La dichiarazione di fallimento dell’imprenditore commerciale in caso di affitto d’azienda

Ai fini della dichiarazione di fallimento dell’imprenditore commerciale, l’affitto d’azienda comporta, solitamente, la cessazione della qualità di imprenditore, salvo l’accertamento in fatto che l’attività d’impresa sia, invece, proseguita in concreto, non essendo sufficiente affermare la compatibilità tra affitto d’azienda e prosecuzione dell’impresa, la quale va invece positivamente accertata dal giudice del merito .

Lo afferma la Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 7311/20, depositata il 16 marzo. Viene proposto ricorso per cassazione avverso la decisione della Corte d’Appello che aveva respinto il reclamo contro la sentenza dichiarativa del fallimento di un’associazione di artigiani. In particolare la ricorrente sostiene di non essere imprenditore commerciale, ma associazione sindacale di artigiani, che ha come scopo la promozione dei loro interessi, la loro assistenza, restando irrilevante l’economicità della gestione di aver cessato l’attività ormai da anni e non aveva posto in essere un affitto di azienda e comunque, pur avendo posto in essere tale affitto d’azienda, il contratto comporta la perdita della qualità di imprenditore commerciale ed infine lamenta violazione di legge perché, al fine di provare la cessazione dell’attività di consulenza legale, essa aveva articolato capitoli di prova, ma non erano stati ammessi. La decisione della Suprema Corte. Per i Supremi Giudici, per quanto riguarda 0 il motivo di ricorso relativo al fato di aver posto in essere un affitto d’azienda, esso risulta fondato gli altri motivi sono stati invece tutti rigettati . Infatti, la S.C afferma al riguardo che, ai fini della dichiarazione di fallimento dell’imprenditore commerciale, l’affitto d’azienda comporta, solitamente, la cessazione della qualità di imprenditore, salvo l’accertamento in fatto che l’attività d’impresa sia, invece, proseguita in concreto, non essendo sufficiente affermare la compatibilità tra affitto d’azienda e prosecuzione dell’impresa, la quale va invece positivamente accertata dal giudice del merito .

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 1, ordinanza 12 dicembre 2019 – 16 marzo 2020, n. 7311 Presidente Scaldaferri – Relatore Nazzicone Rilevato - che viene proposto ricorso per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Ancona del 26 settembre 2017, la quale ha respinto il reclamo avverso la sentenza dichiarativa del fallimento della Associazione omissis - che non svolgono difese gli intimati - che sono stati ritenuti sussistenti i presupposti ex art. 380-bis c.p.c Ritenuto - che i motivi di ricorso censurano 1 violazione e falsa applicazione dell’art. 2221 c.c. e dell’art. 1 L.Fall., perché l’istante non è imprenditore commerciale, ma associazione sindacale tra gli artigiani, avente per scopo statutario la promozione dei loro interessi, lo studio delle problematiche e la loro assistenza, restando irrilevante l’economicità della gestione 2 violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. e dell’art. 10 L.Fall., perché essa aveva cessato l’attività sin dal 2014 e non aveva posto in essere un affitto di azienda 3 violazione e falsa applicazione dell’art. 2221 c.c. e dell’art. 1 L.Fall., perché, pur ove posto in essere un affitto di azienda, tale contratto comporta la perdita della qualità di imprenditore commerciale 4 violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., perché, al fine di provare la cessazione dell’attività di consulenza fiscale, essa aveva articolato capitoli di prova, tuttavia non ammessi - che la corte del merito ha ritenuto come a l’associazione in questione sia assoggettabile a fallimento, in relazione al suo oggetto ed allo svolgimento di attività economica programmata, fra l’altro ingente, consistente nella tenuta della contabilità e nell’espletamento di adempimenti fiscali per gli imprenditori associati, alimentandosi con i propri stessi ricavi b non è provata la cessazione dell’attività di consulenza fiscale da oltre un anno, e comunque dal contratto che ha trasferito il godimento dell’attività aziendale non è derivata la cessazione dell’attività, che al contrario è in fatto continuata, trattandosi di mero affitto d’azienda c la prova per testi è superflua in ragione della evidenza del dato contrattuale - che, ciò posto, il primo motivo, è manifestamente infondato, avendo la corte del merito fatto applicazione del principio consolidato, secondo cui Lo scopo di lucro c.d. lucro soggettivo non è elemento essenziale per il riconoscimento della qualità di imprenditore commerciale, essendo individuabile l’attività di impresa tutte le volte in cui sussista una obiettiva economicità dell’attività esercitata, intesa quale proporzionalità tra costi e ricavi c.d. lucro oggettivo Cass. 24-03-2014, n. 6835, con riguardo a società cooperativa operante solo verso i soci conformi n. 5839 del 1992, n. 7061 del 1994, n. 9513 del 1999 ed invero, il fine associativo non è con quello inconciliabile, ben potendo anche l’associazione, ove svolga attività commerciale nel predetto significato, in caso di insolvenza essere assoggettata a fallimento - che, a questo punto, giova esaminare il terzo motivo, che è fondato - che, infatti, il Collegio reputa di non condividere l’apodittica riconduzione dell’affitto di azienda alla continuazione dell’attività d’impresa, sottesa all’argomentazione della sentenza impugnata, posto che questa Corte ha già affermato come non può essere dichiarata fallita una società che, dismessa l’attività, non svolga in concreto alcuna attività imprenditoriale, ma un mero affitto dell’azienda Cass. 01-09-2015, n. 17397 onde non è sufficiente accertare l’avvenuto affitto dell’azienda per dedurne la compatibilità con la prosecuzione dell’impresa, che invece va positivamente accertata - che i rimanenti motivi sono inammissibili, in quanto non colgono la ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale ha reputato non cessata l’attività da oltre un anno e, dunque, non integrata in fatto la fattispecie dell’art. 10 L.Fall., al contrario avendo reputato la permanenza dell’attività l’accertamento di fatto, così operato, non può essere riproposto in questa sede, nè viene illustrata in alcun modo la denunciata violazione dell’art. 1362 c.c. la pretesa di provare il contrario per testimoni non rispetta il disposto dell’art. 366 c.p.c., dovendosi richiamare il condiviso principio secondo cui La censura contenuta nel ricorso per cassazione relativa alla mancata ammissione della prova testimoniale è inammissibile se il ricorrente, oltre a trascrivere i capitoli di prova e ad indicare i testi e le ragioni per le quali essi sono qualificati a testimoniare -elementi necessari a valutare la decisività del mezzo istruttorio richiesto - non alleghi e indichi la prova della tempestività e ritualità della relativa istanza di ammissione e la fase di merito a cui si riferisce, al fine di consentire ex actis alla corte di cassazione di verificare la veridicità dell’asserzione Cass. 23-04-2010, n. 9748 - che, dunque, la sentenza va cassata, perché il giudice di appello provveda a nuova valutazione dei fatti, sulla base del principio enunciato come segue Ai fini della dichiarazione di fallimento dell’imprenditore commerciale, l’affitto dell’azienda comporta, di regola, la cessazione della qualità di imprenditore, salvo l’accertamento in fatto che l’attività d’impresa sia, invece, proseguita in concreto, non essendo sufficiente affermare la compatibilità tra affitto di azienda e prosecuzione dell’impresa, la quale va invece positivamente accertata dal giudice del merito . P.Q.M. La Corte accoglie il terzo motivo, infondato il primo ed inammissibili gli altri cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, innanzi alla Corte d’appello di Ancona, in diversa composizione.