Il cane muore dopo l’anestesia: un difetto genetico salva il veterinario

Respinta la richiesta di risarcimento presentata dal padrone del quadrupede. Esclusa ogni responsabilità del medico. Egli ha seguito un protocollo corretto, e poi è emerso che l’animale soffriva di una patologia genetica che è valutata come la quasi certa causa del decesso.

Anestesia inutile il paziente a quattro zampe – un boxer tigrato – muore prima ancora di essere sottoposto al previsto intervento chirurgico. Immaginabile il dolore del padrone, che se la prende col veterinario. Il medico però non è responsabile per il decesso del cane. A certificarlo è la relazione del consulente tecnico d’ufficio quest’ultimo ha evidenziato un difetto genetico dell’animale, difetto che è ritenuto come la quasi certa causa della morte Corte di Cassazione, ordinanza numero 30008/18, depositata il 21 novembre . Causa. Tutto avviene in pochi minuti nello studio del veterinario, in provincia di Ragusa. Il medico pratica sull’animale l’anestesia per poi estrarre un corpo estraneo presente nelle narici . L’operazione però non comincerà mai il quadrupede muore proprio dopo l’anestesia. Il padrone si scaglia contro il veterinario, ritenendolo responsabile della scomparsa del suo cane e gli chiede un adeguato risarcimento . Però prima il Giudice di pace e poi i Giudici del Tribunale ritengono vada respinta l’ipotesi di una colpa del medico. Decisiva è la relazione del consulente tecnico d’ufficio. Quest’ultimo esclude qualunque forma di negligenza da parte del veterinario, il cui protocollo adoperato è corretto e documentato in ambito scientifico e aggiunge che la causa del decesso del cane è da imputarsi all’89 per cento a un problema genetico – la poliploidia – evidenziato dall’autopsia. In sostanza, i Giudici ritengono evidente che il decesso sia stato frutto di cause genetiche preesistenti , ed evidenziano la scarsa probabilità che un diverso intervento anestesia tramite intubazione dell’animale da parte del veterinario avrebbe potuto salvare la vita del boxer . Questa valutazione è condivisa dai Giudici della Cassazione, i quali respingono definitivamente la richiesta di risarcimento presentata dal padrone del cane, escludendo quindi ogni responsabilità del medico. E irrilevante è l’osservazione secondo cui il cane era già stato sottoposto a un intervento di estrazione di un corpo estraneo mesi prima senza riportare alcun danno . Per i Giudici, difatti, bisogna considerare che le condizioni di salute del boxer al momento del secondo intervento erano diverse da quelle in cui versava all’atto della prima operazione .

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 3, ordinanza 5 luglio – 21 novembre 2018, n. 30008 Presidente Amendola – Relatore Scrima Fatti di causa Il Giudice di Pace di Modica, con sentenza del 17 luglio 2015, rigettò la domanda, proposta da Ca. Giacinto nei confronti del veterinario Gi. Em., di risarcimento dei danni subiti a causa del decesso del cane boxer tigrato dell'attore, avvenuto il 4 settembre 2012, subito dopo l'anestesia praticatagli dal professionista convenuto nel proprio studio di Modica, al fine di estrarre un corpo estraneo dalle narici dell'animale, e compensò interamente tra le parti le spese di lite. Il predetto giudice motivò la sua decisione facendo proprie le conclusioni cui era pervenuto il consulente tecnico d'ufficio, il quale aveva escluso qualunque forma di negligenza da parte del dr. Em., il cui protocollo adoperato è corretto e documentato in ambito scientifico . Avverso la sentenza di primo grado Ca. Gi. propose impugnazione, cui resistette il veterinario. Il Tribunale di Ragusa, con sentenza pubblicata il 29 maggio 2017, per quanto ancora rileva in questa sede, ritenne che il c.t.u. non avesse debordato dal mandato ricevuto, atteso che, in sede di riconvocazione per chiarimenti, aveva affermato la causa del decesso del cane è da imputarsi alla massa poliploidi preesistente allo 89% . Il Tribunale ritenne, inoltre, che la preesistente patologia da cui era affetto l'animale scoperta a seguito dell'autopsia effettuata su concorde richiesta delle parti , dovesse giudicarsi come fattore causale autonomo non conosciuto e non conoscibile dal dr. Em. all'atto dell'intervento di gran lunga preponderante nella sede causale cui andava attribuita decisiva valenza nella produzione dell'evento letale, con conseguente esclusione di un rilevante apporto eziologico da parte del sanitario, almeno in termini probabilistici. Pertanto il Tribunale, data la quasi certezza della derivazione dell'exitus da cause genetiche preesistenti e la scarsa probabilità, per converso, che un diverso intervento del veterinario anestesia tramite intubazione dell'animale gli avrebbe salvato la vita, ritenne di dover escludere la ricorrenza del nesso causale in questione ed affermò che, se è pur vero che nei casi di prestazione medico-chirurgica di routine spetta al professionista provare che le complicanze non siano state determinate da sua responsabilità, tale prova era stata, nella specie, data, essendo stato dimostrato che la complicazione era stata prodotta da un evento del tutto imprevisto ed imprevedibile secondo la diligenza qualificata, in base alle conoscenze tecnico-scientifiche del momento. Avverso la sentenza del Tribunale di Ragusa il Gi. ha proposto ricorso per cassazione, basato su tre motivi e illustrato da memoria, cui ha resistito l'Em. con controricorso. La proposta del relatore è stata ritualmente comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza in camera di consiglio, ai sensi dell'art. 380 bis cod. proc. civ Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo, lamentando violazione falsa applicazione degli artt. 40 e 41 cod. pen. in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc civ., il ricorrente evidenzia che il Tribunale, sulla scorta di quanto indicato dal consulente tecnico d'ufficio e sopra riportato, non abbia potuto affermare che la preesistente formazione neopolipoide abbia avuto una rilevanza esclusiva nella causazione della morte del cane né abbia potuto affermare che il colposo comportamento del veterinario sia stato totalmente irrilevante nella causazione dell'evento letale, sicché la motivazione della sentenza impugnata avrebbe violato i principi in materia di nesso causale. Ad avviso del ricorrente, qualora le condizioni ambientali naturali non possano dar luogo, senza l'apporto umano, all'evento del danno, l'autore del comportamento imputabile è responsabile per intero di tutte le conseguenze da esso scaturenti secondo normalità in tal caso non può operarsi una riduzione proporzionale in ragione della minore gravità della sua colpa in quanto una comparazione del grado di incidenza eziologica di più cause concorrenti può instaurarsi soltanto tra un pluralità di comportamenti colpevoli ma non tra una causa umana imputabile e una concausa naturale non imputabile, 1.1. Il motivo è infondato. 1.2. La decisione impugnata risulta del tutto conforme ai principi di diritto affermati da questa Corte in tema di accertamento e prova della condotta colposa e del nesso causale nelle obbligazioni risarcitone, che possono essere sintetizzati come segue sia nei giudizi di risarcimento del danno derivante da inadempimento contrattuale, sia in quelli di risarcimento del danno da fatto illecito, la condotta colposa del responsabile ed il nesso di causa tra questa ed il danno costituiscono l'oggetto di due accertamenti concettualmente distinti la sussistenza della prima non dimostra, di per sé, anche la sussistenza del secondo, e viceversa l'art. 1218 c.c. solleva il creditore della obbligazione che si afferma non adempiuta dall'onere di provare la colpa del debitore inadempiente, ma non dall'onere di provare il nesso di causa tra la condotta del debitore ed il danno di cui domanda il risarcimento nei giudizi di risarcimento del danno da responsabilità sanitaria, è onere dell'attore, danneggiato, dimostrare l'esistenza del nesso causale tra la condotta del professionista e il danno di cui chiede il risarcimento tale onere va assolto dimostrando, con qualsiasi mezzo di prova, che la condotta del sanitario è stata, secondo il criterio del più probabile che non , la causa del danno se, al termine dell'istruttoria, non risulti provato il nesso tra condotta ed evento, la domanda deve essere rigettata Cass. 26/07/2017, n. 18392 Cass. 21/07/2011, n. 15991 . 1.3. Il Tribunale, sulla base di un accertamento in fatto, ha ritenuto che non è stato provato il nesso tra la condotta del sanitario e l'evento in base al criterio del più probabile che non , reputando, in particolare, di escludere, nella specie, l'efficienza causale determinante della condotta del sanitario rispetto all'evento lesivo, almeno in termini probabilistici , data la quasi certezza sulla derivazione dell'exitus da cause genetiche preesistenti e la scarsa probabilità, per converso, che un diverso intervento del veterinario anestesia tramite intubazione dell'animale gli avrebbe salvato la vita . L'impugnata decisione si sottrae, dunque, alle censure mosse dal ricorrente. 2. Con il secondo motivo si lamenta violazione dell'art. 112 cod. proc. civ. per omessa pronuncia, da parte del Tribunale, sul motivo di appello con il quale il Gi. aveva dedotto la nullità della consulenza tecnica d'ufficio perché priva di motivazione, anche con riguardo ai chiarimenti resi all'udienza del 10 aprile 2015. Sostiene il ricorrente che il Tribunale non abbia deciso sul punto, limitandosi ad esaminare la censura di nullità della consulenza soltanto con riferimento al rilievo, pure sollevato, che il c.t.u. era andato oltre il mandato conferito, senza esaminare la censura relativa alla nullità della consulenza in parola per difetto di motivazione. Evidenzia il Gi. che il Tribunale ha fondato il rigetto della domanda sulla scorta delle conclusioni dell'ausiliare in tema di nesso causale, conclusioni, a suo avviso, apodittiche, non motivate e/ quindi sostanzialmente nulle e di cui non avrebbe dovuto tenersi conto mentre avrebbe dovuto disporsi la rinnovazione della consulenza, come peraltro richiesto. 2.1. Il motivo è in parte infondato, stante l'implicito rigetto dell'eccezione Cass., ord., 6/12/2017, n. 29191 Cass. 8/03/2007, n. 5351 , e in parte inammissibile, per difetto di specificità, con riferimento all'eccezione di nullità della c.t.u. ribadita in questa sede, non essendo stato riportato, nel motivo all'esame, il testo della c.t.u., con riferimento a quanto rileva ancora in questa sede v. ricorso p. 11 e 13 , trascrivendone il contenuto o riassumendolo nei suoi esatti termini in relazione ai passaggi salienti, al fine di consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo. 3. Con il terzo motivo si lamenta l' omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato di un oggetto di discussione tra le parti in relazione all'art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. . Il ricorrente sostiene che il Tribunale avrebbe totalmente omesso di considerare che il cane era già stato sottoposto ad un intervento di estrazione di un corpo estraneo il 9 luglio 2012, cioè due mesi prima rispetto alla data dell'operazione di cui si discute in causa, senza riportare alcun danno, pur essendo l'animale già affetto dalla medesima patologia cui sarebbe stato ascritto il suo decesso. 3.1. Il motivo è infondato, per difetto di decisività della circostanza cui lo stesso si riferisce, trattandosi di fatto non idoneo a determinare di per sé un esito diverso della controversia, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, sol che si consideri che le condizioni di salute del cane al momento del secondo intervento erano diverse da quelle in cui versava all'atto della prima operazione, come pure evidenziato dal controricorrente. 4. Il ricorso va, pertanto, rigettato. 5. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo. 6. Va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma I-bis dello stesso art. 13. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.200,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile - 3 della Corte Suprema di Cassazione, il 5 luglio 2018.