Testata in campo, giocatore condannato. Responsabili anche i genitori: educazione carente

Ritorna in ballo l’ipotesi del risarcimento anche a carico di madre e padre alla Corte d’Appello la nuova pronuncia. Fondamentale tener conto del fatto e della relativa mancanza di una formazione adeguata a fornire i principi del vivere civile e di un corretto comportamento sportivo.

I grandi telecronisti sportivi lo definirebbero un gesto folle . A maggior ragione se compiuto in una partita di calcio tra ragazzi, e, per giunta, a gioco fermo – sempre in gergo –, non in occasione di una rissa o in seguito ad una provocazione. Del ‘gesto folle’, ovvero una testata rifilata all’avversario, deve rispondere, però, non solo l’autore, ma anche i suoi genitori. Per questi ultimi la responsabilità – che può condurre alla condanna a risarcire i danni alla vittima – è legata alla carenza loro addebitabile come educatori Cassazione, sentenza numero 26200, Terza sezione Civile, depositata oggi . Sul terreno di gioco. A dare origine alla battaglia giudiziaria è l’episodio verificatosi durante una partita di calcio tra ragazzi. All’improvviso, durante l’incontro, uno dei calciatori – minorenne – colpisce, con una testata, un avversario. Conseguenze? Condanna dell’autore del folle gesto a risarcire i danni alla vittima. Tranchant sia il giudizio del Tribunale che della Corte d’Appello. Viene però non riconosciuta la responsabilità dei genitori del ragazzo condannato. E su questo punto si accende l’ulteriore diatriba In aula. Le valutazioni compiute in primo e in secondo grado vengono contestate duramente dal ragazzo rimasto ferito in campo e dal padre. A loro avviso, difatti, a pagare debbono essere anche i genitori del calciatore in erba che aveva utilizzato la testa in maniera tutt’altro che sportiva. Unico strumento a disposizione è il ricorso per cassazione, finalizzato a richiamare la responsabilità dei genitori per il danno cagionato dal fatto illecito dei figli minori non emancipati . Controllo e formazione. Nodo gordiano della vicenda, dal punto di vista giudiziario, è la valutazione del ruolo dei genitori. E, in questa ottica, la premessa, per i giudici della Cassazione, è semplice responsabilità ai genitori va attribuita, certo, alla luce del potere-dovere di esercitare vigilanza sul comportamento dei figli stessi ma anche dell’ obbligo di svolgere adeguata attività formativa, impartendo ai figli l’educazione al rispetto delle regole della civile coesistenza, nei rapporti con il prossimo e nello svolgimento delle attività extrafamiliari . Calcio compreso? Pare proprio di sì Ciò che conta, comunque, non è, per i genitori ‘sotto accusa’, la prova di non aver potuto impedire il fatto , bensì la dimostrazione di aver impartito al figlio una buona educazione e di avere esercitato su di lui una vigilanza adeguata . E, chiariscono i giudici, per pesare l’inadeguatezza dell’educazione è utile anche tenere presente il fatto esso, difatti, può rivelare il grado di maturità e di educazione del minore, conseguenti al mancato adempimento dei doveri incombenti sui genitori . Come testimonia la vicenda in questione il minore nel corso di una partita di calcio, ebbe a colpire, con una violenta testata alla bocca, il giocatore della squadra avversaria, e ciò mentre il gioco era fermo e senza avere in precedenza subito un’aggressione . Di fronte a tale ricostruzione dei fatti, era necessario, secondo i giudici di piazza Cavour, valutare se un comportamento anomalo di tal genere, volontario e violento, in alcun modo giustificabile potesse essere letto come indice di una educazione inadeguata rispetto ai dettami civili della vita di relazione e sportivi, la cui responsabilità non poteva che ricadere, presuntivamente, sui genitori . Difatti, in questa visione, ciò che conta davvero è il difetto di un adeguato insegnamento educativo, che ha permesso al minore di ritenere lecito, od anche solo consentito – nell’ambito di un evento sportivo ed in assenza di una qualche giustificazione anche solo presunta – un comportamento così violento, impulsivo ed ingiustificato in danno di un altro minore, giocatore anch’egli . Alla luce del peso attribuito alle carenze educative addebitabili ai genitori, la pronuncia emessa in Appello, concludono i giudici, deve essere cassata. E proprio la Corte d’Appello dovrà riaffrontare la questione, tenendo ben presenti le indicazioni fornite dalla Cassazione.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 29 ottobre – 6 dicembre 2011, n. 26200 Presidente Amatucci – Relatore Vivaldi Svolgimento del processo P. e M.T. convenivano, davanti al Tribunale di Bologna, L. e G.N e N.P. chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti da M.T., all’epoca minorenne, ad opera di L.N., anch’egli minorenne, per un incidente verificatosi durante lo svolgimento di una partita di calcio. I convenuti, costituitisi, contestavano il fondamento della domanda. Il tribunale, con sentenza del 16.6.2003, dichiarava che l’infortunio si era verificato per colpa esclusiva di L.N. condannandolo al risarcimento dei danni, e rigettava le domande risarcitorie nei confronti dei genitori esercenti la potestà sul minore, escludendone la responsabilità ai sensi dell’art. 2048 c.c. Ad eguale conclusione perveniva la Corte d’appello che, con sentenza del 30.8.2008, rigettava l’appello proposto dai T. Questi ultimi hanno proposto ricorso per cassazione affidato ad un motivo illustrato da memoria. Resistono con controricorso G.N. e N.P. Motivi della decisione Il ricorso è stato proposto per impugnare una sentenza pubblicata una volta entrato in vigore il d.Lgs 15 febbraio 2006, n. 40, recante modifiche al codice di procedura civile in materia di ricorso per cassazione con l’applicazione, quindi, delle disposizioni dettate nello stesso decreto al Capo I. Secondo l’art. 366 bis c.p.c. – introdotto dall’art. 6 del decreto – i motivi di ricorso debbono essere formulati, a pena di inammissibilità, nel modo li descritto ed, in particolare, nei casi previsti dall’art. 360, n. 1 , 2 , 3 e 4, l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere con la formulazione di un quesito di diritto, mentre, nel caso previsto dall’art. 360, primo comma, n. 5 , l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione. Segnatamente, nel caso previsto dall’art. 360 n. 5 c.p.c., l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, un momento di sintesi omologo del quesito di diritto che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità Se. Un. 1 ottobre 2007, n. 20603 Cass 18 luglio 2007, n. 16002 . Il quesito, al quale si chiede che la Corte di cassazione risponda con l’enunciazione di un corrispondente principio di diritto che risolva il caso in esame, poi, deve essere formulato in modo tale da collegare il vizio denunciato alla fattispecie concreta v. Sez. Un. 11 marzo 2008, n. 6420 che ha statuito l’inammissibilità, a norma dell’art. 366 bis c.p.c. – del motivo di ricorso per cassazione il cui quesito di diritto si risolva in un’enunciazione di carattere generale e astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie, tale da non consentire alcuna risposta utile a definire la causa nel senso voluto dal ricorrente, non potendosi desumere il quesito dal contenuto del motivo od integrare il primo con il secondo, pena la sostanziale abrogazione del suddetto articolo . La funzione propria del quesito di diritto – quindi –è quella di far comprendere alla Corte di legittimità, dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della questione, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare da ultimo Cass 7 aprile 2009, n. 8463 v. anche Sez. Un. ord. 27 marzo 2009, n. 7533 . Il ricorso rispetta i requisiti richiesti dall’art. 366 bis c.p.c. Con unico motivo i ricorrenti denunciano la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2408 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. Il motivo è fondato. I criteri in base ai quali va imputata ai genitori la responsabilità per gli atti illeciti compiuti dai figli minori consistono, sia nel potere-dovere di esercitare la vigilanza sul comportamento dei figli stessi, sia anche, e soprattutto, nell’obbligo di svolgere adeguata attività formativa, impartendo ai figli l’educazione al rispetto delle regole della civile coesistenza, nei rapporti con il prossimo e nello svolgimento delle attività extrafamiliari Cass. 13.3.2008 n. 7050 Cass. 20.10.2005 n. 20322 cass. 11.8.1997 n. 7459 . La norma dell’art. 2048 c.c. è costruita in termini di presunzione di colpa dei genitori o dei soggetti ivi indicati . In relazione al’interpretazione di tale disciplina, quindi, è necessario che i genitori, al fine di fornire una sufficiente prova liberatoria per superare la presunzione di colpa desumibile dalla norma, offrano, non la prova legislativamente predeterminata di non aver potuto impedire il fatto e ciò perché si tratta di prova negativa , ma quella positiva di aver impartito al figlio una buona educazione e di aver esercitato su di lui una vigilanza adeguata, il tutto in conformità alle condizioni sociali, familiari, all’età, al carattere ed all’indole del minore c. anche Cass. 14.3.2008, n. 7050 . Inoltre, l’inadeguatezza dell’educazione impartita e della vigilanza esercitata su di un minore, può essere ritenuta, in mancanza di prova contraria, dalle modalità dello stesso fatto illecito, che ben possono rivelare il grado di maturità e di educazione del minore, conseguenti al mancato adempimento dei doveri incombenti sui genitori, ai sensi dell’art. 147 c.c. Cass. 7.8.2000 n. 10357 . Nella specie, non solo una tale prova liberatoria non è stata fornita, ma le modalità stesse del fatto sono tali da apparire suscettibili di essere interpretate come indice di un deficit educativo. La sentenza non offre alcuna indicazione di una prova liberatoria fornita o richiesta dagli attuali resistenti né una supposta mancata pronuncia sul punto è stata oggetto di rilievo da parte degli stessi in questa sede. La ricostruzione del fatto operata dalla Corte di merito – come si ricava dalla sentenza impugnata – è del seguente tenore il N., nel corso di una partita di calcio, ebbe a colpire con una violenta testata alla bocca il giocatore della squadra avversaria T. M. e ciò mentre il gioco era fermo e senza avere in precedenza subito un’aggressione da parte del T. . Ora, in considerazione di questo accertamento in fatto – rilevante e non contestato -, la Corte si sarebbe dovuta porre il problema se un comportamento anomalo di tal genere, volontario e violento, in alcun modo giustificabile, per non essere stato neppure commesso durante una fase del gioco e nella concitazione del momento, ma a gioco fermo e deliberatamente, fosse indice di una educazione inadeguata rispetto ai dettami civili della vita di relazione e sportivi, la cui responsabilità – in difetto di una puntuale prova liberatoria – non poteva che ricadere presuntivamente sui genitori, venuti meno ai doveri sugli stessi incombenti ai sensi dell’art. 147 c.c Una corretta applicazione della norma dell’art. 2048 c.c. – sulla base delle considerazioni che precedono – avrebbe imposto un tale esame ma di ciò non vi è traccia nella sentenza impugnata. Erra, inoltre, la Corte di merito quando afferma Ne discende che in tale contesto non ha alcun rilievo l’educazione e la vigilanza spettante ai genitori in linea generale posto che gli stessi non avrebbero in alcun modo potuto intervenire nel corso della competizione sportiva per impartire direttive al figlio o comunque prevedere o impedire l’evento trattasi di un ambito del tutto escluso dal loro intervento, dovendosi il comportamento del N. attribuire in via esclusiva al soggetto stesso ben consapevole delle regole del gioco e del comportamento a cui avrebbe dovuto attenersi e che invece ha deliberatamente violato . Nessun rilievo, infatti, acquista nell’economia della vicenda, né la impossibilità di intervento nel corso della competizione da parte dei genitori, né un dovere di vigilanza che, in questo caso, potrebbe ritenersi spettare agli organi sportivi. Ciò che è rilevante è il difetto di un adeguato insegnamento educativo che ha permesso al minore di ritenere lecito od anche solo consentito – nell’ambito di un evento sportivo ed in assenza di una qualche giustificazione anche solo presunta – un comportamento così violento, impulsivo ed ingiustificato in danno di un altro minore, giocatore anch’egli. Questa regola di diritto, d’altra parte, è il frutto di un bilanciamento di interessi contrapposti balancing test che, nel complesso giudizio sulla responsabilità per i danni ingiusti alla persona, intende allocare il rischio sul danneggiante, con le conseguenze indicate. La sentenza impugnata è pertanto cassata, con rinvio della causa alla Corte di appello di Bologna, in diversa composizione, affinché decida la controversia uniformandosi al seguente principio di diritto Ai sensi dell’art. 2048 c.c., i genitori sono responsabili dei danni cagionati dai figli minori che abitano con essi, per quanto concerne gli illeciti riconducibili ad oggettive carenze nell’attività educativa, che si manifestino nel mancato rispetto delle regole della civile coesistenza, vigenti nei diversi ambiti del contesto sociale in cui il soggetto si trovi ad operare. Conclusivamente, il ricorso è accolto, la sentenza cassata e la causa rinviata alla Corte d’Appello di Bologna in diversa composizione. Le spese sono rimesse al giudice del rinvio. P.Q.M. La corte accoglie il ricorso. Cassa e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Bologna in diversa composizione. Così deciso in data 28 ottobre 2011 in Roma, nella camera di consiglio della terza sezione civile della Corte di cassazione