Responsabilità dei sindaci: non basta la commissione di fatti illeciti da parte degli amministratori, serve il nesso di causalità

L’art. 2407 c.c. configura in capo ai sindaci una responsabilità per fatto proprio omissivo, da correlarsi alla condotta degli amministratori. Affinché possa ritenersi accertata una responsabilità dei sindaci in concorso omissivo con il fatto illecito degli amministratori o dei liquidatori è necessario che chi agisca contro i sindaci fornisca la prova di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie, ivi compreso il nesso di causalità tra l’omessa vigilanza e la causa del danno, nesso che può essere ritenuto sussistente se, in base ad un ragionamento controfattuale ipotetico, l’attivazione del controllo lo avrebbe ragionevolmente evitato o limitato .

Così la Corte di Cassazione con la sentenza n. 28357/20, depositata l’11 dicembre. Il caso. Il Tribunale di Catania in data 28.05.1998 aveva dichiarato il fallimento di una società cooperativa, in liquidazione dal 05.12.1994. La Curatela del fallimento aveva quindi citato in giudizio un componente del Collegio sindacale esercitando nei suoi confronti l’azione di responsabilità ex art. 146 l.f. in relazione al mancato rinvenimento e all’ignota destinazione di una somma incassata dal Liquidatore in forza di un accordo transattivo. Il Tribunale accoglieva la domanda e la decisione veniva confermata in appello. Il componente del Collegio, pertanto, proponeva ricorso per cassazione lamentando che la Corte d’Appello a aveva ritenuto la sua responsabilità quale conseguenza dell’impossibilità del Curatore di verificare l’impiego della somma incassata stante la mancata consegna delle scritture contabili , quando invece le somme erano state incassate in epoca prossima alle sue dimissioni dalla carica di consigliere sindacale avvenute in data 11.07.1995 ed il fallimento, cui associare l’obbligo di consegna delle scritture contabili, era sopravvenuto solo nel 1998 b aveva erroneamente ritenuto che la mancanza di scritture contabili fosse in rapporto eziologico con l’impossibilità per il curatore di acquisire aliunde la documentazione relativa all’impiego delle somme riscosse, trasformando l’inadempimento del Curatore nel fatto costitutivo della sua responsabilità quale sindaco dimessosi circa tre anni prima del fallimento . La decisione della Corte. La Corte accoglie il ricorso, valutando la motivazione della Corte d’Appello lacunosa sul versante della ricostruzione del nesso di causalità nonché irrazionale a fronte degli enunciati di fatto. La sentenza ripercorre gli elementi costitutivi della fattispecie di cui all’art. 2407 c.c., che devono sussistere tutti per accertare la responsabilità dei sindaci, da intendersi quale concorso omissivo nel fatto illecito altrui i l’inerzia del sindaco rispetto ai propri doveri di controllo ii l’evento da associare alla conseguenza pregiudizievole derivante dalla condotta dell’amministratore o del liquidatore iii il nesso causale, da considerare esistente ove il regolare svolgimento dell’attività di controllo del sindaco avrebbe potuto impedire o limitare il danno. Si afferma quindi che il sindaco non risponde in modo automatico per ogni fatto dannoso che si sia determinato pendente societate , ma solamente ove sia possibile dimostrare che, se egli si fosse attivato utilmente come suo dovere in base ai poteri di vigilanza che l’ordinamento gli conferisce e alla diligenza che l’ordinamento pretende, il danno sarebbe stato evitato. Su questi essenziali profili la motivazione della sentenza impugnata viene ritenuta del tutto carente, poiché risulta che le somme di cui si discute erano state incassate dal liquidatore in data 31.05.1995 e in data 30.06.1995, mentre il sindaco aveva cessato dalla carica pochi giorni dopo, ovvero in data 11.07.1995 e nulla viene indicato, in motivazione, onde potersi sostenere che, medio tempore , le somme, regolarmente versate in conto, fossero state distratte o vi fossero stati pagamenti cui associare ipotetiche anomalie di impiego suscettibili di essere rilevate dal sindaco ancora in carica. A nulla può rilevare, al riguardo, la circostanza della mancanza della documentazione contabile della società, perché ciò che poteva rilevare, semmai, era l’andamento del conto corrente e la ricostruzione dei relativi movimenti, prova di cui era onerata la procedura.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 24 settembre – 11 dicembre 2020, n. 28357 Presidente De Chiara – Relatore Terrusi Fatti di causa Con sentenza in data 28-5-1998 il tribunale di Catania dichiarava il fallimento della società cooperativa omissis a r.l., in liquidazione dal 5-12-1994. Nel maggio 2003 la curatela del fallimento conveniva in giudizio, tra gli altri, T.D. , componente del collegio sindacale della società fino all’11-7-1995, esercitando, per quanto ancora rileva, l’azione di responsabilità L. Fall., ex art. 146 in relazione al mancato rinvenimento e all’ignota destinazione di una somma Lire 80.750.000 , incassata dal liquidatore D.M.F. in forza di un accordo transattivo con la F.lli Co. s.p.a., e all’omesso versamento dell’Iva su alcune vendite cui era conseguita una cartella con aggravio di sanzioni e interessi. Nella resistenza della convenuta l’adito tribunale accoglieva la domanda limitatamente al primo profilo e la statuizione veniva confermata dalla corte d’appello di Catania per non avere, la T. , operato il necessario controllo onde assicurare l’effettiva acquisizione della somma al patrimonio della società e la conseguente sua destinazione a fini liquidatori. Contro la sentenza d’appello, depositata in data 7-10-2014 e non notificata, T.D. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi. La curatela del fallimento ha replicato con controricorso e ha proposto un motivo di ricorso incidentale in ordine al rigetto della restante pretesa risarcitoria, al quale ricorso incidentale la T. ha resistito a sua volta con controricorso. Gli altri intimati non hanno svolto difese. Avviata in un primo momento alla trattazione camerale dinanzi alla sesta sezione civile, la causa, nella quale entrambe le parti hanno depositato memorie, è stata rimessa in pubblica udienza con ordinanza interlocutoria n. 27856 del 2017. Le parti hanno depositato ulteriori memorie in prossimità dell’udienza. Ragioni della decisione I. - Col primo mezzo la ricorrente principale, deducendo violazione o falsa applicazione degli artt. 2407, 1223, 2043 e 2056 c.c., lamenta che la corte d’appello non abbia fatto buon governo dei principi dettati in tema di accertamento del nesso causale. Ascrive in particolare alla corte i di aver ritenuto la responsabilità quale conseguenza dell’impossibilità del curatore di verificare l’impiego della somma costì incassata stante la mancata consegna a lui delle scritture contabili , quando invece le somme erano state incassate in epoca prossima alle dimissioni della ricorrente dalla carica sindacale, e quando invece il fallimento, cui associare l’obbligo di consegna delle scritture, era sopravvenuto solo nel 1998 ii di aver comunque erroneamente ritenuto che la mancanza delle scritture contabili fosse in rapporto eziologico con l’impossibilità del curatore di acquisire aliunde la documentazione relativa all’impiego delle somme riscosse, e trasformato l’inadempimento del curatore al citato dovere di acquisizione nel fatto costitutivo della responsabilità del sindaco, dimessosi circa tre anni prima del fallimento. Col secondo mezzo la ricorrente principale denunzia poi la violazione o falsa applicazione degli artt. 2403 e 2407 c.c., imputando alla corte d’appello di aver affermato la responsabilità per mancata consegna delle scritture contabili della fallita nonostante la cessazione dalla carica sindacale tre anni prima della dichiarazione di fallimento. Infine col terzo mezzo la medesima ricorrente censura la sentenza per violazione dell’art. 111 Cost., art. 112 c.p.c. e per omesso esame di fatto decisivo, lamentando che la corte territoriale non abbia fornito alcuna motivazione quanto al menzionato fatto della cessazione della carica sindacale tre anni prima del fallimento della società. II. - Il ricorso principale, i cui motivi possono essere esaminati unitariamente per connessione, è fondato nel senso che segue. III. - La corte d’appello ha confermato la sentenza di primo grado osservando che era stata accertata, senza avverse censure, la responsabilità del liquidatore in relazione alla mancata consegna delle scritture contabili dell’intera fase liquidatoria all’ufficio fallimentare e che era rimasta ignota la destinazione delle somme incassate dal liquidatore in forza della succitata transazione alle scadenze del 31-5-1995 e del 30-61995, anteriori alla cessazione della carica sindacale della T. . Va rilevato che la motivazione della sentenza, alla pag. 15, è affetta da un errore materiale a proposito della collocazione a luglio 1996 della data di cessazione del sindaco, dal momento che invece è pacifico, in base agli scritti difensivi e in base a quanto altrove emerge dalla stessa sentenza pag. 7 , che la cessazione avvenne in data 11/7/1995 , vale a dire praticamente a ridosso del secondo incasso sopra considerato. À sensi dell’art. 2407 c.c. la corte territoriale ha ritenuto la T. responsabile per aver omesso di operare il necessario controllo per assicurare l’effettiva acquisizione da parte della società e la destinazione ai fini liquidatori delle somme oggetto della transazione e in questa prospettiva ha reputato le sue difese prive di rilevanza, atteso il carattere dirimente che doveva assumere la circostanza della mancata consegna delle scritture contabili alla curatela del fallimento anche in relazione al periodo in cui erano stati eseguiti i pagamenti de quibus. Difatti - ha spiegato - la circostanza che le somme fossero state ricevute dal liquidatore e versate nel conto corrente intestato alla società non poteva valere a escludere la responsabilità del sindaco, in quanto la contestazione atteneva all’ignota destinazione di dette somme , delle quali, mancando la documentazione contabile afferente, non era stato possibile ricostruire l’impiego. IV. - Una simile motivazione è lacunosa sul versante della ricostruzione del nesso di causalità, oltre che intrinsecamente irrazionale a fronte degli enunciati in fatto. È necessario rammentare che il sistema di diritto societario configura in capo ai sindaci, ai sensi dell’art. 2407 c.c., una responsabilità per fatto proprio omissivo, da correlarsi alla condotta degli amministratori. I doveri di controllo imposti ai sindaci sono certamente contraddistinti da una particolare ampiezza, poiché si estendono a tutta l’attività sociale, in funzione della tutela e dell’interesse dei soci e di quello, concorrente, dei creditori sociali Cass. n. 2772-99 . Di modo che ad affermarne la responsabilità può ben esser sufficiente l’inosservanza del dovere di vigilanza. Questo accade, in particolare, quando i sindaci non abbiano rilevato una macroscopica violazione o non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità ex aliis Cass. n. 13517-14, Cass. n. 23233-13 , poiché in tal caso il mantenimento di un comportamento inerte implica che non si sia vigilato adeguatamente sulla condotta degli amministratori o dei liquidatori pur nella esigibilità di un diligente sforzo per verificare la situazione anomala e porvi rimedio, col fine di prevenire eventuali danni cfr. di recente Cass. n. 18770-19 . V. - Come in tutti i casi di concorso omissivo nel fatto illecito altrui, è però altrettanto certo che la fattispecie dell’art. 2407 c.c. richiede la prova di tutti gli elementi costitutivi del giudizio di responsabilità. E quindi i dell’inerzia del sindaco rispetto ai propri doveri di controllo ii dell’evento da associare alla conseguenza pregiudizievole derivante dalla condotta dell’amministratore o, come nella specie, del liquidatore iii del nesso causale, da considerare esistente ove il regolare svolgimento dell’attività di controllo del sindaco avrebbe potuto impedire o limitare il danno. Il nesso, in particolare, va provato da chi agisce in responsabilità nello specifico senso che l’omessa vigilanza è causa del danno se, in base a un ragionamento controfattuale ipotetico, l’attivazione del controllo lo avrebbe ragionevolmente evitato o limitato . Il sindaco non risponde, cioè, in modo automatico per ogni fatto dannoso che si sia determinato pendente societate, quasi avesse rispetto a questo una posizione generale di garanzia. Egli risponde ove sia possibile dire che, se si fosse attivato utilmente come suo dovere in base ai poteri di vigilanza che l’ordinamento gli conferisce e alla diligenza che l’ordinamento pretende, il danno sarebbe stato evitato. VI. - Su codesti essenziali profili la motivazione dell’impugnata sentenza è del tutto carente, poiché risulta che le somme di cui si discute erano state incassate dal liquidatore alle scadenze, rispettivamente, del 31-5-1995 e del 30-6-1995 e che le stesse erano state dal medesimo liquidatore versate nel conto corrente intestato alla società . Tale affermazione, esplicitamente validata dalla sentenza, tenuto conto della intervenuta cessazione dalla carica sindacale dopo pochi giorni, elide il fondamento della valutazione conseguente. Nè si può annoverare la circostanza come irrilevante poiché come dice la corte d’appello l’addebito attiene alla ignota destinazione delle dette somme . Non lo si può fare neppure argomentando dalla successivamente constatata impossibile ricostruzione degli impieghi per la mancanza della documentazione contabile di periodo. Il difetto di consequenzialità è infatti evidente, in quanto è pacifico che la T. aveva cessato dalla carica dopo pochi giorni dalla riscossione delle somme l’11-7-1995 e niente è indicato, in motivazione, onde potersi sostenere che, medio tempore, le somme, regolarmente versate in conto, fossero state distratte, o alternativamente che vi fossero stati pagamenti cui associare ipotetiche anomalie d’impiego suscettibili di essere rilevate dal sindaco ancora in carica. Tutto questo mina dalle fondamenta il ragionamento della corte del merito, poiché, ai sensi dell’art. 2407, non consente di giustificare - se non in termini assolutamente apodittici - il concorso nell’illecito del liquidatore. Non si capisce, d’altronde, quale sia il senso logico del riferimento della sentenza alla mancanza della documentazione contabile della società. Una volta che le somme siano transitate in un conto corrente, è l’andamento del conto che comprova l’eventualità di indebiti prelevamenti o di impieghi distrattivi. Cosicché la ricostruzione dei movimenti del conto costituiva caso mai - la premessa logica cui associare l’affermazione di responsabilità, e di essa era onerata la procedura. VII. - L’impugnata sentenza va dunque cassata in accoglimento del ricorso principale. VIII. - Con l’unico motivo del ricorso incidentale la curatela a sua volta censura la sentenza medesima nella parte in cui ha ritenuto non provato l’ulteriore credito risarcitorio di Lire 73.000.000, per l’aggravio debitorio conseguente alle sanzioni e agli interessi pretesi dall’erario per l’omesso versamento dell’Iva su alcune vendite avvenute nel 1994. Da questo punto di vista assume che l’Iva non era stata versata a fronte della preferenza accordata dal liquidatore al pagamento di debiti bancari, così essendosi esposta la società ai maggiori oneri finanziari portati da una cartella di pagamento relativamente alla quale l’erario era stato poi ammesso al passivo del fallimento. IX. - Il ricorso incidentale è inammissibile. La curatela lamenta che l’esame della cartella esattoriale, inerente all’omesso versamento dell’Iva sulle vendite effettuate dalla società nel 1994, prodotta con la memoria ex art. 184 c.p.c., avrebbe dovuto far rilevare come all’omesso versamento fosse conseguito un maggiore aggravio economico per la società, attese le sanzioni e gli interessi che sarebbero certamente state contenute in minor somma ove l’Iva fosse stata versata, sia pure parzialmente, a fronte del pagamento di altri debiti. A tal riguardo sostiene di aver assolto all’onere probatorio anche in rapporto alla posizione della T. , avendo documentato, mediante la produzione della cartella esattoriale, il maggior carico erariale corrispondente al danno finanziario subito. X. - Sennonché la corte d’appello, nell’esaminare la doglianza a suo tempo prospettata, ha messo in evidenza che tutti gli incassi erano stati destinati a ripianare tra l’altro le esposizioni bancarie preesistenti e ha osservato che era mancata una specifica allegazione onde supportare l’asserita minore onerosità di dette situazioni debitorie rispetto a quella fiscale. Per quanto tale ultima affermazione possa ritenersi non perspicua avuto riguardo all’ammontare delle sanzioni direttamente evincibili dalla cartella , è risolutivo considerare che la ratio che ha indotto la corte territoriale a disattendere il gravame è stata previamente collocata all’interno dell’allegazione la quale è stata ritenuta deficitaria di per sé, in rapporto al nesso di onerosità corrente tra le situazioni debitorie. XI. - Ora l’attuale censura, da un lato, non appare ben calibrata sulla ratio decisionale e, dall’altro, non soddisfa il fine di autosufficienza. Era in discussione la responsabilità del sindaco per omesso controllo, e dal controricorso depositato in replica al ricorso incidentale si evince che le somme ottenute dalle vendite erano confluite su un conto corrente scoperto. Esse erano state quindi immediatamente incamerate dalla banca a prescindere da ogni disposizione della società correntista. La società non aveva in tal guisa acquisito la effettiva disponibilità della somma medesima, nè aveva disposto di essa scegliendo i pagamenti da eseguire. Codesta affermazione della difesa del sindaco T. mai è stata contrastata dalla curatela nelle successive memorie nè lo è stata durante la discussione. Ebbene a fronte del dato da ciò evincibile - dell’affluenza, cioè, delle somme su un conto corrente scoperto - non si sarebbe potuta giustificare una pretesa risarcitoria verso il sindaco per il sol fatto della notifica della cartella esattoriale. Niente risulta postulato in termini di autosufficienza quanto alla specifica ragione che avrebbe reso esigibile un comportamento idoneo a evitare il danno in coincidenza coi pagamenti ottenuti. XII. - Conclusivamente, il ricorso principale va accolto e il ricorso incidentale dichiarato inammissibile. L’impugnata sentenza deve essere cassata con rinvio alla medesima corte d’appello di Catania, in diversa composizione, per nuovo esame. La corte d’appello si uniformerà ai principi di diritto enunciati ai superiori punti e provvederà anche sulle spese del giudizio svoltosi in questa sede di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso principale dichiara inammissibile l’incidentale cassa l’impugnata sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del giudizio cassazione, alla corte d’appello di C. . Dà atto della sussistenza dei presupposti per il raddoppio del contributo unificato a carico della curatela ricorrente incidentale, se dovuto D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater .