Opposizione al fallimento: le spese processuali del creditore istante non sono prededucibili

Le spese sostenute dal creditore istante nel giudizio di opposizione alla dichiarazione di fallimento non sono ammesse in prededuzione, senza che assuma rilievo la sua qualità di litisconsorte necessario, non potendosi desumere da essa l’inerenza delle spese sostenute all’amministrazione del fallimento o alla sua conservazione.

Così l’ordinanza della Corte di Cassazione n. 22725/19, depositata l’11 settembre. Il caso. Una S.p.a. chiedeva l’ammissione al passivo di un Fallimento in prededuzione per il credito relativo alle spese legali sostenute nel giudizio di opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento nella qualità di parte opposta, procedimento definito con sentenza di rigetto e condanna del fallito al rimborso delle suddette spese. Il giudice delegato rigettava l’istanza precisando che lo strumento procedimentale a cui ricorrere era il ricorso ex art. 101 l. fall Il Tribunale rigettava però anche tale istanza. La Corte d’Appello di Catania confermava la decisione. La società creditrice ha dunque proposto ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione. Prededucibilità. Il Collegio coglie l’occasione per ribadire la costante giurisprudenza secondo cui, in tema di opposizione al passivo, non sono ammesse in prededuzione le spese sostenute dal creditore istante nel giudizio di opposizione alla dichiarazione di fallimento, senza che assuma rilievo la sua qualità di litisconsorte necessario, non potendosi desumere da essa l’inerenza delle spese sostenute all’amministrazione del fallimento o alla sua conservazione . In altre parole, le spese sostenute dal creditore istante per il fallimento non hanno natura prededucibile perché non strettamente inerenti alle esigenze di amministrazione del fallimento. Il creditore ha infatti un interesse specifico a resistere nella causa di opposizione al fallimento posto che l’eventuale revoca del fallimento potrebbe integrare fonte di responsabilità laddove risulti che l’istanza di fallimento abbia cagionato un danno ingiusto. Inoltre, viene sottolineato che il creditore ricorrente non è investito di alcun potere di rappresentanza della massa dei creditori i cui interessi sono curati in via esclusiva dal curatore e dal giudice delegato . In conclusione, la Corte rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 12 luglio – 11 settembre 2019, n. 22725 Presidente Di Virgilio – Relatore Caiazzo Rilevato che La Compagnia Meridionale Caffè s.p.a. chiese l’ammissione al passivo del fallimento di C.A. , in prededuzione, del credito per le spese legali sostenute nel giudizio d’opposizione alla sentenza dichiarativa del fallimento, nella qualità di parte opposta ricorrente per fallimento , definito con sentenza di rigetto emessa dal Tribunale di Catania il 24.7.01 con condanna del fallito al rimborso delle spese in favore della suddetta società. Il giudice delegato rigettò l’istanza, rilevando che avrebbe dovuto essere proposta con ricorso L. Fall., ex art. 101 presentato tale ricorso, il Tribunale di Catania lo respinse con sentenza depositata il 26.1.2006, che fu appellata dalla società. La Corte d’appello di Catania ha rigettato l’appello, in quanto le spese sostenute dalla Compagnia Meridionale Caffè s.p.a. nel giudizio d’opposizione al fallimento proposto dal fallito riguardavano crediti sorti successivamente all’apertura del fallimento e dunque da porre a carico dello stesso fallito a diversa conclusione si sarebbe potuto pervenire nel caso in cui il creditore istante fosse stato l’unico a svolgere attività processuale nell’interesse del fallimento, mentre nel giudizio in questione si era costituita la curatela era comunque da escludere la natura privilegiata del credito poiché sorto successivamente alla dichiarazione di fallimento. La Compagnia Meridionale Caffè s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi. Non si è costituita la curatela fallimentare, cui il ricorso è stato regolarmente notificato. Il Sostituto Procuratore Generale ha depositato relazione chiedendo il rigetto del ricorso. Considerato che Con il primo motivo è stata dedotta la nullità della sentenza impugnata o del procedimento, ex art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione degli artt. 112 e 102 c.p.c., in relazione al D.Lgs. n. 267 del 1942, artt. 111 e 18, in quanto la ricorrente ha lamentato Verror in procedendo in cui era incorsa la Corte d’appello nel ritenere che il credito fatto valere non fosse gravante sulla massa fallimentare, e dunque prededucibile in quanto relativo a spesa posta in rapporto di consequenzialità necessaria con il ricorso per fallimento, dato anche il contributo apportato nel giudizio d’opposizione allo stato passivo, e nel non aver la Corte tenuto conto che la natura del credito in questione discendeva dal litisconsorzio necessario tra il creditore istante e la curatela nell’ambito del giudizio L. Fall., ex art. 98, a nulla rilevando a tal fine che la curatela stessa si fosse costituita o meno. Con il secondo motivo è stata denunziata violazione, e in subordine, falsa applicazione, della L. Fall., artt. 18 e 111, nonché degli artt. 92, 102 c.p.c., poiché la Corte d’appello avrebbe respinto la sua domanda sulla base di un orientamento dottrinale e non delle norme, ribadendo che si trattava di litisconsorzio. Con il terzo motivo è stata dedotta l’omessa e insufficiente o contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo, in quanto la Corte d’appello non aveva esaminato la censura della società afferente alle spese del giudizio d’opposizione maturate dal creditore istante, oggetto della richiesta prededuzione, e la sussistenza del predetto litisconsorzio, quale presupposto necessario per la valutazione dell’inerenza delle spese alla massa fallimentare. Inoltre, la ricorrente si duole anche dell’omesso esame della rilevanza del contributo difensivo prestato dal creditore istante ai fini del rigetto dell’opposizione allo stato passivo, essendo la Corte d’appello incorsa anche in contraddizione nella parte della motivazione in cui, pur avendo premesso correttamente i presupposti delle spese prededucibili, tuttavia aveva escluso tale natura per le spese di giudizio in questione. Con il quarto motivo è stata denunziata violazion e e in subordine falsa applicazione degli artt. 2770, 2787 e 2755 c.c., in relazione all’art. 95 c.p.c., avendo la Corte territoriale erroneamente escluso anche la natura privilegiata del credito fatto valere decidendo in ordine alla domanda subordinata d’ammissione al passivo. Con il quinto motivo è stata denunziata violazione e in subordine falsa applicazione – della L. Fall., artt. 18 e 111, in relazione agli artt. 3 e 24 Cost., nonché l’omessa e/o insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo, lamentando la ricorrente che la tesi circa l’inopponibilità alla massa del credito azionato, in quanto proprio del fallito, si risolverebbe in una finzione data la facoltà dello stesso debitore fallito di avvalersi dell’esdebitazione, con conseguente falcidia del credito e concreta possibilità di vanificare le possibilità di soddisfo. Al riguardo, il ricorrente ha dedotto l’eventuale incostituzionalità della L. Fall., artt. 111 e 118, se interpretati secondo la prospettazione della Corte d’appello, in ordine agli artt. 3, 24 e 111 Cost., in raffronto con la posizione del curatore. Il ricorso è infondato. I primi tre motivi, da esaminare congiuntamente poiché tra loro connessi, non meritano accoglimento. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in tema di opposizione allo stato passivo, non sono ammesse in prededuzione le spese sostenute dal creditore istante nel giudizio di opposizione alla dichiarazione di fallimento, senza che assuma rilievo la sua qualità di litisconsorte necessario, non potendosi desumere da essa l’inerenza delle spese sostenute all’amministrazione del fallimento o alla sua conservazione. Sez. 1, Sentenza n. 1186 del 20/01/2006 . In sostanza, le spese sostenute dal creditore pur istante per fallimento non hanno carattere prededucibile perché non strettamente inerenti alle esigenze dell’amministrazione del fallimento al riguardo, come evidenziato nella citata sentenza, sussistono differenze funzionali ed ontologiche tra la difesa della curatela e quella del creditore opposto. Invero, il creditore ricorrente ha un suo specifico interesse a resistere nella causa di opposizione a fallimento, dal momento che l’eventuale revoca della sentenza potrebbe integrare un motivo di responsabilità qualora dovesse risultare che la presentazione dell’istanza di fallimento abbia cagionato un danno ingiusto al resistente. Il creditore ricorrente, quindi, non è investito di alcun potere di rappresentanza della massa dei creditori i cui interessi sono curati in via esclusiva dal curatore e dal giudice delegato. Al riguardo, ai fini della qualificazione delle spese in questione è del tutto irrilevante la questione del litisconsorzio necessario tra il creditore opposto e la curatela. Tali considerazioni non sono inficiate dal fatto che la massa dei creditori possa aver tratto indiretto vantaggio dalla costituzione in giudizio della ricorrente. Peraltro, nel caso concreto, la curatela si è costituita in giudizio al riguardo, la scelta della curatela di costituirsi o meno nel giudizio d’opposizione alla sentenza di fallimento è demandata al giudice delegato il quale effettua una valutazione d’opportunità che prescinde dal comportamento processuale del creditore che ha presentato il ricorso per fallimento e che, in quanto tale, ha la posizione di litisconsorte necessario nel giudizio di opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento. Ne discende l’irrilevanza della questione relativa al suddetto litisconsorzio necessario rispetto alla qualificazione delle spese sostenute dal creditore, istante per fallimento, nel giudizio di cui alla L. Fall., art. 18. Per quanto esposto, non sussiste altresì il vizio motivazionale, avendo il giudice d’appello ampiamente motivato sulle varie questioni oggetto dei primi tre motivi di ricorso. Il quarto motivo è infondato. Non compete il privilegio di cui agli artt. 2755 e 2770 c.c., in quanto tali cause di prelazione concernono le spese relative all’apertura dell’esecuzione singolare o collettiva nel caso del fallimento e dunque non possono inerire al credito per le spese sostenute dal creditore nel giudizio d’opposizione alla sentenza di fallimento, in quanto sorte successivamente all’apertura del concorso dei creditori e, pertanto, inidonee ad integrare un credito concorsuale. Infine, il quinto motivo è parimenti infondato. Al riguardo, la L. Fall., art. 142, prescrive che Il fallito persona fisica è ammesso al beneficio della liberazione dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti a condizione che 1 abbia cooperato con gli organi della procedura, fornendo tutte le informazioni e la documentazione utile all’accertamento del passivo e adoperandosi per il proficuo svolgimento delle operazioni 2 non abbia in alcun modo ritardato o contribuito a ritardare lo svolgimento della procedura 3 non abbia violato le disposizioni di cui all’art. 48 4 non abbia beneficiato di altra esdebitazione nei dieci anni precedenti la richiesta 5 non abbia distratto l’attivo o esposto passività insussistenti, cagionato o aggravato il dissesto rendendo gravemente difficoltosa la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari o fatto ricorso abusivo al credito 6 non sia stato condannato con sentenza passata in giudicato per bancarotta fraudolenta o per delitti contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio, e altri delitti compiuti in connessione con l’esercizio dell’attività d’impresa, salvo che per tali reati sia intervenuta la riabilitazione. Se è in corso il procedimento penale per uno di tali reati, il tribunale sospende il procedimento fino all’esito di quello penale . Il comma 2 della suddetta norma dispone altresì che l’esdebitazione non può essere concessa qualora non siano stati soddisfatti, neppure in parte, i creditori concorsuali. Ora, nella fattispecie, l’eventuale applicazione dell’istituto dell’esdebitazione, riconosciuto al solo fallito che sia persona fisica con conseguente falcidia del credito in esame costituisce fatto futuro ed incerto, non pertinente alla questione in esame che concerne la mera opponibilità del credito per le spese del giudizio d’opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento. Ne consegue l’irrilevanza della dedotta questione di costituzionalità adombrata dalla parte ricorrente per l’asserito contrasto tra la L. Fall., artt. 111 e 18, con gli artt. 3, 24 e 111 Cost., in quanto prospettata con riguardo esclusivo al citato art. 142, indicato erroneamente, senza alcun fondamento logico-sistematico, quale tertium comparationis. Nulla per le spese. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.