici d’appello abbiano errato nel ritenere che non fossero stati posti in essere validi atti interruttivi anteriormente alla notifica dell’atto di precetto. 5. Il secondo motivo deve ritenersi assorbito dall’accoglimento degli altri due. 6. La sentenza impugnata va pertanto cassata, con rinvio alla Corte d’Appello di Bologna in diversa composizione che provvederà al riesame della controversia sulla base dei seguenti principi di diritto la specialità del regime prescrizionale va interpretata con riferimento all’inizio del giudizio di cognizione e va declinata in relazione alla qualificazione della domanda proposta, ma non può valere a superare la disciplina ordinaria relativa agli effetti della sentenza di condanna passata in giudicato che ha definito quel giudizio, per la quale si applica l’art. 2953 c.c. e, dunque, il termine di prescrizione decennale un atto, per avere efficacia interruttiva, deve contenere, oltre alla chiara indicazione del soggetto obbligato, l’esplicitazione di una pretesa che - sebbene non richieda l’uso di formule solenni, nè l’osservanza di particolari adempimenti - sia idonea a manifestare l’inequivocabile volontà del titolare del credito di far valere la propria pretesa nei confronti del soggetto obbligato il quale, ove non la contesti, pone in essere comportamenti concludenti che traducendosi nel riconoscimento del diritto fatto valere contro di lui, concorrono, ex art. 2944 c.c., a consolidare l’effetto interruttivo la valutazione delle reciproche condotte è rimessa al giudice di merito che ha il compito di esaminare, fornendo adeguata motivazione, tutte le emergenze processuali dalle quali possano essere tratte conseguenze significative al fine di qualificare i comportamenti omissivi o commissivi tenuti . La Corte di rinvio dovrà provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte, accoglie il primo ed il terzo motivo di ricorso dichiara assorbito il secondo cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Bologna in diversa composizione per un nuovo esame della controversia e per la decisione sulle spese del giudizio di legittimità.