Tappeto bagnato, negoziante sfortunato

Manca la prova documentale delle spese sostenute per la pulizia dei tappeti, che, tra l’altro, erano in conto deposito. La decisione dei giudici di merito di dichiarare il concorso di colpa del negoziante è confermata dalla Corte di Cassazione.

Il caso. Un rivenditore di tappeti e oggetti di antiquariato citava in giudizio il proprietario locatore dell’immobile e il condominio, perché a causa di un forte acquazzone il sottonegozio si era allagato. La richiesta, per i gravi danni a tappeti e oggetti, era la condanna in solido dei convenuti al risarcimento. Tuttavia, il tribunale di primo grado dichiarava il concorso di colpa, nella misura del 50%, dell’attrice. In più, l’appello non modifica il verdetto di primo grado e la questione arriva avanti ai giudici della Cassazione. Danno da lucro cessante liquidato in via equitativa? Corte di Cassazione sent. n. 8553/2012 depositata il 29 maggio che avalla quanto stabilito dai giudici di merito, affermando che la parte interessata non ha dimostrato con i propri libri contabili una contrazione dei guadagni nell’anno in cui si è verificato il fatto lesivo neppure ha offerto la prova ovvero ha chiesto di dimostrare che il mancato dedotto utilizzo del locale sottoscala le abbia determinato un danno una diminuzione del reddito . In sostanza, il risarcimento deve essere certo nella sua esistenza e, se tale certezza non sussiste, il giudice non può procedere alla quantificazione del danno in via equitativa . I tappeti erano in conto deposito, necessaria la prova del danno subito. Inoltre, la S.C. sottolinea che la parte ricorrente non ha prodotto nel giudizio di merito, la prova documentale in ordine alle spese sostenute per la pulizia dei tappeti. Prova assolutamente necessaria al fine di dimostrare di aver subito un concreto ed effettivo pregiudizio economico, anche perché essa non era proprietaria dei tappeti, ma li deteneva solo in conto deposito. In conclusione, la Cassazione rigetta il ricorso condannando il ricorrente alla rifusione delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 24 aprile – 29 maggio 2012, numero 8553 Presidente Segreto – Relatore Carleo Svolgimento del processo Con atto di citazione del 17/2/1988 la Russo Antichità s.r.l conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Lecce D.L. , quale proprietario locatore dell'immobile sito al OMISSIS ove la società attrice svolgeva attività commerciale di rivendita di tappeti ed oggetti di antiquariato, sia il Condominio di cui faceva parte l'immobile. Esponeva che in data 15-17/9/1988 si era verificato un forte acquazzone che aveva provocato un allagamento nel sottonegozio ove erano depositati tappeti ed oggetti di antiquariato, i quali avevano subito gravi danni. Concludeva la società istante chiedendo la condanna dei convenuti in solido al risarcimento del danno. Si costituivano entrambi convenuti i quali non contestavano l'avvenuto allagamento, pur ricollegandolo l'uno alle inadempienze dell'altro comunque deducevano il concorso di colpa della società conduttrice. Il solo D. spiegava riconvenzionale per ottenere dall'attrice il ripristino del locale a perfetta regola d'arte. Invece il Condominio XXXXX chiedeva ed otteneva la chiamata in causa della Compagnia Tirrena S.p.a avendo stipulato con la stessa polizza di assicurazione globale del fabbricato. La causa interrotta per la messa in liquidazione coatta della menzionata compagnia assicurativa veniva riassunta nei confronti del Commissario liquidatore che si costituiva chiedendo la estromissione dal giudizio. Si costituiva poi T.E. , in qualità di cessionaria dei diritti litigiosi della Russo Antichità s.r.l chiedendo la condanna di chi di ragione al risarcimento dei danni in proprio favore. La causa veniva istruita con interrogatorio e consulenza tecnica. Con sentenza 5/4/2004 il GOA presso il Tribunale di Lecce 1 Dichiarava che il danno subito dall'attrice era attribuibile a colpa della stessa in ragione del 50% e del condominio XXXXX nonché di D.L. per la restante parte 2 Condannava i convenuti al pagamento, in favore della società attrice della complessiva somma di Euro 7.483,80 di cui Euro 2.459,73 per capitale ed il resto per interessi e svalutazione 3 condannava i convenuti al pagamento della metà delle spese di lite sostenute dalla società attrice 4 disponeva la estromissione della Tirrenia in liquidazione coatta tanto con spese irrepetibili. Avverso tale decisione proponeva appello principale il D. mentre la Russo Antichità, la T. nonché il Condominio proponevano appello incidentale. In esito al giudizio, la Corte di Appello di Lecce con sentenza depositata in data 4 ottobre 2007 rigettava la domanda proposta dalla Russo Antichità e dichiarava compensate le spese. Avverso la detta sentenza la Russo Antichità e la T. hanno proposto ricorso per cassazione articolato in due motivi, illustrato da memoria. Resiste con controricorso il Condominio. Motivi della decisione Con la prima doglianza, deducendo la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2051, 2056, 1223 e 1264 cc, le ricorrenti hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte di Appello ha statuito che il pregiudizio derivante dalla distruzione dei tappeti e dal sostanziale inutilizzo del sottonegozio non sarebbe stato provato dall'attrice su cui incombeva il relativo onere probatorio. Hanno quindi formulato ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c., i seguenti quesiti A DICA L'ECC.MA CORTE ADITA SE IL DANNO DA LUCRO CESSANTE PER MANCATA VENDITA DI MERCE POSSA ESSERE LIQUIDATO IN VIA EQUITATIVA DICA IN PARTICOLARE SE A TANTO POSSA PROCEDERSI, LADDOVE RISULTI PROVATA L'ESISTENZA ONTOLOGICA DEL DANNO E SIANO STATI ACQUISITI, QUALI ELEMENTI DI VALUTAZIONE, IL PERIODO MEDIO DI AFFIDAMENTO IN CONTO VENDITA DI MERCE DELLO STESSO TIPO, IL RICARICO MEDIO CHE NORMALMENTE OPERA L'AFFIDATARIO SULLA MERCE DETENUTA IN CONTO VENDITA, LA PROBABILE PERCENTUALE DI VENDITA DELLA MERCE SIA IN RELAZIONE ALL'INTERO PERIODO DI AFFIDAMENTO SIA A QUELLO EFFETTIVAMENTE RESIDUATO FINO ALLA RESA DELLA MERCE L'INCIDENZA DELLE SPESE DERIVANTI DALL'ATTIVITÀ DI VENDITA . B DICA L'ECC.MA CORTE ADITA SE IL CONDOMINIO DI UN EDIFICIO, RITENUTO RESPONSABILE, QUALE CUSTODE DEGLI IMPIANTI COMUNI, DEL PREGIUDIZIO SUBITO DAL CONDUTTORE DEL PIANO INTERRATO DI PROPRIETÀ DI UN CONDOMINO, DEBBA RISPONDERE A TALE TITOLO DEL MANCATO GODIMENTO DELLA RES LOCATA . DICA IN PARTICOLARE SE IL RISARCIMENTO RELATIVO POSSA ESSERE LIQUIDATO COMMISURANDOLO ALLA QUOTA DI CANONE CORRISPOSTA DAL LOCATORE PER IL GODIMENTO DEL SOTTONEGOZIO . La doglianza, così come riassuntivamente esposta nei quesiti riportati, anche a voler trascurare il profilo di inammissibilità derivante dal rilievo che i quesiti multipli ex art. 366 cpc non sono ammissibili così Cass. numero 547/08, Cass. numero 1906/08 , non merita di essere accolta. A riguardo, mette conto di premettere che le ragioni della decisione impugnata erano state fondate dai giudici di merito sulle seguenti circostanze di fatto, pacifiche tra le parti 1 nell'incidente de quo erano rimasti danneggiati soltanto i tappeti custoditi nel sottoscala, che erano rimasti bagnati a seguito dell'infiltrazione dall'acqua 2 i tappeti non erano di proprietà della società appellata, la Russo Antichità, bensì della società Trade Oriental Carpet, la quale era stata risarcita sia in ordine al valore dei tappeti sia in ordine alle spese necessarie per la pulizia, il trasporto e lo sgombero. 3 tali tappeti inoltre - e la circostanza aveva valore decisivo ai fini risarcitori - erano stati ricevuti dalla Russo Antichità soltanto in conto deposito cfr pag. 11 della sentenza impugnata . Ne derivava - questa la conclusione dell'iter argomentativo -che il danno riportato dalla società attrice avrebbe potuto consistere solo nell'eventuale mancato guadagno che avrebbe potuto conseguire se avesse venduto i tappeti nel periodo di affidamento in conto deposito. Parimenti, con riguardo al preteso danno, afferente il locale sottoscala, l'eventuale pregiudizio avrebbe potuto consistere solo nel mancato godimento del medesimo ovvero nel mancato utilizzo con eventuale conseguente diminuzione del reddito, posto che la Russo Antichità era mera conduttrice e non proprietaria dell'immobile. Tutto ciò premesso, appare di ovvia evidenza come la doglianza formulata dalla Russo Antichità, fondata essenzialmente sul mancato ricorso alla valutazione equitativa, da parte dei giudici del merito e sulla mancata adozione di alcuni criteri di determinazione del danno, non si contrappone affatto in maniera specifica alle ragioni della decisione, ove si consideri che la ratio decidendi si basa sulla considerazione che nella specie non era rimasta provata la sussistenza di alcun effettivo pregiudizio economico subito. Ed invero - così scrive la Corte di merito - la parte interessata non ha dimostrato con i propri libri contabili una contrazione dei guadagni nell'anno in cui si è verificato il fatto lesivo neppure ha offerto la prova ovvero ha chiesto di dimostrare che il mancato dedotto utilizzo del locale sottoscala le abbia determinato un danno o una diminuzione del reddito v. pag. 13 della sentenza impugnata . Giova aggiungere che il potere discrezionale del giudice del merito di procedere a valutazione equitativa postula l'impossibilità o comunque la rilevante difficoltà di provare l'ammontare preciso del danno richiesto, da valutarsi con riguardo alle particolarità del caso ed alle risultanze processuali, e non esonera affatto la parte istante dall'onere di fornire gli elementi probatori ed i dati di fatto in suo possesso, al fine di permettere la precisa determinazione del danno stesso, né tanto meno può essere volto a supplire l'inerzia probatoria della parte interessata. Inoltre, il pregiudizio economico del quale la parte reclama il risarcimento deve essere certo nella sua esistenza ontologico mentre, se tale certezza non sussiste, il giudice non può procedere alla quantificazione del danno in via equitativa. Ed è appena il caso di ribadire che, nella specie, la società ricorrente si è invece ben guardata dal produrre nei giudizi di merito le dichiarazioni di reddito e la copia dei bilanci depositati presso il registro delle imprese della Camera di commercio, la cui produzione, come rileva il controricorrente Condominio, era stata inutilmente chiesta dal Condominio, dal D. e dal CTU cfr pag. 9 del controricorso né ha inoltre prodotto la prova documentale fatture, ricevute fiscali in ordine alle spese che aveva assunto di aver sostenuto per la pulizia dei tappeti. E ciò, benché si trattasse di elementi di prova assolutamente necessari, al fine di dimostrare di aver subito un concreto ed effettivo pregiudizio economico, alla luce del fatto che essa non era proprietaria dei tappeti, detenendoli solo in conto deposito, così come non era proprietaria del locale sottoscala, avendo su di esso un mero diritto obbligatorio di godimento. Passando all'esame della seconda doglianza, va osservato che la censura, articolata sotto il profilo della motivazione insufficiente e contraddittoria in ordine agli elementi di fatto acquisiti in giudizio ai fini della valutazione anche equitativa del danno, non è stata accompagnata dal alcun momento di sintesi. A riguardo, deve tenersi presente che, ai sensi dell'art. 366 bis cod. proc. civ., introdotto dal D.Lgs. numero 40 del 2006, art. 6, applicabile alle sentenze pubblicate dal 2 marzo 2006, come nella specie, ove sia denunciato un vizio motivazionale ai sensi dell'art. 360 c.p.c. numero 5, così come è avvenuto nel caso di specie, la censura deve contenere un momento di sintesi omologo del quesito di diritto , che ne circoscriva puntualmente i limiti, oltre a richiedere sia l'indicazione del fatto controverso, riguardo al quale si assuma l'omissione, la contraddittorietà o l'insufficienza della motivazione sia l'indicazione delle ragioni per cui la motivazione sarebbe inidonea a sorreggere la decisione Cass. ord. numero 16002/2007, numero 4309/2008 e numero 4311/2008 Ed è appena il caso di sottolineare come tale momento di sintesi debba consistere in una parte del motivo a ciò specificamente destinata, elaborata dallo stesso ricorrente in termini compiuti ed autosufficienti, senza che la Corte sia obbligata ad una attività di interpretazione della doglianza complessivamente illustrata, al fine di poter individuare il fatto controverso, cui si riferisce il ricorrente, e le ragioni per cui la motivazione sarebbe stata omessa o comunque sarebbe insufficiente e/o contraddittoria. Il mancato assolvimento di tale onere comporta l'inammissibilità delle censure. Considerato che la sentenza impugnata appare esente dalle censure dedotte, ne consegue che il ricorso per cassazione in esame, siccome infondato, deve essere rigettato. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese processuali che liquida in Euro 3.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge.