Il produttore è autorizzato all’uso del marchio registrato in data precedente alla Denominazione di Origine Protetta

La differenza di funzioni sussistente tra marchi e indicazioni geografiche o denominazioni di origine protetta non esclude, alla stregua della normativa e della giurisprudenza europea, l’interesse comune, rappresentato dall’uso e dal nome geografico nell’ambito delle produzioni agricole e alimentari, quale vantaggio competitivo che l’indicazione dell’origine è in grado di garantire al prodotto, per cui il titolare di un marchio registrato in buona fede in epoca precedente la denominazione di origine protetta ben può proseguire, nonostante la successiva registrazione di detta denominazione protetta, l’uso del marchio, ai sensi dell’art. 14, comma 2, del Regolamento n. 510/2006, laddove non ricorrano ragioni di nullità o decadenza del marchio stesso.

Il ricorso. Il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali ingiungeva al ricorrente ed al Consorzio, quali coobligati solidali, il pagamento di una sanzione amministrativa per aver utilizzato, sugli imballaggi di alcune forme di formaggio prodotte dal Consorzio, la dicitura Altopiano di Asiago”, ritenuta evocativa della Denominazione di Origine Protetta Asiago” riconosciuta come tale con Regolamento CE n. 1107 del 1996 , in tal modo traendo in inganno il consumatore. Il ricorrente ed il Consorzio proponevano opposizione avverso l’ordinanza, che veniva rigettata con sentenza del Tribunale, avverso la quale gli stessi proponevano gravame, anch’esso rigettato dalla Corte d’Appello. Avverso la predetta sentenza proponevano quindi ricorso per Cassazione il ricorrente ed il Consorzio e la causa veniva rimessa alla pubblica udienza. Con il secondo, terzo, quarto, quinto e sesto motivo di ricorso, esaminati congiuntamente dalla Suprema Corte, i ricorrenti rilevavano come la Corte d’Appello avesse i erroneamente considerato come evocazione” la mera incorporazione di una D.O.P. nel contesto di una frase più complessa ii erroneamente ritenuto irrilevante la presenza di etichette obbligatorie contenenti l’indicazione del luogo di produzione del prodotto, alla stregua del dettato della normativa nazionale e comunitaria, che ritiene non esclusa l’evocazione anche qualora sia indicata l’origine vera del prodotto iii erroneamente dichiarato l’inconferenza degli assunti relativi ad etichette obbligatorie ovvero alla mancanza di prova che si siano verificati concreti rischi di confusione iv erroneamente ritenuto che l’art. 14, comma 2, del Reg. CE n. 510/2006 non autorizzi il produttore a continuare ad adoperare un marchio registrato, o acquisito mediante l’uso in buona fede, in data precedente alla successivamente intervenuta denominazione di origine protetta. Normativa di riferimento regolamento CE n. 510/2006, Direttiva 2000/13/CE, d.lgs. n. 297/2004. La Corte ha dapprima rilevato come, contrariamente a quanto osservato dai ricorrenti, possa ritenersi sussistente una evocazione” in caso di incorporazione parziale di una D.O.P., di similarità fonetica e visiva alla stessa e di somiglianza concettuale, caratteristiche presenti nel caso di specie. Tuttavia, ha ritenuto fondate le censure mosse dagli esponenti relativamente ai rapporti tra il marchio registrato dal Consorzio Altopiano di Asiago” e la D.O.P. Asiago”. Richiamando la normativa comunitaria art. 14 Reg. CE 510/2006 e art. 2, co.1, lett. a Direttiva 2000/13/CE , la Suprema Corte ha evidenziato come l’interesse comune sottostante a marchi, indicazioni geografiche e D.O.P., nell’ambito delle produzioni agricole e alimentari, consista nell’uso del nome geografico quale vantaggio competitivo che l’indicazione dell’origine garantisce al prodotto proprio in quest’ottica, anche un marchio preesistente alla D.O.P. assume rilievo. Secondo la giurisprudenza della Corte di Lussemburgo, infatti, spetta al giudice nazionale stabilire se nel singolo caso sia consentita o meno la prosecuzione di un marchio previamente registrato e, solo successivamente, denominato di origine protetta. La Suprema Corte, nel caso di specie, ha quindi stabilito che si deve ritenere consentito l’utilizzo del marchio Altopiano di Asiago”, indicante la provenienza del prodotto, qualora il giudice di merito si accerti che lo stesso sia stato registrato in buona fede, alla stregua della sua natura, del riferimento esclusivo alla reale provenienza del prodotto e alla mancanza di imitazioni di un termine della D.O.P La Corte ha dunque cassato la sentenza impugnata dai ricorrenti in relazione ai motivi accolti, rinviando alla Corte d’Appello. Il principio affermato. La Corte, con la presente sentenza, ha affermato i seguenti principi di diritto la differenza di funzioni sussistente tra marchi e indicazioni geografiche o denominazioni di origine protetta non esclude, alla stregua della normativa e della giurisprudenza europea, l’interesse comune, rappresentato dall’uso del nome geografico nell’ambito delle produzioni agricole e alimentari, quale vantaggio competitivo che l’indicazione dell’origine è in grado di garantire al prodotto, per cui il titolare di un marchio registrato in buona fede in epoca precedente la denominazione di origine protetta ben può proseguire, nonostante la successiva registrazione di detta denominazione protetta, l’uso del marchio, ai sensi dell’art. 14, comma 2, del Regolamento n. 510 del 2006, laddove non ricorrano ragioni di nullità o decadenza del marchio stesso dunque, nella fattispecie in esame, pur evocando la dicitura Altopiano di Asiago” la denominazione di origine protetta Asiago”, della quale recepisce l’unico elemento che la compone, l’utilizzo del marchio registrato in epoca precedente alla suddetta denominazione, recante la medesima indicazione di provenienza geografica, deve ritenersi, pertanto, consentito, in forza della previsione di cui all’art. 14 del Regolamento n. 510 del 2006 che tiene conto del preuso, qualora, considerata la natura stessa del marchio, il riferimento esclusivo alla reale provenienza geografica del prodotto e la mancanza di imitazioni, anche mediante contraffazione o camuffamento, di un termine adoperato nella D.O.P., il giudice di merito accerti che tale marchio sia stato, altresì, registrato in buona fede in tale valutazione il giudice di merito dovrà, altresì, tenere conto del fatto che l’indicazione della zona di produzione dell’alimento immesso sul mercato è consentita, ed in alcuni casi perfino imposta, al produttore garantito della preventiva registrazione del marchio, ai sensi degli artt. 2, comma 1, lett. a e 3, comma 1, n. 8 della Direttiva 2000/13/CE .

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 31 maggio – 23 ottobre 2019, n. 27194 Presidente Genovese – Relatore Valitutti Fatti di causa 1. Con ordinanza notificata in data 21 settembre 2011, il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali ingiungeva a P.G. , ed al Consorzio fra i Caseifici dell’Altopiano di Asiago soc. coop. a r.l., quali coobbligati solidali L. n. 689 del 1981, ex art. 6, il pagamento di una sanzione amministrativa pari ad Euro 2.000,00. L’Amministrazione contestava agli ingiunti la violazione del D.Lgs. 19 novembre 2004, n. 297, art. 2, comma 2, per avere utilizzato, sugli imballaggi - cd. pelures - di alcune forme di formaggio prodotte dal Consorzio, la dicitura Altopiano di Asiago , ritenuta evocativa della Denominazione di Origine Protetta D.O.P. Asiago”, traendo in tal modo in inganno il consumatore, con l’ attribuire al prodotto posto in vendita qualità e caratteristiche che lo stesso non possiede, associandolo ad un’altra produzione invece provvista delle qualità e delle caratteristiche vantate . Nel suindicato provvedimento, il Ministero osservava, in particolare, che la denominazione Asiago”, in quanto riconosciuta quale D.O.P. dal Regolamento CE n. 1107 del 1996, sarebbe utilizzabile soltanto da aziende produttrici in possesso di peculiari requisiti e sottoposte al controllo della struttura autorizzata del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali ed unicamente per formaggio prodotto e commercializzato in conformità al Disciplinare di produzione . 2. Con ricorso in data 2 novembre 2011, il P. ed il Consorzio proponevano opposizione dinanzi al Tribunale di Venezia i che, con sentenza n. 1200/2012, la rigettava, ritenendo che l’utilizzo della dicitura Altopiano di Asiago , su cartoni di formaggi sprovvisti delle caratteristiche per fruire della denominazione protetta Asiago”, costituiva un’indebita evocazione di quest’ultima, idonea ad indurre il consumatore a ritenere erroneamente trattarsi di prodotti caseari di qualità D.O.P., in violazione del D.Lgs. n. 297 del 2004, art. 2. 3. Con sentenza n. 1101/2014, depositata il 19 maggio 2014 e notificata il 27 agosto 2014, la Corte d’appello di Venezia rigettava il gravame proposto dal P. e dal Consorzio avverso la decisione emessa dal Tribunale, condannando gli appellanti alle spese del secondo grado del giudizio. La Corte considerava irrilevante la presenza, sui cartoni di imballaggio e sulle pelures, di etichette contenenti l’indicazione del luogo di produzione, ovvero la mancanza di prove che si fossero verificati, in concreto, rischi di confusione, essendo la normativa di riferimento finalizzata ad evitare uno sfruttamento della denominazione protetta mediante l’evocazione di questa, onde scongiurare - a monte - il pericolo stesso che taluni consumatori possano essere condizionati nelle loro scelte dalla supposizione di acquistare prodotti D.O.P. che invece tali non sono . Il giudice di appello riteneva, inoltre, condividendo il percorso argomentativo seguito dalla decisione del Tribunale - che l’utilizzo da parte del Consorzio di marchi registrati anteriormente al riconoscimento della denominazione protetta Asiago” - quali Consorzio fra i caseifici dell’Altopiano di Asiago-Prodotti dell’Altopiano di Asiago - non legittimasse lo scorporo della sola dicitura Altopiano di Asiago da detti marchi e la sua utilizzazione sugli imballaggi dei formaggi, comportando tale parziale utilizzo dei marchi precedenti, in difetto di altre indicazioni individualizzanti, l’evidente evocazione della denominazione protetta Asiago”. 4. Per la cassazione di tale sentenza hanno, quindi, proposto ricorso P.G. ed il Consorzio fra i Caseifici dell’Altopiano di Asiago soc. coop. a r.l. nei confronti del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, affidato ad otto motivi, illustrati con memoria. L’intimato non ha svolto attività difensiva. 5. Con ordinanza interlocutoria n. 9789/2018, depositata il 19 aprile 2018, il Collegio - rilevato che le questioni dedotte nei motivi di ricorso presentano una evidente valenza nomofilattica, postulando l’interpretazione di diverse, complesse, disposizioni del diritto nazionale e comunitario cogente in materia, in ordine alle quali non si riscontrano precedenti di questa Corte - ha rimesso la causa alla pubblica udienza. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo di ricorso, Il P. ed il Consorzio denunciano la violazione dell’art. 112, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, deducendo la nullità della sentenza impugnata. 1.1. I ricorrenti si dolgono, in primo luogo, del fatto che la Corte d’appello abbia prestato un’acritica adesione alle argomentazioni ed alle statuizioni della sentenza di primo grado, senza giustificare in alcun modo le ragioni della propria incondizionata adesione alle conclusioni già raggiunte dal Tribunale di Venezia , nè tanto meno indicare gli errori che viceversa avrebbero inficiato le deduzioni degli allora appellanti . 1.2. Sotto un diverso profilo, gli istanti lamentano che il giudice di seconde cure non si sia pronunciato su tutti i motivi di gravame, ed in particolare abbia omesso del tutto di statuire in ordine al quarto ed al quinto motivo di appello. Con il quarto motivo era stata, invero, prospettata dagli appellanti l’inaccettabilità di una soluzione giuridica - come quella posta a fondamento della pronuncia impugnata - di considerare l’utilizzo della dicitura Altopiano di Asiago evocativa della D.O.P. Asiago”, senza una verifica concreta in ordine all’ ingannevolezza o meno dell’evocazione , atteso che tale soluzione avrebbe penalizzato fortemente i produttori caseari, impedendo ai medesimi di pubblicizzare i loro prodotti con l’indicazione della provenienza geografica degli stessi. Con il quinto motivo gli appellanti avevano dedotto l’insussistenza del pericolo di confusione tra i formaggi prodotti dal Consorzio recanti l’indicazione Altopiano di Asiago con l’Asiago D.O.P., atteso che sarebbe stato sufficiente, al consumatore di normale diligenza, leggere l’etichetta per rendersi conto che quello che sta per acquistare non è il prodotto D.O.P. di cui si paventa l’evocazione . 1.3. Il motivo è infondato. 1.3.1. Per quanto concerne, invero, la pretesa nullità della sentenza per carenza totale di motivazione, va osservato che è nulla, per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, la motivazione solo apparente, che non costituisce espressione di un autonomo processo deliberativo, quale la sentenza di appello motivata per relationem alla sentenza di primo grado, attraverso una generica condivisione della ricostruzione in fatto e delle argomentazioni svolte dal primo giudice, senza alcun esame critico delle stesse in base ai motivi di gravame. Per converso, tale nullità deve ritenersi insussistente, laddove il giudice del gravame dia conto, sia pur sinteticamente, delle ragioni della conferma in relazione ai motivi di impugnazione ovvero della identità delle questioni prospettate in appello rispetto a quelle già esaminate in primo grado, sicché dalla lettura della parte motiva di entrambe le sentenze possa ricavarsi un percorso argomentativo esaustivo e coerente Cass., 25/10/2018, n. 27112 Cass., 05/11/2018, n. 28139 Cass., 19/07/2016, n. 14786 . Nel caso di specie, la Corte d’appello è pervenuta al convincimento di respingere il gravame del P. e del Consorzio dopo avere preso in esame - elencandoli, altresì, e riassumendoli nello svolgimento del processo - i motivi di gravame proposti dagli appellanti, e pervenendo alla conclusione di confermare le statuizioni della sentenza di primo grado sulla base di un autonomo percorso argomentativo, chiaramente ed analiticamente sviluppato in relazione a considerazioni di fatto e di diritto, adeguatamente articolate nella motivazione della decisione pp. 9-12 . Il dedotto vizio di carenza assoluta di motivazione non può, pertanto, ritenersi sussistente. 1.3.2. Quanto al mancato esame del quarto e quinto motivo di appello, va rilevato che il dedotto vizio di omessa pronuncia - per configurare il quale non è sufficiente la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, che può anche essere implicita, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto Cass., 04/10/2011, n. 20311 Cass., 13/10/2017, n. 24155 Cass., 06/12/2017, n. 29191 Cass., 13/08/2018, n. 20718 - non può ritenersi sussistente nel caso di specie. La Corte territoriale ha, infatti, preso in considerazione le due censure, pervenendo alla conclusione - motivata con riferimento alla normativa in materia, e segnatamente all’art. 13, lett. b , del Regolamento CE n. 510/2006, che vieta qualsiasi usurpazione, imitazione o evocazione, anche se l’origine del prodotto è indicata - che la concreta etichettatura, e quindi l’origine geografica del prodotto individuabile tramite l’etichetta, non è di per sé idonea ad escludere il pericolo - che tale normativa intende evitare, a prescindere dal concreto verificarsi della confusione - che l’utilizzo nell’imballaggio dei formaggi dell’espressione Altopiano di Asiago possa, evocando la D.O.P. Asiago”, condizionare o fuorviare gli acquirenti nelle loro scelte. 1.4. Per tali ragioni, il mezzo deve, pertanto, essere rigettato. 2. Con il secondo, terzo, quarto, quinto e sesto motivo di ricorso - che, attesa la loro evidente connessione vanno esaminati congiuntamente - il P. ed il Consorzio denunciano la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 297 del 2004, art. 2, comma 2, art. 13, comma 1, lett. b , del Regolamento CE n. 510 del 2006, art. 13, comma 1, lett. b del Regolamento CE n. 2081 del 1992, artt. 1, 2 e 3 della Direttiva 2000/13/CE, D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 109, artt. 1, 2 e 3, art. 14, comma 2, del Regolamento CE n. 510 del 2006, R.D. n. 929 del 1942, art. 20 e D.Lgs. 10 febbraio 2005, n. 30, art. 29, nonché l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5. 2.1. Gli istanti si dolgono, anzitutto, del fatto che la Corte d’appello abbia attribuito un erroneo significato al concetto di evocazione , di cui al D.Lgs. n. 297 del 2004, art. 2, comma 2, ed all’art. 13, comma 1, lett. b , del Regolamento CE n. 510 del 2006, considerando tale la mera incorporazione di una D.O.P. nel contesto di una frase più complessa, ossia - nella specie - la denominazione protetta Asiago” nell’espressione Altopiano di Asiago . L’ evocazione - a parere degli istanti - atterrebbe, per contro, ad evenienze del tutto diverse, nelle quali la parola adoperata per contrassegnare un prodotto presenti un similarità fonetica ed ottica con la dicitura adoperata in una D.O.P., sì da risultarne una sostanziale traduzione o storpiatura , suscettibile di evocare, visivamente o mediante lo stesso suono della parola, la denominazione protetta. Nel caso di specie, l’espressione Altopiano di Asiago , men che evocare la D.O.P. in questione, sarebbe meramente indicativa del luogo di origine del prodotto pp. 14 e 15 , nel senso di rendere edotto l’acquirente che si tratta di un prodotto che proviene, appunto dall’Altopiano di Asiago. 2.2. I ricorrenti si dolgono, inoltre, del fatto che il giudice di appello abbia erroneamente ritenuto irrilevante la presenza di etichette obbligatorie contenenti l’indicazione del luogo di produzione , sul presupposto che la normativa nazionale e comunitaria succitata prevede che l’evocazione, l’usurpazione o l’imitazione non è esclusa anche se l’origine vera del prodotto è indicata . Il precetto nazionale e quello comunitario intenderebbero, per contro, individuare - ad avviso degli esponenti - gli estremi dell’evocazione in una condotta che richiami artificiosamente, mediante la riproduzione di immagini visive o di fonemi, un prodotto tutelato da una D.O.P., anche nell’ipotesi in cui sia correttamente indicata l’origine del medesimo. Siffatta evocazione non potrebbe, invece, ritenersi sussistente laddove si sia in presenza - come nella specie - della semplice, e veridica, indicazione del luogo di origine di ciascun singolo prodotto pp. 15 e 16 . 2.3. Avrebbe, poi, errato la Corte territoriale nel dichiarare l’inconferenza degli assunti relativi alla presenza di etichette obbligatorie contenenti l’indicazione del luogo di produzione ovvero alla mancanza di prova che si siano verificati concreti rischi di confusione , essendo la normativa - sia nazionale che comunitaria diretta a scongiurare il pericolo che l’evocazione di un prodotto garantito da una D.O.P. possa fuorviare i consumatori, inducendoli a ritenere erroneamente di trovarsi in presenza di un prodotto a denominazione protetta. Per il che, secondo il giudice di appello, la necessità di procedere ad un corretto sistema di etichettatura, al fine di fornire ai consumatori tutte le informazioni occorrenti sulle caratteristiche - anche relative alla provenienza geografica - di un prodotto, costituirebbe un problema diverso da quello relativo all’ utilizzo nel confezionamento-imballaggio delle forme di formaggio di un’espressione certamente evocativa del formaggio Asiago p. 10 della sentenza di appello . Osservano, per converso, i ricorrenti che la Direttiva 2000/13/CE non autorizza affatto quella rigida separazione tracciata dalla Corte d’appello tra etichettatura e confezionamento-imballaggio delle forme di formaggio , atteso che i due concetti vengono espressamente considerato come coincidenti nella previsione di cui all’art. 1, comma 3, lett. a di detta Direttiva, laddove prevede che per etichettatura devono intendersi le menzioni, indicazioni, marchi di fabbrica o di commercio, immagini o simboli riferentisi ad un prodotto alimentare e figuranti su qualsiasi imballaggio, documento, cartella, etichetta, anello o fascetta che accompagni tale prodotto alimentare o che ad esso si riferisca . E ad identico risultato si perverrebbe, secondo gli istanti, considerando le norme di cui al D.Lgs. n. 109 del 1992, artt. 1, 2, e 3 - applicabile ratione temporis - che egualmente non distinguono tra le informazioni da apporre sull’ etichettatura e le informazioni da appore sul confezionamento-imballaggio . Per il che si tratterebbe di concetti decisamente sovrapponibili. 2.4. Ad avviso degli esponenti andrebbe, peraltro, considerato altresì che, ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. a della Direttiva 2000/13/CE, L’etichettatura e le relative modalità di realizzazione non devono a essere tali da indurre in errore l’acquirente, specialmente i per quanto riguarda le caratteristiche del prodotto alimentare e in particolare l’origine e la provenienza , e che a norma del successivo art. 3, comma 1, n. 8, tra le informazioni obbligatorie da apporre sulle etichette è ricompreso anche il luogo di origine o di provenienza, qualora l’omissione di tale indicazione possa indurre in errore il consumatore circa l’origine o la provenienza effettiva del prodotto alimentare . Ne conseguirebbe - a parere degli istanti - che la normativa nazionale ed Europea consentirebbe al produttore di indicare nell’etichettatura - comprensiva di imballaggi e pelures, non essendo la distinzione con le etichette giustificata, come dianzi detto, da tale normativa - la zona di produzione dell’alimento immesso sul mercato, indicazione, peraltro, in alcuni casi perfino obbligatoria. 2.5. La Corte d’appello avrebbe, infine, errato nel ritenere che l’art. 14, comma 2, del Regolamento CE n. 510 del 2006 sostitutivo del Regolamento CE n. 2081 del 1992 non autorizzi il produttore che abbia registrato, o acquisito mediante l’uso in buona fede, un marchio corrispondente ad una D.O.P., in epoca precedente la data di protezione della denominazione d’origine, a continuare ad adoperare tale marchio, anche avvalendosi di una parte della dicitura apposta sullo stesso, nella specie della locuzione Altopiano di Asiago , sebbene contenuta - fatto non preso in esame dalla Corte d’appello, in violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 - nella ragione sociale del Consorzio e registrata come marchio fin dal 1982. La nozione di marchio rilevante , ai sensi dell’art. 14 del Regolamento CE n. 510 del 2006, come del R.D. n. 929 del 1942, art. 20 e D.Lgs. n. 30 del 2005, art. 29, ben potrebbe ricomprendere, infatti, anche una denominazione geografica idonea a caratterizzare un prodotto, purché ovviamente veritiera, ancorché la stessa non sia stata registrata ai fini D.O.P. o I.G.P. . 3. Le censure sono fondate, nei limiti che si passa ad esporre. 3.1. Va premesso che l’Unione Europea ha riconosciuto ai prodotti agricoli e alimentari un valore immateriale espresso dalla reputazione da essi acquisita presso il pubblico e che affonda le proprie radici nelle diverse comunità locali che hanno dimostrato di saper valorizzare nel tempo le caratteristiche di un luogo, offrendo un prodotto assolutamente originale in relazione al particolare combinarsi di fattori umani o naturali, o di metodi di produzione tramandati dalle comunità locali, non di rado in forza di tradizioni secolari. In tale contesto si colloca il regolamento CE n. 2081 del 1992, finalizzato a prevedere una disciplina uniforme per tutti gli imprenditori agricoli dell’Unione Europea interessati a competere sul mercato dei prodotti agricoli di qualità e, di conseguenza, disposti ad accettare la predeterminazione - a livello Europeo - di precise modalità di produzione, nonché la sottoposizione dei prodotti ai relativi controlli, al fine di garantire una produzione diversificata in corrispondenza di una sempre più affinata ricerca, da parte dei consumatori, di prodotti aventi una determinata origine. Il successivo Regolamento CE n. 510/2006, che abroga il precedente, ne rafforza ulteriormente le previsioni, ponendosi in linea con gli obiettivi di una politica agricola comune sempre più diretta a promuovere lo sviluppo degli spazi rurali e a riconoscere l’imprenditore agricolo nel suo ruolo di produttore e promotore delle bellezze e delle risorse, anche produttive, delle realtà locali. L’evoluzione normativa si è poi ulteriormente arricchita, per effetto del Regolamento n. 1151/2012 - non applicabile, ratione temporis, alla fattispecie oggetto del presente giudizio - nel quale sono stati precisati per la prima volta, direttamente nel testo, gli obiettivi che si intendono perseguire a livello Europeo. Orbene, in forza dell’art. 13, comma 1, lett. b , del Regolamento CE n. 510 del 2006 - applicabile temporalmente nella specie, e che ha sostituito l’identica previsione del precedente Regolamento n. 2081 del 1992 - le indicazioni geografiche protette I.G.P. e le denominazioni di origine protette D.O.P. sono tutelate, in particolare, contro qualsiasi usurpazione, imitazione o evocazione, anche se l’origine vera del prodotto è indicata o se la denominazione protetta è una traduzione . Tale disposizione ha formato oggetto di diversi interventi della Corte di Giustizia di Lussemburgo, la quale ha - già da tempo stabilito che la nozione di evocazione si riferisce all’ipotesi in cui il termine utilizzato per designare un prodotto incorpori una parte di una denominazione protetta, di modo che il consumatore, in presenza del nome del prodotto, sia indotto ad avere in mente, come immagine di riferimento, la merce che fruisce della denominazione. La Corte ha, altresì, precisato che può esservi evocazione di una DOP anche in mancanza di qualunque rischio di confusione tra i prodotti di cui è causa e anche quando nessuna tutela comunitaria si applichi agli elementi della denominazione di riferimento ripresi dalla terminologia controversa Corte Giustizia, 4/03/1999, Consorzio per la tutela del formaggio Gorgonzola, che ha considerato la dicitura Cambozola , adoperata da una ditta austriaca, evocazione della D.O.P. italiana Gorgonzola . In una successiva pronuncia - nell’affrontare il problema se la denominazione parmesan , adoperata da un produttore tedesco, sia o meno la traduzione esatta della D.O.P. Parmigiano Reggiano o del termine parmigiano - la Corte Europea ha affermato che si deve tener conto anche della somiglianza concettuale tra tali due termini, pur di lingue diverse, testimoniata dal dibattito svoltosi - in quell’occasione - dinanzi alla Corte. Tale somiglianza, come già le somiglianze fonetiche e ottiche - fra le denominazioni parmesan e Parmigiano Reggiano in un contesto in cui i prodotti di cui è causa sono formaggi a pasta dura, grattugiati o da grattugiare, cioè simili nel loro aspetto esterno - è idonea, secondo la Corte, ad indurre il consumatore a prendere come immagine di riferimento il formaggio recante la D.O.P. Parmigiano Reggiano quando si trova dinanzi ad un formaggio a pasta dura, grattugiato o da grattugiare, recante la denominazione parmesan . La nozione di evocazione di una denominazione di origine protetta si riferisce, pertanto, a giudizio della Corte, all’ipotesi in cui il termine utilizzato per designare un prodotto incorpori una parte di una denominazione protetta - come nel caso della locuzione parmesan , che incorpora una parte della denominazione protetta Parmigiano Reggiano - di modo che il consumatore, in presenza del nome del prodotto, sia indotto ad aver in mente, come immagine di riferimento, la merce che fruisce della denominazione, indipendentemente da qualunque rischio di confusione tra i prodotti di cui è causa ed anche quando nessuna tutela comunitaria si applichi agli elementi della denominazione di riferimento ripresi dalla terminologia controversa Corte Giustizia, Grande Sezione, 26/02/2008, n. 132 . Da ultimo, la Corte di Lussemburgo ha affermato che l’art. 13, paragrafo 1, lettera b , del regolamento CE n. 510/2006 del Consiglio, del 20 marzo 2006, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli e alimentari, deve essere interpretato nel senso che l’ evocazione di una denominazione registrata può derivare anche dall’uso di segni figurativi, e che la nozione di consumatore medio normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, alla cui percezione deve fare riferimento il giudice nazionale per determinare se esista un’ evocazione ai sensi dell’art. 13, paragrafo 1, lettera b , del regolamento n. 510/2006, deve intendersi riferita a un consumatore Europeo, compreso un consumatore dello Stato membro in cui si fabbrica e si consuma maggiormente il prodotto che dà luogo all’evocazione della denominazione protetta o a cui tale denominazione è associata geograficamente Corte Giustizia, 02/05/2019, Fundacion Consejo Regulador de la Denominación de Origen Protegida Queso Manchego 3.2. Nel medesimo solco delle decisioni succitate - tutte relative alle disposizioni del Regolamento n. 2081 del 1992 e del Regolamento n. 510 del 2006, che lo ha sostituito - si pongono, inoltre, alcune recenti pronunce, sebbene emesse in relazione all’art. 16, lett. b , del regolamento CE n. 110/2008, in materia di bevande spiritose, ossia a base di alcool, secondo le quali la nozione di evocazione si estende all’ipotesi in cui il termine utilizzato per designare un prodotto incorpori una parte di una indicazione geografica protetta, di modo che il consumatore, in presenza del nome del prodotto di cui trattasi, sia indotto ad aver in mente, come immagine di riferimento, la merce che fruisce di detta indicazione Corte giustizia, 21/01/2016, Viiniverla . Con successiva decisione, la Corte di Giustizia - considerando che il Regolamento CE n. 510 del 2006, costituente la norma base in materia di protezione agroalimentare, non si applica ai prodotti alcoolici - ha ulteriormente precisato, sia pure con riferimento al Regolamento CE n. 110/2008, concernente appunto tali prodotti, ma che contiene un identico riferimento all’ evocazione di un’indicazione geografica, che spetta al giudice nazionale verificare, oltre al fatto se una parte di una indicazione geografica protetta sia incorporata in un termine utilizzato per designare il prodotto in questione, se il consumatore, in presenza del nome del prodotto, sia indotto ad avere in mente, come immagine di riferimento, la merce che fruisce di tale indicazione. Pertanto, il giudice nazionale - oltre ad accertare se una parte di una indicazione geografica protetta sia incorporata in un termine utilizzato per designare il prodotto in contestazione - deve altresì fondarsi sulla presunta reazione del consumatore nei confronti del termine utilizzato per designare il prodotto in questione, essendo essenziale che quest’ultimo ricolleghi detto termine all’indicazione geografica protetta . Sotto tale profilo, è certamente da ritenersi - secondo la Corte Europea - che sussista evocazione di una indicazione geografica protetta allorquando, trattandosi di prodotti di apparenza analoga, le denominazioni di vendita presentano una similarità fonetica e visiva Corte Giustizia, 07/06/2018, Scotch Whisky Association conf. Corte Giustizia, Viiniverla, cit. . 3.3. Nondimeno, non può revocarsi in dubbio - al contrario di quanto assumono i ricorrenti - che possa sussistere un’ evocazione anche senza tale similarità fonetica e visiva, atteso che, oltre ai criteri relativi all’incorporazione parziale di una indicazione geografica protetta nella denominazione controversa e alla similarità fonetica e visiva di detta denominazione con tale indicazione, si deve, se del caso, tenere conto anche del criterio della somiglianza concettuale esistente tra termini - in special modo se appartenenti a lingue differenti - poiché anche una tale somiglianza, al pari degli altri criteri summenzionati, è idonea a indurre il consumatore ad avere in mente, come immagine di riferimento, il prodotto la cui indicazione geografica è protetta, quando si trovi in presenza di un prodotto simile recante la denominazione controversa Corte Giustizia, Scotch Whisky Association, cit. Corte Giustizia, Viiniverla, cit. . Muovendo da tali rilievi, la Corte di Lussemburgo è pervenuta, quindi, alla conclusione secondo cui, per accertare l’esistenza di un’ evocazione di un’indicazione geografica tipica, spetta al giudice del rinvio valutare se il consumatore Europeo medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, in presenza della denominazione controversa sia indotto ad avere direttamente in mente, come immagine di riferimento, la merce che beneficia dell’indicazione geografica protetta. Nell’ambito di tale valutazione, dunque, detto giudice in mancanza, in primo luogo, di una similarità fonetica e/o visiva della denominazione controversa con l’indicazione geografica protetta e, in secondo luogo, di un’incorporazione parziale di tale indicazione in tale denominazione, deve tener conto, se del caso, della somiglianza concettuale fra detta denominazione e detta indicazione Corte Giustizia, Scotch Whisky Association, cit. . L’incorporazione addirittura dell’integralità della denominazione della D.O.P. in quella del prodotto alimentare non dà luogo, invece, ad evocazione , laddove tale incorporazione non sia riferibile ad un’indicazione geografica, ma sia finalizzata ad indicare il gusto del prodotto posto in commercio dalla ditta che beneficia di tale indicazione Corte Giustizia, 20/12/2017, n. 393, CIVC, con riferimento alla dicitura Champagne Sorbet , riproduttiva della D.O.P. Champagne . 3.4. Tanto premesso in via di principio, va osservato che, alla stregua del quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento succitato, non può revocarsi in dubbio che nel caso di specie, come accertato in fase di merito, l’uso della dicitura Altopiano di Asiago evochi - come ha correttamente ritenuto la Corte d’appello - la D.O.P. Asiago”, in violazione del disposto di cui al D.Lgs. n. 297 del 2004, art. 2, comma 2, e dell’art. 13, comma 1, lett. b del Regolamento CE n. 510 del 2006. È, per vero, evidente che siffatta locuzione presenta tutte le caratteristiche evidenziate dalla giurisprudenza Europea idonee ad integrare la nozione di evocazione , sussistendo a la parziale incorporazione della denominazione protetta Asiago” nella contestata espressione Altopiano di Asiago b la similarità fonetica e/o visiva , vertendosi nel caso concreto - ben al contrario di quanto assumono i ricorrenti - in una fattispecie in cui non si è in presenza neppure di un nome imitato, contraffatto o storpiato, come parmesan o cambozola , con riferimento ai quali pure la Corte di Lussemburgo ha ritenuto sussistere l’ evocazione , ma di una pedissequa riproduzione del termine Asiago”, con la sola aggiunta del sostantivo Altopiano , certamente idoneo ad evocare nella mente del consumatore medio, in special modo in una zona dove tale produzione è molto diffusa, il noto formaggio Asiago c la somiglianza concettuale , trattandosi del medesimo prodotto lattiero caseario, proveniente dalla medesima zona di produzione. Sotto tale profilo, pertanto, le doglianze degli istanti non possono essere ritenute condivisibili. 3.5. E tuttavia, si pone, a questo punto, l’ulteriore, decisivo, problema - che ha costituito oggetto di diffuse ed analitiche deduzioni da parte dei ricorrenti - relativo ai rapporti tra il marchio registrato dal Consorzio, nel quale compare l’indicazione Altopiano di Asiago , e la D.O.P. Asiago”, tenuto conto del preuso di tale marchio da parte del Consorzio medesimo, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 14, comma 2, del Regolamento CE n. 510 del 2006, nonché del fatto che, a norma dell’art. 2, comma 2, della Direttiva 2000/13/CE l’etichettatura - consistente, ai sensi del precedente art. 1, in tutte le indicazioni relative ad un prodotto alimentare figuranti su qualsiasi imballaggio del prodotto - non deve essere tale da indurre l’acquirente in errore anche per quanto concerne l’origine o la provenienza del prodotto . Tanto che, a norma del successivo art. 3, comma 1, n. 8, tra le informazioni obbligatorie da apporre sulle etichette è ricompreso anche il luogo di origine o di provenienza, qualora l’omissione di tale indicazione possa indurre in errore il consumatore circa l’origine o la provenienza effettiva del prodotto alimentare . Sotto tale ulteriore profilo, le censure mosse dagli esponenti alla decisione di appello si palesano, invece, fondate. 3.5.1. Va anzitutto rilevato al riguardo - sul piano della normativa comunitaria - che, l’art. 14 del Regolamento CE n. 510 del 2006 dispone che Nel rispetto del diritto comunitario, l’uso di un marchio corrispondente ad una delle situazioni di cui all’art. 13, depositato, registrato o, nei casi in cui ciò sia previsto dalla normativa pertinente, acquisito con l’uso in buona fede sul territorio comunitario, anteriormente alla data di protezione della denominazione d’origine o dell’indicazione geografica nel paese d’origine può proseguire, nonostante la registrazione di una denominazione d’origine o di un’indicazione geografica, qualora il marchio non incorra nella nullità o decadenza per i motivi previsti dalla prima direttiva 89/104/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1988, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa o dal regolamento CE n. 40/94 del Consiglio, del 20 dicembre 1993, sul marchio comunitario . A sua volta, l’art. 2, comma 1, lett. a della Direttiva 2000/13/CE, stabilisce che L’etichettatura e le relative modalità di realizzazione non devono a essere tali da indurre in errore l’acquirente, specialmente i per quanto riguarda le caratteristiche del prodotto alimentare e in particolare l’origine e la provenienza , mentre, a norma del successivo art. 3, comma 1, n. 8, tra le informazioni obbligatorie da apporre sulle etichette, è ricompreso anche il luogo di origine o di provenienza, qualora l’omissione di tale indicazione possa indurre in errore il consumatore circa l’origine o la provenienza effettiva del prodotto alimentare . Ebbene, è evidente che, nonostante la differenza di funzioni tra marchi e indicazioni geografiche o denominazioni di origine protetta emerge - dall’esame della normativa comunitaria - un interesse comune, rappresentato dall’uso del nome geografico nell’ambito delle produzioni agricole e alimentari, quale vantaggio competitivo che l’indicazione dell’origine è in grado di garantire al prodotto. E ciò attraverso l’evocazione di fattori ambientali, storici e culturali che traggono dal territorio la loro forza distintiva e che valgono a caratterizzare ciò che ivi si produce come del tutto peculiare nel suo genere. In tale prospettiva anche il marchio preesistente alla D.O.P. o alla I.G.P. - laddove non incorra nella nullità o decadenza suindicate, ipotesi neppure adombrata nel caso di specie - assume, dunque, uno specifico rilievo, talché si giustifica anche l’importanza che l’indicazione dell’origine e della provenienza del prodotto, nell’etichettatura e nell’imballaggio dello stesso, assume in ambito comunitario. 3.5.2. Siffatte esigenze risultano, del resto, recepite dalla giurisprudenza Europea, la quale ha affermato che l’art. 14, comma 2, della Direttiva n. 2081 del 1992, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli ed alimentari, consente l’uso dei marchi preesistenti di terzi in cui figuri un termine che indica una provenienza di un prodotto nel caso considerato il termine Bavaria , registrati in buona fede prima della data di deposito della domanda di registrazione dell’indicazione geografica protetta nella specie Bayerisches Bier , purché tali marchi non siano viziati dalle cause di nullità o decadenza di cui all’art. 3, n. 1, lett. c e g , nonché art. 12, n. 2, lett. b , della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE Corte Giustizia, 02/07/2009, Bavaria . Spetta, pertanto, al giudice nazionale - secondo la Corte di Lussemburgo, che pure nella fattispecie esaminata, come dianzi detto, ha concluso per la sussistenza della evocazione ex art. 13 del Regolamento CE n. 2081 del 1992 - stabilire se le condizioni poste dall’art. 14, n. 2, del medesimo Regolamento consentano nei singoli casi la prosecuzione dell’uso del marchio previamente registrato nonostante la registrazione della denominazione di origine protetta, fondandosi in particolare sulla situazione giuridica vigente al momento della registrazione del marchio onde valutare se quest’ultima sia stata effettuata in buona fede e non comporti che una denominazione costituisce di per sé un inganno del consumatore Corte Giustizia, 04/03/1999, cit. . 3.5.3. Se ne deve inferire che - pur evocando la dicitura Altopiano di Asiago la D.O.P. Asiago”, della quale recepisce l’unico elemento che compone tale denominazione protetta l’utilizzo del marchio recante tale indicazione di provenienza geografica deve ritenersi consentito, in forza della previsione di cui all’art. 14 del Regolamento n. 510 del 2006 come del precedente Regolamento n. 2081 del 1992 , che tiene conto del preuso, qualora, considerata la natura stessa del marchio, il riferimento esclusivo alla reale provenienza geografica del prodotto, e la mancanza di imitazioni - anche mediante contraffazione o camuffamento - di un termine adoperato nella D.O.P., il giudice di merito accerti che tale marchio sia stato altresì registrato in buona fede. D’altro canto come rilevato anche dal Procuratore Generale - induce a ritenere che sia legittimo riportare in etichetta il luogo di produzione, quanto meno in presenza di un marchio preesistente, anche la previsione del Decreto del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali in data 14 luglio 2017, in Gazzetta Ufficiale n. 176 del 2017, che nell’operare la revisione dei prodotti tradizionali delle varie Regioni di Italia - inserisce tra i prodotti del Veneto, al n. 120, il formaggio caciotta di Asiago , nonostante l’esistenza della D.O.P. Asiago”. Nè è controverso che la registrazione del marchio registrato dal Consorzio di Asiago, risalente al 1982, sia precedente la denominazione protetta, riconosciuto con Regolamento CE n. 1107 del 1996. 3.6. Per tutte le ragioni esposte, i motivi vanno accolti nei limiti suindicati. 4. Restano assorbiti il settimo assenza di pregiudizio conseguente all’utilizzo della dicitura altopiano di Asiago ed ottavo motivo di ricorso questioni di costituzionalità disattese in appello . I ripetuti, succitati, interventi della giurisprudenza Europea sulle questioni oggetto del presente procedimento rendono, infine, non necessaria la rimessione della causa alla Corte di Giustizia Cass., 16/06/2017, n. 15041 Cass. Sez. U., 24/05/2007, n. 12067 . 5. L’accoglimento del secondo, terzo, quarto, quinto e sesto motivo di ricorso, nei limiti suindicati, comporta la cassazione della sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione, che dovrà procedere a nuovo esame del merito della controversia, facendo applicazione dei seguenti principi di diritto la differenza di funzioni sussistente tra marchi e indicazioni geografiche o denominazioni di origine protetta non esclude, alla stregua della normativa e della giurisprudenza Europea, l’interesse comune, rappresentato dall’uso del nome geografico nell’ambito delle produzioni agricole e alimentari, quale vantaggio competitivo che l’indicazione dell’origine è in grado di garantire al prodotto, per cui il titolare di un marchio registrato in buona fede in epoca precedente la denominazione di origine protetta ben può proseguire, nonostante la successiva registrazione di detta denominazione protetta, l’uso del marchio, ai sensi dell’art. 14, comma 2, del Regolamento n. 510 del 2006, laddove non ricorrano ragioni di nullità o decadenza del marchio stesso pur evocando la dicitura Altopiano di Asiago la denominazione di origine protetta Asiago”, della quale recepisce l’unico elemento che la compone, l’utilizzo del marchio registrato in epoca precedente alla suddetta denominazione, recante la medesima indicazione di provenienza geografica, deve ritenersi, pertanto, consentito, in forza della previsione di cui all’art. 14 del Regolamento n. 510 del 2006 che tiene conto del preuso, qualora, considerata la natura stessa del marchio, il riferimento esclusivo alla reale provenienza geografica del prodotto e la mancanza di imitazioni, anche mediante contraffazione o camuffamento, di un termine adoperato nella D.O.P., il giudice di merito accerti che tale marchio sia stato, altresì, registrato in buona fede in tale valutazione il giudice di merito dovrà, altresì, tenere conto del fatto che l’indicazione della zona di produzione dell’alimento immesso sul mercato è consentita, ed in alcuni casi perfino imposta, al produttore garantito dalla preventiva registrazione del marchio, ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. a e art. 3, comma 1, n. 8 della Direttiva 2000/13/CE . 6. Il giudice di rinvio provvederà, altresì, alla liquidazione delle spese del presente giudizio. P.Q.M. Accoglie il secondo, terzo, quarto, quinto e sesto motivo di ricorso, nei limiti di cui in motivazione rigetta il primo motivo di ricorso e dichiara assorbiti il settimo ed ottavo motivo di ricorso cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti rinvia alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.