Legittimazione del PM alla richiesta di fallimento: anche in assenza di notizia di reato

In tema di fallimento, la ratio dell'art. 7 del r.d. 16 marzo 1942 n. 267, una volta venuto meno il potere del Tribunale di dichiarare officiosamente il fallimento, è chiaramente nel senso di estendere la legittimazione del Pubblico Ministero alla presentazione della richiesta in tutti i casi nei quali l'organo abbia istituzionalmente appreso la notitia decoctionis .

Conseguentemente, il riferimento contenuto nell'art. 7, comma 1, n. 1 del r.d. 16 marzo 1942 n. 267 al riscontro della notitia decoctionis nel corso di un procedimento penale non deve essere interpretato in senso riduttivo, non essendo necessaria la preventiva iscrizione di una notitia criminis nel registro degli indagati a carico del fallendo. Con la pronuncia del 28 ottobre 2019, n. 27549, il S.C. interviene sul tema della legittimazione del Pubblico Ministero ad avanzare la richiesta di fallimento, precisando che la richiesta può scaturire in tutti i casi in cui l’ufficio del PM abbia avuto notizia dello stato di insolvenza dell’imprenditore, anche in assenza di una notizia di reato. Il caso. La sentenza in commento giunge all’esito di un contenzioso avviato per contestare la dichiarazione di fallimento promossa nei confronti di una società e dove viene contestata, da quanto emerge dal provvedimento in esame, sia la legittimazione del pubblico ministero a promuovere l’istanza di fallimento sia le modalità di notifica del decreto di fissazione di udienza e del relativo ricorso. Entrambi i motivi sono ritenuti infondati nei giudizi di merito e tale giudizio è confermato dal S.C., che respinge il ricorso proposto sulla base dei motivi già in precedenza scrutinati nei precedenti gradi di giudizio. Dichiarazione di fallimento e legittimazione del PM. Per meglio chiarire il tema relativo alla legittimazione del PM, è utile rammentare che, ai sensi dell’art. 7 della legge fallimentare, il PM presenta la richiesta di fallimento in due ipotesi definite, ed in particolare a quando l'insolvenza risulta nel corso di un procedimento penale, ovvero dalla fuga, dalla irreperibilità o dalla latitanza dell'imprenditore, dalla chiusura dei locali dell'impresa, dal trafugamento, dalla sostituzione o dalla diminuzione fraudolenta dell'attivo da parte dell'imprenditore b quando l'insolvenza risulta dalla segnalazione proveniente dal giudice che l'abbia rilevata nel corso di un procedimento civile. E’ peraltro opportuno cercare di definire l’estensione ed i limiti dei poteri del pubblico ministero relativamente a tale facoltà. PM e conoscenza dello stato di insolvenza. Secondo la prevalente giurisprudenza, il Pubblico Ministero è legittimato a chiedere il fallimento dell'imprenditore quando risulti a conoscenza di tale stato anche in assenza di una notizia di reato o di un fatto penalmente rilevante. In particolare, la legittimazione del Pubblico Ministero sussiste anche se la conoscenza dello stato di insolvenza, dal medesimo appresa nel corso di indagini svolte nei confronti di soggetti diversi o collegati all'imprenditore medesimo, sia stata approfondita, sul piano investigativo, dopo che siano già state formulate le proprie richieste in sede penale, ove quegli approfondimenti non costituiscano una nuova e arbitraria iniziativa d'indagine, ma si caratterizzino come uno sviluppo di essa, collegato strettamente alle sue risultanze, per quanto non complete, già acquisite nel corso dell'indagine penale. La notizia dello stato di insolvenza deve quindi risultare da una notizia o da un fatto da intendersi in senso ampio, purché acquisita nel corso di indagini comunque college all’imprenditore. La ratio dell’art. 7 l.fall. come e perché. Tale interpretazione, che estende notevolmente i poteri del Pubblico Ministero, emerge dalla lettura delle ipotesi alternative previste dall'art. 7, comma 1, n. 1, l.fall. una volta venuta meno la possibilità di dichiarare il fallimento d'ufficio, è chiaramente prevista la possibilità di ampliare la legittimazione del pubblico ministero alla presentazione della richiesta per dichiarazione di fallimento a tutti i casi nei quali l'organo abbia istituzionalmente appreso la notitia decoctionis . Tale soluzione interpretativa trova conforto anche nella previsione dell'art. 7, comma 1, n. 2, l.fall., che si riferisce al procedimento civile senza limitazioni di sorta, nonché nel nuovo art. art. 38 Iniziativa del pubblico ministero” del d.lgs. 14/2019, per il quale Il pubblico ministero presenta il ricorso per l’apertura della liquidazione giudiziale in ogni caso in cui ha notizia dell’esistenza di uno stato di insolvenza. L’autorità giudiziaria che rileva l’insolvenza nel corso di un procedimento lo segnala al pubblico ministero”. PM e concordato preventivo. Al contrario, il pubblico ministero non è legittimato a richiedere il fallimento del debitore in concordato preventivo quando, malgrado l'inadempimento, questo non sia stato risolto e l'inadempimento degli obblighi concordatari risulti solo dalla relazione del commissario giudiziale e non anche da segnalazione del giudice civile. Quando il P.M. non è legittimato. Analogamente, non sussiste la legittimazione del pubblico ministero a richiedere il fallimento dell'imprenditore se la notitia decoctionis sia acquisita nel corso di indagini del tutto estranee ad un procedimento penale ed in assenza di una qualunque allegazione specifica concernente il collegamento tra la chiesta declaratoria di fallimento e una delle situazioni tipizzate dall'art. 7 l.fall Istanza di fallimento e notifica del ricorso. L’altro aspetto di interesse della sentenza in commento concerne la modalità di notifica del ricorso per la dichiarazione di fallimento ed il relativo decreto di fissazione di udienza. Il S.C. conferma il consolidamento orientamento per il quale deve trovare applicazione l’art. 15 l.fall., non applicandosi, ad esempio, la previsione ex art. 145 c.p.c. che prevede, seppur come criterio sussidiario, la notifica al legale rappresentante. Ne discende che il ricorso per la dichiarazione di fallimento deve essere validamente notificato, ai sensi dell'art. 15, comma 3, l.fall. r.d. n. n. 267/1942 , nel testo novellato dal d.l. n. 179/2012, convertito con modificazioni dalla legge n. 221 del 2012, all'indirizzo di posta elettronica certificata della società in precedenza comunicato al registro delle imprese, ovvero quando, per qualsiasi ragione, non risulti possibile la notifica a mezzo PEC, direttamente presso la sua sede risultante sempre dal registro delle imprese e, in caso di ulteriore esito negativo, mediante deposito presso la casa comunale del luogo dove la medesima aveva sede. A nulla rileva, nel caso di specie, il fatto che l’immobile indicato come sede non risultasse nella disponibilità della società – per essere oggetto di una procedura esecutiva – essendo onere dell’imprenditore svolgere quelle necessarie attività per ricevere comunicazioni e notificazioni secondo le previsioni di legge.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 26 settembre – 28 ottobre 2019, n. 27539 Presidente Didone – Relatore Pazzi Fatti di causa 1. Il Tribunale di Crotone dichiarava il fallimento della società omissis s.r.l. una volta constatate, in via preliminare, la regolarità della notifica della richiesta di fallimento e la sussistenza della legittimazione attiva del Pubblico Ministero istante e dopo aver registrato, nel merito, la sussistenza di una condizione di insolvenza, tenuto conto della grave esposizione debitoria maturata dalla società e dell’omesso deposito dei bilanci a partire dal 2015. 2. A seguito del reclamo presentato da omissis s.r.l. la Corte d’Appello di Catanzaro i riteneva che l’iter del procedimento notificatorio previsto dalla L. Fall., art. 15, comma 3, fosse stato pienamente rispettato, in quanto alla data in cui era stata tentata la notifica telematica la società debitrice non disponeva più di un indirizzo di posta elettronica certificata, di modo che il P.M. ricorrente aveva proceduto in maniera del tutto legittima alla notifica del ricorso e del decreto di fissazione d’udienza presso la sede legale della compagine ii reputava che il successivo tentativo di notifica fosse stato correttamente compiuto presso la sede risultante dal registro delle imprese, in ossequio al disposto della L. Fall., art. 15, comma 3, a prescindere dal fatto che lo stabile non fosse ormai da tempo nella materiale disponibilità della compagine debitrice iii riteneva che la notitia decoctionis fosse stata acquisita dal Pubblico Ministero nell’esercizio delle sue attività istituzionali, sulla base della lettura degli atti iscritti a modello 45 e all’esito delle indagini investigative delegate alla Guardia di Finanza, circostanze che legittimavano la presentazione della richiesta di fallimento L. Fall., ex art. 7 iv osservava che il valore complessivo del patrimonio immobiliare della società non escludeva il suo stato di insolvenza, tenuto conto che il compendio era stato interamente staggito - e dunque non risultava di facile commerciabilità - e posto in vendita a un prezzo d’asta inferiore al complessivo ammontare dei debiti contratti da omissis s.r.l Sulla base di simili argomenti la corte distrettuale, con sentenza del 27 settembre 2018, rigettava il reclamo presentato da omissis s.r.l 3. Per la cassazione di questa sentenza ha proposto ricorso omissis s.r.l. prospettando quattro motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso il fallimento di omissis s.r.l Gli intimati Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Crotone e Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Catanzaro non hanno svolto alcuna difesa. Ragioni della decisione 4.1 Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 267 del 1942, art. 15, D.P.R. n. 68 del 2005, artt. 1, 6 e 8, D.Lgs. n. 82 del 2005, art. 45, D.M. 2 novembre 2005, D.M. n. 44 del 2011, artt. 13, 4, 6 e 16, art. 4 del provvedimento del direttore generale per i sistemi informativi automatizzati del 16/4/2014, come modificato dal provvedimento del 28/12/2015, artt. 115 e 116 c.p.c. e art. 132 c.p.c., n. 4 e della nota integrativa n. 12 del 5/10/2015 dell’Agenzia per l’Italia digitale la corte distrettuale avrebbe ravvisato la ritualità dell’iter del procedimento notificatorio valorizzando il contenuto della comunicazione postuma della cancelleria fallimentare del Tribunale di Crotone in violazione di questa congerie di norme, poiché nè l’informativa postuma, nè le schermate video ad essa allegate integravano una rituale e completa ricevuta di accettazione rilasciata dal gestore di posta certificata del Ministero della Giustizia contenente i dati di certificazione di cui al D.P.R. n. 68 del 2015, artt. 1 e 6, i quali soli avrebbero potuto comprovare, tramite la produzione dell’avviso di accettazione e di quello di mancata consegna, l’avvenuta attivazione e il tentativo di notifica della richiesta di fallimento. La peculiarità delle caratteristiche dei messaggi gestiti dai sistemi di posta elettronica certificata impediva infatti che eventuali elementi annotativi potessero implementare l’efficacia di documenti non caratterizzati dalla tipicità legalmente prevista di conseguenza la valutazione da parte del collegio del reclamo di schermate video di cancelleria prive dei dati di certificazione contrastava con il disposto dell’art. 116 c.p.c. e con il principio secondo cui la prova derivante da un documento tipicamente previsto dalla legge per dimostrare il verificarsi di un certo fatto non poteva essere surrogata altrimenti. A fronte della deduzione dell’insussistenza della prova legale dell’attivazione della procedura di notificazione telematica, con la conseguente invalidità dell’intero procedimento di notificazione, la corte distrettuale avrebbe poi offerto una motivazione meramente apparente, presupponendo il verificarsi di un fatto controverso vale a dire il tentativo di notifica telematica senza illustrare l’iter logico seguito per arrivare a un simile risultato e omettendo di considerare che la mancanza dell’indirizzo p.e.c. di omissis s.r.l. non escludeva l’inesistenza della notifica telematica necessaria perché si potesse passare alla successiva fase del procedimento notificatorio. 4.2 Il motivo è infondato. La corte distrettuale non ha affermato, rispetto alla notificazione da effettuarsi in forma telematica, che la certificazione di cancelleria acquisita valeva a integrare la prova dell’intervenuta notifica, ma ha tratto da tale documento la dimostrazione che alla data in cui è stata tentata la notifica la società fallita non disponeva più di un indirizzo di posta elettronica certificata, che era stato cancellato dal Giudice del Registro delle Imprese di Crotone e ha conseguentemente constatato l’impossibilità di procedere alla notificazione a mezzo pec , ritenendo che questa circostanza legittimasse il passaggio alla notificazione presso la sede legale. La statuizione va esente da censure. Di una simile impossibilità infatti piuttosto che dell’esito della notifica , stando alla giurisprudenza di questa Corte, ben può essere data attestazione da parte del cancelliere Cass. 8014/2017 , poiché l’art. 15, comma 3, non prevede particolari modalità al riguardo, nè richiede la specifica allegazione del messaggio ritrasmesso dal gestore della posta elettronica certificata attestante l’esito negativo dell’invio. E in caso di accertata impossibilità di procedere alla notifica a mezzo di posta elettronica certificata perché l’imprenditore non dispone di questo indirizzo la notifica dell’istanza di fallimento può essere effettuata direttamente presso la sua sede risultante dal registro delle imprese, in modo da far gravare sull’imprenditore le conseguenze negative derivanti dal mancato rispetto degli obblighi di dotarsi di indirizzo p.e.c. e di tenerlo operativo e assicurare così le esigenze di celerità e speditezza cui deve essere improntato il procedimento concorsuale, senza necessità di eseguire un atto inutile per la tutela del diritto di difesa dell’imprenditore. 5.1 I secondo motivo di ricorso assume l’intervenuta violazione dell’art. 24 Cost., L. Fall., art. 15 e art. 151 c.p.c. la corte distrettuale, ritenendo di nessun rilievo il fatto che OMISSIS s.r.l. avesse perso contatto con la propria sede sin dal 20 giugno 2017, in conseguenza dell’ordinanza con cui il giudice delle esecuzioni immobiliari aveva autorizzato l’immissione in possesso degli immobili pignorati da parte del custode giudiziario, avrebbe valorizzato, al fine di verificare l’esattezza dell’iter di notificazione della richiesta di fallimento, una notifica la cui correttezza era solo formale, dato che la società non avrebbe mai potuto ricevere la notifica dell’atto a lei destinato la necessità di garantire il contraddittorio avrebbe invece imposto di stabilire che alla procedura prevista dalla L. Fall., art. 15 si aggiungesse una notifica effettuata ai sensi dell’art. 138 c.p.c. al legale rappresentante della società presso la sua residenza. 5.2 Il motivo non è fondato. In tesi di parte ricorrente la perdita di disponibilità della sede legale, nota tanto al giudice quanto al P.M. richiedente, avrebbe imposto una attività supplementare rispetto al normale iter notificatorio, di modo che il deposito presso la casa comunale sarebbe stato possibile solo a seguito del vano tentativo di effettuare la notifica al legale rappresentante della società debitrice ai sensi dell’art. 138 c.p.c La giurisprudenza di questa Corte è però ferma nel ritenere che la norma abbia introdotto in materia una disciplina speciale, del tutto distinta da quella che, nel codice di rito, regola le notificazioni degli atti del processo, sicché va escluso che residuino ipotesi in cui il ricorso di fallimento e il decreto di convocazione debbano essere notificati, ai sensi degli artt. 138 e segg. o 145 c.p.c. a seconda che l’impresa esercitata dal debitore sia individuale o collettiva , nei diretti confronti del titolare della ditta o del legale rappresentante della società si vedano in questo senso Cass. n. 16864/2018, Cass. n. 6378/2018, Cass. n. 5080/2018, Cass. n. 602/2017 e Cass. n. 17946/2016 . Questo carattere speciale, sotto il profilo della sua maggiore semplicità rispetto al corrispondente regime ordinario codicistico, per la notificazione del ricorso di fallimento intende positivizzare e rafforzare il principio secondo cui il Tribunale, pur essendo tenuto a disporre la previa comparizione in camera di consiglio del debitore fallendo e ad effettuare, a tal fine, ogni ricerca per provvedere alla notificazione dell’avviso di convocazione, è esonerato dal compimento di ulteriori formalità allorché la situazione di irreperibilità di questi debba imputarsi alla sua stessa negligenza e/o a una condotta non conforme agli obblighi di correttezza di un operatore economico cfr. Cass. n. 602/2017, Cass. n. 23728/2017 e Cass. n. 6836/2018 . In questa prospettiva interpretativa il tenore della L. Fall., art. 15, comma 3, come sostituito dal D.L. n. 179 del 2012, conv., con modif., dalla L. n. 221 del 2012 , nella parte in cui prevede la notificazione del ricorso alla persona giuridica tramite posta elettronica certificata e non nelle forme ordinarie di cui all’art. 145 c.p.c., risulta coerente con il disposto degli artt. 3 e 24 Cost., in quanto come già affermato dalle sentenze n. 146/2016 e n. 162/2017 della Corte costituzionale la diversità delle fattispecie a confronto giustifica, in termini di ragionevolezza, la differente disciplina l’art. 145 c.p.c. infatti è esclusivamente finalizzato ad assicurare alla persona giuridica l’effettivo esercizio del diritto di difesa in relazione agli atti ad essa indirizzati, mentre la disposizione in parola si propone di coniugare la stessa finalità di tutela del medesimo diritto dell’imprenditore collettivo con le esigenze di celerità e speditezza proprie del procedimento concorsuale, caratterizzato da speciali e complessi interessi, anche di natura pubblica, idonei a rendere ragionevole e adeguato un diverso meccanismo di garanzia di quel diritto, che tenga conto della violazione, da parte dell’imprenditore collettivo, degli obblighi, previsti per legge, di munirsi di un indirizzo di p.e.c. e di tenerlo attivo durante la vita dell’impresa Cass. n. 26333/2016 . 6.1 Il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione della L. Fall., artt. 6 e 7, artt. 69, 112, 115 e 116 c.p.c., art. 55 c.p.p. e art. 2907 c.c. la corte distrettuale avrebbe erroneamente ravvisato la legittimazione del P.M., malgrado la sua iniziativa fosse stata originata dalla lettura degli atti relativi a un procedimento iscritto a modello 45 e dunque al di fuori del novero delle ipotesi previste dalla L. Fall., art. 7, n. 1. Nè sarebbero valse a supportare la richiesta del P.M. - a dire del ricorrente - le indagini investigative da questi delegate alla Guardia di Finanza, dato che le stesse costituivano non degli atti di indagine preliminare delegati alla polizia giudiziaria, bensì una arbitraria iniziativa preclusa al magistrato inquirente, in quanto il loro compimento presupponeva, prima che venissero disposte, una nuova iscrizione nel registro delle notizie di reato. 6.2 Il motivo è in parte infondato, in parte inammissibile. 6.2.1 Questa Corte ha già avuto modo di precisare Cass. n. 20400/2017 che la ratio della L. Fall., art. 7, una volta venuto meno il potere del Tribunale di dichiarare officiosamente il fallimento, è chiaramente nel senso di estendere la legittimazione del P.M. alla presentazione della richiesta in tutti i casi nei quali l’organo abbia istituzionalmente appreso la notitia decoctionis e tale soluzione interpretativa trova conforto sia nella previsione della L. Fall., art. 7, comma 1, n. 2, che si riferisce al procedimento civile senza limitazioni di sorta, sia nella relazione allo schema di D.Lgs. di riforma delle procedure concorsuali, che fa riferimento a qualsiasi notitia decoctionis emersa nel corso di un procedimento penale cfr. Cass. n. 10679/2014, Cass. n. 23391/2016 e Cass. 8977/2016 . Il riferimento contenuto nella L. Fall., art. 7, n. 1 al riscontro della notitia decoctionis nel corso di un procedimento penale non deve perciò essere interpretato in senso riduttivo, non essendo necessaria la preventiva iscrizione di una notitia criminis nel registro degli indagati a carico del fallendo o di terzi Cass. n. 8977/2016 . Una conferma in questo senso viene dal tenore della L. Fall., art. 7, n. 1 che, nel separare in termini alternativi la notizia appresa nel corso di un procedimento penale dai casi elencati nella seconda parte della norma, consentendo di ravvisare nella fuga, irreperibilità, latitanza dell’imprenditore, chiusura dei locali, trafugamento, sostituzione o diminuzione fraudolenta dell’attivo altrettante ipotesi di legittimazione che possono anche essere esterne a un procedimento penale, attribuisce la legittimazione al P.M. in ipotesi in cui la notitia decoctionis viene conosciuta non necessariamente nell’ambito di un procedimento penale, ma anche nel corso dello svolgimento delle proprie attività istituzionali, siano esse di direzione dell’investigazione o di ricezione di informazioni Cass. 8903/2017 . Se l’iniziativa del P.M. dipende non dalla preventiva iscrizione di una notitia criminis nel registro degli indagati, bensì dalla conoscenza di circostanze apprese nell’ambito dello svolgimento dei compiti istituzionali affidati al magistrato requirente, non può essere posto in dubbio che la notitia decoctionis possa essere ricavata dal magistrato inquirente anche dalla lettura degli atti a lui trasmessi ed iscritti a modello 45 perché privi di rilevanza penale, dato che una simile attività rientra nei compiti istituzionali attribuitigli e può quindi costituire una fonte di informazione utile a legittimare l’iniziativa volta alla dichiarazione di insolvenza. 6.2.2 Non assume alcuna decisività poi la contestazione della legittimità delle indagini svolte dalla Guardia di Finanza prima di una nuova iscrizione nel registro delle notizie di reato e comunque al di fuori di un procedimento penale nei confronti i terzi. La lettura degli atti iscritti a modello 45 aveva infatti - stando all’accertamento della corte distrettuale - offerto al P.M. indizi dell’esistenza di uno stato di insolvenza che già di per sé legittimavano la richiesta di fallimento. Le indagini in parola, svolte in via prudenziale e aggiuntiva a conferma degli indizi già raccolti dato che rientrava nei compiti del giudice di merito la verifica della fondatezza degli stessi , non hanno avuto influenza determinante sulla legittimazione del P.M., risultando così priva di decisività ogni contestazione in merito alla loro legittimità. 7.1 I quarto motivo di ricorso censura, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di fatti oggetto di discussione fra le parti e il carattere apparente della motivazione resa sulle circostanze che avrebbero potuto determinare il rilancio economico della società la corte distrettuale, nel negare - con motivazione apparente - alcun rilievo al valore del patrimonio immobiliare della reclamante, avrebbe pretermesso l’esame di uno specifico fatto storico, costituito dalla circostanza per cui il valore dei beni assoggettati a pignoramento dalla banca creditrice risultava di gran lunga superiore tanto alla somma precettata dal creditore bancario, quanto al valore dell’ipoteca accesa su una porzione del compendio nel contempo il collegio del reclamo avrebbe offerto una motivazione meramente apparente in ordine alla capacità dell’impresa di far fronte alla propria esposizione debitoria, omettendo di valutare sia il denunciato carattere abusivo della procedura di pignoramento avviata dal creditore bancario, sia le potenzialità di rilancio economico derivanti dal marchio omissis , in ragione della sua forza attrattiva nell’ambito del settore turistico calabrese. 6.2 I motivo risulta in parte inammissibile, in parte infondato. 6.2.1 La doglianza relativa alla mancata valutazione, in termini adeguati, del valore venale del compendio immobiliare staggito - che in tesi di parte ricorrente sarebbe stato sufficiente, anche tramite la vendita di uno solo dei lotti da cui era composto, a coprire l’intera esposizione debitoria -, oltre a non risultare coerente con il contenuto del provvedimento impugnato che, a pag. 9, lo ha espressamente preso in esame, escludendone la rilevanza ai fini di negare la condizione di insolvenza , non riveste alcuna decisività. Il giudice di merito infatti ha constatato che il prezzo base d’asta dell’intero complesso aziendale mobiliare e immobiliare all’ultimo esperimento di vendita risultava di importo inferiore al complessivo ammontare dei debiti annoverati da omissis s.r.l Il precedente valore di stima degli immobili non rivestiva quindi alcuna importanza ai fini della valutazione della sussistenza della condizione di insolvenza, in quanto lo stesso non aveva trovato corrispondenza in alcuna manifestazione di interesse in sede di vendita forzata e si era rivelato così, alla prova dei fatti, inadeguato rispetto alla disponibilità all’acquisto del mercato. 6.2.2 Parimenti non decisiva appare la circostanza relativa al carattere abusivo della procedura esecutiva immobiliare avviata dal creditore bancario. Infatti, una volta registrati la genericità degli argomenti spesi della società debitrice in sede di opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto da Banca Mediocredito Italiano s.p.a. e l’ammontare della complessiva esposizione debitoria, l’avvio di una procedura esecutiva immobiliare in termini eccedenti alle necessità di tutela del creditore poteva essere addotto nella relativa sede giudiziaria per sollecitare una riduzione del pignoramento, ma non aveva alcuna influenza diretta sulla verifica dell’esistenza di una effettiva situazione di insolvenza della società, che doveva essere apprezzata in sé dal giudice di merito, a prescindere dalle ragioni che l’avevano causata. In vero ai fini dell’accertamento del ricorrere di uno stato d’insolvenza dell’imprenditore commerciale, quale presupposto per la dichiarazione di fallimento che si realizza in presenza di una situazione d’impotenza, strutturale e non soltanto transitoria, a soddisfare regolarmente e con mezzi normali le proprie obbligazioni a seguito del venir meno delle condizioni di liquidità e di credito necessarie allo svolgimento della relativa attività , resta irrilevante ogni indagine sull’imputabilità o meno all’imprenditore medesimo delle cause del dissesto, ovvero sulla loro riferibilità a rapporti estranei all’impresa Cass., Sez. U., 115/2001 . Un conto quindi è l’insolvenza, da chiunque determinata, quale situazione da accertare nel suo oggettivo ricorrere ai fini della dichiarazione di insolvenza, un conto invece è la responsabilità del creditore nella determinazione di un simile stato, passibile, ove accertata, di danni, ma priva di rilievo ai fini della constatazione dello stato di insolvenza. 6.2.3 Per quanto attiene la mancata valutazione del marchio OMISSIS e le potenzialità di rilancio ad esso collegate, il profilo di doglianza si limita a individuare il fatto storico che il Tribunale avrebbe omesso di esaminare, ma non indica il dato, testuale o extratestuale, da cui esso risultava esistente nonché il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti Cass., Sez. U., n. 8053/2014 . Il motivo, così formulato, risulta perciò inammissibile per difetto di autosufficienza, non soddisfacendo l’obbligo previsto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, di indicare specificamente gli atti processuali e i documenti su cui lo stesso è fondato. 6.2.4 Infine nessuna apparenza della motivazione può essere fondatamente predicata rispetto agli argomenti offerti sull’esistenza di una condizione di insolvenza. La motivazione che il giudice deve offrire, a mente dell’art. 132 c.p.c., n. 4, costituisce la rappresentazione dell’iter logico-intellettivo seguito dal giudice per arrivare alla decisione, di modo che la stessa assume i caratteri dell’apparenza ove sia intrinsecamente inidonea ad assolvere una simile funzione. La motivazione ha perciò carattere solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture Cass., Sez. U., n. 22232/2016 . Nel caso di specie la corte territoriale ha fornito una chiara ed inequivoca spiegazione delle ragioni poste a base della propria decisione, affermando, rispetto alla condizione di insolvenza, che la società non era in grado di soddisfare regolarmente l’entità delle obbligazioni accertate, sia perché il compendio immobiliare di sua proprietà non era di immediato realizzo per una somma sufficiente a coprire l’intera esposizione debitoria, sia perché con la vendita del medesimo l’impresa sarebbe rimasta inoperante. Le critiche rivolte a questi argomenti prescindono dal reale contenuto della sentenza impugnata e dalle ragioni chiaramente illustrate al suo interno e intendono avvalorare una diversa valutazione della congerie istruttoria che, invece, sfugge al sindacato di questa Corte. La doglianza non può quindi che essere rigettata, dato che nella sentenza impugnata una motivazione esiste ed è ben comprensibile. 7. In forza dei motivi sopra illustrati il ricorso va pertanto respinto. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 5.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.