Il giudice può chiedere il risarcimento dei danni per i contenuti offensivi degli scritti di parte

La domanda di risarcimento dei danni conseguenti ad affermazioni asseritamente offensive contenute in scritti difensivi e rivolte al giudice che sta trattando la causa deve essere proposta in un separato giudizio.

La vicenda. Con la sentenza n. 4733/19, la Corte di legittimità ha accolto il ricorso avverso la pronuncia della Corte d’Appello di Bari con cui era stato confermato il rigetto della domanda risarcitoria avanzata da un giudice di pace per i danni conseguenti ai comportamenti asseritamente diffamatori tenuti dalla controparte nei suoi confronti. Quest’ultima infatti aveva inserito in una comparsa conclusionale delle considerazioni ritenute dal ricorrente lesive del suo prestigio professionale e del suo onore. La sentenza impugnata rigettava la domanda risarcitoria sulla base della considerazione per cui l’art. 89 c.p.c., che consente al giudice di disporre la cancellazione di espressioni sconvenienti od offensive dagli scritti delle parti e di assegnare alla persona offesa una somma a titolo di risarcimento del danno con la sentenza che decide la causa, integra un sistema chiuso di tutela endoprocessuale. Domanda risarcitoria. La motivazione offerta dalla Corte d’Appello si rivela erronea per aver trascurato in primo luogo la circostanza per cui le frasi offensive erano riferite al giudice e non alla controparte e dunque non poteva essere la causa in corso il luogo dove esaminare la pretesa risarcitoria . Sul presupposto per cui non risulta applicabile al caso di specie l’art. 89 c.p.c., il Collegio richiama l’orientamento giurisprudenziale secondo cui, in alcuni casi, la domanda risarcitoria prevista dalla norma citata può essere proposta in un giudizio diverso secondo le ordinarie regole di competenza. In conclusione, accogliendo il ricorso con rinvio alla Corte d’Appello, gli Ermellini cristallizzano il principio secondo cui la domanda di risarcimento dei danni conseguenti ad affermazioni asseritamente offensive contenute in scritti difensivi e rivolte nei confronti del giudice che sta trattando la causa deve essere proposta in un separato giudizio, ai sensi dell’art. 89 c.p.c. tale giudizio può essere intrapreso sia direttamente nei confronti del difensore sia della parte che questi rappresentava, posto che il difensore non è parte nel giudizio in cui gli scritti sono stati presentati e la parte è comunque civilmente responsabile di quanto il difensore scrive o afferma nello svolgimento dell’attività di patrocinio legale .

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 13 dicembre 2018 – 19 febbraio 2019, n. 4733 Presidente Travaglino – Relatore Cirillo Fatti di causa 1. M.V. convenne in giudizio la s.p.a. Nuova Tirrena, davanti al Tribunale di Lucera, Sezione distaccata di Apricena, chiedendo che fosse condannata al risarcimento dei danni conseguenti a comportamenti asseritamente diffamatori tenuti nei suoi confronti. A sostegno della domanda espose di aver svolto funzioni di Giudice di pace presso la sede di Apricena e che, nel corso della trattazione di una causa a lui assegnata, la società convenuta aveva inserito in comparsa conclusionale una serie di considerazioni ritenute lesive del suo prestigio professionale e del suo onore comportamento, questo, che aveva trovato ulteriore conferma nella presentazione, da parte della medesima convenuta, di otto istanze di ricusazione nei suoi confronti, tutte respinte. Ritenne l’attore, pertanto, che nel comportamento tenuto dalla convenuta fossero ravvisabili gli estremi dei reati di cui agli artt. 594 e 595 c.p., con conseguente suo diritto al risarcimento del danno ai sensi dell’art. 2059 c.c Si costituì in giudizio la società convenuta, chiedendo il rigetto della domanda. Rilevò la predetta che le espressioni in questione erano da ricondurre, semmai, al suo difensore in quel giudizio che si trattava di frasi prive di ogni offensività, contenendo esse soltanto alcune perplessità in ordine all’operato dell’Ufficio del Giudice di pace di Apricena in generale, e che doveva comunque ritenersi applicabile l’esimente di cui all’art. 598 c.p Il Tribunale rigettò la domanda accogliendo l’eccezione di difetto di legittimazione passiva della convenuta ciò sul rilievo che, trattandosi di responsabilità per risarcimento dei danni derivanti da reato, della condotta criminosa non poteva che rispondere il suo autore, cioè il difensore della società convenuta. 2. La sentenza è stata impugnata dall’attore soccombente e la Corte d’appello di Bari, con sentenza del 17 marzo 2015, ha rigettato il gravame ed ha condannato l’appellante al pagamento delle spese del grado. Ha osservato la Corte territoriale che le argomentazioni dell’appellante non valevano a superare l’affermazione di fondo della sentenza di primo grado secondo cui l’art. 27 Cost., comma 1, stabilisce il principio che la responsabilità penale è personale. Richiamato il contenuto dell’art. 598 c.p., commi 1 e 2, la Corte ha rilevato che tale norma, predisponendo un sistema di tutela contro gli eccessi offensivi del diritto di difesa , ha una valenza endoprocessuale, nel senso che rimane circoscritta al giudizio nel quale tali eccessi si sono evidenziati, con conseguente impossibilità di farne un’applicazione esterna. Allo stesso modo, non poteva neppure ritenersi corretto il richiamo fatto dall’appellante all’art. 89 c.p.c., pesto che tale disposizione delinea un sistema sanzionatorio endoprocessuale contro le difese offensive delle parti , sistema di per sé inapplicabile qualora - come nel caso di specie - la persona offesa sia il giudice. D’altra parte lo stesso appellante aveva escluso, proprio in quanto giudice della causa nella quale erano state usate le affermazioni asseritamente diffamatorie, di poter liquidare in proprio favore una somma ai sensi dell’art. 89 c.p.c. e poiché l’art. 89 cit. deve essere letto unitamente tra i due commi, da tanto derivava l’inapplicabilità del sistema ivi previsto nel caso di specie. La presenza di tale sbarramento pregiudiziale impediva, secondo la Corte barese, l’esame del merito delle censure. 3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Bari propone ricorso M.V. con atto affidato a due motivi. Resiste con controricorso la Groupama Assicurazioni s.p.a., già società Nuova Tirrena. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 , violazione degli artt. 83 e 89 c.p.c Osserva il ricorrente che l’impugnata decisione si porrebbe in contrasto con un consolidato orientamento della giurisprudenza in base al quale la disposizione dell’art. 89 c.c., comma 1, non esplica i suoi effetti solo nel processo nel quale le frasi sconvenienti sono state pronunciate, ma consente al danneggiato di rivolgersi al giudice anche con un autonomo procedimento, ricorrendone le condizioni. Oltre a ciò, la sentenza sarebbe in contrasto con un altro principio più volte affermato in giurisprudenza, e cioè che la condanna al risarcimento dei danni dovuti all’uso di frasi sconvenienti ed offensive viene emessa sempre nei confronti della parte che l’avvocato rappresenta e non di quest’ultimo, benché le frasi siano state da lui scritte o pronunciate, posto che il difensore è soltanto un sostituto processuale del proprio assistito. Normalmente, l’azione di risarcimento di cui all’art. 89 cit. viene proposta davanti al giudice della causa ma la giurisprudenza ha più volte insegnato che ciò non è sempre possibile e in tali casi la domanda deve essere proposta in un giudizio separato. Se ciò vale quando le frasi sconvenienti sono rivolte nei confronti di una parte, a maggior ragione deve valere quando il bersaglio delle offese è il giudice che tratta la causa, il quale non può liquidarsi da solo una somma a titolo di risarcimento dei danni. La decisione impugnata, in sostanza, finirebbe col negare al danneggiato ogni diritto al risarcimento. 2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 , violazione e falsa applicazione degli artt. 185, 594 e 595 c.p., dell’art. 2059 c.c. e dell’art. 89 c.p.c., in riferimento all’art. 27 Cost Osserva il ricorrente che la sentenza impugnata non ha esaminato il merito della domanda in quanto non era stato superato il principio della natura personale della responsabilità penale. In realtà, quel punto non era in discussione l’azione risarcitoria si fondava, invece, sul diverso principio per cui anche un terzo può civilmente essere obbligato per un’azione o omissione commessa da altro soggetto col quale è legato da particolari vincoli di carattere giuridico si indicano i casi di cui agli artt. 2048, 2049 e 2054 c.c. . Neppure sarebbe corretta, secondo il ricorrente, l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata secondo cui la responsabilità della parte a norma dell’art. 89 c.p.c. potrebbe esistere solo in caso di concorso nella condotta diffamatoria del difensore e del cliente. L’art. 598 c.p., infatti, scinde la posizione della parte da quella del difensore ed esclude la necessità del concorso, come risulta dall’uso della disgiuntiva o discorsi pronunciati dalle parti o dai difensori ed è confermato anche dalla giurisprudenza penale. E comunque, la speciale esimente di cui alla citata disposizione trova applicazione, secondo il ricorrente, sempre che le offese riguardino in modo diretto e immediato l’oggetto della controversia , ipotesi che non ricorre nel caso in esame. 3. I due motivi, benché tra loro differenti, possono essere trattati congiuntamente, in considerazione della stretta connessione che li unisce. Essi sono entrambi fondati, per le ragioni che seguono. 3.1. La sentenza impugnata è pervenuta al rigetto della domanda dell’odierno ricorrente, come si è detto, sulla base di due argomentazioni, costituite dal carattere personale della responsabilità penale e dalla circostanza secondo cui l’art. 89 c.p.c. integra un sistema chiuso di tutela endoprocessuale per cui, non essendo applicabile il secondo comma di tale disposizione, risulterebbe inapplicabile l’intero sistema sanzionatorio ivi disciplinato. 3.2. Tale motivazione contiene alcuni evidenti e decisivi errori di diritto. Osserva il Collegio, innanzitutto, che nel caso in esame, trattandosi di considerazioni asseritamente offensive contenute si in atti giudiziari, ma rivolte contro il giudice anziché contro la parte avversaria, non poteva essere la causa in corso il luogo dove esaminare quella pretesa risarcitoria se così non fosse, si arriverebbe alla conclusione assurda per cui il giudice dovrebbe liquidarsi da solo il risarcimento, tra l’altro in un giudizio in cui egli non è parte, ma appunto giudice. Che questa soluzione non sia praticabile è stato correttamente evidenziato anche dalla Corte d’appello, la quale però non ne ha tratto le corrette conseguenze e conclusioni. Occorre perciò prendere le mosse da una prima, pacifica premessa, cioè che non risulta applicabile alla fattispecie concreta la regola generale dell’art. 89 cit., secondo cui la domanda risarcitoria avente ad oggetto frasi offensive contenute negli scritti difensivi presentati davanti all’autorità giudiziaria deve essere sanzionata nell’ambito di quello stesso giudizio. Il giudice asseritamente offeso, cioè l’odierno ricorrente, era perciò legittimato a proporre la domanda risarcitoria in un giudizio diverso da quello nel quale stava esercitando le sue funzioni. La giurisprudenza di questa Corte, del resto, è ormai da tempo consolidata nel senso di ammettere, in un ristretto numero di casi, che la domanda risarcitoria di cui all’art. 89 c.p.c. venga proposta non nello stesso giudizio ma in un giudizio diverso, secondo le ordinarie regole di competenza una di queste ipotesi si verifica quando l’azione è proposta non nei confronti della parte, bensì del difensore v., tra le altre, le sentenze 7 agosto 2001, n. 10916, 9 luglio 2009, n. 16121, l’ordinanza 29 agosto 2013, n. 19907, e la sentenza 23 ottobre 2014, n. 22522 . La sentenza n. 10916 del 2001, in particolare, ha avuto modo di precisare, tra l’altro, che l’art. 598, secondo comma, c.p. non si applica nel processo civile, poiché l’art. 89 c.p.c. regola la materia diversamente nel processo civile ed è norma posteriore, per cui l’art. 598 c.p. resta limitato al processo penale ed amministrativo . Questa sentenza ha anche spiegato che il destinatario della domanda di risarcimento del danno ex art. 89 c.p.c., comma 2, è sempre e solo la parte, la quale - se condannata - potrà rivalersi nei confronti del difensore, cui siano addebitabili le espressioni offensive, ove ne ricorrano le condizioni ed ha aggiunto che il difensore è debitore del risarcimento del danno, arrecato con la sua offesa, ma contro di lui si dovrà agire in via ordinaria , perché il difensore non è parte del giudizio anche secondo la sentenza n. 11063 del 2002, delle offese contenute negli scritti risponde sempre la parte, perché le esimenti del codice penale non assumono rilievo quando la causa ha ad oggetto il solo torto civile . Cade dunque, alla luce di queste affermazioni, la prima argomentazione della Corte barese, e cioè che l’inapplicabilità dell’art. 89 cit., comma 2 porti con sé il venire meno dell’intero sistema sanzionatorio ivi previsto. 3.3. Appare evidente, però, come sia errata anche la seconda argomentazione utilizzata dai giudici di merito, e cioè quella della natura personale della responsabilità penale, affermazione che ha condotto la Corte di merito ad escludere la proponibilità della domanda nei confronti della parte il cui difensore aveva scritto le parole asseritamente offensive. Tale conclusione dimostra di non cogliere che, nel caso in esame, la domanda non aveva ad oggetto, se non incidenter tantum, l’accertamento di un reato, bensì la responsabilità civile ed il principio del neminem laedere consacrato nell’art. 2043 c.c Se è vero che la causa aveva ad oggetto una responsabilità da illecito civile derivante da reato, e se è vero che la parte è comunque responsabile di ciò che dice o scrive il suo difensore, che non è mai parte in proprio, è chiaro che l’odierno ricorrente ben poteva convenire in giudizio la s.p.a. Nuova Tirrena per il risarcimento dei danni riconducibili al contenuto degli scritti del difensore di quest’ultima. Invocare il principio della personalità della responsabilità penale di cui all’art. 27 Cost. è fuor di luogo in relazione alla responsabilità civile derivante da reato. In realtà, altro è sostenere che la domanda risarcitoria poteva essere proposta anche direttamente contro il difensore, altro è sostenere che tale domanda doveva essere proposta contro il difensore e che la parte non poteva neppure essere convenuta nel giudizio risarcitorio la prima affermazione è corretta, mentre la seconda è errata, perché non considera che la parte è comunque responsabile civilmente delle affermazioni ingiuriose del proprio difensore. La conclusione della Corte d’appello, in sostanza, finisce col confondere la responsabilità penale con quella civile, pervenendo ad una conclusione errata. 4. Il ricorso, pertanto, è accolto e la sentenza impugnata è cassata. Il giudizio è rinviato alla Corte d’appello di Bari, in diversa composizione personale, la quale deciderà il merito della domanda risarcitoria attenendosi al seguente principio di diritto La domanda di risarcimento dei danni conseguenti ad affermazioni asseritamente offensive contenute in scritti difensivi e rivolte nei confronti del giudice che sta trattando la causa deve essere proposta in un separato giudizio, ai sensi dell’art. 89 c.p.c. tale giudizio può essere intrapreso sia direttamente nei confronti del difensore sia della parte che questi rappresentava, posto che il difensore non è parte nel giudizio in cui gli scritti sono stati presentati e la parte è comunque civilmente responsabile di quanto il difensore scrive o afferma nello svolgimento dell’attività di patrocinio legale . Al giudice di rinvio è demandato anche il compito di liquidare le spese del presente giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Bari, in diversa composizione personale, anche per le spese del giudizio di cassazione.