Studente ‘fuori corso’, immatricolazione ‘scaduta’: possibile risarcimento per l’errore del funzionario della segreteria

La svista, relativa ai conteggi da effettuare rispetto all’ultimo esame sostenuto, per ‘tenere in vita’ il percorso universitario, rischia di costare carissima alla persona del funzionario, oltre che all’Università. Evidente il ‘peso specifico’ della comunicazione erronea, anche se verbale e non scritta.

Comunicazione verbale con lapsus. Può capitare Ma se a cadere in fallo è un dipendente dell’Università, schierato nella ‘trincea’ della segreteria, a colloquio con uno studente ‘fuori corso’, allora la questione si fa seria. Anche a livello economico Cassazione, sentenza n. 8097/2013, Terza Sezione Civile, depositata oggi . Out. Nove esami già sostenuti buttati a mare, assieme al sogno interrotto di concludere il percorso per conquistare la laurea in Medicina. Questa la cruda realtà per un attempato studente, che, però, addebita il ‘fattaccio’ all’erronea comunicazione ricevuta da un funzionario della segreteria dell’ateneo. Per meglio comprendere la vicenda è necessario un flash-back . Fino alla metà degli anni ’70 lo studente frequenta con profitto l’Università, sostenendo ben nove esami, poi mette il progetto in un cassetto e lo ritira fuori a marzo del 1983, quando il funzionario gli garantisce che disponeva di un anno di tempo per sostenere un esame qualsiasi e regolarizzare la propria posizione amministrativa mediante il pagamento delle tasse arretrate . Ma – ecco l’episodio decisivo – ad aprile del 1984 l’amara scoperta per l’attempato studente era intervenuta la decadenza dell’immatricolazione per non aver egli sostenuto alcun esame entro otto anni dall’ultimo . Assolutamente inutili, quindi, le ricevute degli effettuati versamenti per reiscriversi . Assolutamente azzerata la prospettiva di riprendere il cammino universitario. Colpa del funzionario? Almeno questo è quanto sostiene l’oramai ex studente. Che, addirittura, in Tribunale ottiene un corposo risarcimento – pari a 50milioni delle vecchie lire – dal funzionario e la restituzione dall’Università di quanto inutilmente versato per tasse al fine di regolarizzare la prima immatricolazione . Ma tale prospettiva viene azzerata completamente dalla Corte d’Appello. Non solo perché non era provato che il funzionario avesse dato un’erronea informazione sulla data dell’ultimo esame sostenuto , ma anche, anzi soprattutto, perché le informazioni rese dalla pubblica amministrazione sono atti amministrativi, e possono obbligare e vincolare solo se sono quelli tipici, cioè atti scritti . Verba manent. Questione, però, non completamente chiusa. Dalle valutazioni dei giudici della Cassazione – ai quali si è rivolto l’ex studente – arriva, difatti, un nuovo colpo di scena A ritornare in ballo è la richiesta di risarcimento dei danni – su cui dovrà ora nuovamente pronunciarsi la Corte d’Appello – avanzata dall’uomo nei confronti sia del funzionario che dell’Università. Decisivo, in questo contesto, il fatto che la necessità della forma scritta concerne gli impegni contrattualmente assunti dalla pubblica amministrazione, ma non certo le obbligazioni derivanti da illecito o da attività illegittima, che ben possono essere integrati da atti meramente materiali o addirittura da omissioni . E tale principio si attaglia benissimo alla vicenda in esame, poiché, ricordano i giudici, l’errore del pubblico impiegato era integrato da un’informazione erronea in relazione alle risultanze documentali di cui egli disponeva . Ciò che è lapalissiano, concludono i giudici – riaffidando, come detto, la questione alla Corte d’Appello –, è che non esiste alcuna disposizione normativa che impone alla pubblica amministrazione di offrire informazioni solo per iscritto, segnatamente se – come nella specie – si tratti di informazione data allo sportello di una segreteria universitaria .

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 7 febbraio – 3 aprile 2013, n. 8097 Presidente Petti – Relatore Amatucci Ritenuto in fatto 1. Nel settembre del 1986 L.R. convenne in giudizio l’Università degli studi di Messina ed A.B. chiedendone la condanna solidale al risarcimento dei danni che affermò derivatigli da un’erronea informazione datagli dal secondo, funzionario della segreteria dell’Università. Espose che, avendo frequentato i corsi di laurea in medicina fino al 1974/75 sostenendo nove esami, nel marzo del 1983 s’era recato in segreteria per conoscere la propria situazione in vista della ripresa degli studi e che il predetto funzionario lo aveva rassicurato sul fatto che disponeva di un anno di tempo per sostenere un esame qualsiasi e regolarizzare la propria posizione amministrativa mediante il pagamento delle tasse arretrate. Senonché, recatosi di nuovo in segreteria il 7.4.1984 con le ricevute degli effettuati versamenti per reiscriversi per presentare domanda al fine di sostenere un esame, aveva appreso che ormai da un anno era intervenuta la decadenza dell’immatricolazione, art. 14 del t.u. n. 1592 del 1933, per non aver egli sostenuto alcun esame entro otto anni dall’ultimo. Affermò che il B. aveva riconosciuto di aver commesso un errore. I convenuti resistettero. Il Tribunale di Messina accolse parzialmente la domanda con sentenza pubblicata in data 8.11.1999, condannando solidalmente i convenuti al pagamento della somma di L. 50.000.000, oltre accessori, e l’Università, inoltre, alla restituzione di quanto inutilmente versato per tasse dall’attore al fine di regolarizzare la prima immatricolazione. 2. La Corte d’appello di Messina, in accoglimento dell’appello dei soccombenti, ha rigettato la domanda del R. con assorbimento del suo gravame con sentenza n. 238 dell’11.5.2006, avverso la quale il medesimo ricorre per cassazione affidandosi a due motivi. Il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca ha depositato controricorso col quale ha dichiarato di richiamare la sentenza impugnata e di riportarsi alle difese svolte nei precedenti gradi. Gli eredi di A.B. C.V.C., L.B. e D.G.B., già costituiti in secondo grado non hanno svolto attività difensiva. Considerato in diritto 1. In riforma della sentenza di primo grado, la Corte d’appello ha respinto la domanda per due sostanziali ragioni a perché anche le informazioni rese dalla pubblica amministrazione sono atti amministrativi e questi possono obbligare e vincolare la stessa solo se sono quelli tipici cioè atti scritti” pagina 11, secondo capoverso della sentenza impugnata . b perché non era provato che il B. avesse dato un’erronea informazione sulla data dell’ultimo esame rilevante ai fini del computo degli otto anni utili per sostenerne un altro , sostenuto dal R. il 15.3.1975. 1.1. La prima affermazione censurata dal ricorrente col primo motivo di ricorso, col quale è denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 22 e 23 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, nonché degli artt. 2043 e 1433 c.c. 1.2. La seconda è oggetto del secondo motivo di ricorso, col quale dedotto vizio della motivazione sui risultati delle deposizioni dei testi G. e C. 2. Entrambi i motivi sono fondati. 2.1. Sul primo, basta il rilievo che la necessità della forma scritta concerne gli impegni contrattualmente assunti dalla pubblica amministrazione, ma non certo le obbligazioni derivanti da illecito o da attività illegittima, che ben possono essere integrati da atti meramente materiali o addirittura da omissioni. Nella specie si assumeva che l’errore del pubblico impiegato fosse integrato a un’informazione erronea in relazione alle risultanze documentali di cui egli disponeva. E non esiste alcuna disposizione normativa che imponga alla p.a. di offrire informazioni solo per iscritto, segnatamente se - come nella specie - si tratti di informazione data allo sportello di una segreteria universitaria. 2.2. Sul secondo, la valenza della risposta affermativa del teste G. al quesito che gli era stato posto [ vero che nel marzo 1983 l’attore si presentò allo sportello della segreteria della facoltà di medicina e chirurgia per conoscere la propria posizione didattico-amministrativa e che in tale occasione egli B. , dopo aver consultato i relativi registri, disse al R. che ave a un anno di tempo per evitare la decadenza della sua immatricolazione, ma anche che, per ottenere ciò, avrebbe dovute versare le tasse arretrate per gli anni f.c. elencandoli su un pezzo di carta e sostenere con qualunque esito un esame, sempre entro l’anno”] è stata disattesa con argomenti del tutto privi di intrinseca ragionevolezza, essendosi ritenuto che dalla testimonianza del G. non si evince che il R. avesse espressamente chiesto quando aveva sostenuto l’ultimo esame, né la relativa data fornita dal B.” pag. 10, terzultimo capoverso, della sentenza e che la risposta rispondono a verità i fatti di cui al capo I dell’articolato” non fosse decisiva perché il G. ha precisato genericamente che il B. fornì indicazioni per la regolarizzazione della posizione amministrativa e in particolare che doveva pagare le tasse anche per gli anni precedenti” a cavallo delle pagine 10 e 11 della sentenza . La deposizione del teste C., al tempo direttore amministrativo dell’Università, nel senso che il B. sembrò preoccupato perché probabilmente si era trattato di un mero errore” é stata poi disattesa - in contrasto con canoni di logica elementare - perché il teste, sentito su sua istanza ? una seconda volta, aveva chiarito che il B. solo in un primo tempo aveva riconosciuto l’ errore, peraltro poi sempre negandolo e perché, inoltre, il C. non aveva precisato di quale errore si fosse trattato pag. 10 della sentenza, terzo, quarto e quinto capoverso . 3. Si impone la cassazione della sentenza, con rinvio alla stessa Corte d’appello in diversa composizione perché, nel rispetto del principio enunciato sub 2.1., decida sui gravami delle parti, liquidando anche le spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte di Cassazione accoglie il ricorso, cassa e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Messina in diversa composizione.