Il superiore gerarchico della Forza pubblica esprime un parere sulle condizioni psicologiche del proprio sottoposto: esclusa la lesione del diritto alla persona

Nell’ipotesi di insubordinazione il superiore gerarchico di Polizia giudiziaria, nel predisporre la relazione di servizio del fatto, oltre a descrivere la circostanza può esprimere giudizi e valutazioni in merito alla personalità dell’agente purché nel rispetto del principio di continenza e riservatezza.

La fattispecie. Non sempre gli ordini del superiore vengono rispettati neppure nell’organigramma della Forza Pubblica. Nel caso in esame i Commissari, preso atto dell’insubordinazione di un agente, hanno predisposto cinque esaustive relazioni descrittive del fatto formulando anche alcune considerazioni sul profilo psichico della persona che aveva commesso l’illecito. Relazioni che hanno indotto il Questore a sottoporre l’insubordinato a una visita psichiatrica al fine di valutare l’idoneità dello stesso a svolgere un ruolo di pubblica sicurezza. L’agente, da parte sua, ha citato avanti al competente Tribunale i propri superiori asserendo una pretesa lesione del diritto alla personalità, al decoro, all’onore e alla reputazione. Se il Giudice di primo grado non ha esitato a condannare i convenuti la Corte d’appello, per converso, ha assunto altra posizione riformando la decisione. Il superiore gerarchico può esprimere valutazioni sulla personalità dell’agente. La posizione assunta dalla Corte di legittimità è chiara il superiore gerarchico ha diritto a esprimere i propri giudizi sulla personalità dell’agente che, comunque, debbono rispettare il limite della continenza. Ne consegue che l’espressione di un giudizio, anche attinente alla personalità e al profilo psichico, non è di per sé offensiva ma l’eventuale lesione del diritto all’onore deve essere valutata dal Giudice di merito in concreto. Posizione che, francamente, non può che essere condivisa anche in considerazione della importante, e delicata, funzione che gli agenti di pubblica sicurezza svolgono. Esaminando tale censura il Supremo Collegio ha ribadito la propria incapacità a sindacare, nuovamente, nel merito la relazione onde evitare di incorrere in un terzo grado di giudizio. Le critiche debbono essere riservate. Se il superiore ha la possibilità di formulare le proprie osservazioni il subordinato ha diritto che dette siano riservate e non divulgate a terzi ma, anche sotto tale profilo, le pretese dell’agente sono state disattese. Difatti pur avendo dimostrato la divulgazione della notizia nell’ambiente lavorativo il precitato aveva omesso di produrre qualsiasi elemento di prova in merito all’imputabilità, dolosa o colposa, della divulgazione della notizia ai propri superiori gerarchici i quali, per converso, avevano trasmesso la relazione in via riservata al Questore. In applicazione del principio generale dell’onere della prova chi vuol far valere un diritto in giudizio deve ha l’onere di n.d.r. provare i fatti che ne costituiscono il fondamento il Giudice di legittimità non ha potuto far altro che confermare la sentenza della Corte d’Appello nella parte in cui rigettava la richiesta risarcitoria.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 20 giugno - 6 settembre 2012, n. 14926 Presidente Finocchiaro – Relatore Barreca Svolgimento del processo 1.- Con la decisione ora impugnata, pubblicata il 16 novembre 2010, la Corte d'Appello di Perugia ha accolto l'appello proposto da M.I. , A.R. , Ca.Ri. , S.V. e P.L. nei confronti di C.G. , avverso la sentenza del Tribunale di Perugia - sezione distaccata di Assisi n. 32 del 30.5/22.6.2006. Il Tribunale era stato adito con atto di citazione notificato il 28 agosto 2000 col quale C.G. aveva evocato in giudizio i soggetti poi appellanti, anch'essi come lui in servizio presso il Commissariato di P.S. di Assisi, con ruoli sovraordinati, perché fossero condannati al risarcimento del danno causato all'attore per la lesione dei diritti della personalità, quali l'onore il decoro e la reputazione, provocata dai predetti, in particolare con cinque relazioni di servizio, tutte pressoché contestuali, nelle quali erano stati espressi giudizi e valutazioni in ordine alle sue condizioni psicologiche, in esito ai quali era stata disposta la sua convocazione presso l'Ospedale Militare di Perugia per l'accertamento dei requisiti di idoneità al servizio conclusosi, peraltro, con esito per lui positivo . I convenuti si erano costituiti nel giudizio di primo grado ed avevano contestato la domanda, chiedendone, in via principale, il rigetto ed, in via subordinata, la riduzione della somma richiesta a titolo risarcitorio avevano quindi formulato domanda riconvenzionale finalizzata al risarcimento del danno derivante dalle frasi contenute nell'atto di citazione, in quanto lesive del loro onore e della loro reputazione. 1.2.- Il Tribunale, accogliendo la domanda dell'attore, limitava l'ammontare del risarcimento dovuto dai convenuti, condannando ciascuno al pagamento, a titolo appunto di risarcimento danni, della somma di Euro 2.000,00, oltre interessi e spese non si pronunciava invece sulla domanda riconvenzionale. 2.- Proposti distinti atti di appello, poi riuniti, e costituitosi l'appellato nel giudizio di secondo grado, la Corte d'Appello di Perugia ha, come detto, accolto il gravame ha altresì condannato l'appellato al pagamento delle spese di entrambi i gradi in favore degli appellanti, compensandole in parte nei confronti dell'appellante Ca. , poiché, avendo questa soltanto e non anche gli altri appellanti riproposto la domanda riconvenzionale, la relativa pretesa è stata rigettata. 3.- Avverso la sentenza della Corte d'Appello, C.G. propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi. Resistono con controricorso tutti gli intimati. Ca.Ri. , nonché S.V. e P.L. , hanno depositato memorie ex art. 378 cod. proc. civ Motivi della decisione 1.- Col primo motivo di ricorso si denuncia nullità del procedimento per assenza di motivazione violazione dell'art. 132 cod. proc. civ. ai sensi dell'art. 360 n. 4 cod. proc. civ., perché la Corte d'Appello di Perugia non avrebbe motivato sull'eccezione del C. di carenza in capo agli appellanti dell'interesse ad impugnare. Il ricorrente espone di avere formulato tale eccezione in relazione all'art. 100 cod. proc. civ., perché gli appellanti non sarebbero stati soccombenti in primo grado in quanto il Tribunale avrebbe accolto in toto la domanda subordinata dei convenuti, così come formulata nelle conclusioni, avendo quantificato i danni in misura inferiore a quella richiesta dall'attore. Censura quindi l'affermazione della Corte d'Appello secondo cui l'interesse ad impugnare sarebbe stato sussistente essendo stata accolta la domanda formulata dall'attore in prime cure” ed avendo il giudice soltanto limitato l’entità del risarcimento liquidato come richiesto, in via meramente subordinata, dai convenuti in primo grado”. 1.2.- Anche a voler prescindere dal profilo di inammissibilità del motivo per essere stato questo riferito alla nullità del procedimento” piuttosto che alla nullità della sentenza” come avrebbe dovuto, avuto riguardo al tenore della censura , il motivo non è comunque meritevole di accoglimento. La motivazione relativa al rigetto dell'eccezione sollevata dall'appellato è esistente e riconoscibile, sia graficamente che giuridicamente essa si è estrinsecata nelle proposizioni sopra riportate idonee a dare conto della ratio decidendi seguita dalla Corte territoriale, tra loro perfettamente complementari e coerenti, tanto da escludere in radice la configurabilità del vizio denunciato che, invece, sussiste quando la motivazione manchi del tutto - nel senso che alla premessa dell'oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segue l'enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione - ovvero essa formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum così Cass. n. 20112/09 ma, sulla violazione di legge per motivazione mancante, cfr. già Cass. S.U. n. 5888/92 e la successiva giurisprudenza conforme . Le ragioni del rigetto dell'eccezione, come espresse in sentenza, sono per di più conformi al principio della soccombenza in ragione del quale è regolato l’interesse ad impugnare, dovendosi avere riguardo alla soccombenza intesa in senso sostanziale, che sussiste ogniqualvolta la decisione impugnata sia idonea a recare pregiudizio alla parte impugnante cfr. Cass. n. 10486/09, n. 6770/12 . Questo è accaduto nel caso di specie in cui i convenuti, poi appellanti, erano stati condannati ciascuno al pagamento di una somma di denaro in favore dell'attore, pur se in misura ridotta rispetto a quanto da quest'ultimo richiesto l'unico strumento utile ai condannati per evitare il correlato pregiudizio patrimoniale non avrebbe potuto essere che la rimozione della condanna, conseguibile con l'impugnazione cfr. Cass. n. 1236/12, nel senso che vi è interesse all'impugnazione ove sussista la possibilità, per la parte che l'ha fatta, di conseguire un risultato utile e giuridicamente apprezzabile . A quanto sopra si aggiunga che, nel caso di specie, non si tratta nemmeno di accoglimento di domanda subordinata , atteso che il ricorrente ha riguardo alla posizione processuale dei convenuti, quindi alla loro difesa subordinata di riduzione del quantum pertanto, è risultata accolta dalla sentenza, non una domanda, ma detta difesa, in conseguenza della liquidazione del danno che il giudice ha fatto secondo una valutazione in via equitativa rispetto a questa liquidazione è da escludere che i convenuti fossero risultati vittoriosi solo perché, in via subordinata, avevano contestato il quantum richiesto dall'attore, chiedendone la riduzione cfr. Cass. n. 17957/08, secondo cui l'interesse ad impugnare viene meno in capo alla parte solo se sia risultata integralmente vittoriosa nel precedente grado di giudizio . Il primo motivo di ricorso va perciò rigettato. 2.- Col secondo motivo è dedotta violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2043 cod. civ., 112, 115 e 116 cod. proc. civ., nonché vizio di motivazione. Il ricorrente lamenta che la Corte territoriale si sarebbe soffermata sul quantum dell'offensività della condotta tenuta dai convenuti, poi appellanti, senza valutare se quella condotta fosse, in primo luogo, legittima nell'an e ciò malgrado il ricorrente avesse dedotto che si sarebbe trattato di condotta contra ius perché contraria ai regolamenti dell'Amministrazione della Pubblica Sicurezza D.P.R. 25/10/1981 n. 737 e n. 782/1985. Aggiunge che, se i resistenti si fossero attenuti a quanto di loro competenza nella redazione delle relazioni di servizio, queste avrebbero condotto soltanto all'apertura di un procedimento disciplinare per l'episodio di insubordinazione - peraltro unico - del quale si sarebbe reso protagonista il C. per contro, avendo gli autori delle relazioni concluso con loro giudizi circa l'esistenza di sintomi di disagio psicologico in capo a quest'ultimo ed avendo in particolare la Ca. espresso solo giudizi di carattere medico-legale traendo conclusioni che esulerebbero dalla specifica competenza del dirigente, circa le condizioni psico-fisiche del C. , avrebbero comportato la sottoposizione di questi a visita psichiatrica secondo il ricorrente, sarebbe stata la convergenza e contestualità di ben cinque relazioni di servizio di allarmante contenuto a costringere l'Amministrazione ad inviare il C. al C.M.O. di Perugia affinché fosse sottoposto all'umiliante procedura della visita psichiatrica”. Il ricorrente critica la sentenza impugnata anche perché si sarebbe spinta ad indagare elementi di reato mai allegati dall'attore, in violazione dell'art. 112 cod. proc. civ., avendo escluso, in particolare, la sussistenza del reato di diffamazione, pur avendo riconosciuto che vi era stata la divulgazione delle notizie, ma escludendone l'imputabilità a comportamenti dolosi o colposi dei resistenti. Svolge quindi ulteriori considerazioni sul denunciato vizio di motivazione. In primo luogo, lamenta che la Corte territoriale non avrebbe argomentato né sulle allegazioni relative alla legittimità e conformità ai regolamenti del contenuto delle relazioni di servizio né sulle prove documentali e testimoniali che avrebbero dimostrato come l'intento dei resistenti fosse quello di umiliare pubblicamente il C. . In secondo luogo, deduce l'omessa motivazione sul nesso di causalità tra la condotta dei resistenti e la disposta visita psichiatrica , avendo invece la Corte territoriale indagato soltanto sul nesso di causalità tra la condotta dei resistenti e la diffusione del contenuto delle relazioni di servizio. 2.1.- Col terzo motivo di ricorso è denunciata violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2059 cod. civ. e 2 Cost. perché la Corte d'Appello avrebbe respinto la domanda risarcitoria, in quanto avrebbe escluso il reato di diffamazione e con tale decisione si sarebbe posta in contrasto con i più recenti arresti della giurisprudenza di legittimità sull'art. 2059 cod. civ. Cass. S.U. nn. 26972, 26973, 26974 e 26975 del 2008 , per i quali il danno non patrimoniale è risarcibile non solo quando il fatto illecito è previsto dalla legge come reato o nei casi determinati dalla legge, ma ogniqualvolta vi sia pregiudizio di diritti della persona costituzionalmente garantiti, come nel caso di specie. 3.- I motivi vanno trattati congiuntamente, poiché evidentemente connessi, anche tenuto conto delle ragioni della decisione impugnata. Quest'ultima ha argomentato secondo i seguenti fondamentali passaggi a premesso che le relazioni di servizio asseritamente illegittime e foriere di danno all'appellato non appaiono rivestire caratteri tali da consentire di rilevare un'esorbitanza rispetto a quanto legittimamente nelle stesse rassegnabile .”, ha esaminato, una per una, il contenuto delle quattro indirizzate al Dirigente il Commissariato, nella circostanza Ca.Ri. quindi, ha esaminato nel dettaglio il contenuto della missiva riservata amministrativa inviata da quest'ultima al Questore di Perugia è poi passata a riscontrare i fatti riportati nelle relazioni e nella missiva con le risultanze della prova documentale e testimoniale ha perciò concluso nel senso che gli atti esaminati non contengono frasi lesive dell'onore e della reputazione dell'appellato e che negli stessi vi è sostanzialmente un profilo di proporzionalità e continenza che non trasmoda in una fattispecie penalmente rilevante” b ha poi escluso che il contenuto delle relazioni risultasse divulgato dagli autori o anche soltanto da taluno di loro, soggiungendo che questo portava all'esclusione della fattispecie di reato dell'art. 595 cod. pen. ha precisato anzi che la divulgazione della notizia dell'esistenza delle relazioni non era stata causata da un comportamento doloso o colposo degli appellanti, ma da eventi non riconducibili a questi ultimi. 3.1.- Relativamente alla parte della motivazione richiamata sopra sub a , ritiene il Collegio che il secondo motivo di censura sia inammissibile, laddove si risolve nella richiesta di un nuovo accertamento del merito della controversia, ed infondato, laddove denuncia il vizio di violazione di legge. Quanto al primo aspetto, la Corte territoriale ha accertato la corrispondenza al vero dei fatti esposti nelle relazioni di servizio, la conformità del loro contenuto a quanto legittimamente nelle stesse rassegnabile , l'assenza di frasi in sé ingiuriose o lesive dell'onore o della reputazione del ricorrente, la proporzionalità e la continenza degli scritti. Si tratta di apprezzamenti di fatto, riservati al giudice di merito, che non risultano intaccati dalla censura di vizio di motivazione il ricorrente lamenta che la Corte d'Appello non avrebbe preso in considerazione i regolamenti, indicati col riferimento generico ai decreti n. 737/81 e n. 782/85, ma non indica le specifiche norme regolamentari che, nel caso di specie, sarebbero state violate e delle quali il giudice di merito non avrebbe tenuto conto sostiene che l'istruttoria avrebbe evidenziato l'intento dei resistenti di umiliare pubblicamente il C. , ma, senza contestare gli elementi di prova valutati dalla Corte d'Appello, ne menziona degli altri in sé privi della decisività richiesta dall'art. 360 n. 5 cod. proc. civ. perché la loro mancata considerazione possa viziare la motivazione cfr. Cass. n. 10156/2004, n. 14304/05, n. 5473/2006, n. 21249/2006, n. 9245/2007 assume che vi sarebbe stata un'omessa motivazione sul nesso di causalità tra la condotta dei ricorrenti e la visita psicoattitudinale alla quale il C. venne sottoposto, ma non indica quali sarebbero stati gli elementi di prova trascurati dal giudice a quo e che invece sarebbero stati decisivi per l'accoglimento della pretesa risarcitoria – una volta che il giudice di merito aveva escluso, così come ha escluso, che le relazioni di servizio riportassero fatti non conformi al vero ovvero contenessero frasi ingiuriose, affermazioni che per regolamento non avrebbero potuto contenere, offese inutili od esagerazioni tali da rendere il loro contenuto contrario a norme di legge o di regolamento oppure non conforme ai parametri della pertinenza, della proporzionalità e della continenza. In conclusione, il ricorrente - nel riportare i passaggi delle relazioni di servizio già esaminati dalla Corte d'Appello, al fine di escluderne la portata offensiva, e nel sostenerne invece tale portata, in ragione degli argomenti sopra sintetizzati - non fa che sollecitare questa Corte ad un riesame del merito della fattispecie, precluso in sede di legittimità. 3.2.- Quanto al vizio di violazione di legge, la non riscontrata antigiuridicità della condotta dei resistenti, ma anzi la reputata doverosità della stessa, quali sovraordinati gerarchici del C. nel Commissariato di P.S. dove prestava servizio, è, di per sé, sufficiente ad escludere l'illecito aquiliano con riguardo alla redazione, in sé considerata, e delle relazioni di servizio dei resistenti A. , M. , P. e S. e della relazione della Dirigente Ca. . Ne segue che, escluso il fatto contra ius, non vi è più luogo a dibattere né sull'elemento psicologico del dolo o della colpa né sul nesso di causalità tra il detto fatto redazione delle relazioni di servizio e della riservata amministrativa ed i provvedimenti adottati dal Questore di Perugia, prima con l'invio del C. a visita presso il medico della Polizia di Stato e dai sanitari, poi con l'invio del C. presso l'Ospedale Militare di Perugia . Attesa la ritenuta legittimità della condotta degli odierni resistenti, non può certo ritenersi lesiva dei diritti della personalità del ricorrente l'adozione di tali ultimi provvedimenti, che ne è stato l'esito conforme ai regolamenti, secondo la valutazione discrezionale dei loro autori, pur essendo evidente il collegamento tra la relazione inviata dalla Dirigente al Questore e le determinazioni di quest'ultimo. Né rileva che la Corte d'Appello abbia concluso la prima parte della motivazione, osservando che il contenuto degli atti sia tale che non trasmoda in una fattispecie penalmente rilevante”. Fatto salvo quanto si dirà a proposito della divulgazione della notizia dell'esistenza delle relazioni di servizio e/o del loro contenuto e/o della sottoposizione del C. alle visite mediche, la mancanza di antigiuridicità degli scritti, considerati sia in sé sia in collegamento con i provvedimenti in conseguenza adottati dall'organo sovraordinato destinatario delle relazioni, ha formato oggetto di considerazione e, come si è detto, di adeguata motivazione da parte della Corte d'Appello in termini tali da poter essere contemporaneamente riferita al comune elemento costitutivo e dell'illecito aquiliano e del reato di diffamazione. Ed invero sia nell'uno che nell'altro va riscontrata l'esistenza della lesione dell'onore e della reputazione del soggetto che si assume danneggiato dall'illecito civile e vittima del reato, connotandosi poi il primo per la maggiore ampiezza dell'elemento soggettivo rilevante che è anche la colpa ed il secondo per l'ulteriore elemento della comunicazione con più persone . È del tutto consequenziale che, una volta esclusa la lesione di detti diritti della personalità e, quanto all'illecito civile, di altri diritti fondamentali costituzionalmente riconosciuti , resta esclusa l'applicazione sia dell'art. 2043 cod. civ. e quindi dell'art. 2059 cod. civ., sul quale si tornerà che dell'art. 595 cod. pen. e ciò è tanto vero che, come si dice appresso sub 4, l'ulteriore elemento del reato di diffamazione è stato valutato dal giudice a quo con riguardo al diverso profilo della potenzialità offensiva della divulgazione degli eventi, in sé considerata. 4.- Sotto quest'ultimo aspetto, viene in rilievo, in particolare, il passaggio motivazionale riportato sopra sub b , tale che la Corte territoriale ha escluso addirittura che fosse ascrivibile, in punto di fatto, alla Dirigente del Commissariato, e men che meno agli autori delle relazioni di servizio, la divulgazione della notizia della loro esistenza o del loro contenuto ovvero della sottoposizione del C. alla visita per l'accertamento dell'idoneità al servizio. Si tratta di un apprezzamento in punto di fatto, la cui motivazione, contenuta alle pagine 9-10 della sentenza impugnata, deve reputarsi immune da censura ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ., poiché il ricorrente non ha contestato le risultanze probatorie su cui è fondata. 4.1.- La motivazione è corretta anche in diritto. Corretto è infatti il presupposto secondo cui, in via ipotetica, si sarebbe potuta configurare una lesione dei diritti personalissimi del ricorrente in ragione non solo dell'esistenza delle relazioni, ma eventualmente anche della modalità della divulgazione della notizia, della loro esistenza e/o del loro contenuto, nell'ambiente di lavoro o di vita del C. . Dato ciò, tuttavia la Corte d'Appello è giunta ad escludere la responsabilità dei resistenti proprio perché ha escluso, in punto di fatto, la riferibilità agli stessi della divulgazione della notizia ha validamente motivato in tal senso, sia quanto alla comunicazione fattane ai superiori gerarchici reputata, nel caso di specie, in sé non diffamatoria cfr. Cass. n. 4855/99, richiamata in sentenza sia quanto alla più ampia conoscenza” nell'ambiente di lavoro risultante dai documenti richiamati in sentenza , della quale ha ritenuto non esservi la prova dell'imputabilità a comportamento doloso o colposo degli appellanti. Il secondo motivo di ricorso va perciò rigettato. 5.- Dato quanto sopra, risulta non pertinente il terzo motivo di ricorso, poiché la Corte d'Appello non ha escluso la risarcibilità del danno non patrimoniale per non avere riscontrato, nel caso di specie, gli elementi di reato, pur sussistendo invece un illecito civile, ed avere, quindi, erroneamente ritenuto che potessero essere risarciti, ex art. 2059 cod. civ., soltanto i danni provocati da un fatto illecito costituente reato. Piuttosto, ha escluso che i fatti denunciati dal ricorrente fossero idonei a lederne i diritti della personalità, specificamente l'onore, il decoro e la reputazione, quindi ha ritenuto che non integrassero nemmeno un illecito civile. Così come formulato, il motivo di ricorso è inammissibile, poiché eccentrico rispetto al decisum di secondo grado. 6.- In conclusione, il ricorso va rigettato. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida come segue - nella somma di Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali, IVA e CPA come per legge, in favore di Ca.Ri. - nella somma di Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali, IVA e CPA come per legge, in favore di S.V. e P.L. , in solido tra loro - nella somma di Euro 1.800,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali, IVA e CPA come per legge, in favore di M.I. e A.R. , in solido tra loro.