Esce da lavoro e cade, manca il corrimano sulle scale. Possibile responsabilità del datore

Evidente la violazione della normativa antinfortunistica, chiare la ricostruzione dei fatti e l’entità dei danni subiti dalla dipendente. Decisivo valutare la causalità ipotetica fra l’omissione del datore di lavoro e l’evento.

All’uscita da lavoro una scivolata improvvisa sui gradini bagnati di una scala. Lesioni evidenti per la dipendente, che può chiedere il risarcimento alla struttura per cui lavora. Fondamentali l’assenza del corrimano, la ricostruzione dei fatti e la valutazione – come da Cassazione, sentenza numero 2085, terza sezione civile, depositata oggi – del rapporto di causalità ipotetica fra l’omissione del datore di lavoro e l’evento . Struttura mancante? A seguito della brutta caduta, e dei danni conseguenti, la dipendente apre una lunga battaglia giudiziaria. A suo avviso la responsabilità del datore di lavoro è testimoniata dalla carenza strutturale all’uscita del luogo di lavoro, ovvero la mancanza di un corrimano, in evidente violazione delle norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro. Tale visione viene considerata legittima dal Tribunale, che accoglie la richiesta di risarcimento dei danni avanzata dalla donna, ma è la Corte d’Appello a ribaltare la situazione, negando il risarcimento e affermando che non era stata fornita la prova delle modalità dell’incidente e del nesso causale tra la mancanza del corrimano e la caduta . Peraltro, sempre secondo i giudici di secondo grado, non è dimostrato che la presenza di un corrimano avrebbe evitato l’evento dannoso . Prova provata. Ulteriore tappa è quella in Cassazione la donna presenta ricorso ad hoc , chiedendo una rivisitazione completa della vicenda e l’annullamento della pronuncia d’Appello. Secondo la ricorrente, i giudici non avevano correttamente valutato le risultanze probatorie in relazione alla struttura e alle dimensioni del vano scala mentre avrebbero dovuto ritenere l’utilità del presidio antinfortunistico ad evitare l’evento dannoso . Allo stesso tempo, ella sostiene di aver fornito la prova di tutti gli elementi costitutivi dell’illecito il fatto, il danno e la colpa derivante dalla violazione della norma precauzionale . Nesso. La vicenda, così come ricostruita, può essere letta in maniera chiara, secondo i giudici della Cassazione, ovvero è provata la caduta della donna all’uscita del luogo di lavoro e i relativi danni sono stati accertati , in primo grado, dalla consulenza tecnica. Eppoi, certa è la mancanza del corrimano , fatto, questo, che certifica la violazione, da parte del datore di lavoro, delle norme in materia di prevenzione degli infortuni. Quest’ultimo passaggio è decisivo, perché anche la violazione di una norma può costituire causa o concausa di un evento, quando essa sia preordinata ad impedirlo , come testimoniato dalla previsione finalizzata a rendere sicuro l’uso delle scale di accesso ai luoghi di lavoro e prevenire le cadute . Per ragionare sul fronte della responsabilità, bisogna tener presente se il danno rappresenta una concretizzazione del rischio, che la norma di condotta violata tendeva a prevenire . Di conseguenza, è necessario, chiariscono i giudici, accertare se l’evento sia ricollegabile all’omissione causalità omissiva nel senso che esso non si sarebbe verificato se causalità ipotetica l’agente avesse posto in essere la condotta doverosa impostagli, con esclusione di fattori alternativi . Tornando a bomba, ovvero alla vicenda in esame, i giudici chiariscono che la ricorrente ha assolto l’onere probatorio , mentre è mancata l’azione di accertamento del rapporto di causalità ipotetica fra l’omissione del datore di lavoro e l’evento . Questa lacuna dovrà essere colmata dalla Corte d’Appello, a cui i giudici, accogliendo il ricorso della donna, riaffidano la questione.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 10 novembre 2011 – 14 febbraio 2012, numero 2085 Presidente Filadoro – Relatore Armano Svolgimento del processo Con sentenza del 22-10-2008 la Corte di appello di Bologna, in riforma della decisione di accoglimento del Tribunale,ha rigettato la domanda di risarcimento danni proposta da O. A., dipendente dell’I.P.A.B. RETE Reggio Emilia terza età, nei confronti del datore di lavoro, che ha chiamato in causa la sua compagnia assicuratrice Allianz s.p.a, per le lesioni riportate a seguito della caduta all’uscita del luogo di lavorai sui gradini bagnati di una scala, priva di corrimano in violazione dell’articolo 16 D.P.R numero 547/55. La Corte di appello ha ritenuto che la ricorrente non avesse fornito la prova delle modalità dell’incidente e del nesso causale tra la mancanza del corrimano e la caduta, né che la presenza di un corrimano avrebbe evitato l'evento dannoso. Propone ricorso A. O. con due motivi. Resiste con contro ricorso la Allianz s.p.a illustrato da memoria. Motivi della decisione 1.Con il primo motivo si denunzia omessa motivazione su un fatto controverso e decisivo individuato nell’efficaci a causale della presenza del corrimano rispetto all’impedimento dell’evento lesivo e violazione degli articolo 2043 e 2697 c.c Sostiene la ricorrente che se la Corte di merito avesse correttamente valutato le risultanze probatorie in relazione alla struttura e dimensioni del vano scala, avrebbe dovuto ritenere l’utilità del presidio antinfortunistico ad evitare l’evento dannoso. Inoltre i giudici di merito,in violazione degli articolo 2043 e 2697 c.c. , non hanno considerato che la danneggiata aveva assolto all’onere probatorio che le incombeva, avendo fornito la prova di tutti gli elementi costitutivi dell’illecito il fatto, il danno e la colpa derivante dalla violazione della norma precauzionale. 2.Il motivo è fondato. La controversia è stata decisa alla luce dell’articolo .2043 c.c In ipotesi di responsabilità ex articolo 2043 c.c. incombe al danneggiato di provare gli elementi costitutivi del fatto, il nesso di causalità, il danno ingiusto e la imputabilità soggettiva. Risulta provata la caduta della ricorrente sulla scala all'uscita del luogo di lavoro in quanto la teste escussa , pur non avendo assistito al fatto, era vicina al luogo dell’evento ed ha sentito il rumore del capo che urtava contro il muro ,intervenendo subito dopo a soccorrere la collega. I danni riportati sono stati accertati a mezzo c.t.u nel giudizio di primo grado. Certa è la mancanza del corrimano, integrandosi quindi la violazione da parte del datore di lavoro dell'articolo 16 del D.P.R. 27 aprile 1955 numero 547, che impone che le scale destinate all’accesso ai luoghi di lavoro, se sono aperte, devono essere dotate di parapetto o di altra difesa , e se sono delimitate da due pareti, come quella in oggetto, devono essere munite almeno di un corrimano. 3.In ordine al nesso di causalità anche la violazione di una norma può costituire causa o concausa di un evento, quando essa sia preordinata ad impedirlo. Cass. 9 giugno 2010 numero 13830 . La norma in oggetto ha certamente la funzione di rendere sicuro l'uso delle scale di accesso ai luoghi di lavoro e di prevenire le cadute,con l’imposizione dell’obbligo di parapetti nelle scale aperte, che hanno anche la funzione di appoggio , o l’installazione di un parapetto delle scale chiuse da pareti. 4.Di recente questa Corte regolatrice, attraverso le sentenze a S.U. numero 576 e 581 dell’11 gennaio 2008, è pervenuta ad un importante arresto in tema di responsabilità civile, stabilendo che il nesso causale e' regolato dal principio di cui agli articolo 40 e 41 c.p., per il quale un evento è da considerare causato da un altro se il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo, nonché dal criterio della cosiddetta causalità adeguata, sulla base del quale, all'interno della serie causale, occorre dar rilievo solo a quegli eventi che non appaiano ad una valutazione ex an del tutto inverosimili, fermo restando, peraltro, la diversità del regime probatorio applicabile, in ragione dei differenti valori sottesi ai due processi nel senso che, nell'accertamento del nesso causale in materia civile, vige la regola della preponderanza dell'evidenza o del più probabile che non , mentre nel processo penale vige la regola della prova oltre il ragionevole dubbio”. Nell’imputazione per omissione colposa il giudizio causale assume come termine iniziale la condotta omissiva del comportamento dovuto Cass. numero 20328 del 2006 Cass. numero 21894 del 2004 Cass. numero 6516 del 2004 Cass. 22/10/2003, numero 15789 rilievo che si traduce a volte nell’affermazione dell’esigenza, per l’imputazione della responsabilità, che il danno sia una concretizzazione del rischio, che la norma di condotta violata tendeva a prevenire. Il Giudice pertanto è tenuto ad accertare se l'evento sia ricollegabile all’omissione causalità omissiva nel senso che esso non si sarebbe verificato se causalità ipotetica l’agente avesse posto in essere la condotta doverosa impostagli, con esclusione di fattori alternativi. L’accertamento del rapporto di causalità ipotetica passa attraverso l’enunciato controfattuale” che pone al posto dell'omissione il comportamento alternativo dovuto, onde verificare se la condotta doverosa avrebbe evitato il danno lamentato dal danneggiato. 5. Di conseguenza la ricorrente , contrariamente a quanto affermato dalla Corte di appello, ha assolto all’onere probatorio che le incombeva, fornendo la prova di tutti gli elementi costitutivi del fatto, mentre spettava alla Corte di merito accertare il rapporto di causalità ipotetica, nei termini su indicati, fra l’omissione del datore di lavoro e l’evento. Il secondo motivo risulta assorbito dall’accoglimento del primo. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa e rinvia alla Corte di Appello di Bologna, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.