Escluso il giudizio secondo equità nelle controversie fra utente di pubblico servizio e monopolista esercente

L’esclusione dal giudizio secondo equità deve ritenersi estesa anche alle controversie che traggono origine da rapporti contrattuali che sono sottoposti ad uniformità di disciplina, perché intervenuti tra un utente ed un monopolista legale di un pubblico servizio, stante l’evidente esigenza di uniformità della decisione.

Sul punto la Corte di Cassazione con ordinanza n. 18346/18 depositata il 12 luglio. Il caso. Nel 2014 il Giudice di pace di Cervinara condannava la società Poste Italiane al pagamento, in favore di un avvocato, di una somma di denaro a titolo di indennizzo per il ritardo nella restituzione degli avvisi di ricevimento giudiziali spediti dall’avvocato stesso, nell’ambito della propria professione, e di risarcimento del danno da strepitus fori , ex art. 96 c.p.c Avverso il provvedimento del Giudice di pace la società proponeva ricorso in appello dinanzi al Tribunale di Avellino, il quale, con sentenza del 2016, dichiarava inammissibile il gravame. Pertanto, la società esperiva ricorso per Cassazione - avverso la decisione del giudice di secondo grado - fondato su sette motivi. L’avvocato resisteva con controricorso chiedendo che venisse dichiarata l’inammissibilità del ricorso proposto per violazione del c.d. principio di autosufficienza. Osservazioni della Corte di Cassazione. I Supremi giudici ritengono fondati i primi tre motivi del ricorso e assorbiti gli ulteriori. Con il primo motivo di impugnazione la società lamentava una violazione e falsa applicazione dell’art. 113 c.p.c., sostenendo che il giudice di secondo grado, nel dichiarare inammissibile l’appello proposto avesse posto a base della sua decisione il presupposto che il giudice di pace aveva deciso secondo equità. Con il secondo lamentava che il Tribunale avesse ritenuto, erroneamente, che l’atto di appello non conteneva i requisiti di cui al comma 3 dell’art. 339 c.p.c Col terzo si doleva del fatto che il giudice di secondo grado aveva sostenuto che l’atto introduttivo non conteneva l’indicazione dei motivi specifici dell’ impugnazione e che non era sufficiente una generica deduzione di un vizio della motivazione ma la specifica e chiara individuazione del vizio relativo alle norme processuali, alle norme costituzionali o ai principi informatori della materia. Con i restanti quattro motivi la società denunciava che il Tribunale avesse ritenuto infondata l’eccezione di legittimazione passiva di Poste Italia, deducendo che, ai sensi della l. n. 890/82, il rapporto dal quale scaturiva la richiesta di indennizzo avrebbe dovuto avere come contraenti esclusivamente l’avvocato e l’Ufficio notifiche competente che era stata eccepita, nell’appello, la violazione dei principi di correttezza e buonafede ravvisabile nel fatto che l’avvocato aveva frazionato il suo credito unitario in più cause proposte dallo stesso e connesse per oggetto e per titolo, configurando un abuso del diritto che era stata eccepita la violazione degli artt. 1469- bis ss c.c., in quanto l’avvocato, agendo come libero professionista e non come consumatore, aveva impropriamente radicato la competenza territoriale nel luogo di residenza mentre avrebbe dovuto seguire i criteri di cui all’art. 19 o 20 c.p.c. che la norma violata e falsamente interpretata dell’art. 6, l. 890/82 prevede che lo smarrimento dell’avviso di ricevimento non dà diritto ad alcuna indennità ma l’amministrazione postale è tenuta a rilasciare senza spese un duplicato facendolo avere al mittente nel più breve tempo possibile. Ad avviso dei Supremi Giudici, nella fattispecie in esame trova applicazione un principio già affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo il quale l’esclusione dal giudizio secondo equità deve ritenersi estesa anche alle controversie che traggono origine da rapporti contrattuali che sono sottoposti ad uniformità di disciplina, perché intervenuti tra un utente ed un monopolista legale di un pubblico servizio, stante l’evidente esigenza di uniformità della decisione. Per la Corte di Cassazione l’invio di una raccomandata tramite il servizio postale, nonostante l’intervenuta privatizzazione della s.p.a. Poste Italiane, viene a creare un rapporto che si caratterizza per la posizione dominante della società e per l’evidente necessità che le relative controversie siano trattate con regole uguali per tutti i fruitori del servizio. Conclusione. La Terza Sezione civile della Corte di Cassazione, con l’ordinanza in oggetto, accoglie i primi tre motivi di ricorso, ritenendo che, contrariamente a quanto sostenuto dal giudice di appello, la società ricorrente abbia proposto un gravame conforme ai requisiti prescritti dagli artt. 339, comma 3, e 342 c.p.c. I restanti quattro motivi sono ritenuti assorbiti. Cassa la sentenza impugnata e rinvia al Tribunale di Avellino il quale, in diversa composizione monocratica, dovrà procedere a un nuovo esame dell’atto di appello, e altresì alla regolamentazione delle spese processuali tra le parti, anche in relazione al giudizio di legittimità.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 11 maggio – 12 luglio 2018, n. 18346 Presidente Vivaldi – Relatore Gianniti Fatto e diritto rilevato che 1. Il Tribunale di Avellino con sentenza n. 1344/2016 ha dichiarato inammissibile l’appello proposto da Poste Italiane s.p.a. avverso la sentenza n. 300/2014 con la quale il Giudice di Pace di Cervinara, definendo i giudizi riuniti nn. 1016-1057/2013, aveva condannato Poste Italia al pagamento in favore dell’avv. C.G. di somme, analiticamente indicate, a titolo di indennizzo ai sensi della Carta di Qualità Poste Italiane s.p.a. del 29/11/2012 per il ritardo nella restituzione degli avvisi di ricevimento giudiziali spediti dall’avv. C. , nell’ambito della propria professione, e di risarcimento del danno da strepitus fori ex art. 96 c.p.c 2. Poste Italiane ricorre avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Avellino, quale giudice di appello, articolando 7 motivi. Resiste con controricorso l’avv. C. , il quale chiede dichiararsi l’inammissibilità del ricorso per violazione del c.d. principio di autosufficienza. In vista dell’odierna adunanza le Poste depositano memoria nella quale insistono nell’accoglimento del ricorso, richiamando l’ordinanza n. 25060 del 23 ottobre 2017 di questa Sezione. ritenuto che 1. Le Poste Italiane denunciano, in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c. - violazione e falsa applicazione dell’art. 113 c.p.c. al riguardo, lamentano che il giudice di secondo grado ha posto a base della sua pronuncia di inammissibilità il presupposto che il Giudice di Pace aveva deciso secondo equità. Deducono che detto presupposto è erroneo in quanto la notifica di atti a mezzo posta e di comunicazione a mezzo posta connesse con la notificazione di atti giudiziari è fattispecie tipizzata dall’art. 6 della legge n. 890/1982 come si desume anche dall’art. 2 comma 2 lettera e dell’Allegato A della delibera AGCOM del 20 giugno 2013, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 165/2013 - violazione e falsa applicazione dell’art. 339 comma 3 c.p.c. al riguardo, lamentano che il giudice di secondo grado ha erroneamente ritenuto che l’atto di appello non conteneva i requisiti previsti dall’art. 339 comma 3. Deducono che al contrario l’atto di appello conteneva, in relazione alle eccezioni sollevate, i dovuti riferimenti a violazioni di principi regolatori della materia e delle norme sul procedimento. In particolare, con il terzo motivo era stata impugnata l’omessa motivazione del Giudice di Pace sull’eccezione di legittimazione passiva di Poste Italiane, in quanto ex art. 1 della legge n. 890/1982, il rapporto dal quale scaturiva la richiesta di indennizzo avrebbe dovuto avere come contraenti esclusivamente l’avv. C. e l’Ufficio Unep competente mentre con il primo motivo aveva eccepito la violazione dei principi di correttezza e buona fede, in quanto il frazionamento di un credito unitario di più cause proposte dalla stessa parte e connesse per oggetto e per titolo configuravano un abuso del diritto - violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c. al riguardo lamentano che il giudice di secondo grado ha sostenuto che l’atto introduttivo non conteneva l’indicazione dei motivi specifici dell’impugnazione e che non era sufficiente una generica deduzione di un vizio della motivazione ma la specifica e chiara individuazione del vizio relativo alle norme processuali, alle norme costituzionali oppure ai principi informatori della materia . Sostengono che l’art. 434 comma 1 c.p.c. come novellato dall’art. 54 comma 1 lettera c bis del d.l. 83/2012, convertito nella legge n. 134/2012 impongono all’appellante esclusivamente di formulare le proprie deduzioni in modo da consentire al giudice di individuare agevolmente i punti critici della sentenza e gli elementi giuridici posti a sostegno del gravame. D’altronde, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, l’atto di appello conteneva tutti gli elementi previsti dall’art. 342 c.p.c. in tutte le sue parti era stata riportata la norma regolatrice della materia erano state trascritte le parti della sentenza che disponevano sull’eccezione di competenza territoriale, sull’accoglimento della domanda e sulla condanna ex art. 96 c.p.c. ed era stato formulato un progetto di riforma della sentenza su detti punti - violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 6 della legge n. 890/1982 c.p.c. al riguardo, 0 lamentano che il giudice di secondo grado ha ritenuto infondata l’eccezione di legittimazione passiva. Deducono che nel sistema delineato dalla legge n. 890/1982 il rapporto si instaura unicamente in ragione del mandato tra l’avvocato che deve notificare l’atto e l’ufficio notifiche che effettua il servizio richiesto - violazione e falsa applicazione dell’art. 1175 c.c. al riguardo, lamentano che nel primo motivo dell’atto di appello era stata eccepita la violazione dei principi di correttezza e buona fede ravvisabile nel fatto che l’avv. C. aveva frazionato il suo credito unitario in più cause proposte dallo stesso e connesse per oggetto e per titolo. Deducono che il giudice di pace avrebbe dovuto dichiarare l’improcedibilità dei singoli ricorsi alla luce di quanto statuito da questa Corte regolatrice nella sentenza n. 15476/2008 ed avrebbe dovuto valutare le spese legali come se unico fosse stato il procedimento fin dall’origina - violazione e falsa applicazione dell’art. 1469 bis c.c. al riguardo deducono che in appello avevano eccepito la violazione degli artt. 1469 bis e ss. c.c. in quanto l’avv. C. aveva agito in giudizio non come consumatore, ma come libero professionista, radicando impropriamente la competenza territoriale nel luogo di residenza mentre avrebbe dovuto essere radicata davanti al giudice di Pace di Roma, applicando il criterio che l’art. 19 dispone in caso in cui convenuta sia una persona giuridica, o di Avellino, applicando il criterio che l’art. 20 prevede nel caso di diritti di obbligazione - violazione e falsa applicazione dell’art. 6 della legge n. 890/1982 al riguardo deducono che la norma violata o falsamente interpretata prevede che lo smarrimento dell’avviso di ricevimento non dà diritto ad alcuna indennità, ma l’amministrazione postale è tenuta a rilasciare senza spese un duplicato nella specie neppure richiesto e farlo avere al mittente nel più breve tempo possibile. La preventiva diffida che l’avv. C. aveva dedotto a sostegno della richiesta di condanna per responsabilità aggravata, pertanto, proprio perché atto stragiudiziale, non era idonea a giustificare l’accoglimento della domanda. 2. I primi tre motivi sono fondati. 2.1. In ordine al primo motivo, il Collegio rileva che questa Corte ha già interpretato la formula dell’art. 113, secondo comma, cit., nel senso che l’esclusione dal giudizio secondo equità deve ritenersi estesa anche alle controversie che traggono origine da rapporti contrattuali che sono sottoposti ad uniformità di disciplina perché intervenuti tra un utente ed un monopolista legale di un pubblico servizio, stante l’evidente esigenza di uniformità della decisione sentenza 8 maggio 2007, n. 10394 . Tale giurisprudenza deve trovare applicazione anche nel caso in esame, poiché l’invio di una raccomandata tramite il servizio postale, nonostante l’intervenuta privatizzazione della s.p.a. Poste Italiane, viene a creare un rapporto che si caratterizza per la posizione dominante della società e per l’evidente necessità che le relative controversie siano trattate con regole uguali per tutti i fruitori del servizio. 2.2. Fondati sono anche il secondo ed il terzo motivo, che si trattano congiuntamente in quanto connessi. In punto di fatto si rileva che Poste Italiane, nel proporre appello davanti al Tribunale di Avellino a hanno eccepito che le domande dedotte in giudizio con identico patrocinio legale e connesse per l’oggetto e per il titolo rappresentavano frazionamento del credito unitario, così configurando violazione dei principi di correttezza e buona fede previsti dall’art. 1175 c.c. b hanno impugnato la violazione delle norme sul procedimento legata alla competenza territoriale, in quanto il c.d. foro del consumatore , in tesi difensiva, non attribuisce al professionista, che agisce in giudizio per scopi inerenti la sua attività professionale e non come semplice consumatore , la facoltà di radicare la competenza presso la sua residenza corrispondente all’ufficio del Giudice di Pace di Cervinara c hanno eccepito l’omessa motivazione sulla loro legittimazione passiva, deducendo che il rapporto dedotto in giudizio relativo alla notifica dell’atto giudiziario aveva come parti esclusive l’ufficio Unep competente e l’avvocato richiedente la notifica d hanno impugnato la sentenza del giudice di pace di Cervinara nella parte in cui questi, in tesi difensiva violando quanto previsto dalla legge speciale n. 890/82, aveva stabilito che l’indennizzo spettante è legato alla violazione dello standard predefinito e hanno contestato la violazione dell’art. 13 del d.l. n. 212/2011 in tema di liquidazione delle spese processuali, nonché la violazione dell’art. 96 c.p.c., in quanto la normativa di riferimento prevede la condanna soltanto nell’ambito di attività endo processuali. Contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di appello, Poste Italiane, eccependo ed impugnando come sopra indicato, hanno proposto un atto di appello conforme ai requisiti prescritti dall’art. 339 comma 3 c.p.c. le eccezioni sollevate, invero, contenevano tutti i necessari riferimenti a violazioni di principi regolatori della materia e delle norme sul procedimento. D’altro canto l’atto di appello conteneva tutti gli elementi previsti dall’art. 342 c.p.c. in particolare, al punto 3, riportava la parte della sentenza impugnata e la norma regolatrice della materia violata rappresentata dalla legge speciale n. 890/1982 riportava la parte della sentenza che disponeva sull’eccezione di competenza territoriale, la relativa censura ed il relativo progetto di riforma della sentenza riportava la parte della sentenza nella quale veniva motivato l’accoglimento della domanda, la relativa censura ed il relativo progetto di riforma riportava la parte della sentenza nella quale il Giudice di Pace aveva motivato la condanna ex art. 96 c.p.c. nella misura di Euro 3.360, l’indicazione della norma violata ed il relativo progetto di riforma. 3. Ne consegue che, assorbiti gli ulteriori motivi di ricorso, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio al Tribunale di Avellino, che, in diversa composizione monocratica, dovrà procedere a nuovo esame dell atto di appello, tenendo conto di quanto sopra statuito. P.Q.M. La Corte - accoglie i primi tre motivi di ricorso e, ritenuti assorbiti gli altri proposti motivi, cassa la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Avellino perché, in diversa composizione monocratica proceda a nuovo esame dell’atto di appello alla luce di quanto sopra statuito - demanda al predetto tribunale, quale giudice di rinvio, la regolamentazione delle spese processuali tra le parti anche in relazione al presente giudizio di legittimità.