Caduta gratis dal toro meccanico. Contratto o no, il danno c’è: 3.794 euro di risarcimento

Non importa che l’infortunata abbia chiesto il risarcimento danni per responsabilità extracontrattuale. Il giudice può infatti dare la qualificazione giuridica della domanda valutandone il contenuto sostanziale alla luce dei fatti dedotti in giudizio e a prescindere dalle formule adottate. Poiché in questo caso si tratta di un rapporto contrattuale, spettava al gestore dimostrare la sicurezza dell’attrazione.

Così ha deciso la Corte d’Appello di Firenze, con la sentenza n. 247, depositata il 12 febbraio 2013. Quando si dice che bisogna prendere il toro per le corna. E’ la festa della birra, organizzata dal Comune. Una donna decide di provare l’attrazione del toro meccanico. La prova è gratuita. Lo scopo è certamente quello di rimanere in sella il maggior tempo possibile, prima o poi quasi tutti cadono. Lei non è da meno, tiene per poco il toro per le corna e cade. Ma nella caduta si fa un po’ male. Agisce in giudizio chiedendo il risarcimento per i danni riportati nella caduta. Chiama in causa la donna proprietaria dell’attrazione ed anche il marito. In parte c’è lite temeraria. Rispetto a quest’ultimo, l’infortunata viene condannata al risarcimento per lite temeraria, poiché questo, oltre ad essere il marito della proprietaria, non aveva alcun rapporto con l’attrazione. Era presente alla festa in qualità di dipendente comunale, come testimoniato da più persone. La decisione viene confermata dalla Corte d’Appello. Sbagliata la qualificazione giuridica del caso. Rispetto alla posizione della moglie, proprietaria del toro meccanico, il Tribunale rileva che l’infortunata ha chiesto il risarcimento danni in base ad una responsabilità extracontrattuale, mentre il rapporto instauratosi era da ritenersi, anche se gratuito, di tipo contrattuale. Respinge quindi la domanda per l’errata qualificazione giuridica della fattispecie. Alla luce dei fatti, il giudice può dare una corretta qualificazione giuridica. La Corte d’Appello di Firenze, riforma tale decisione. A sostegno delle proprie argomentazioni richiama e riporta brevemente una sentenza del Giudice di Pace di Bari ed una sentenza della Corte di Cassazione, sez. II Civile, n. 27727/2005. Quest’ultima ricorda che l’art. 112 c.p.c., sulla corrispondenza tra chiesto e pronunciato, deve essere interpretato nel senso che è inibito al giudice, con riferimento alla causa petendi , basare la decisione su fatti costitutivi diversi da quelli dedotti, ponendo a fondamento della domanda un titolo nuovo e difforme da quello indicato dalla parte . Da ciò, la Corte d’Appello deduce che il giudice ha il potere di dare la qualificazione giuridica della domanda valutandone il contenuto sostanziale alla luce dei fatti dedotti in giudizio e a prescindere dalle formule adottate . Così deve essere fatto anche in questo caso. Il fatto è dimostrato la donna è caduta dal toro meccanico riportando lesioni, pur minime, ed il rapporto tra la donna caduta e la donna che gestiva il gioco è da considerarsi di natura contrattuale, anche se gratuito. C’era un contratto, spetta al gestore dimostrare la sicurezza. Spetta quindi alla proprietaria provare la totale sicurezza del toro. L’idoneità dell’attrezzatura non viene in alcun modo dimostrata, poiché viene solo mostrata una generica licenza che menziona altri giochi o attrazioni. In particolare è rimasto indimostrato che i tappeti circostanti fossero idonei ad attutire adeguatamente le cadute. La proprietaria viene quindi condannata al risarcimento dei danni, per 3.764 euro. Risarcimento a metà sapeva di andare incontro a caduta certa. Ma la responsabilità non è solo sua. Per metà è da ricondursi in capo all’infortunata. Infatti, afferma la Corte, pur in presenza di una attrazione ad alto rischio, soprattutto per una persona di sesso femminile, si cimentò ugualmente correndo consapevolmente il rischio di cadere la caduta, anzi, sembra quasi inevitabile, consistendo l’attrazione nella più o meno lunga durata di resistenza in sella del toro meccanico” . Le spese processuali vengono ripartite tra le due, ma la donna risarcita, è condannata a pagare al marito della risarcente 1.000 euro per lite temeraria.

Corte d’Appello di Firenze, sez. II Civile, sentenza 10 gennaio – 12 febbraio 2013, numero 247 Presidente Turco – Relatore Riviello Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato il 30 aprile 2007 F. V. conveniva davanti alla Corte di Appello di Firenze E. G.D.G. e M. D.G., proponendo appello avverso la sentenza 22/1 - 26/2/2007 numero 177/07, con la quale il Tribunale di Pisa aveva respinto la sua domanda di risarcimento dei danni subiti il 19/9/1999 in occasione di una festa tenutasi in Tirrenia durante la quale essa, usufruendo dell’attrazione toro meccanico”, cadde riportando lesioni. Esponeva l’appellante che la sentenza impugnata era ingiusta per l’erroneità della valutazione dei presupposti di fatto e di diritto, la contraddittorietà della motivazione, l’omessa valutazione di alcune risultanze istruttorie e l’errata valutazione di altre. Radicatosi il contraddittorio, gli appellati si costituivano ciascuno con propria comparsa di costituzione e risposta, chiedendo il rigetto dell’appello e l’integrale conferma della sentenza di primo grado. Acquisito il fascicolo di ufficio del procedimento di primo grado, la causa veniva trattenuta in decisione all’udienza collegiale dell’11/10/2012, sulle conclusioni delle parti, precisate come in epigrafe trascritte e decisa nella camera di consiglio del 10/1/2013. Motivi della decisione Il primo giudice, dopo avere ritenuta l’estraneità del D.G. in quanto non proprietario né gestore dell’attrazione denominata toro meccanico”, impiegato nella festa della birra di Tirrenia il 19/9/1999, ha respinto la domanda risarcitoria della V. qualificando il rapporto di natura contrattuale seppure gratuito e, conseguentemente, ritenendo di non poter pronunciare condanna avendo la danneggiata cui faceva carico di dimostrare la sussistenza di un pregiudizio di natura economica fatto valere in giudizio un’azione extracontrattuale come evidenzia, a suo avviso, il richiamo nell’atto introduttivo di norme che rimandano a tale profilo di responsabilità, quali gli artt. 2050 – 2051 e 2043 c.c. . In atto d’appello, oltre alla censura rivolta alla esclusione di qualsivoglia responsabilità del D.G., l’appellante lamenta che il primo giudice avrebbe respinto la sua domanda senza considerare che la C.T.U. medico – legale espletata in primo grado evidenzierebbe la sussistenza di lesioni personali e che essa aveva proposto espressa domanda di risarcimento danni per lesioni subite da uno strumento di gioco pericoloso. Si deve confermare la sentenza impugnata nella parte in cui esclude qualsivoglia responsabilità del D.G., in quanto l’espletata istruttoria ha fatto emergere la sua estraneità sia alla gestione che alla titolarità dell’attrazione in parola, vuoi per la deposizione dei testi, che hanno tutti escluso qualsivoglia collaborazione del predetto nell’attività della moglie salvo per marginali attività di smontaggio delle macchine, come riferito dal teste R., che ne ha anche confermato la qualità di dipendente del Comune di Pisa, in aderenza a quanto dimostrato con la produzione della busta paga in atti che evidenzia che alla data del sinistro quegli era in attività di servizio , confermando che i rapporti dell’organizzazione della festa intercorsero con la G.D.G. teste G. , la quale, del resto, risulta intestataria di licenza per attività di spettacoli viaggianti prodotta nel fascicolo del D.G Quanto alla residua domanda risarcitoria, spiegata nei confronti della G.D.G., si osserva che il primo giudice ha respinto la domanda per mancata dimostrazione del pregiudizio di natura economica conseguente al rapporto ritenuto di natura contrattuale e, quindi, integrante un titolo diverso rispetto a quello allegato in atto di citazione, dove veniva prospettata una responsabilità extracontrattuale. Pur in parte equivocando la portata della decisione l’appellante, invero, sembra ricollegare il rigetto della domanda principalmente alla mancata dimostrazione del danno, il che non è, non avendo affermato ciò il primo giudice , una delle censure rivolte all’impugnata sentenza consiste nel lamentare il fatto che la V. abbia proposto una domanda di risarcimento danni per lesioni subite da uno strumento di gioco pericoloso , con ciò censurando la parte di motivazione che aveva escluso la condanna unicamente per il profilo della diversa qualificazione giuridica. Non può avere rilievo alcuno che in primo grado l’appellante abbia prospettato una responsabilità aquiliana fondata sul disposto di cui all’art. 2043 c.c., ciò non essendo preclusivo del potere del giudice, fermi restando i dati di fatto esposti dalle parti, di qualificare la fonte della responsabilità ed, eventualmente, discostarsi dalla stessa prospettazione attorea. Si tratta di un principio fermo in giurisprudenza, che ripetutamente ha collegato il principio di cui all’art. 112 c.p.c. alla modifica dei fatti allegati sanzionando un’eventuale pronuncia del giudice che a ciò sia collegata e non anche alla qualificazione giuridica dei fatti stessi ove essi restino fermi. Si vedano, sia in giurisprudenza di merito che di legittimità, le decisioni del Giudice di pace di Bari 18 ottobre 2010 numero 7903 in Giurisprudenzabarese.it 2010 anche se l'attore ha omesso di specificare il regime di responsabilità invocato, contrattuale o extracontrattuale, ma ha comunque addotto a sostegno della propria domanda fatti che possono indifferentemente comportare responsabilità contrattuale ed aquiliana, la domanda deve interpretarsi e qualificarsi - nell'esercizio del potere-dovere attribuito al giudice dall'art. 112 c.p.c. - nel senso di ritenere, quanto meno in via presuntiva, che la parte danneggiata abbia inteso invocare la responsabilità contrattuale, in quanto regime sostanziale a cui corrisponde una posizione processuale privilegiata per chi agisce sotto il profilo della ripartizione dei carichi probatori, incombendo al debitore l'onere di dimostrare che l'inadempimento o l'esatto inadempimento è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile art. 1218 c.c. , continuando a gravare sul creditore-danneggiato l'onere di allegare e provare l'esistenza del fatto dannoso, l'azione od omissione colpevole del debitore ed il nesso di causalità tra questa e il danno ingiusto e della Cassazione civile sez. III 16 dicembre 2005 numero 27727 il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, previsto dall'art. 112 c.p.c., implica il divieto di attribuire alla parte un bene non richiesto, o comunque di emettere una statuizione che non trovi corrispondenza nella domanda, e deve ritenersi violato ogni qualvolta il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri alcuno degli elementi identificativi dell'azione - petitum e causa petendi -, attribuendo o negando ad alcuno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e non compreso, nemmeno implicitamente o virtualmente, nella domanda. In particolare, dal divieto di pronunciare su un'azione diversa da quella espressamente proposta consegue che è inibito al giudice, con riferimento alla causa petendi, basare la decisione su fatti costitutivi diversi da quelli dedotti, ponendo a fondamento della domanda un titolo nuovo e difforme da quello indicato dalla parte . Si tratta di affermazioni reiterate in giurisprudenza cui la Corte presta adesione in quanto pienamente condivisibili e costituenti l’espressione della tipica funzione giurisdizionale espressa nel noto brocardo da mihi factum dabo tibi jus e che si traduce nel potere del giudicante di dare la qualificazione giuridica della domanda valutandone il contenuto sostanziale alla luce dei fatti dedotti in giudizio e a prescindere dalle formule adottate. Orbene, essendo pacifico e comunque dimostrato attraverso le deposizioni che l’appellante usufruì, sia pure gratuitamente, dell’attrazione denominata toro meccanico” e che, mentre questo era in esercizio, ella cadde riportando sia pur minime lesioni, si deve ritenere che, una volta qualificata la natura contrattuale del rapporto, faceva carico all’appellata E. G.D.G. dimostrare l’idoneità dell’attrezzatura e la relativa sicurezza. Ciò avrebbe potuto dimostrarsi mediante la produzione della licenza all’esercizio dell’attrazione in discorso, cosa che non risulta assolta vero è, invece, che agli atti risulta prodotta una licenza che menziona altri giochi o attrazioni ma non il toro meccanico” e la stessa attestazione di collaudo non proviene da un ente pubblico ma da un soggetto richiesto di verificare il macchinario dalla stessa proprietaria. In particolare è rimasto indimostrata l’adeguatezza dei tappeti sottostanti il macchinario ad attutire eventuali cadute e, quindi, la responsabilità della G.D.G. deve essere dichiarata per tali profili. Non esente da responsabilità è, tuttavia, la V. la quale, pur in presenza di una attrazione ad alto rischio, soprattutto per una persona di sesso femminile, si cimentò ugualmente correndo consapevolmente il rischio di cadere la caduta, anzi, sembra quasi inevitabile, consistendo l’attrazione nella più o meno lunga durata di resistenza in sella del toro meccanico” . È noto che può valere ad escludere la responsabilità, in tutto o in parte del danneggiante se il fatto del danneggiato sia tale da interrompere il nesso causale tra la cosa e l'evento produttivo del danno, ovvero possa atteggiarsi come concorso causale colposo ai sensi dell'art. 1227, comma 1, c.c., con la conseguente diminuzione della responsabilità del primo in proporzione all'incidenza causale del comportamento del danneggiato stesso. Alla stregua di quanto più su affermato si ritiene, pertanto, potersi imputare alla colpa di entrambi i soggetti, in misura paritaria, la responsabilità del fatto con la conseguenza che la G.D.G. dovrà essere condannata a risarcire in favore della V. il 50% delle conseguenze dannose da questa subite ed evidenziate nella espletata C.T.U., che ha determinato, con criteri condivisibili apparendo le argomentazioni congruamente motivate ed esenti da vizi logici e di ragionamento e tali, quindi, da essere fatte proprie dalla Corte, l’invalidità nel 2% e l’inabilità in 45 giorni quella totale, in 15 giorni quella parziale al 50% ed in 20 giorni quella al 25% in soggetto di 27 anni al momento del fatto. Ne segue che, trattandosi di danno biologico di lieve entità, ben possano applicarsi le tabelle di Milano, riferite all’attualità 2012 -2013 , operandosi oggi la liquidazione, con un calcolo che può essere riassunto nella tabella che segue Tabella di riferimento 2012-2013 Età del danneggiato 27 anni Percentuale di invalidità permanente 2% Giorni di invalidità temporanea totale 45 Giorni di invalidità temporanea parziale al 75% 0 Giorni di invalidità temporanea parziale al 50% 15 Giorni di invalidità temporanea parziale al 25% 20 Danno biologico permanente € 1.576,84 Invalidità temporanea totale € 2.056,50 Invalidità temporanea parziale al 75% € 0,00 Invalidità temporanea parziale al 50% € 342,75 Invalidità temporanea parziale al 25% € 228,50 Danno biologico temporaneo € 2.627,75 Danno morale 33,33% € 1.401,39 TOTALE € 5.605,98 che, in considerazione del grado di corresponsabilità riconosciuto in capo alla V., devono essere dimezzati, con un risarcimento effettivo di € 2.803,00 arrotondati . Trattandosi di debito di valore la predetta somma deve essere devalutata al momento del fatto € 2.120,27 e maggiorata calcolandosi gli interessi legali sul capitale rivalutato in base agli indici ISTAT sulla somma rivalutata anno per anno così come da Cass. Civ. Sez. Unumero 17/02/95 numero 1712 per un totale di € 3.615,37. È, inoltre, dovuto il risarcimento per le spese mediche esposte, come da documentazione allegata e reperita nel fascicolo di primo grado, secondo il seguente prospetto 11/10/2012 IMPORTO in £ IMPORTO in € RIVALUTAZIONE E INTERESSI RIDUZIONE DEL 50% 5/11/1999 £ 78.800 € 40,70 € 69,45 € 34,725 8/11/1999 £ 100.000 € 51,65 € 88,11 € 44,055 3/12/1999 £ 212.500 € 109,75 € 186,92 € 93,46 8/1/2000 £ 14.400 € 1,44 € 12,65 € 6,325 per un risarcimento di € 178,565 che, sommato a quello precedentemente determinato, comporta un totale di € 3.793,935 che vengono arrotondati a € 3.794,00 . In accoglimento della domanda di M. D.G. deve condannarsi la V. al risarcimento per responsabilità aggravata e lite temeraria il cui presupposto è la totale soccombenza, che va considerata in relazione all'esito del giudizio di appello, come si desume dal fatto che a norma dell'art. 96 c.p.c. la condanna al risarcimento si aggiunge alla condanna alle spese, la quale è correlata all'esito finale del giudizio Cassazione civile sez. III 30 gennaio 2009 numero 2473 e che ben può essere proposta per la prima volta nella fase di gravame solo con riferimento a comportamenti della controparte posti in atto in tale grado del giudizio Cass. civ. sez. I 25 luglio 2006 numero 16975 . La responsabilità aggravata della V. deve essere ravvisata nell’avere essa proposto nei confronti del D.G. un appello manifestamente infondato, essendo stata provata indiscutibilmente la sua estraneità alla gestione del toro meccanico” e non avendo in questa sede l’appellante non solo portato elementi in contrario ma neppure avendo svolto argomentazioni idonee quanto meno a mettere in discussione l’assenza di responsabilità del predetto appellato. Reputa la Corte di poter quantificare tale danno in € 1.000,00 in moneta corrente. In applicazione del principio della soccombenza, avuto riguardo all’esito complessivo della controversia, il 50% delle spese processuali della V. di entrambi i gradi del giudizio devono essere poste a carico della G.D.G. e vanno liquidate come da dispositivo, dichiarandosi compensato tra le predette parti il restante 50%. In applicazione dello stesso principio le spese processuali del D.G. del presente grado del giudizio devono essere poste a carico della parte appellante e vanno liquidate come da dispositivo. Le spese di C.T.U. devono essere poste a carico della V. e della G.D.G. in ragione del 50% ciascuna. P.Q.M. la Corte di Appello di Firenze, definitivamente pronunciando sull’appello proposto con di citazione notificato il 30 aprile 2007 da F. V. nei confronti di E. G.D.G. e di M. D.G. avverso la sentenza 22/1 - 26/2/2007 numero 177/07, del Tribunale di Pisa, in parziale riforma della stessa, così provvede 1 condanna E. G.D.G. a pagare in favore dell’appellante la somma di € 3.794,00 2 rigetta l’appello proposto nei confronti di M. D.G. 3 condanna la V. a pagare al D.G., a titolo di responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., la somma di € 1.000,00 4 condanna la G.D.G. a rimborsare all’appellante il 50% delle spese processuali di entrambi i gradi del giudizio, spese che liquida per l’intero, sulla base del compenso per gli avvocati in ambito civile come stabilito dagli artt. 1 – 11 D.M. 140/2012 per il primo grado, in complessivi € 2.400,00 di cui € 2.000,00 per Compenso tabellare ex art. 11 ed € 400,00 per esborsi, e, per il secondo grado, in complessivi € 1.810,00, oltre al rimborso forfettario delle spese generali, I.V.A. e C.A.P. come per legge, dichiarando tra le parti compensato il restante 50% 5 condanna la V. a rimborsare a M. D.G. le spese processuali del presente grado del giudizio, liquidate sulla base del compenso per gli avvocati in ambito civile come stabilito dagli artt. 1 – 11 D.M. 140/2012 in complessivi € 1.800,00 oltre C.AP. e I.V.A. come per legge 6 pone definitivamente a carico della V. e della G.D.G. in ragione del 50% ciascuna le spese di C.T.U