Furgone usato sicuro, ma prende fuoco. Il posizionamento della merce nega il risarcimento

Secondo i vigili del fuoco e la consulenza tecnica, episodio legato a un corto circuito. Responsabilità della concessionaria negata, nonostante la messa a punto, perché è ritenuto probabile che gli scatoloni abbiano provocato il pizzicamento del filo.

Il furgone prende fuoco, all'improvviso, in una piccola strada cittadina. L'intervento dei pompieri si rivela inutile. Il veicolo è completamente distrutto, assieme a ciò che conteneva biancheria intima e accessori di abbigliamento per il proprietario, un venditore ambulante, è un colpo durissimo. Ma non è l'unico colpo da subire l'altro arriva in aula - sentenza della Cassazione, numero 21900/2011, Seconda Sezione Civile, depositata ieri - dove, nonostante il verbale dei vigili del fuoco e il parere del consulente tecnico d'ufficio, gli viene negato il risarcimento da parte della concessionaria da cui aveva acquistato il furgone. Usato quasi sicuro. Per un commerciante ambulante la necessità di un nuovo mezzo di locomozione e di vendita rappresenta un investimento da ammortizzare. Meglio, allora, provare a contenerlo, a renderlo più leggero. Ecco perché la scelta ricade su un furgone usato. Il prezzo? Quattro milioni e mezzo di vecchie lire, con l'aggiunta - che non guasta - di una messa a punto completa e di una garanzia, da parte del venditore, di 3 mesi. Eppure, nonostante tutto, dopo solo due settimane di utilizzo su strada, arriva la sgradevole sorpresa il furgone, parcheggiato in una strada cittadina, prende fuoco. Così, in un colpo solo, vanno letteralmente in fumo il nuovo veicolo e la merce in esso stipata, ovvero biancheria intima e accessori di abbigliamento. Corto circuito. La ricostruzione dei fatti, secondo quanto accertato dai vigili del fuoco, è chiara incendio causato da un corto circuito all'impianto elettrico. Proprio su questa base, il commerciante si rivolge alla giustizia per ottenere dalla concessionaria la restituzione del prezzo del furgone e il risarcimento dei danni subiti. Richiesta, questa, accolta dal Tribunale in totale, all'uomo vengono riconosciuti 11 milioni di vecchie lire, perché, alla luce del verbale dei vigili del fuoco e della consulenza tecnica d'ufficio, l'incendio era stato determinato da fatto non imputabile all'acquirente danneggiato, ma al venditore . Più precisamente, per il verificarsi di un corto circuito dell'impianto elettrico del veicolo, sviluppatosi per l'usura della protezione del cavo elettrico interessato, con conseguente esposizione dei fili di rame che, sfregando contro la lamiera della carrozzeria, avevano provocato l'incendio . Ma era la pronuncia in Appello a provocare un corto circuito metaforico commerciante condannato a restituire i soldi ricevuti alla concessionaria. Per una ragione secondo la consulenza tecnica d'ufficio esisteva anche una versione alternativa dei fatti, ritenuta più probabile , secondo cui il negligente stivaggio della merce nel furgone aveva intaccato il rivestimento protettivo del cavo elettrico . Garanzia in ballo. Di fronte alla sconfitta in Appello, il commerciante tenta l'ultima carta il ricorso per cassazione. Obiettivo è richiamare circostanze di fatto a sostegno della tesi che addebita l'incendio a un difetto del veicolo, e, quindi, a una responsabilità della concessionaria a questo proposito, il ricorrente ricorda che il carico del furgone era costituito da confezioni di biancheria intima la merce era stivata nella parte inferiore del furgone il filo elettrico che aveva provocato il corto circuito si trovava posizionato nella parte alta del veicolo , e, aggiunge, l'eventuale corto circuito per compressione di un filo elettrico determinato dalle confezioni di biancheria dimostrerebbe, comunque, l'originario insufficiente isolamento dell'impianto elettrico del furgone, di cui era stato garantito il buon funzionamento dal venditore . Quindi, il compratore , per la garanzia del buon funzionamento , ha solo l'onere di provare il cattivo funzionamento della cosa e non anche la causa di esso, spettando, invece, al venditore di provarne la estraneità al bene venduto . Fatti e ipotesi. Il punto centrale, per i giudici di Cassazione, però, non è l'applicazione del principio della garanzia del buon funzionamento, ma la ricostruzione dei fatti. Ebbene, quella compiuta dalla Corte d'Appello, alla luce delle ipotesi avanzate dalla consulenza tecnica d'ufficio, è fondata. In questa ottica, la causa del corto circuito è ascrivibile non già ad un difettoso funzionamento dell'impianto elettrico del veicolo, ma ad un fatto colposo del commerciante, con conseguente esclusione della responsabilità del venditore garante, avendo detta condotta del danneggiato interrotto il nesso di causalità con i danni subiti, in quanto determinati in modo autonomo mediante un uso imprudente o negligente della cosa compravenduta . Peraltro, l'impianto era protetto dalla valvola di sicurezza, come individuata dalla consulenza tecnica d'ufficio, valvola che, interrompendo il passaggio della corrente elettrica, era idonea a impedire il formarsi del cosiddetto scintillio che avrebbe causato l'incendio . Volendo sintetizzare, secondo la ricostruzione ritenuta più probabile, è il posizionamento della merce ad aver favorito il corto circuito e il relativo incendio. Quindi, ricorso del commerciante respinto, che si ritrova senza furgone, senza merce e senza risarcimento.