In assenza della contabilità ufficiale il danno è risarcibile in via equitativa

La valutazione di cui all’art. 1226 c.c. consiste nella possibilità attribuita al giudice di ricorrere, anche d’ufficio, a criteri equitativi per supplire all’impossibilità della prova del danno risarcibile nel suo preciso ammontare. Per simile valutazione è sufficiente che il giudice dia l’indicazione di congrue, anche se sommarie, ragioni del processo logico in base al quale la ha adottata, restando così incensurabile, in sede di legittimità, l’esercizio di questo potere discrezionale.

La Corte di Cassazione, con la decisione n. 21246, del 29 novembre 2012, affronta il tema del risarcimento equitativo nell’ambito dei poteri generali attribuiti al giudice ex art. 115 c.p.c Il quesito a cui sono chiamati a fornire responso gli ermellini è il seguente è applicabile l’art. 1226 c.c. nell’ipotesi in cui il danno risarcibile sia di difficile quantificazione? Il caso . Nel 1991 il proprietario di un terreno industriale concesso in uso a due imprese marmifere chiudeva arbitrariamente i rubinetti dell’acqua di cui il terreno usufruiva. La riapertura veniva ordinata solo a seguito di provvedimento giudiziale cautelare. Nella successiva fase di merito si discuteva del risarcimento del danno da riconoscere in favore delle imprese. In primo grado nulla era loro riconosciuto, mentre nel giudizio d’appello gli eredi del proprietario del terreno venivano condannati al pagamento rispettivamente di Euro 30.987,41 e di Euro 23.240,56. Il Giudice d’Appello dissente dal CTU. Per il giudice d’appello non era in discussione l’ an debeatur , essendo stata chiaramente illegittima la condotta del proprietario del terreno, bensì il suo quantum conseguente ad un fermo produttivo di 15 giorni lavorativi. La Corte territoriale dichiarava di non poter condividere la determinazione stabilita dal C.T.U. in primo grado, poiché questi aveva considerato perdite risarcibili, con riferimento all’anno 1992, tutti gli importi attinenti agli ordini annullati, senza tener conto in modo adeguato del fatto che il fermo si era concluso il 20 novembre 1991 . Secondo la Corte, invece, l’unico modo di procedere alla liquidazione del danno era in via equitativa, considerando come parametro astratto il minor fatturato per l’anno 1991, con quindici giorni in meno, tenuto però in conto che gli appellanti avevano smarrito la contabilità aziendale a causa di un’alluvione. E’ in discussione il quantum debeatur. Gli imprenditori ricorrono per cassazione insoddisfatti del risarcimento ottenuto. Resistono, dal par loro, gli eredi del proprietario del terreno ritenendo ingiusti i parametri risarcitori in concreto applicati. I ricorrenti censurano la motivazione del giudice d’appello per non aver dato adeguata rilevanza sul piano logico alle conclusioni del CTU. D’altra parte nell’attività di produzione del marmo l’acqua è fondamentale, con la conseguenza che, a causa della sua mancanza, molti ordini effettuati prima del fermo dovevano essere evasi nel successivo anno 1992 ed invece sono stati annullati proprio in ragione del subito ritardo. L’impugnata sentenza avrebbe così omesso di valutare tali fatti decisivi ai fini di un integrale risarcimento. Per gli ermellini la censura è infondata. Bene ha fatto il giudice d’appello ad utilizzare in via equitativa quale punto di partenza il minor fatturato per l’anno 1991, trovandosi in una situazione di difficile se non impossibile quantificazione del danno. In assenza della contabilità ufficiale è stato comunque dato conto del criterio equitativo utilizzato e del procedimento logico seguito, rendendo il tutto incensurabile in sede di legittimità. I controricorrenti, invece, censurano la decisione di secondo grado per non aver assunto quale parametro risarcitorio, nella determinazione concreta del danno, le dichiarazioni dei redditi presentate in quegli anni . Anche tale censura per il Supremo Collegio è infondata. Sostengono gli Ermellini che il reddito di lavoro ex art. 137, D.lgs. n. 209/2005, è applicabile solo nel caso di danno alla persona, e non anche quando la valutazione di un danno concerna lo svolgimento, come nel caso di specie, di un’attività imprenditoriale. Concludendo . Come noto, il danno subito costituisce l’orizzonte verso cui protende la problematica del risarcimento. Orizzonte normativo che si fonda sugli artt. 2056 c.c. e 1226 c.c. che, secondo la dottrina più accreditata Monateri costituiscono vere e proprie norme essenziali al completamento dell’edificio dei rimedi risarcitori . In questo ambito, il giudice deve ricorre ad un apprezzamento equitativo, quando il danno non può essere provato nel suo preciso ammontare. Ciò non solo nell’ipotesi di indimostrabilità processuale di un danno esistente, ma anche nel caso di difficoltà di prova in relazione alle condizioni soggettive del danneggiato ed alle peculiarità del fatto dannoso.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 24 ottobre – 29 novembre 2012, n. 21246 Presidente Amatucci – Relatore Cirillo Svolgimento del processo 1. U R. e A.D R. citavano a giudizio, davanti al Tribunale di Lucca, N B. , proprietario del terreno ad uso industriale sul quale essi svolgevano l'attività di lavorazione del marmo, chiedendo che fosse condannato al risarcimento dei danni conseguenti all'arbitraria chiusura dei rubinetti dell'acqua di cui il terreno usufruiva, chiusura che si era protratta fino alla data di emissione del provvedimento giudiziario che ne aveva ordinato la riapertura. Con sentenza del 29 novembre 2001 il Tribunale rigettava la domanda. 2. Avverso la pronuncia di primo grado proponevano appello Umberto e A.D R. deceduto il B. nel corso del giudizio, al medesimo subentravano le eredi G.F. e I P. . La Corte d'appello di Firenze, con sentenza depositata il 17 febbraio 2006, in parziale accoglimento dell'appello, condannava le appellate al pagamento della somma di Euro 30.987,41 in favore di R.U. e di Euro 23.240,56 in favore di R.A.D. indicata col solo nome di Anna}, oltre al carico del 50 per cento delle spese del doppio grado e con compensazione dell'altra metà. Osservava la Corte territoriale che non era in questione il profilo dell'an deheatur, perché l'illegittimità della condotta del B. era stata accertata nell'ambito del procedimento cautelare finalizzato al ripristino dell'erogazione dell'acqua l'unico punto da esaminare riguardava la determinazione del quantum del risarcimento, conseguente al fermo produttivo di quindici giorni lavorativi 20 giorni globali subito dagli appellanti in conseguenza della mancata erogazione dell'acqua. Al riguardo, la Corte rilevava di non poter condividere la determinazione del danno stabilita dal c.t.u., avendo questi considerato perdite risarcibili, relativamente all'anno 1992, tutti gli importi attinenti agli ordini annullati, senza tener conto in modo adeguato del fatto che il fermo si era concluso il 20 novembre 1991. Ad avviso della Corte, invece - poiché un danno risarcibile certamente c'era stato - l'unico modo era quello di procedere ad una valutazione equitativa, considerando come parametro il minor fatturato per l'anno 1991. E poiché risultava che gli appellanti avevano smarrito la contabilità aziendale a causa di un'alluvione, il solo dato utilizzabile era quello astratto costituito dal fatturato del 1991 con quindici giorni di produzione in meno del normale. In tal modo il c.t.u. era pervenuto a determinare la somma di lire 99.396.000, cui la Corte riteneva di dover aggiungere la spesa sopportata per riattare i macchinari, arrivando alla liquidazione finale di lire 105.000.000 poi convertiti in Euro e divisi tra i due appellanti in parti non uguali . 3. Avverso la sentenza della Corte d'appello di Firenze propongono ricorso per cassazione R.U. e A.D. , con unico atto contenente due motivi. Resistono F G. e I P. , con un unico controricorso contenente ricorso incidentale affidato ad un motivo. I ricorrenti principali hanno presentato controricorso al ricorso incidentale. Le parti hanno depositato memorie. Motivi della decisione Preliminarmente, si rileva che i due ricorsi sono riuniti, ai sensi dell'art. 335 cod. proc. civ., in quanto proposti contro la medesima sentenza. Sempre in via preliminare occorre dare conto che nel controricorso si osserva, a p. 2, che il mandato conferito dagli attuali resistenti al loro legale in margine all'atto di appello” non sarebbe stato autenticato dal difensore. Ora, a parte l'evidente lapsus consistente nel riferimento agli attuali resistenti” - mentre si tratta, all'evidenza, degli odierni ricorrenti - tale rilievo, peraltro non fatto oggetto di ricorso incidentale, è privo di fondamento, perché dal fascicolo di parte risulta che l'atto di appello di R.U. e A.D R. , datato 11 dicembre 2002, contiene il mandato al difensore Avv. Lalli e le due firme, poste a margine dell'atto, sono regolarmente autenticate dal medesimo, sicché nessuna contestazione è proponibile a questo riguardo. 1.1. Col primo motivo del ricorso principale si lamenta, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 5 , cod. proc. civ., omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione e omesso esame di fatti decisivi. Rilevano in proposito i ricorrenti che la sentenza d'appello, pur avendo riconosciuto la correttezza dell'operato del c.t.u., non ne ha poi seguito le conclusioni, adottando così un modo di procedere che non sarebbe corretto. Non si comprende, infatti, il motivo per cui, pur dandosi atto che il fermo produttivo ha inciso in qualche misura sull'annullamento degli ordini per l'anno 1992, sia stata poi esclusa ogni forma di risarcimento, anche in via equitativa, per tale periodo. Oltre a ciò, il c.t.u. ha spiegato che nella lavorazione del marmo l'acqua ha un'importanza fondamentale e che la procedura di svolgimento di tale attività si caratterizza per la notevole rigidità dei tempi ne consegue che molti ordini effettuati prima del fermo dovevano essere evasi nel successivo anno 1992 e sono stati annullati proprio a causa dei ritardi. Di tutto ciò il c.t.u. ha dato ampio riscontro, sicché la sentenza avrebbe anche omesso di valutare tali fatti decisivi ai fini di un completo risarcimento del danno. 1.2. Il motivo non è fondato. La sentenza impugnata, nel dare conto che le aziende degli odierni ricorrenti avevano subito un fermo produttivo di quindici giorni lavorativi pari a venti giorni globali , ha ritenuto di dissentire dalle conclusioni cui era pervenuto il c.t.u. nel giudizio di primo grado, secondo cui dovevano essere considerate perdite risarcibili, per l'anno 1992, tutti, gli importi attinenti agli ordini annullati. Ciò premesso, la Corte d'appello - richiamandosi alla circostanza che le aziende oggi ricorrenti avevano smarrito la propria contabilità a causa di un'alluvione - ha valutato equitativamente il danno, utilizzando come punto di partenza il minor fatturato per l'anno 1991. La valutazione di cui all'art. 1226 cod. civ. consiste, secondo l'insegnamento di questa Corte, nella possibilità attribuita al giudice di ricorrere, anche d'ufficio, a criteri equitativi per supplire all'impossibilità della prova del danno risarcibile nel suo preciso ammontare. Per simile valutazione è sufficiente che il giudice dia l'indicazione di congrue, anche se sommarie, ragioni del processo logico in base al quale lo,^ ha adottato,, restando così incensurabile, in sede di legittimità, l'esercizio di questo potere discrezionale Cass., 11 novembre 2005, n. 22895 e 9 agosto 2007, n. 17492 . Ora la Corte di merito, recependo, sotto tale aspetto, le conclusioni della c.t.u., non si è limitata a richiamare il dato del minor fatturato per l'anno 1991, ma ha chiarito che il calcolo ha preso a base il minor fatturato, nell'ambito della situazione complessiva delle aziende”, in presenza di un danno definito di difficile quantificazione”. Non si è trattato, quindi, di una mera trasposizione di un dato contabile, bensì di un conteggio globale che ha assunto il minor fatturato per l'anno 1991 come sola base di partenza. Ne consegue che, in assenza della contabilità ufficiale, il giudice di merito ha comunque dato conto del criterio equitativo utilizzato e del procedimento logico seguito, sicché a questa Corte è preclusa la possibilità di un sindacato su tale criterio come pure l'indicazione di un criterio diverso. Né può sussistere, perciò, l'invocato vizio di motivazione. 2.1. Col secondo motivo del ricorso principale si lamenta, in riferimento all'art. 360, primo comma, n. 3 , cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 cod. civ. e del principio generale di non contestazione. Osservano R.U. e A.D. che l'impugnata sentenza, nel negare ingresso al maggiore risarcimento indicato dal c.t.u. in conseguenza dell'annullamento degli ordini, ha posto a carico dei danneggiati una sorta di prova negativa, ossia la prova della inesistenza di carenze produttive” nella propria organizzazione aziendale. I ricorrenti, invece, ritengono di aver adeguatamente provato i fatti costitutivi della domanda, tanto più che il B. non ha mai contestato i documenti prodotti in causa. 2.2. Il motivo non è fondato. La sentenza impugnata, in effetti, non ha chiesto, come paiono prefigurare i ricorrenti, la prova negativa della inesistenza di carenze produttive aziendali, che avrebbe assunto quasi il carattere di una probatio diabolica. Ciò che la Corte fiorentina ha affermato è che, essendo terminato il fermo produttivo in data 20 novembre 1991, non si poteva ritenere che tale elemento fosse stato l'unico idoneo a determinare l'annullamento degli ordini per l'anno successivo, il che è del tutto ragionevole l'esistenza di un fermo può costituire un utile elemento di prova, ma non può, di per sé solo, considerarsi prova sufficiente della correlazione tra l'interruzione dell'attività e la conseguente revoca degli ordini. La sentenza in esame, quindi, non ha violato alcuna regola in tema di prove, limitandosi a riconoscere l'inidoneità delle prove raccolte a dimostrare l'evento di danno. 3.1. Con l'unico motivo di ricorso incidentale G.F. e I P. lamentano violazione e falsa applicazione, in riferimento all'art. 360, primo comma, n. 3 , cod. proc. civ., dell'art. 2056 cod. civ., per aver ritenuto la Corte d'appello che il danno risarcibile fosse equivalente al minor fatturato anziché al minore guadagno degli attori. Rilevano le parti ricorrenti che, se è ragionevole che la Corte d'appello abbia fatto riferimento al minor fatturato per l'anno 1992 in relazione al fermo patito nel 1991, non è altrettanto ragionevole che dal minor fatturato possa trarsi anche il minor guadagno. Né può modificare i termini della questione il fatto che sia andata perduta la contabilità aziendale per il periodo in questione, perché certamente non sono andate perdute le dichiarazioni dei redditi presentate in quegli anni”, alle quali si sarebbe dovuto fare riferimento nella determinazione concreta del danno. 3.2. Anche il ricorso incidentale non è fondato. Il giudice di merito, secondo quanto detto in ordine all'esame del ricorso principale, ha ritenuto di dover procedere ad una valutazione equitativa del danno, assumendo come base il dato del minor fatturato. Il diverso criterio indicato nel ricorso incidentale - ossia quello del reddito di lavoro, secondo il dettato dell'art. 137 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 - è imposto dalla legge nel caso di danno alla persona, ossia in una situazione del tutto diversa da quella oggi in esame. Il giudice di merito avrebbe potuto servirsene, fornendo adeguata motivazione sul punto, ma ha ritenuto, invece, di utilizzare un criterio equitativo diverso, probabilmente più funzionale alla valutazione di un danno concernente lo svolgimento di un'attività imprenditoriale. Non sussiste, quindi, l'invocata violazione di legge. 4. Il ricorso principale e quello incidentale, pertanto, sono rigettati. In considerazione della reciproca soccombenza, si stima equo compensare integralmente le spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte, decidendo sui ricorsi riuniti, rigetta il ricorso principale e quello incidentale. Compensa integralmente le spese del giudizio di cassazione.