Lesione della capacità lavorativa generica: la presunzione copre solo l’an dell'esistenza del danno

Il danno patrimoniale futuro, derivante da lesioni personali, va valutato su base prognostica ed il danneggiato può avvalersi anche di presunzioni semplici, sicché, provata la riduzione della capacità di lavoro specifica, se essa non rientra tra i postumi permanenti di piccola entità, è possibile presumere, salvo prova contraria, che anche la capacità di guadagno risulti ridotta nella sua proiezione futura – non necessariamente in modo proporzionale – qualora la vittima già svolga un’attività lavorativa.

Tale presunzione, peraltro, copre solo l’an dell’esistenza del danno, mentre, ai fini della sua quantificazione, è onere del danneggiato dimostrare la contrazione dei suoi redditi dopo il sinistro, non potendo il Giudice, in mancanza, esercitare il potere di cui all’art. 1226 c.c., perché esso riguarda solo la liquidazione del danno che non possa essere provato nel suo preciso ammontare, situazione che, di norma, non ricorre quando la vittima continui a lavorare e produrre reddito e, dunque, può dimostrare di quanto quest’ultimo sia diminuito. La fattispecie. Il ricorrente ha impugnato avanti alla Corte di Cassazione la sentenza della Corte di Appello di Catanzaro con la quale era stato rigettato l’appello proposto dallo stesso avverso la decisione del Tribunale della medesima località che aveva, previo accertamento dell’esclusiva responsabilità nella causazione di un sinistro stradale occorso con il ricorrente da parte del resistente, condannato quest’ultimo e la sua compagnia di assicurazione al pagamento in favore del ricorrente di oltre quattrocentomila Euro a titolo di danno permanente alla salute pari a un’invalidità del 45%, incompatibile con l’attività lavorativa di installatore di una ditta di infissi, già svolta dal ricorrente. Il ricorrente ha impugnato la decisione nella misura in cui la Corte territoriale ha imputato allo stesso di non aver dimostrato che alla perdita di capacità lavorativa specifica, cioè di continuare a svolgere lo stesso lavoro che faceva prima del sinistro, si fosse accompagnata anche una perdita della capacità lavorativa generica, cioè in altri termini di esercitare una qualsiasi attività lavorativa. Il danno patrimoniale futuro deve essere valutato su base prognostica. Rigettando il ricorso gli Ermellini hanno statuito come i motivi di gravame non colgano la ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale ha rilevato che non era stata data prova della incidenza dei postumi invalidanti ai fini dello svolgimento di qualsiasi attività lavorativa e, quindi, ha ragionato di mancata dimostrazione del venir meno della capacità lavorativa generica, intesa come idonea a consentire al danneggiato di conseguire un reddito equivalente a quello che gli garantiva il lavoro già svolto. Infatti, secondo il costante orientamento della Corte di Cassazione, il danno patrimoniale futuro, derivante da lesioni personali, va valutato su base prognostica ed il danneggiato può avvalersi anche di presunzioni semplici, sicché, provata la riduzione della capacità di lavoro specifica, se essa non rientra tra i postumi permanenti di piccola entità, è possibile presumere, salvo prova contraria, che anche la capacità di guadagno risulti ridotta nella sua proiezione futura – non necessariamente in modo proporzionale – qualora la vittima già svolga un’attività lavorativa. Tale presunzione, peraltro, copre solo l’ an dell’esistenza del danno, mentre, ai fini della sua quantificazione, è onere del danneggiato dimostrare la contrazione dei suoi redditi dopo il sinistro, non potendo il Giudice, in mancanza, esercitare il potere di cui all’art. 1226 c.c., perché esso riguarda solo la liquidazione del danno che non possa essere provato nel suo preciso ammontare, situazione che, di norma, non ricorre quando la vittima continui a lavorare e produrre reddito e, dunque, può dimostrare di quanto quest’ultimo sia diminuito.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 22 novembre 2017 - 15 giugno 2018, numero 15737 Presidente Travaglino – Relatore Frasca Fatto e diritto Rilevato che 1. S.G. ha proposto ricorso per cassazione contro la Generali Business Solutions s.p.a., quale procuratore della società mandante Ina Assitalia s.p.a., e N.S.R. , avverso la sentenza del 29 ottobre 2014, con la quale la Corte d’Appello di Catanzaro ha rigettato il suo appello avverso la sentenza del settembre 2012, con cui il Tribunale di Catanzaro, previo accertamento dell’esclusiva responsabilità del N. nella causazione di un sinistro stradale occorso con esso attore, aveva condannato il N. e l’assicuratrice Ina Assitalia, quale impresa designata ai sensi dell’art. 286 del d.lgs. numero 209 del 2005, al pagamento ad esso ricorrente della somma di Euro 464.456,27, oltre accessori, a titolo di danno permanente alla salute pari ad un invalidità del 45% incompatibile con l’attività lavorativa di installatore di una ditta di infissi, già svolta dal S 2. Al ricorso per cassazione, che propone tre motivi, ha resistito con controricorso la Generali Italia s.p.a., già Ina Assitalia s.p.a., in qualità di impresa designata ex art. 286 d.lgs. numero 209 del 2005, tramite la propria mandataria e rappresentante per atto notarile Generali Business Solutions S.c.p.a 3. La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis.1, cod. proc. civ. e non sono state depositate conclusioni scritte dal Pubblico Ministero, mentre sono state depositate memorie dalle parti. 4. La memoria della resistente è stata depositata tardivamente. Considerato che 1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 1226, 2043, 2056, 2697 e 2729 c.c. nonché dell’art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1°, numero 2 c.p.c. . Il motivo è dedotto ai sensi del numero 2 dell’art. 360 cod. proc. civ. in modo evidentemente erroneo, ma per evidente errore materiale, come lo stesso ricorrente precisa nella memoria. L’eccezione di inammissibilità formulata dalla parte resistente sotto il profilo della non pertinenza del detto paradigma alle censure prospettate, è priva di fondamento, atteso che se dalla stessa intestazione del motivo emerge in modo evidente che il paradigma de quo è inadeguato nel contempo emerge che quello corretto, cioè idoneo in relazione alle norme di cui si lamenta la violazione è il numero 3 dell’art. 360 per quelle del codice civile e il numero 4 per quella dell’art. 115 cod. proc. civ., trattandosi di norma del procedimento. Sicché, l’esatta percezione della collocazione del motivo nel quadro dell’art. 360 cod. proc. civ. non abbisogna nemmeno della lettura dell’illustrazione del motivo. 1.1. Ciò premesso, il Collegio rileva che l’illustrazione del motivo riproduce innanzitutto, dalle ultime sei righe della pagina 5 sino alla penultima della pagina 7, la parte della motivazione della sentenza impugnata che intende sottoporre a critica. Essa è del seguente tenore Ritiene poi la Corte che l’appello sia infondato e debba essere, conseguentemente, rigettato. Invero il Tribunale, nel liquidare la somma di Euro 142.594,00, per complessivo danno non patrimoniale in senso ampio, nella misura pari a circa il 45% di quanto liquidato a titolo di danno biologico ha indubbiamente ricompreso in essa il danno prospettato dalla parte quale derivante dalla perdita della capacità lavorativa specifica, considerandolo però quale danno da perdita da capacità lavorativa generica. Tale valutazione è condivisa dal Collegio. La giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione ha costantemente statuito, in tema di risarcimento del danno da invalidità personale, che l’accertamento di postumi, incidenti con una certa entità sulla capacità lavorativa specifica, non comporta automaticamente l’obbligo del danneggiato di risarcire il pregiudizio patrimoniale conseguente alla riduzione della capacità di guadagno derivante dalla diminuzione della predetta capacità e, quindi, di produzione di reddito, occorrendo, invece, ai fini della risarcibilità di un siffatto danno patrimoniale, la concreta dimostrazione che la riduzione della capacità lavorativa si sia tradotta in un effettivo pregiudizio economico Cass. 12 febbraio 2013, numero 3290 . La relativa prova incombe al danneggiato, il quale è tenuto a dimostrare di non aver mantenuto, dopo l’infortunio, una capacità generica di attendere ad altri lavori confacenti alle sue attitudini e condizioni personali Cass. 11 dicembre 2012, numero 22638 , ed altrimenti idonei alla produzione di altre fonti di reddito, in luogo di quelle perse o ridotte Cass. 27/06/2013, numero 16213 Cass. 20/10/2005, numero 20321 . Nella specie, premesso che la consulenza tecnica di ufficio ha accertato che i postumi invalidanti del 45% sono incompatibili con l’attività lavorativa svolta dal S. , e con attività della stessa categoria, e non che le lesioni riportate impediscano al S. l’espletamento di qualsiasi attività lavorativa, è rimasta del tutto indimostrata la incapacità del medesimo a svolgere altri lavori, altrimenti idonei alla produzione di altre fonti di reddito, in luogo di quelle perse o ridotte. È da tenere presente, infatti, che il S. risulta licenziato per superamento del periodo di comporto e non per l’impossibilità di svolgere altra attività lavorativa alle dipendenze della ditta presso cui lavorava. Mentre poi la certificazione dell’ufficio di disoccupazione risale al 15 febbraio 2007 con la dicitura Il presente certificato viene rilasciato . con VALIDITÀ soltanto se l’interessato conservi, al momento dell’uso, la percentuale di invalidità sopra indicata e lo stato di effettiva disoccupazione ., nessun valore nel presente procedimento può attribuirsi alle autocertificazioni della stato di disoccupazione dell’il aprile 2012 e del 13 marzo 2013 quest’ultimo peraltro prodotto nei presente grado . Invero, la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, pur avendo attitudine certificativa e probatoria fino a contraria risultanza nei confronti della p.a., non ha alcun valore probatorio, neanche indiziario, nel giudizio civile, caratterizzato dal principio dell’onere della prova, tenuto conto che la parte non può derivare da proprie dichiarazioni elementi di prova a proprio favore e che solo la, non contestazione o l’ammissione di controparte possono esonerare dallo onus probandi v. tra le tante Cass. 23/07/2010, numero 17358 Cass. 28/01/2004, numero 1562 . In mancanza di una prova nel senso sopra indicato, quindi il Tribunale ha liquidato la perdila della capacità lavorativa specifica, come danno da incapacità lavorativa generica da includere nella determinazione del danno non patrimoniale ”. Mette conto di rilevare che con questa motivazione la corte territoriale ha imputato al ricorrente - dando anche implicita spiegazione dell’assunto preliminare che comunque una liquidazione di danno da perdita di capacità lavorativa generica vi fosse stata in seno alla liquidazione del danno non patrimoniale in buona sostanza per essere stata essa troppo alta - di non avere dimostrato che alla perdita di capacità lavorativa specifica, cioè di continuare a svolgere lo stesso lavoro che faceva prima del sinistro, si fosse accompagnata anche una perdita della capacità lavorativa generica, cioè in altri termini di esercitare una qualsiasi attività lavorativa. Questo è il senso del rilievo che la consulenza tecnica aveva sì accertato postumi invalidanti del 45% tali da impedire al S. di svolgere l’attività lavorativa già svolta e attività della stessa categoria , ma non risultava la prova da parte sua della impossibilità, in ragione di quei postumi, di svolgere qualsiasi altra attività lavorativa. 1.2. La critica alla riportata motivazione si sostanzia innanzitutto adducendo che le sue argomentazioni sarebbero state completamente estranee all’iter argomentativo che ha condotto alla decisione di primo grado in cui è proprio omessa ogni considerazione del danno da lucro cessante, derivante da riduzione della capacità di lavoro specifica . Tale assunto è spiegato assumendo in primo luogo che la c.t.u. disposta in primo grado, di cui si riporta un passo, aveva accertato postumi determinativi di un danno alla salute del 45% ed aveva rilevato che tali postumi risultano incompatibili con l’attività lavorativa specifica svolta dal soggetto operaio, installatore in una ditta di infissi, e risultano altresì incompatibili con attività della stessa categoria . Segue l’evocazione del principio di diritto di cui a Cass. nnumero 2644 del 2013, 11361 del 2014 e 1690 del 2008, senza che si dia alcuna spiegazione della sua rilevanza. Successivamente si sostiene che il S. aveva dimostrato che, al momento del sinistro, svolgeva un’attività lavorativa produttiva di reddito ed all’uopo viene indicata come prodotta la seguente documentazione la lettera di licenziamento per superamento del periodo di comporto, certificato del Centro per l’Impiego di Locri attestante l’iscrizione nella categoria degli invalidi civili con 61% di invalidità ai sensi dell’art. 8, comma 1, legge numero 68 del 1999 in funzione della dimostrazione del proprio stato di disoccupazione, producendo, di avere dimostrato di non avere prodotto redditi alla data del 26 aprile 2011, producendo modello ISEE a suo dire dimostrativo del non avere prodotto redditi alla data del 26 aprile 2011, autocertificazione dello stato di disoccupazione datata 11 aprile 2012, autocertificazione del 13 marzo 2013 che si dice prodotta in appello perché successiva alla sua introduzione sempre relativa allo stato di disoccupazione. Dopo l’evocazione di tali produzioni si asserisce che dagli accertamenti medici acquisiti e dalla documentazione prodotta risulta che il S. abbia dato prova della riduzione della capacità di lavoro specifica della circostanza che al momento del sinistro lavorava e produceva un determinato e comprovato reddito che a seguito e per effetto del sinistro dopo il licenziamento, sia rimasto disoccupato. E pertanto, anche in forza di presunzione semplici, la prova utile ai fini della quantificazione e liquidazione del danno oltre che della sua sussistenza deve ritenersi raggiunta . Si asserisce ancora che, soprattutto quanto alla produzione delle autocertificazioni, l’INA Assitalia non aveva mai specificamente contestato i fatti allegati, cioè lo stato di disoccupazione e la circostanza che il S. non producesse più alcun reddito, onde la corte territoriale avrebbe dovuto porre a fondamento, ai sensi dell’art. 115 cod. proc. civ., i fatti non contestati, sicché, l’aver addebitato al S. l’omessa dimostrazione di non aver potuto lavorare in conseguenza del sinistro significa, da una parte attribuire alla persona danneggiata l’onere di fornire una prova negativa e, dall’altra, il mancato utilizzo della prova presuntiva . Per tali ragioni erroneamente la corte calabrese avrebbe opinato che il primo giudice abbia voluto escludere il danno da perdita di capacità di lavoro specifica in realtà nemmeno considerato , limitandosi a liquidate il danno da perdita di capacità di lavoro generico . 1.3. Il motivo non può trovare accoglimento. In primo luogo si rileva che nella illustrazione non vengono evocate le norme del codice civile indicate nell’intestazione, ma ci si limita a dolersi che, sulla base di una serie di risultanze documentali, la corte territoriale avrebbe dovuto desumere la prova della riduzione della capacità lavorativa specifica. Ne segue che la struttura dell’illustrazione del motivo si sostanzia nella prospettazione che la corte di merito avrebbe dovuto sulla base delle emergenze dei documenti evocati desumere l’esistenza in fatto di una situazione evidenziatrice della riduzione della capacità lavorativa specifica. Sotto tale profilo l’illustrazione postula che la corte territoriale avrebbe dovuto desumere dai documenti una certa ricostruzione del fatto, che poi avrebbe potuto giustificare la conclusione che la riduzione della capacità lavorativa specifica era stata data. Il motivo, sotto tale profilo, sollecita, sotto le mentite spoglie della denuncia di violazione delle norme, una rivalutazione della situazione fattuale siccome emergente dalle indicate risultanza documentali e, dunque, un controllo della motivazione sulla ricostruzione della quaestio facti. Tanto gli assegna il valore sostanziale di un motivo che si colloca al di fuori dei limiti entro i quali Cass., Sez. Unumero numero 8053 e 8054 del 2014 hanno, nel nuovo regime del numero 5 dell’art. 360 cod. proc. civ. confinato il controllo sulla motivazione relativa alla ricostruzione della detta quaestio, là dove hanno espunto dal detto paradigma l’omessa considerazione di risultanza probatorie. Si aggiunga che la deduzione della violazione del paradigma dell’art. 2697 cod. civ. proprio per tale ragione risulta esorbitare dalle modalità che Cass., Sez. Unumero , numero 16598 ha assegnato ad essa, statuendo che la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura se il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’ onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costitutivi ed eccezioni . Nella specie, invece, la violazione dell’art. 2697 cod. civ. è dedotta come risultante dalla omessa considerazione delle risultanze probatorie rassegnate e sotto tale profilo finisce per essere, per così dire, un vizio derivato dalla ricostruzione del fatto sulla base di esse, di modo che la vera sostanza del motivo è di postulare in primis un sindacato sulla ricostruzione della quaestio facti esorbitante dal concetto dell’omesso esame di cui al nuovo numero 5 dell’art. 360 cod. proc. civ Il Collegio rileva, poi, che il riferimento all’unica norma della intestazione del motivo evocate nella illustrazione, cioè l’art. 115 cod. proc. risulta del tutto generico, atteso che non si dice dove e come si sarebbe verificata la pretesa non contestazione, con conseguente violazione dell’art. 366 numero 6 cod. proc. civ In fine, si deve aggiungere che il motivo nemmeno coglie la ratio decidendi , la quale ha rilevato che non era stata data prova della incidenza dei postumi invalidanti ai fini dello svolgimento di qualsiasi attività lavorativa e, quindi, ha ragionato di mancata dimostrazione del venir meno della capacità lavorativa generica, intesa come idonea a consentire, evidentemente al S. di conseguire un reddito equivalente a quello che gli garantiva il lavoro già svolto come rivela il riferimento alla ragione del licenziamento infatti, ragiona di capacità lavorativa specifica. Deve, poi, ricordarsi, che è stato sottolineato che Il danno patrimoniale futuro, derivante da lesioni personali, va valutato su base prognostica ed il danneggiato può avvalersi anche di presunzioni semplici, sicché, provata la riduzione della capacità di lavoro specifica, se essa non rientra tra i postumi permanenti di piccola entità, è possibile presumere, salvo prova contraria, che anche la capacità di guadagno risulti ridotta nella sua proiezione futura - non necessariamente in modo proporzionale - qualora la vittima già svolga un’attività lavorativa. Tale presunzione, peraltro, copre solo l’ an dell’esistenza del danno, mentre, ai fini della sua quantificazione, è onere del danneggiato dimostrare la contrazione dei suoi redditi dopo il sinistro, non potendo il giudice, in mancanza, esercitare il potere di cui all’art. 1226 cod. civ., perché esso riguarda solo la liquidazione del danno che non possa essere provato nel suo preciso ammontare, situazione che, di norma, non ricorre quando la vittima continui a lavorare e produrre reddito e, dunque, può dimostrare di quanto quest’ultimo sia diminuito . Cass. numero 11361 del 2014 . Principio il quale si attaglia alla fattispecie, tenuto conto che ciò che la sentenza ha addebitato al ricorrente è di non avere assolto agli oneri probatori. 2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 1226, 2043, 2056, 2697 e 2729 c.c. nonché degli artt. 324 c.p.c. e 2909 c.c. in relazione all’art. 360, comma 1, numero 2 c.p.c. . Il motivo critica la ulteriore motivazione che la Corte di merito ha enunciato dopo quella oggetto della critica svolta nel primo motivo, così esprimendosi A prescindere da quanto sopra, osserva inoltre la Corte, anche a voler quantificare il danno come perdita della capacità lavorativa specifica, che in realtà e in concreto la quantificazione operata dal Tribunale, includa in sé tale danno anche considerandolo in tal senso. Si vuole cioè dire che il Tribunale, pur denominando erroneamente il danno da capacità lavorativa specifica come danno non patrimoniale, lo avrebbe in realtà sostanzialmente liquidato. Infatti, precisato che la percentuale di perdita da capacità lavorativa specifica deve essere individuata nel 45% e non nel 100 % non avendo il consulente di ufficio sostenuto, come sopra già rilevato, che il S. sia incapace di svolgere qualsiasi attività lavorativa come ritenuto dall’appellante, prendendo in considerazione i medesimi altri dati utilizzati dal predetto appellante nella quantificazione di tale voce di danno, si otterrebbe la somma di Euro 118.038,56 derivante dai seguente calcolo Euro 15.512,00 x 45% x 16,91 , senza peraltro operare la decurtazione diversamente da quanto effettuato dall’appellante nella misura percentuale relativa allo scarto tra vita fisica e vita lavorativa, in applicazione del principio statuito sul punto dalla Suprema Corte di Cassazione v. tra le altre Cass. 2/11/2011, numero 22709 Cass. 2/07/2010, numero 15738 . E l’importo liquidato dal Tribunale a titolo di danno non patrimoniale è pari alla somma di Euro 142.594,00, comprensiva, con ogni evidenza, della somma appena determinata di Euro 118.038,56. In proposito non è superfluo evidenziare che, prendendo in esame le Tabelle del Tribunale di Milano dell’anno 2011, emerge che importo di Euro 295.404.00 liquidato dal Tribunale per danno da invalidità permanente pari al 45% corrisponde esattamente alla somma determinata nelle stesse tabelle già comprensiva dell’aumento per il danno non patrimoniale c.d. punto danno non patrimoniale . È da ricordare a questo punto che la Suprema Corte di Cassazione, nello statuire che la liquidazione equitativa del danno non patrimoniale conseguente alla lesione dell’integrità psico-fisica deve essere effettuata da tutti i giudici di merito, in base a parametri uniformi, che vanno individuati fatta eccezione per le lesioni di lieve entità causate dalla circolazione di veicoli e natanti, per le quali vige un’apposita normativa nelle tabelle elaborate dal Tribunale di Milano, da modularsi secondo le circostanze del caso concreto Cass. 7 giugno 2011, numero 12408 , ha puntualizzato che tali tabelle non hanno mai cancellato la fattispecie del danno morale intesa come voce integrante la più ampia categoria del danno non patrimoniale tali tabelle, intatti, propongono la liquidazione congiunta del danno non patrimoniale conseguente alla lesione permanente dell’integrità psicofisica suscettibile di accertamento medico legale e del danno non patrimoniale conseguente alle medesime lesioni in termini di dolore, dolore, sofferenza soggettiva in via di presunzione in riferimento a un dato tipo di lesione, vale a dire la liquidazione congiunta dei pregiudizi in passato liquidati a titolo di danno biologico standard, personalizzane del danno biologico, danno morale Cass. 12 settembre 2011, numero 18641 Cass. 30 dicembre 2011, numero 30668 . In sostanza, le tabelle del Tribunale di Milano, contengono già nei valori espressi una valutazione congiunta del danno non patrimoniale derivante permanente all’integrità psicofisica e del danno non patrimoniale derivante dalla stessa lesione in termini di dolore e sofferenza soggettiva. Il giudice è tenuto poi ad aumentare i valori espressi nelle tabelle solo in presenza di un’allegazione su cui possa fondarsi una particolare e specifica personalizzazione del danno. Consegue che il Tribunale, nell’attribuire la ulteriore somma di Euro 142.594,00 per danno non patrimoniale , ha finito per riconoscere al S. un ulteriore importo per una specifica personalizzazione, peraltro superando il limite massimo del 25% previsto nelle utilizzate tabelle del Tribunale di Milano. Tenuto conto di quanto sopra, appare evidente che il primo giudice abbia già liquidato quanto sarebbe spettato al S. a titolo di perdita da capacità lavorativa specifica al 45% . In pratica la corte catanzarese ha ritenuto - con ciò spiegando l’assunto preliminare che apriva la prima parte della motivazione oggetto del primo motivo e sopra riportata - che la misura dell’importo di Euro 142.594,00, in quanto eccedente quella liquidabile secondo le note tabelle, si fosse concretata in una personalizzazione diretta a coprire il danno da perdita della capacità lavorativa specifica. 2.1. La critica alla riportata motivazione si sviluppa adducendo per un verso che la corte di merito sarebbe incorsa in una mera supposizione nell’attribuire alla liquidazione operata dalla sentenza in primo grado riguardo al danno non patrimoniale, il significato di avere pro parte liquidato pure il danno da perdita della capacità lavorativa specifica, costituente invece danno patrimoniale e, per altro verso, nel sostenere che sulla riconduzione dell’importo considerato dalla corte calabra all’ambito del danno non patrimoniale si era formata cosa giudicata interna per no esservi stato impugnazione in appello della sentenza di primo grado né da parte dell’INA Assitalia né da parte del S. . 2.2. Lo scrutinio della ratio decidendi criticata con il secondo motivo, una volta rigettato il primo e consolidatasi la motivazione sopraricordata con esso criticata, cioè quella basata sul mancato assolvimento dell’onere della prova di non poter voler svolgere alcun lavoro, diventa inutile, pur dovendosi concedere che essa in prima battuta potrebbe apparire certamente discutibile, là dove predica che nella somma liquidata a titolo di danno non patrimoniale la sentenza di primo grado, il cui dispositivo è evocato nell’esposizione del fatto del ricorso, la disse correlata a danno biologico e la liquidò dopo avere liquidato in Euro 295.404,00 il danno denominato da invalidità permanente pari al 45% , il giudice di primo grado abbia liquidato qualcosa d’altro. L’inutilità discende dal fatto che la ratio decidendi oggetto della motivazione criticata con il primo motivo senza successo è da sola idonea a sorreggere la sentenza, essendo quella criticata con il secondo motivo una motivazione aggiuntiva, come rivela in via decisiva il carattere assorbente della prima, in quanto incentrata sul mancato assolvimento dell’onere della prova E tanto conforme a quanto suggerisce - ma lo si rileva superfluamente, dato che conta l’oggettività della autonomia delle due motivazioni - la stessa premessa della seconda, là dove essa inizia con un l’espressione a prescindere da quanto sopra . Il motivo resta, perciò, assorbito. Comunque si deve osservare che il ragionamento seguito dalla sentenza impugnata dovrebbe essere apprezzato anche considerando che il primo giudice aveva liquidato i due importi poco sopra indicati, il titolo dei quali non sarebbe stato sovrapponibile solo ipotizzando, proprio come ha fatto la corte di merito, che nei due importi fosse compresa la considerazione del danno patrimoniale futuro da perdita delle retribuzioni conseguibili per il caso di continuazione dell’attività lavorativa già espletata, naturalmente per la parte non conseguibile con una diversa attività lavorativa compatibile con la condizione di invalidità accertata. 3. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia violazione dell’art. 1223 c.c. nonché dell’art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, numero 2 c.p.c. e omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti art. 360, numero 5 c.p.c. . Il motivo su duole che la corte territoriale non abbia accolto una istanza formulata nell’atto di appello, che prima si indica come richiesta di convocazione del c.t.u. di primo grado a chiarimenti e poi di rinnovo della c.t.u. e che si dice rigettata all’esito della camera di consiglio dell’11 giugno 2014. Si duole, dunque, dell’omesso accoglimento di un’istanza istruttoria, ma esso non integra l’omesso esame di cui al numero 5 dell’art. 360 cod. proc. civ. vedi le già citate Cass., Sez. Unumero numero 8053 e 8054 del 2014 e lo fa adducendo che l’omissione avrebbe inficiato la motivazione criticata con il secondo motivo, che qui viene nuovamente criticata, evidentemente a svolgimento della censura in iure, anche se non lo si dice. Ne segue, sotto il primo profilo che il motivo è al di fuori del paradigma del numero 5 dell’art. 360 e, sotto entrambi ed in via preliminare, comunque lo scrutinio sarebbe anche inutile, atteso il consolidarsi dell’autonoma ratio decidendi criticata senza successo con il primo motivo. 4. Il ricorso è conclusivamente rigettato. Le spese, in relazione al regime processuale dell’art. 92, secondo comma, cod. proc. civ., applicabile al processo avuto riguardo alla data di inizio in primo grado, possono compensarsi attesa l’esistenza di giusti motivi ravvisabili nella circostanza che il giudice d’appello ha adottato statuizione di compensazione senza che fosse posta in discussione e considerato l’ambiguità della motivazione criticata con il secondo motivo, sebbene come s’è veduto inutilmente. Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. numero 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese del giudizio di cassazione. Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. numero 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13.