Uranio impoverito, Stato colpevole per la morte del militare

Approdata in Cassazione la vicenda relativa a un caporalmaggiore che, di ritorno da una missione in Bosnia, è morto per una patologia tumorale. Certo il nesso tra la malattia e l’esposizione all’uranio impoverito utilizzato per i proiettili. Legittima la richiesta di risarcimento avanzata dai familiari nei confronti del Ministero della Difesa.

Responsabile lo Stato italiano – in particolare, il Ministero della Difesa – per i gravissimi problemi di salute subiti da alcuni militari a seguito dell’utilizzo di proiettili composti da uranio impoverito. Questo il paletto fissato dalla Cassazione Cassazione, ordinanza n. 24180/18, sez. III Civile, depositata oggi , che ha preso in esame la drammatica storia di un caporalmaggiore dell’esercito, morto a seguito di una patologia tumorale frutto dell’esposizione, alla fine degli anni ’90, alle particelle di uranio impoverito durante una missione in Bosnia. Legittima, di conseguenza, la richiesta di risarcimento presentata dai familiari – i genitori e la sorella – del militare. Inalazione. Riflettori puntati, in particolare, sul periodo trascorso in Bosnia dal caporalmaggiore tra novembre 1998 e aprile 1999, egli ha prestato servizio quale pilota di mezzi cingolati . E durante quei mesi, secondo i suoi familiari, egli ha inalato particelle tossiche prodotte dall’esplosione di proiettili composti da uranio impoverito . L’ipotesi avanzata dai genitori e dalla sorella del militare – con annessa richiesta di risarcimento nei confronti del Ministero della Difesa – viene ritenuta fondata dai giudici della Capitale, che, prima in Tribunale e poi in Corte d’appello, ritengono responsabile il Ministro. A quest’ultima struttura viene addebitato, in sostanza, di avere omesso l’adozione di misure di prevenzione, precauzione e sicurezza idonee a ridurre al minimo i rischi per la salute dei componenti dell’esercito. E proprio questa omissione è considerata come il passaggio decisivo che ha dato il ‘la’, purtroppo, alla patologia tumorale che ha poi provocato la morte del caporalmaggiore. Rischio. Il quadro tracciato in Appello è ora condiviso e confermato dalla Cassazione. Anche per i Giudici del Palazzaccio, difatti, non è possibile mettere in discussione la correlazione tra l’esposizione all’uranio impoverito e la patologia tumorale . A questo proposito, viene ulteriormente chiarito che, alla luce delle relazioni predisposte da alcune Commissioni mediche, è certo il collegamento causale tra l’attività espletata in missione dal militare e l’evoluzione della patologia, rappresentante la causa primaria del decesso , e, allo stesso tempo, è indiscutibile il nesso causale tra il comportamento colposo dell’autorità militare mancata informazione adeguata del personale militare in servizio, mancata pianificazione e valutazione degli elementi di rischio, mancata predisposizione e consegna delle misure di protezione individuale atte almeno a ridurre il rischio e la patologia che ha ucciso il caporalmaggiore. Di conseguenza, vi sono tutti i presupposti per ritenere legittima la richiesta di risarcimento avanzata dai familiari del militare nei confronti del Ministero della Difesa. Sulla cifra, però, sarà necessario un ulteriore passaggio in Corte d’appello, dove bisognerà valutare le provvidenze erogate alla madre e al padre del caporalmaggiore.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 22 maggio – 4 ottobre 2018, n. 24180 Presidente Sperato – Relatore Cigna Fatti di causa Gi. Va., Pe. Se. e Cl. Va., rispettivamente padre, madre e sorella del defunto Caporal Maggiore dell'Esercito Italiano Sa. Va., convennero dinanzi al Tribunale di Roma il Ministero della difesa, il Ministero dell'Economia e delle Finanze, lo Stato Maggiore dell'Esercito Italiano e lo Stato Maggiore della Difesa per sentirli dichiarare responsabili della morte del loro congiunto, dovuta a patologia tumorale insorta a causa dell'omessa adozione di misure di prevenzione, precauzione e sicurezza idonee a ridurre al minimo i rischi per la salute derivanti dall'inalazione di particelle tossiche prodotte dall'esplosione di proiettili composti da uranio impoverito nel territorio bosniaco, nel quale Sa. Va. aveva prestato servizio nel periodo novembre 1998-aprile 1999 quale pilota di mezzi cingolati per l'effetto condannarli al risarcimento dei danni subiti sia iure proprio sia iure ereditario, Con sentenza 1045/2010 l'adito Tribunale, accertata la responsabilità del Ministero della Difesa, lo condannò al pagamento, a titolo di risarcimento danni, della somma di Euro 256.800,00 in favore di ciascuno dei genitori e di Euro 131.045,00 in favore della sorella. Con sentenza 30-3/20-5-2016 la Corte d'Appello di Roma ha dichiarato il difetto di giurisdizione in favore del G.A. limitatamente al risarcimento dei danni subiti da Sa. Va. richiesti iure ereditario dagli attori, con conseguente riduzione della liquidazione operata dal Tribunale, ed ha confermato nel resto l'impugnata sentenza. In particolare la Corte, per quanto ancora rileva, ha, in primo luogo, rigettato le doglianze concernenti il merito della controversia per un duplice autonomo ordine di motivi da un iato, ritenendo le stesse inammissibili ex art. 342 c.p.c. in quanto aspecifiche dall'aftro, condividendo e facendo proprio la motivazione della sentenza impugnata, testualmente riportata . La Corte, inoltre, ha ritenuto l'insussistenza dell'indebito cumulo risarcitorio, atteso che le provvidenze economiche corrisposte dalla P.A. in favore dei genitori a titolo di speciale elargizione L. 222 e 244/2007 D.P.R. 243/2006 aderivano al danno patrimoniale, mentre il Tribunale aveva liquidato solo il danno non patrimoniale. Avverso detta sentenza il Ministero della Difesa propone ricorso per Cassazione, affidato a tre motivi. Resistono con controricorso Gi. Va., Pe. Se. e Cl. Va., che propongono anche ricorso incidentale. Il P.G. ha concluso per l'accoglimento del ricorso principale e per il rigetto di quello incidentale. Ragioni della decisione Con il primo motivo il ricorrente Ministero denunzia -ex art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. nullità dell'impugnata sentenza per avere fa stessa erroneamente dichiarato inammissibile l'appello per difetto di specificità le doglianze, invece, erano specifiche, essendo stata in particolare contestata sia in base -tra l'altro alla relazione della Commissione Parlamentare d'inchiesta ed al parere della Commissione medico-legale del Ministero della Difesa la affermata sussistenza di correlazione causale tra le patologie tumorali e l'esposizione alle polveri di uranio impoverito sia in base alla sentenza penale 17639/08 di questa S.C la corrispondenza della condotta attribuita al Ministero della Difesa alla fattispecie penale dell'omicidio colposo. Con il secondo motivo il ricorrente Ministero, denunziando -ex art. 360 n. 3 c.p.c. violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 132 n. 4 c.p.c. e 111, comma 6, Costituzione, lamenta omessa motivazione in particolare sostiene che la effettuata mera riproduzione della motivazione della sentenza di primo grado non era idonea, a fronte delle specifiche censure di cui sopra, ad individuare la motivazione della Corte d'Appello ed a riconoscere la giustificazione del decisum, Con il terzo motivo il ricorrente Ministero, denunziando -ex art. 360 n. 3 cpc-violazione e falsa applicazione del principio di compensatici lucri cum damno desumibile dall'art. 1223 c.c., sostiene che le provvidenze erogate in favore dei genitori, lungi dal potere essere qualificate come afferenti esclusivamente alla sfera del danno non patrimoniale, avevano natura indennitaria ed erano state erogate indipendentemente dalla considerazione di pregiudizi di natura patrimoniale derivanti dallo stesso evento lesivo su cui era fondata la domanda dei genitori di risarcimento dei danni subiti iure proprio per effetto del decesso del figlio di conseguenza, in ossequio al principio della compensatio lucri cum damno, al fine di evitare un ingiustificato arricchimento allo stesso soggetto, e cioè al Ministero, venivano imposte due diverse attribuzioni patrimoniali in relazione al medesimo fatto lesivo , nel calcolo dell'entità del pregiudizio effettivamente subito, le somme corrisposte ai genitori a titolo indennitario dovevano essere scomputate dalle somme liquidabili a titolo di risarcimento del danno. Con l'unico motivo di ricorso incidentale Gi. Va., Pe. Se. e Cl. Va., denunciando -ex art. 360 n. 3 c.p.c. violazione degli artt. 2909 c.c. e 324 c.p.c., lamentano che la Corte territoriale non abbia dichiarato inammissibile l'appello, nonostante l'intervenuto giudicato formale e sostanziale formatosi nel corso del giudizio grazie al passaggio in giudicato della sentenza del Tribunale di Roma n. 11360 del 31-5/1-6-2012, avente ad oggetto il risarcimento del danno subito, per effetto dello stesso fatto lesivo, da Va. Stefano e Va. Caterina, altri fratelli del de cuis Va. Sa Il ricorso incidentale, da trattare con priorità in quanto involgente una questione logicamente preliminare, è infondato. Come, invero, già affermato da questa S.C-, in tema di giudicato, qualora due giudizi facciano riferimento ad uno stesso rapporto giuridico ed uno dei due si sia concluso con sentenza definitiva, il principio, secondo il quale l'accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe le cause preclude il riesame dello stesso punto, non trova applicazione allorché tra i due giudizi, come nel caso di specie, non vi sia identità di parti, essendo l'efficacia soggettiva del giudicato circoscritta, ai sensi dell'art. 2909 cod. civ., ai soggetti posti in condizione di intervenire nel processo Cass. 3187/2015 . I primi due motivi di ricorso principale, da trattare congiuntamente in quanto tra loro connessi, sono infondati. La Corte territoriale, invero, ha rigettato le doglianze concernenti il merito della controversia correlazione tra patologia tumorale ed uranio impoverito, illiceità del fatto per violazione degli artt. 2087 e 2050 c.c., esercizio della funzione istituzionale delle Forze Armate, inapplicabilità della regola sulla responsabilità aquiliana sia perché ritenute generiche ed aspecifiche sia perché comunque superate dalla condivisa e testualmente riportata motivazione dell'impugnata sentenza. Orbene, come già evidenziato da questa S.C., la sentenza di appello che si rifaccia alla motivazione della statuizione impugnata non è nulla, qualora le ragioni della decisione siano, in ogni caso, attribuibili all'organo giudicante e risultino in modo chiaro, atteso che il giudice del gravame può aderire a quella motivazione senza necessità, ove la condivida, di ripeterne tutti gli argomenti o di rinvenirne altri. Cass. 10937/2016 v. anche Cass. S.U. 642/2015 . Nel caso di specie la Corte territoriale ha espressamente fatto propria la motivazione addotta dal Tribunale, sicché non residua alcun dubbio sull'attribuibilità alla Corte medesima delle ragioni giustificative esposte siffatte ragioni appaiono, inoltre, chiare ed esaustive, nonché idonee a superare le su riportate censure concernenti il merito della controversia ed invero la Corte, pienamente condividendo -tra l'altro i giudizi espressi dalle costituite Commissioni mediche, ha ritenuto esistente non solo il collegamento causale tra l'attività espletata in missione dai militare e l'evoluzione della patologia tumorale obiettivamente diagnosticata e rappresentante la causa primaria del decesso ma anche il nesso causale tra il comportamento colposo dell'Autorità militare {mancata informazione adeguata del personale militare in. servizio, mancata pianificazione e valutazione degli elementi di rischio, mancata predisposizione e consegna delle misure di protezione individuale atte almeno a ridurre il rischio da affrontare e la detta patologia. Siffatto rigetto della censura concernente la motivazione sul merito della controversia comporta il superamento della doglianza riguardante l'affermata inammissibilità dell'appello per aspecificità, da ritenersi assorbita. Il terzo motivo è fondato. Con sentenze 12564 e 12565/2018 questa S.C. a sezioni unite ha, invero, ribadito che la compensatio lucri cum damno integrante un'eccezione in senso lato, rilevabile d'ufficio e proponibile per la prima volta anche in appello conf. Cass. 991/2014 opera in tutti i casi in cui sussista una coincidenza tra il soggetto autore dell'illecito tenuto al risarcimento e quello chiamato per legge ad erogare il beneficio, con l'effetto di assicurare al danneggiato una reintegra del suo patrimonio completa e senza duplicazioni nelfo specifico, poi, ha confermato che nelle ipotesi, quale quella in questione, in cui, pur in presenza di titoli differenti, vi sia unicità del soggetto responsabile del fatto illecito fonte di danni ed al contempo obbligato a corrispondere al danneggiato una provvidenza indennitaria, vale la regola del diffalco, dall'ammontare del risarcimento del danno, della posta indennitaria avente finalità compensativa. In conclusione, pertanto, vanno rigettati i primi due motivi di ricorso principale ed il ricorso incidentale va, invece, accolto il terzo motivo di ricorso principale e, per l'effetto, va cassata, in relazione al motivo accolto, l'impugnata sentenza, con rinvio per nuovo esame, alla luce del su indicato principio, alla Corte d'Appello di Roma, diversa composizione, che provvedere anche alla regolamentazione delle spese relative al presente giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte rigetta i primi due motivi di ricorso principale ed il ricorso incidentale accoglie il terzo motivo di ricorso principale cassa, in relazione al motivo accolto, l'Impugnata sentenza, con rinvio per nuovo esame alla Corte d'Appello di Roma, diversa composizione, che provvedere anche alla regolamentazione delle spese relative al presente giudizio di legittimità.