Detenuto muore per droga: responsabile (anche) l’amministrazione carceraria

Ancora in ballo la richiesta di risarcimento presentata dai familiari di un giovane morto a ‘Regina Coeli’. Egli ha assunto cocaina reperita tra le mura del carcere. Il suo comportamento non esclude le colpe della struttura, a cui è affidato un compito di controllo e di vigilanza.

Deceduto in carcere, ad appena 24 anni, per avere assunto cocaina. A rischiare è anche la struttura penitenziaria e, quindi, il Ministero della Giustizia, potenzialmente responsabili per quella morte. Decisivo il richiamo all’ obbligo di vigilanza e di controllo sui detenuti Cassazione, ordinanza n. 12469, Sezione Prima Civile, depositata oggi . Tossicodipendenza. Scenario della vicenda è il carcere romano di ‘Regina Coeli’. Lì muore, nell’estate del 2002, un giovane detenuto. L’autopsia non lascia spazio a dubbi il decesso è stato provocato dall’ assunzione di cocaina . Questo elemento spinge i familiari a citare in giudizio il Ministero della giustizia con l’obiettivo di vedere dichiarata l’esclusiva responsabilità della direzione della casa circondariale per la morte del loro congiunto, con annesso risarcimento dei danni. A sostegno di questa posizione viene evidenziato che il giovane era stato arrestato in flagranza per il furto di un telefono cellulare e all’atto dell’ingresso in carcere aveva dichiarato di essere stato tossicodipendente e di seguire una terapia di disintossicazione e che poi egli era stato dimesso dal ‘Sert’ del carcere – pochi giorni prima del decesso –, in quanto non presentava più problematiche legate alla tossicodipendenza, essendo emersa anzi la sua volontà di trovare un lavoro e di cambiare vita . Questi elementi non convincono però i giudici, che prima in Tribunale e poi in Corte d’appello respingono ogni ipotesi di addebito nei confronti del carcere e del Ministero. Obbligo dell’amministrazione penitenziaria. Posizione diversa assume invece la Cassazione, che si richiama al principio secondo cui sussiste una responsabilità dell’amministrazione penitenziaria nell’ipotesi di uso volontario di sostanza stupefacente da parte di un detenuto, poi deceduto . In sostanza, l’uso consapevole della droga comporta senza dubbio l’assunzione del rischio , ma ciò non esclude, osservano i Giudici del Palazzaccio, la responsabilità dell’amministrazione carceraria, potendo quindi configurarsi una condotta colposa omissiva attribuibile alla casa circondariale , alla luce dell’ obbligo di vigilanza e di controllo sui detenuti . E questa visione vale ancor di più, poi, a fronte della specifica situazione dello stato patologico di tossicodipendenza accertato e registrato all’atto di ingresso del detenuto in carcere . Sul fronte della responsabilità del carcere, anche la presenza della droga tra i detenuti è un elemento da tenere presente, che rende secondaria la autodistruttiva pulsione – come scritto dai giudici in Appello – del detenuto che ha volontariamente assunto la droga reperita nell’istituto . Necessario perciò un nuovo processo in Corte d’appello per valutare la responsabilità della struttura penitenziaria romana rispetto alla morte del giovane detenuto.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 6 marzo – 21 maggio 2018, n. 12469 Presidente Tirelli – Relatore Cirese Fatti di causa Con atto di citazione notificato il 19.12.2005 An. Ma. Pa. e Al. Be. convenivano dinanzi al Tribunale di Roma il Ministero della giustizia per sentir dichiarare la esclusiva responsabilità della Direzione della Casa circondariale di Regina Coeli per la morte di Mi. Pa. avvenuta in data 18.7.2002 all'interno del carcere con conseguente condanna del Ministero convenuto al risarcimento dei danni patrimoniali, biologici iure hereditatis e iure proprio, morali iure hereditatis e iure proprio ed esistenziali. A sostegno della domanda deducevano che il Pa., tratto in arresto in flagranza per il furto di un telefono cellulare, all'atto dell'ingresso in carcere aveva dichiarato di essere stato tossicodipendente e di seguire una terapia di disintossicazione, che in data 12.7.2002 era stato dimesso dal Sert del carcere in quanto non presentava più problematiche legate alla tossicodipendenza essendo emersa anzi la sua volontà di trovare un lavoro e di cambiare vita, e che in data 18.7.2002 era deceduto in carcere all'età di ventiquattro anni a seguito dell'assunzione di cocaina, come attestato dall'esame autoptico. Il Ministero della Giustizia si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto della domanda e deducendo che la morte del Pa. non era addebitabile alla sola presenza di sostanze stupefacenti all'interno del carcere bensì alla condotta autonoma, attiva ed imprevedibile del medesimo consistita nell'assunzione di stupefacenti. Con sentenza del 3.9.2007 n. 16590 il Tribunale di Roma rigettava la domanda con compensazione delle spese. Proposto appello da parte di An. Pa. e Al. Be., la Corte d'Appello di Roma con sentenza in data 2.7.2012 rigettava il gravame e per l'effetto confermava la sentenza impugnata. Avverso detta sentenza proponevano ricorso per cassazione An. Ma. Pa. e Al. Be. articolato in cinque motivi cui resisteva con controricorso il Ministero della Giustizia. Entrambe le parti hanno depositato memoria. Il P.G. ha depositato conclusioni scritte chiedendo la trattazione della causa in pubblica udienza ed in subordine l'accoglimento del ricorso. Ragioni della decisione Con il primo motivo di ricorso le ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 11, 13 e 41 della L. n. 354 del 1975, dell'art. 3 del D.Lgs. 15 febbraio 2006 n. 63, degli artt. 2, 14 e 17 del D.P.R. n. 230 del 2000, dell'art. 2043 c.c. e dell'art. 40 c.p. in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. per avere la Corte Territoriale ritenuto che non è affatto provato che la droga sia stata introdotta a causa di una omissione dei controlli dovuti e delle modalità per essi previste o a causa di scarsa diligenza del personale nell'effettuarli . Con il secondo motivo le ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione dell'art. 2049 c.c. in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. per avere la Corte territoriale negato la responsabilità dell'amministrazione penitenziaria in relazione alla scarsa diligenza nei controlli circa l'ingresso di sostanze stupefacenti nel carcere. Con il terzo motivo le ricorrenti lamentano la nullità della sentenza e del procedimento per omessa e/o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all'art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. in quanto la motivazione della sentenza impugnata sarebbe gravemente contraddittoria ed insufficiente in ordine alla introduzione della sostanza stupefacente in carcere. Con il quarto motivo le ricorrenti lamentano la violazione dell'art. 2043 c.c. e dell'art. 40 c.p. da ritenersi in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. in quanto la Corte d'appello ha negato il nesso di causalità tra l'introduzione della droga in carcere e la morte del Pa Con il quinto motivo le ricorrenti lamentano la nullità della sentenza o del procedimento per omessa e/o insufficiente motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. per avere la Corte territoriale insufficientemente e contraddittoriamente motivato sulla presunta assenza di responsabilità dell'amministrazione. Vanno esaminati congiuntamente i motivi nn. 1, 2 e 4 del ricorso in quanto attengono al medesimo profilo della responsabilità dell'amministrazione carceraria in ordine al decesso di Mi. Pa I motivi sono fondati. Ed invero questa Corte intende dare continuità al principio enunciato da Cass. Sez. III, n. 12705/2015 citata anche dal P.G. nelle sue conclusioni scritte , in relazione ad una fattispecie similare, e che a sua volta richiama Cass., n. 8051/2007, secondo cui Sussiste una responsabilità concorrente dell'amministrazione penitenziaria nell'ipotesi di uso volontario di sostanza stupefacente da parte di un detenuto, poi deceduto, atteso che tale condotta non esclude il nesso causale fra la condotta dell'amministrazione penitenziaria e la morte, ponendosi in rilievo, invece, che l'uso consapevole della droga importa senza dubbio assunzione del rischio, ma tanto non produce totale neutralizzazione degli antecedenti causali con conseguente esclusione della responsabilità dell'ente . In altri termini, secondo tale ricostruzione, se l'uso consapevole della droga importa senza dubbio assunzione del rischio, non comporta tuttavia una totale neutralizzazione degli antecedenti causali con conseguente esclusione della responsabilità dell'amministrazione carceraria, potendo quindi configurarsi una condotta colposa omissiva attribuibile alla casa circondariale, alla luce del generale obbligo dell'amministrazione penitenziaria di vigilanza e controllo sui detenuti richiamandosi, in generale, i compiti dell'amministrazione penitenziaria, concernenti l'assistenza sanitaria da prestare al detenuto, sin dal suo ingresso in carcere, ed, in particolare, le eventuali omissioni in riferimento alla specifica situazione dello stato patologico di tossicodipendenza accertato e registrato all'atto di ingresso in carcere del detenuto. Orbene la sentenza gravata laddove afferma tout court che non può dirsi provata una responsabilità per colposa omissione dell'amministrazione in relazione alla presenza della droga tra i detenuti e che la presenza della droga nell'istituto si inserisce di certo nella serie causale che ha dato luogo alla sciagurata dinamica conclusasi con il decesso del giovane Mi Ma è solo perché egli, cedendo purtroppo ad una autodistruttiva pulsione, ha volontariamente assunto la droga reperita nell'istituto, che l'evento morte si è verificato. Tale condotta si è posta dunque come autonomo fattore causale del decesso mostra di discostarsi dal principio dianzi enunciato in quanto, posta la volontaria assunzione della sostanza stupefacente, omette di valutare qualsiasi profilo attinente ad un concorso di colpa dell'amministrazione nella causazione del decesso del Pa La sentenza va pertanto cassata con rinvio alla Corte d'appello di Roma affinchè valuti l'eventuale concorso di colpa dell'amministrazione penitenziaria nel decesso di Pa. Mirco nonché per la regolamentazione delle spese del giudizio. Gli altri motivi del ricorso, a parte ogni rilievo circa la loro inammissibilità, sono assorbiti. P.Q.M. In accoglimento dei motivi nn. 1, 2 e 4 del ricorso, assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la regolamentazione delle spesse del giudizio, alla Corte d'Appello di Roma in diversa composizione.