La sentenza straniera che non rispetti la par condicio creditorum viola l’ordine pubblico?

Il decisum in esame affronta la problematica del riconoscimento di una decisione straniera nell’ipotesi di condanna nei confronti di società sottoposte ad una procedura concorsuale. Nello specifico si tratta di stabilire se il procedimento di accertamento dello stato passivo costituisca, o meno, l’unica modalità consentita per accertare eventuali ragioni di credito ammesse in sede concorsuale.

E, i giudici della Prima Sezione civile di Piazza Cavour, con la sentenza n. 10540 del 15 aprile 2019, richiamando in primis un recente grand arret delle Sezioni Unite v., SS.UU., 16601/2017 precisano che la nozione di ordine pubblico ostativa al riconoscimento della decisione straniera ha subito una profonda evoluzione da complesso dei principi fondamentali che caratterizzano la struttura etico-sociale della comunità nazionale in un determinato periodo storico, e nei principi inderogabili immanenti nei più importanti istituti giuridici è divenuto il distillato del sistema di tutele approntato a livello sovraordinato rispetto a quello della legislazione primaria, sicché occorre far riferimento alla Costituzione e, dopo il trattato di Lisbona, alle garanzie approntate ai diritti fondamentali dalla Carta di Nizza, elevata a livello dei trattati fondativi dell’Unione europea dall’art. 6 TUE, ed è stato altresì precisato che il rapporto tra l’ordine pubblico dell’Unione e quello di fonte nazionale non è di sostituzione, ma di autonomia e coesistenza e che la sentenza straniera quand’anche non ostacolata dalla disciplina europea, deve misurarsi con il portato della Costituzione e di quelle leggi che, come nervature sensibili, fibre dell’apparato sensoriale e delle parti vitali di un organismo, inverano l’ordinamento Costituzionale il cui assetto deve essere ricostruito al momento del riconoscimento della sentenza stessa, e non riferito al tempo in cui essa è stata adottata. Valutata al lume di tali principi, si rivela infondato l’assunto delle ricorrenti, secondo cui il principio della par condicio creditorum, così come espresso dalle norme interne di diritto concorsuale, costituisce espressione di ordine pubblico, che a impedisce, in sé, il riconoscimento in Italia di una sentenza straniera di condanna nei confronti di società ammesse ad una procedura concorsuale, in ragione del particolare procedimento di verifica del passivo b impedisce comunque il riconoscimento della medesima decisione, nella parte in cui, con riferimento al credito chirografario accertato, computi anche gli interessi maturati in pendenza della procedura concorsuale, che l’ordinamento interno esclude. Il Reg. UE 848/2015, entrato in vigore il 26 giugno 2015, che ha abrogato il Reg. CE 1346/2000, ed ha trovato applicazione a partire dal 26 giugno 2017, non contiene alcuna disposizione vincolante per gli Stati membri in tema di verifica dei crediti, né una disciplina unitaria, perché esso rinvia alla disciplina dello Stato di provenienza art. 7, lett. h , senza escludere la possibilità che l’accertamento del debito venga effettuato dall’esterno della procedura art. 32 , essendo dunque consentito che, in quello Stato come accade in Italia , l’accertamento dell’esistenza e dell’entità, anche solo di alcune categorie di crediti concorsuali, in una sede diversa da quella della procedura. Deve pertanto escludersi – concludono gli Ermellini che l’Unione europea sia portatrice di principi irrinunciabili che impongano a tutela della par condicio creditorum, necessariamente, l’accertamento dei crediti in sede concorsuale. Il fatto. Con ordinanza dell’agosto 2014 la Corte di appello di Bologna, in accoglimento del ricorso ex art. 67, l. n. 218/1995, proposta dalla Banca Beta, con sede in South Dakota USA , ha dichiarato efficace nei confronti di Alfa s.p.a e di Alfa Finanziaria s.p.a., nonché di diverse società, tutte affiliate al gruppo Alfa ed ammesse alla procedura di amministrazione straordinaria, la sentenza di condanna al pagamento in favore del predetto istituto di credito statunitense di 431.3 milioni di dollari pronunciata dalla Superior Court del New Jersey il 27 ottobre 2008. Dopo aver premesso, in fatto, che il procedimento giudiziario svoltosi davanti all’autorità straniera era stato promosso dal Commissario straordinario di Alfa s.p.a. e di Alfa Finanziaria s.p.a., perché venisse accertata la responsabilità della Banca Beta e di altri convenuti, per aver agevolato il dissesto del gruppo mediante operazioni finanziarie illecite, e che quest’ultima aveva proposto domanda riconvenzionale chiedendo la condanna per gli stessi illeciti, la Corte territoriale ha evidenziato che la sentenza statunitense che, in accoglimento della riconvenzionale, aveva condannato tutte le società attrici non era contraria all’ordine pubblico italiano. L’Amministratore straordinario delle società ha quindi proposto ricorso per cassazione cui ha resistito l’istituto di credito americano con controricorso. In particolare, le ricorrenti lamentano che la sentenza del giudice statunitense è contraria all’ordine pubblico laddove sovverte la regola secondo cui le ragioni di credito nei confronti di un soggetto ammesso alla procedura concorsuale vanno valutate, esclusivamente, in sede di procedura di ammissione allo stato passivo. Ad avviso degli Ermellini, tuttavia, è da escludere che solo il procedimento di accertamento dello stato passivo costituisca l’unica modalità consentita per accertare eventuali ragioni di credito ammesse ad una procedura concorsuale e che ci sia un principio interno di ordine pubblico ostativo al riconoscimento della sentenza straniera che accerti siffatto credito. La Suprema Corte, quindi, rigetta in toto il ricorso e compensa le spese in considerazione dell’assoluta novità e rilevanza della questione relativa alla controversa natura di ordine pubblico sostanziale dell’istituto della par condicio creditorum, quale limite al riconoscimento di sentenza straniera, ex art. 64, della l. n. 218/1995. La tipologia e la verifica dei crediti in sede concorsuale. I crediti nei confronti dell’imprenditore-debitore assoggettato a procedura concorsuale liquidatoria possono essere di due tipi crediti concorsuali, se hanno titolo o causa in negozi giuridici conclusi anteriormente all’apertura della procedura concorsuale essi possono essere chirogrfari o essere assistiti da una causa di prelazione crediti prededucibili o di massa”, se hanno titolo o causa in negozi giuridici validamente e legittimamente compiuti dopo l’apertura della procedura con l’organo propulsivo della stessa, con l’eventuale autorizzazione, se richiesta dalla legge, del tribunale o dell’autorità di vigilanza. I creditori per titolo o causa anteriore alla procedura concorsuale, se vogliono partecipare al riparto del ricavato dei beni dell’imprenditore-debitore, assoggettato a fallimento o a liquidazione coatta amministrativa o ad amministrazione straordinaria, non hanno l’obbligo, ma l’onere di far verificare i loro crediti ottenendone l’ammissione al passivo della procedura. L’ammissione costituirà quindi il titolo giuridico per ottenere il pagamento dei rispettivi crediti, a mezzo dei piani di riparto. Il principio della par condicio creditorum non impedisce il riconoscimento in Italia di una sentenza di condanna nei confronti di società ammesse ad una procedura concorsuale. In sede concorsuale, il concorso sostanziale dei creditori si esprime attraverso il concorso formale e cioè attraverso i procedimenti dell’accertamento del passivo e del riparto dell’attivo, svolti in un unico contesto, in contraddittorio con tutti i creditori e i titolari degli altri diritti, e se, in effetti, il procedimento di distribuzione dell’attivo vede convogliati tutti i creditori, compresi quelli esentati dal divieto di cui all’art. 51, l.fall. e i titolari di crediti prededucibili, la procedura di verifica del passivo prevista dagli artt. 93 e ss., l.fall., trova invece significative eccezioni. Al riguardo le Sezioni Unite, v., SS.UU., 15200/2015 , pur ribadendo la specialità e l’inderogabilità del procedimento di verificazione dei crediti nei confronti della massa, ha, comunque, rilevato l’esistenza del principio generale per cui, in caso di controversia sul credito sottratta alla cognizione del giudice fallimentare perché quest’ultimo è carente di giurisdizione, o perché sussiste una competenza inderogabile di altro giudice , gli organi del fallimento devono considerare il credito assimilabile ai crediti condizionati, con facoltà di ammetterlo con riserva, da sciogliersi dopo la definizione del processo dinanzi al giudice giurisdizionalmente competente, in relazione all’esito di tale giudizio. È evidente che l’affermazione di un principio generale in tal senso, non solo comporta che esso possa applicarsi, oltre ai casi di giurisdizione del giudice tributario, amministrativo o contabile, ma anche quando sia operante la giurisdizione di un giudice straniero inoltre, e ciò è quanto qui rileva, di per sé esclude la fondatezza dell’assunto secondo cui il procedimento di accertamento dello stato passivo costituisce l’unica modalità consentita per accertare eventuali ragioni di credito ammesse ad una procedura concorsuale, e, per astrazione, la sussistenza di un principio di ordine pubblico ostativo al riconoscimento della sentenza straniera che accerti siffatto credito conclusione che è avvalorata dal fatto che l’esclusività della procedura di cui agli artt. 93 e ss., l.fall., si risolve in una questione di rito, la cui violazione può essere fatta valere in giudizio, ma è soggetta ai limiti del giudicato interno. La nozione di ordine pubblico”. In riferimento ai limiti derivanti dall’ordine pubblico in sede unionale, la Corte di Giustizia nell’ambito del rinvio pregiudiziale riferito al caso di ordinanza pronunciata da un giudice di uno Stato membro senza che sia stato ascoltato il terzo, i cui diritti possano esserne pregiudicati, ha chiarito che la nozione di ordine pubblico” enunciata all’art. 34, punto 1, del regolamento n. 44/2001 deve essere interpretata restrittivamente, non potendo negarsi il riconoscimento o l’esecuzione di una decisione per il solo motivo che esiste una divergenza tra la norma giuridica applicata dal giudice dello Stato membro di origine e quella che avrebbe applicato il giudice dello Stato membro richiesto se fosse stato investito della controversia. La Corte del Lussemburgo ha rilevato sentenza 23.10.2014, in C -302/13 che la portata dell’obbligo di motivazione può variare a seconda della natura della decisione giudiziaria di cui trattasi, e dev’essere analizzata in relazione al procedimento considerato nel suo complesso e sulla base dell’insieme delle circostanze pertinenti, tenendo conto delle garanzie procedurali da cui tale decisione è coronata, al fine di verificare se queste ultime garantiscono agli interessati la possibilità di proporre ricorso contro detta decisione in maniera utile ed effettiva. Ancorché affermato in riferimento alla circolazione dei prodotti giuridici tra Stati membri, il principio costituisce linea guida cui attenersi, anche, quando, come nella specie, vengano in rilievo questioni ascrivibili ad aspetti processuali relativi a sentenze provenienti da Stati terzi. Il Regolamento europeo non contiene alcuna disposizione vincolante per gli Stati membri in tema di accertamento dei crediti in sede concorsuale. In conclusione, deve pertanto escludersi che l’Unione europea sia portatrice di principi irrinunciabili che impongano a tutela della par condicio creditorum, necessariamente, l’accertamento dei crediti in sede concorsuale.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 12 febbraio – 15 aprile 2019, n. 10540 Presidente Ginacola – Relatore Sambito Fatti di causa Con ordinanza n. 3911 del 29.8.2014, la Corte di appello di Bologna, in accoglimento il ricorso L. n. 218 del 1995, ex art. 67, proposto dalla Citibank N. A., con sede in omissis , ha dichiarato efficace nei confronti delle Società italiane Parmalat S.p.A., Parmalat Finanziaria S.p.A., Eurolat S.p.A., Lactis S.p.A., Geslat S.r.l., Parmengineering S.r.l., Contal S.r.l. Newco S.r.l., P.E. c.p.c. S.r.l. e Centro Latte Centallo S.r.l., tutte ammesse alla procedura di amministrazione straordinaria, la sentenza di condanna al pagamento in favore della Citibank della complessiva somma di dollari USA 431.318.824,84 pronunciata negli Stati Uniti d’America il 27 ottobre 2008, dalla Superior Court of New Jersey. Dopo aver premesso, in fatto, che il procedimento giudiziario svoltosi davanti all’autorità straniera era stato promosso dal Commissario straordinario di Parmalat S.p.A. e di Parmalat Finanziaria S.p.A., cui le altre Società erano affiliate, perché venisse accertata la responsabilità di Citibank e di altri convenuti, per aver agevolato il dissesto del gruppo mediante operazioni finanziarie illecite, e che la Citibank aveva proposto domanda riconvenzionale chiedendo la condanna per gli stessi illeciti, la Corte territoriale ha evidenziato che la sentenza statunitense che, in accoglimento della riconvenzionale, aveva condannato tutte le attrici non era contraria all’ordine pubblico italiano a né in riferimento al difetto di motivazione, che di per sé non integrava violazione dell’ordine pubblico b né in relazione al principio di personalità della responsabilità, in considerazione sia della qualifica spesa dal Commissario straordinario, che correlativamente aveva subito la domanda riconvenzionale, sia della riconoscibilità nella specie di un gruppo di imprese D.Lgs. n. 270 del 1999, ex art. 80, ed D.L. n. 347 del 2003, artt. 1, 3 e 4 bis, conv. con modificazioni nella L. n. 39 del 2004, talché era errato l’assunto delle convenute, secondo cui la domanda riconvenzionale doveva intendersi proposta solo nei confronti di Parmalat S.p.A., ed eventuali vizi riguardanti l’accertamento della responsabilità personali erano attinenti all’interdetto merito della decisione c né in relazione alla competenza del giudice concorsuale di cui alla L. Fall., artt. 52, 93 e ss., tenuto conto che la vis actractiva operava, solo, in riferimento all’accertamento del credito da condurre secondo le disposizioni di cui al capo V del R.D. n. 267 del 1942, regola che coincideva con quella posta dal D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 13, in ipotesi di declaratoria dello stato di insolvenza d né in relazione alla dedotta duplicazione del credito, in quanto nessuna delle pretese risarcitorie di cui alle domande riconvenzionali proposte innanzi al giudice americano traeva origine dai contratti con società del gruppo Parmalat, ma dipendeva esclusivamente da condotte materiali commissive o omissive di frode, false rappresentazioni e distrazione, sicché, pur essendovi coincidenza tra le somme vantate da Citibank nel processo statunitense e nella procedura concorsuale, era diverso il titolo di responsabilità, e non si trattava degli stessi crediti e né in relazione alla violazione della par condicio, in quanto, una volta riconosciuta la sentenza, il credito da essa portato sarebbe stato soggetto al concorso, al pari di tutti gli altri f né in riferimento alla lesione dell’effetto di esdebitazione, estranea all’ambito dell’ordine pubblico, costituendo un elemento della ristrutturazione e non della procedura fallimentare g né, infine, in relazione agli interessi, in quanto il credito giudizialmente accertato nella sua integrità, dopo l’omologazione del concordato, sarebbe stato soddisfatto nei limiti della percentuale concordataria. Per la cassazione della sentenza, notificata il 19.9.2014, ha proposto ricorso l’Amministratore straordinario delle Società con nove motivi. Citibank SA ha resistito con controricorso. Le parti hanno depositato memorie. All’esito dell’adunanza camerale del 21.2.2018, questa Corte ha disposto la trattazione della causa in pubblica udienza, trattandosi di questione di rilievo nomofilattico, previa acquisizione di una relazione da parte dell’Ufficio del Massimario. Le parti hanno depositato memorie. Ragioni della decisione 1. L’eccezione di tardività del ricorso, sollevata dalla controricorrente, è infondata. 1.1. Occorre, al riguardo, rilevare che l’ordinanza L. n. 218 del 1995, ex art. 67, comma 1 bis, e art. 702 quater c.p.c., è stata emessa il 29.8.2014, è stata comunicata in pari data alle parti, in forma integrale D.L. n. 179 del 2012, ex art. 16, conv. con modificazioni nella L. n. 221 del 2012, ed è stata, poi, notificata alle odierne ricorrenti il 19.9.2014, mentre il ricorso è stato notificato il 17.11.2014. L’eccezione della controricorrente si fonda sulla disposizione di cui all’art. 702 quater c.p.c., secondo cui, ai fini della decorrenza del termine di trenta giorni, occorre far riferimento alla data della notificazione del provvedimento ad istanza di parte ovvero, se anteriore, della comunicazione da parte della cancelleria del testo integrale della decisione, comprensivo del dispositivo e della motivazione, tale da consentirne alla parte destinataria la piena conoscenza Cass. n. 14478 del 2018 n. 7401 del 2017 n. 11331 del 2017 n. 22674 del 2017 . La tesi non tiene, tuttavia, conto che la disposizione è testualmente riferita all’appello, sicché l’assenza di norme specifiche riguardanti il ricorso per cassazione, comporta l’assoggettamento di tale impugnazione alla disciplina ordinaria dettata dal codice di rito, ancorché il giudizio si sia svolto con il rito sommario di cognizione Cass. n. 13830 del 2016 . 1.2. Tale conclusione trova conferma nella disposizione di cui all’art. 133 c.p.c., comma 2, aggiunto dal D.L. n. 24 giugno 2014, n. 90, art. 45, comma 1, lett. b , convertito in L. 11 agosto 2014, n. 114, secondo cui la comunicazione, da parte del cancelliere, del testo integrale del provvedimento depositato non è idonea a far decorrere i termini per le impugnazioni di cui all’art. 325 c.p.c La norma è, appunto, finalizzata a neutralizzare gli effetti della generalizzazione della modalità telematica della comunicazione del testo integrale di qualunque tipo di provvedimento, ai fini della decorrenza del termine breve per le impugnazioni, che va, invece, riconnesso ad atto d’impulso della controparte, salve specifiche previsioni di norme derogatorie e speciali, qui insussistenti cfr. al riguardo Cass. SU n. 25208 del 2015, in riferimento al ricorso per cassazione, avverso l’ordinanza dichiarativa dell’inammissibilità del gravame ex art. 348 ter c.p.c., comma 3 Cass. n. 29303 e 27139 del 2017 e giurisprudenza ivi richiamati SU n. 6985 del 2005, in riferimento alla L n. 184 del 1983, art. 17, in tema di ricorso avverso le sentenze dichiarative dello stato di adottabilità o, ancora, Cass. SU n. 5761 del 1998, in sede di reclamo avverso i decreti pronunziati in camera di consiglio dal tribunale fallimentare a norma della L. Fall., art. 26 . 1.3. Va dunque affermato il principio secondo cui il termine di sessanta giorni per la proposizione del ricorso per cassazione, avverso l’ordinanza di riconoscimento ed esecutività di sentenza straniera, decorre, solo, a seguito della notificazione ad istanza di parte, mentre è irrilevante, al predetto fine, che la stessa sia stata comunicata in forma integrale alle parti dal cancelliere cfr. Cass. n. 15343 del 2016 n. 10450 del 2014 e n. 24000 del 2011 . 1.4. In riferimento alla data della notifica dell’ordinanza, il ricorso è tempestivo. 1.5. L’eccezione relativa all’inammissibilità gli argomenti, in tesi, volti al riesame del merito, sarà trattata in riferimento ai singoli motivi nei quali essa viene in rilievo. 1.6. Prima di procedere alla disamina delle diverse doglianze, occorre rilevare che, in sede di difese, la controricorrente ha affermato che, nelle more del presente giudizio di legittimità, la procedura di amministrazione straordinaria è stata chiusa allegando alla memoria ex art. 380 bis1. c.p.c., copia informe del relativo provvedimento del Tribunale di Parma, che ha disposto la cancellazione delle Società dal Registro delle Imprese . Le parti ricorrenti, a ministero dei medesimi difensori, non hanno tuttavia preso specifica posizione al riguardo e, con le due memorie depositate ed in sede di discussione orale, hanno insistito nelle loro precedenti difese. I motivi e le questioni poste vanno, pertanto, valutati in riferimento alle parti originarie, processualmente immutate. 2. Col primo motivo, si deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 218 del 1995, art. 64, lett. g art. 111 Cost., comma 6 6 CEDU, in relazione alla statuizione sub a di parte narrativa. Le ricorrenti chiedono la rivisitazione del principio applicato dalla Corte bolognese, secondo cui il difetto di motivazione non costituisce ragione ostativa al riconoscimento di ordine pubblico processuale, e lamentano che la radicale assenza di motivazione avrebbe dovuto condurre al diniego di exequatur, configurando essa stessa una violazione del diritto fondamentale di difesa tutelato dall’art. 6 CEDU e 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE. Sotto altro profilo, proseguono le ricorrenti, l’assenza di motivazione non consente i di individuare la causa giustificatrice del risarcimento e della sua quantificazione, che secondo i principi dell’ordine pubblico interno possono esser, solo, riparatori ii di addossare e ripartire le conseguenze riparatorie in base al principio della personalità della responsabilità iii di verificare la sussistenza di indebite locupletazioni, anch’esse contrarie all’ordine pubblico sostanziale. 2.1. L’eccezione d’inammissibilità del motivo va disattesa la violazione dell’ordine pubblico per carenza di motivazione della sentenza americana è stata dedotta dalle odierne ricorrenti in sede di costituzione innanzi alla Corte d’Appello ed illustrata nella memoria autorizzata, come, del resto, dà atto l’ordinanza nel disattenderla, sicché la questione non è nuova. 2.2. Nel merito, il motivo è infondato. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, formatasi, sia sotto la vigenza dell’abrogato art. 797 c.p.c., che nel vigore della disciplina introdotta dalla L. n. 218 del 1995, art. 64 e segg., Cass. n. 3365 del 2000, n. 9247 del 2002 n. 597 del 2017 , ed alla quale va data continuità, gli eventuali vizi e la stessa mancanza della motivazione della sentenza straniera non costituiscono cause ostative al suo riconoscimento dovendo ritenersi che, quando il contraddittorio sia stato assicurato e la sentenza sia passata in giudicato tanto da doversi presumere che i fatti e le questioni di diritto posti a fondamento della decisione non siano più discutibili , l’obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali non rientri tra i principi inviolabili fissati nel nostro sistema normativo a garanzia del diritto di difesa, sancendo l’art. 111 Cost., che siffatto obbligo prevede, un assetto organizzativo della giurisdizione che attiene esclusivamente all’ordinamento interno. 2.2. Non giova, infatti alle ricorrenti l’invocata sentenza n. 1781 del 2012, con la quale questa Corte, proprio in un’ipotesi di riconoscimento di una sentenza statunitense in tema di risarcimento del danno, pur ribadendo gli esposti principi, ha affermato che la motivazione è rilevante quando sia indispensabile per valutarne la compatibilità con l’ordine pubblico interno. Non solo, infatti, la necessità del supporto motivazionale non risulta affermata quale requisito a sé stante, ma quell’arresto sconta, pure, la valutazione negativa, allora presente nell’ordinamento interno, circa la compatibilità dei criteri risarcitori del sistema americano riferiti, in ispecie, all’ammissibilità dei danni punitivi, e tale conclusione, com’è noto, è stata oggetto di rivisitazione da parte delle SU di questa Corte con la sentenza n. 16601 del 2017 invocata ad opposti fini da entrambe le parti - che, dopo aver enunciato l’evoluzione del concetto di ordine pubblico rilevante L. n. 218 del 1995, ex art. 64, lett. g , su cui infra , ha affermato che sotto il profilo processuale, ferma la salvaguardia dell’effettività dei diritti fondamentali di difesa, il setaccio si è fatto più largo per rendere più agevole la circolazione dei prodotti giuridici internazionali occorrendo, piuttosto, valutare se l’istituto che bussa alla porta sia in aperta contraddizione con l’intreccio di valori e norme che rilevano ai fini della delibazione . Se dunque il dato formale del requisito motivazionale della sentenza resta di per sé inidoneo a fungere da ostacolo per il riconoscimento della sentenza straniera, le questioni sostanziali che le parti ricorrenti agitano natura personale della responsabilità, insondabile entità dei danni costituiranno oggetto d’indagine nell’esame dei restanti motivi. 2.3. La conclusione è coerente con i principi affermati dalla Corte EDU, secondo cui l’art. 6 della Convenzione non impedisce che, quando il sistema giuridico di uno stato preveda l’istituto della giuria, tale organo si pronunci con un verdetto non motivato Grande Chambre 16.11.2010 Taxquet v. Belgium § § 84 e 90 , anche tenuto conto dei chiarimenti o istruzioni date ai giurati Judge v. Regno unito, 8.2.2011 e tenuto conto delle possibilità di ricorso di cui dispone l’imputato in sede penale e, nella specie, il soccombente. Il che si è verificato nella specie, come diffusamente espone la controricorrente, che riferisce come la sentenza sia stata emessa a conclusione del processo azionato dalle odierne ricorrenti che avevano, consapevolmente, richiesto un procedimento dinanzi alla giuria cfr. pag. 36 del controricorso come la stessa sia stata preceduta da una decisione sommaria di ben 58 pagine come il giudice togato abbia impartito specifiche istruzioni ai giurati, i quali avevano formato il loro convincimento a seguito di un dibattimento di settanta giorni, e come sia stata proposta impugnazione. Tali dati fattuali non risultano siano smentiti dalle ricorrenti che ne contestano, invero, la rilevanza. 2.4. Del resto, in riferimento ai limiti derivanti dall’ordine pubblico in sede unionale cui va pure fatto riferimento come indica Cass. SU n. 16601 del 2017, cit. , la Corte di Giustizia sentenza 25.5.2016, causa C - 559/14, che richiama la propria precedente 28.4.2009, causa C - 420/07 nell’ambito del rinvio pregiudiziale riferito al caso di ordinanza pronunciata da un giudice di uno Stato membro senza che sia stato ascoltato il terzo, i cui diritti possano esserne pregiudicati, ha chiarito che la nozione di ordine pubblico enunciata all’art. 34, punto 1, del regolamento n. 44/2001 deve essere interpretata restrittivamente, non potendo negarsi il riconoscimento o l’esecuzione di una decisione per il solo motivo che esiste una divergenza tra la norma giuridica applicata dal giudice dello Stato membro di origine e quella che avrebbe applicato il giudice dello Stato membro richiesto se fosse stato investito della controversia. La Corte del Lussemburgo ha rilevato sentenza 23.10.2014, in C - 302/13 che la portata dell’obbligo di motivazione può variare a seconda della natura della decisione giudiziaria di cui trattasi, e dev’essere analizzata in relazione al procedimento considerato nel suo complesso e sulla base dell’insieme delle circostanze pertinenti, tenendo conto delle garanzie procedurali da cui tale decisione è contornata, al fine di verificare se queste ultime garantiscano agli interessati la possibilità di proporre ricorso contro detta decisione in maniera utile ed effettiva v., in tal senso, sentenza Trade Agency, EU C 2012 531, punto 60 e giurisprudenza ivi citata . Ancorché affermato in riferimento alla circolazione dei prodotti giuridici tra Stati membri, il principio costituisce linea guida cui attenersi, anche, quando, come nella specie, vengano in rilievo questioni ascrivibili ad aspetti processuali relativi a sentenze provenienti da stati terzi, restando, anche per tale verso, confermata l’infondatezza del motivo. 3. Vanno, quindi esaminati congiuntamente i motivi secondo, ottavo e nono, che criticano la statuizione sub b di parte narrativa e sono tra loro connessi. 3.1 Col secondo motivo, si deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 218 del 1995, art. 64, lett. g , nonché dell’art. 2043 c.c., D.Lgs. n. 347 del 2003, art. 4 bis, ed, in generale, del principio di personalità della responsabilità. Non solo, affermano le ricorrenti, gli argomenti svolti al riguardo erano stati inventati di sana pianta dalla Corte d’Appello, col riconoscimento di una condanna solidale fondata su di un malinteso riferimento alla nozione di gruppo societario, ma, anche a volerli ascrivere alla sentenza americana, la contrarietà all’ordine pubblico sussisterebbe ugualmente, in quanto la circostanza che il Commissario straordinario di un gruppo di Società, cui era stata estesa la procedura di amministrazione straordinaria, abbia agito in giudizio ed in tale veste subito le domande riconvenzionali, non toglie nulla al fatto che la riconosciuta solidarietà sia del tutto svincolata dall’effettiva allegazione e/o dimostrazione del compimento da parte di ciascuno dei soggetti coinvolti di atti o fatti dai quali sia originato il danno assertivamente subito . Senza dire che la domanda riconvenzionale di Citibank era stata formulata innanzi al giudice americano nei confronti della sola Parmalat S.p.A. in AS., sicché la condanna solidale del giudice americano che coinvolge pure Parmalat Finanziaria S.p.A. in AS ed altre non meglio precisate Società affiliate in amministrazione straordinaria, è assunta in violazione dei principi di ordine pubblico, perché inflitta per la mera appartenenza al gruppo societario piuttosto che per l’effettivo compimento di atti connessi causalmente al danno lamentato ex adverso. 3.2. Con l’ottavo motivo, si denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 218 del 1995, art. 64 D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 30, e art. 702 bis c.p.c. e segg., dei principi in materia di legittimazione passiva nel giudizio di riconoscimento ed esecuzione della sentenza straniera e dei limiti soggettivi dell’efficacia di quest’ultima violazione dell’art. 112 c.p.c., ovvero omesso esame di un fatto decisivo. Le ricorrenti affermano che sentenza non poteva essere riconosciuta nei confronti delle Società Eurolat S.p.A., Lactis S.p.A., Geslat S.r.l., Parmengineering S.r.l., Contal S.r.l. Newco S.r.l., P.E. c.p.c. S.r.l. e Centro Latte Centallo S.r.l. che non erano parti nel giudizio statunitense, e ciò in base al principio della necessaria coincidenza salvi i casi di successione, qui non rilevanti quanto meno sotto il profilo della legittimazione passiva tra le parti del giudizio straniero ed i soggetti nei confronti quali si può proporre la delibazione. Il Commissario Straordinario aveva speso tale sua qualità in riferimento a Parmalat S.p.A. ed a Parmalat Finanziaria S.p.A., senza mai indicare i nominativi delle odierne ricorrenti né di altre Società del Gruppo 70 in totale che non erano state menzionate, neppure, nella riconvenzionale di Citibank, talché la qualifica di Commissario straordinario di altre società affiliate in amministrazione straordinaria andava considerata come intesa solo ad enunciare la qualifica del B. e non l’intenzione di agire in giudizio e perciò subirne le conseguenze quale rappresentante di soggetti diversi da quelli nominativamente indicati. 3.3. Col nono motivo, si deduce, in via subordinata, la violazione e falsa applicazione della L. n. 218 del 1995, art. 64, lett. g , e dei principi di ordine pubblico processuale in materia di individuazione della qualità di parte in giudizio e di rappresentanza processuale l’individuazione della qualità di parte di un processo necessita, per lo meno, che sia indicata specificamente la denominazione non surrogabile dall’espressione generica tutte le società affiliate e simili e che il rappresentante ne spenda il nome. 3.4. I motivi sono infondati. 3.5. L’ordinanza impugnata interpreta la decisione americana, e, prendendo le mosse dalla qualità di Commissario Straordinario di Parmalat S.p.A. e Parmalat Finanziaria S.p.A. in A.S. e altre Entità affiliate, in amministrazione straordinaria, altrimenti definite anche quali compagnie sussidiarie e affiliate delle due espressamente indicate , afferma che tale qualità spesa dal Dott. B.E. come attore lo aveva esposto alla domanda riconvenzionale, in riferimento alle imprese appartenenti a dette Entità affiliate, da lui, appunto, rappresentate, e che la riconoscibilità nella specie di un gruppo di imprese D.Lgs. n. 270 del 1999, ex art. 80, ed D.L. n. 347 del 2003, artt. 1, 3 e 4 bis, conv. con modificazioni nella L n. 39 del 2004, valeva a spiegare il senso del provvedimento in data 11.3.2005 del giudice J. N. H. , il quale aveva stabilito che l’attore poteva proseguire la causa soltanto per conto di tutte le persone giuridiche che erano state ammesse all’Amministrazione Straordinaria il 23 dicembre 2003, oppure aggiunte in un secondo momento con opportuna modifica . L’individuazione delle parti attrici e destinatarie della domanda riconvenzionale del processo americano è stata in tal modo effettuata in riferimento al criterio dell’ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria dalla Corte bolognese, che ha fatto riferimento al fenomeno del gruppo societario per confermare trattarsi di istituto noto all’ordinamento interno e non già per sostenere l’esistenza di un indefinito soggetto unitario al contrario evidenziando la prevista autonomia delle rispettive masse attive e passive ex art. 4 bis citato . Se, a tale stregua, resta escluso che la pronuncia si diriga nei confronti di soggetti indeterminati, va poi rilevato che la solidarietà passiva costituisce la regola propria del nostro ordinamento art. 2055 c.c., e art. 1294 c.c. laddove la sussistenza o meno di responsabilità da parte di ciascuna delle odierne ricorrenti nella causazione del danno liquidato dal giudice americano - quale che ne sia il titolo - è in effetti questione di puro merito in tanto vi potrebbe esser lesione di principi di sorta e di quello della responsabilità in particolare, in quanto fosse esclusa, a monte, all’esito della valutazione di condotte o omissioni e del nesso etiologico, l’estraneità di una delle Società ai fatti dannosi. E tale accertamento è qui precluso. 3.6. Disattesa, poi l’eccezione d’inammissibilità della questione della legittimazione passiva, oggetto dell’ottavo motivo, costituendo il difetto di legitimatio ad causam un error in procedendo con conseguente rilevabilità officiosa in ogni stato e grado del procedimento Cass. n. 7776 del 2017 SU n. 2951 del 2016 , va rilevato che la qualità di parte riconosciuta alle otto Società che non sono menzionate, odierne ricorrenti, quali compagnie sussidiarie ed affiliate alle due menzionate in riferimento al soggetto che le rappresentava ed all’epoca della loro ammissione all’Amministrazione Straordinaria, esclude la fondatezza dell’ottavo e del nono motivo, tenuto conto che il primo di essi, che nega la possibilità che la sentenza acquisti efficacia soggettiva nei confronti delle stesse, invocando i limiti soggettivi del riconoscimento, muove dal presupposto, che si è detto infondato, secondo cui le stesse non avrebbero partecipato al giudizio, laddove la mancata espressa menzione del nome di dette società, che costituisce un corollario della precedente censura, non tiene conto del principio posto Cass. SU n. 16601 del 2017 cit., sopra già accennato, secondo cui in tema di riconoscimento delle sentenze straniere, il concetto di ordine pubblico processuale è riferibile ai principi inviolabili posti a garanzia del diritto di agire e di resistere in giudizio, non anche alle modalità con cui tali diritti sono regolamentati o si esplicano nelle singole fattispecie. 3.7. Non è pertanto ravvisabile una violazione del diritto di difesa in ogni inosservanza di una disposizione della legge processuale straniera a tutela della partecipazione della parte al giudizio, ma tale violazione sussiste solo quando essa, per la sua rilevante incidenza, abbia determinato una lesione del diritto di difesa rispetto all’intero processo. La tutela del diritto fondamentale ad un equo processo non va, in altri termini, intesa come prerogativa assoluta, ma come mezzo per impedire, tramite l’esecuzione di sentenze, soltanto lesioni manifeste e smisurate del diritto delle parti al contraddittorio e alla difesa. E ciò non è stato dedotto, né viene in alcun modo prospettato quali difese le odierne ricorrenti avrebbero potuto svolgere innanzi alla giustizia americana e siano state loro precluse. 3.7. Il vizio motivazionale è inammissibile, non riuscendo a cogliersi quale sia il fatto controverso il cui esame sia stato omesso da parte della Corte territoriale. 4. Vanno quindi esaminati congiuntamente, per comodità espositiva,i motivi terzo e quinto, inerenti alle statuizioni sub c e g di parte narrativa. 4.1. Col terzo motivo, si deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 218 del 1995, art. 64, lett. g , R.D. n. 267 del 1942, artt. 51 e 52. Le ricorrenti lamentano che la sentenza del giudice statunitense è contraria all’ordine pubblico laddove sovverte la regola secondo cui le ragioni di credito nei confronti di un soggetto ammesso alla procedura concorsuale vanno valutate, esclusivamente, in sede di procedura di ammissione allo stato passivo. Tale regola è stata a torto ritenuta non assoluta ed inderogabile dalla Corte territoriale, che non ha considerato, da una parte, che tutte esse società ricorrenti sono ammesse alla procedura di amministrazione straordinaria e, dall’altra, che, a norma della L. n. 218, art. 67, la delibazione della sentenza costituisce titolo per la sua attuazione ed esecuzione, con conseguente stravolgimento delle regole poste dall’ordinamento a salvaguardia della par condicio creditorum, e senza il controllo incrociato con gli altri creditori delle Società, assicurato dalla L. Fall., art. 93 e ss I principi violati, proseguono le ricorrenti sono certamente riconducibili alla nozione di ordine pubblico, posto che trovano il loro fondamento negli artt. 2 e 3 Cost., e sono riconosciuti da questa Corte di legittimità ed, anche in sede sovranazionale, trattandosi di principi basilari comuni a tutti gli ordinamenti concorsuali, che hanno trovato indiretta conferma nel Regolamento CE n. 1346 del 29.5.2000. 4.2. Con il quinto motivo, le ricorrenti lamentano violazione e falsa applicazione della L. n. 218 del 1995, art. 64, lett. g , L. Fall., art. 55, ed, in generale, del principio della par condicio creditorum, per esser stati riconosciuti gli interessi in pendenza della procedura. Le ricorrenti lamentano che l’argomento svolto al riguardo dalla Corte territoriale non tiene conto che il pagamento del credito nella sola percentuale concordataria non elimina la manifesta violazione della par condicio nella riconosciuta possibilità in favore, solo, di Citibank di poter beneficiare, sia pur nella percentuale concordataria, non solo del valore nominale del credito, ma, anche della quota di interessi maturati in costanza di procedura, per di più ad un tasso imprecisato e dunque imperscrutabile. Né potrebbe prospettarsi un riconoscimento parziale della sentenza straniera, come affermato ex adverso, non essendo la statuizione relativa agli interessi capo autonomo della sentenza impugnata, e non sussistendo una disposizione legislativa che lo consenta. 4.3. I motivi sono infondati. 4.4. Muovendo, doverosamente, dalla più volte citata sentenza delle SU n. 16601 del 2017, e riannodandoci a quanto sopra accennato al § 2.2., va rilevato che, secondo il predetto arresto, la nozione di ordine pubblico ostativa al riconoscimento della decisione straniera ha subito una profonda evoluzione da complesso dei principi fondamentali che caratterizzano la struttura etico-sociale della comunità nazionale in un determinato periodo storico, e nei principi inderogabili immanenti nei più importanti istituti giuridici così Cass. 1680/84 è divenuto il distillato del sistema di tutele approntate a livello sovraordinato rispetto a quello della legislazione primaria, sicché occorre far riferimento alla Costituzione e, dopo il trattato di Lisbona, alle garanzie approntate ai diritti fondamentali dalla Carta di Nizza, elevata a livello dei trattati fondativi dell’Unione Europea dall’art. 6 TUE Cass. 1302/13 , ed è stato, altresì, precisato che il rapporto tra l’ordine pubblico dell’Unione e quello di fonte nazionale non è di sostituzione, ma di autonomia e coesistenza e che la sentenza straniera quand’anche non ostacolata dalla disciplina Europea, deve misurarsi con il portato della Costituzione e di quelle leggi che, come nervature sensibili, fibre dell’apparato sensoriale e delle parti vitali di un organismo, inverano l’ordinamento costituzionale il cui assetto deve essere ricostruito al momento del riconoscimento della sentenza stessa, e non riferito al tempo in cui essa è stata adottata. 4.5. Valutato al lume di tali principi, si rivela infondato l’assunto delle ricorrenti, secondo cui il principio della par condicio creditorum, così come espresso dalle norme interne di diritto concorsuale, costituisce espressione di ordine pubblico, che a impedisce, in sé, il riconoscimento in Italia di una sentenza straniera di condanna nei confronti di società ammesse ad una procedura concorsuale, in ragione del particolare procedimento di verifica del passivo b impedisce comunque il riconoscimento della medesima decisione, nella parte in cui, con riferimento al credito chirografario accertato, computi anche gli interessi maturati in pendenza della procedura concorsuale, che l’ordinamento interno esclude. Queste le ragioni. 4.6. In via generale, può senza dubbio confermarsi che, in sede concorsuale, il concorso sostanziale dei creditori id est il concorso di tutti i creditori del fallito al soddisfacimento dei propri crediti si esprima attraverso il concorso formale e cioè attraverso i procedimenti dell’accertamento del passivo e del riparto dell’attivo, svolti in un unico contesto, in contraddittorio con tutti i creditori e i titolari degli altri diritti, e se, in effetti ma la questione in questa sede non viene in rilievo , il procedimento di distribuzione dell’attivo vede convogliati tutti i creditori - tranne rare eccezioni, prive di incidenza sulla par condicio -, compresi quelli esentati dal divieto di cui alla L. Fall., art. 51, e i titolari di crediti prededucibili, la procedura di verifica del passivo prevista dalla L. Fall., art. 93 e ss., trova, invece, significative eccezioni. Anzitutto, nel caso di domanda riconvenzionale diretta all’accertamento di un credito nei confronti del fallimento che, proposta in sede ordinaria, non sia stata dichiarata improcedibile - come avrebbe dovuto, anche d’ufficio - per esser soggetta al rito speciale previsto dalla L. Fall., art. 93 e ss., ma sia confluita in una decisione di merito che abbia accertato, al di fuori del concorso, l’esistenza e l’entità del credito. Il relativo vizio, ove non dedotto come motivo di gravame, incontra, infatti, il limite preclusivo dell’intervenuto giudicato interno, in ragione del principio di conversione delle nullità in motivi di impugnazione e in armonia con il principio della ragionevole durata del processo Cass. n. 24156 del 2018 n. 1115 del 2014 . Il creditore dovrà chiedere l’ammissione al passivo, per partecipare al riparto, ma sulla base di un titolo accertato in sede diversa da quella concorsuale. Inoltre, ne sono esentati i crediti contemplati dalla L. Fall., art. 96, comma 2, n. 3 , secondo cui oltre che nei casi stabiliti dalla legge, sono ammessi al passivo con riserva . 3 i crediti accertati con sentenza dal giudice ordinario o speciale non passata in giudicato, pronunziata prima della dichiarazione di fallimento. Il curatore può proporre o proseguire il giudizio di impugnazione . Una volta ammesso il credito con riserva e promossa o proseguita l’impugnazione da parte del curatore in sede extrafallimentare, la decisione definitiva verrà recepita nello stato passivo tramite lo scioglimento della riserva ai sensi della L. Fall., art. 113 bis. Nell’ipotesi in cui la decisione sull’esistenza e l’entità del credito sia devoluta alla giurisdizione dei giudici speciali e cioè al giudice tributario, a quello amministrativo e alla Corte dei conti , il curatore avrà, poi, l’onere di contestare il credito promuovendo il relativo giudizio innanzi a detti giudici - a prescindere dall’esistenza o meno di una sentenza di primo grado - dopo l’ammissione con riserva. Illumina, al riguardo, Cass. SU n. 15200 del 2015, che, pur ribadendo il profilo invocato dai ricorrenti, in sede di memoria, della specialità ed inderogabilità del procedimento di verificazione dei crediti nei confronti della massa ed, in ispecie, escludendo che in sede arbitrale possano essere fatte valere ragioni di credito nei confronti della parte sottoposta a fallimento o ad amministrazione straordinaria , ha, comunque, rilevato l’esistenza del principio generale per cui, in caso di controversia sul credito sottratta alla cognizione del giudice fallimentare perché quest’ultimo è carente di giurisdizione, o perché sussiste una competenza inderogabile di altro giudice , gli organi del fallimento devono considerare il credito assimilabile ai crediti condizionati, con facoltà di ammetterlo con riserva, da sciogliersi dopo la definizione del processo dinanzi al giudice giurisdizionalmente competente, in relazione all’esito di tale giudizio . 4.7. È evidente che l’affermazione di un principio generale in tal senso, non solo comporta che esso possa applicarsi, oltre ai casi finora esaminati di giurisdizione del giudice tributario, amministrativo o contabile, e, dunque, quando sia operante la giurisdizione di un giudice straniero, ma sopratutto, e ciò è quanto qui rileva, di per sé esclude la fondatezza dell’assunto secondo cui il procedimento di accertamento dello stato passivo costituisce l’unica modalità consentita per accertare eventuali ragioni di credito ammesse ad una procedura concorsuale, e, per astrazione, la sussistenza di un principio interno di ordine pubblico ostativo al riconoscimento della sentenza straniera che accerti siffatto credito conclusione che è avvalorata dal fatto che l’esclusività della procedura di cui alla L. Fall., art. 93 e ss., si risolve in una questione di rito cfr. Cass. n. 25674 del 2015, 9030 del 2014 , la cui violazione può essere fatta valere in giudizio, ma è soggetta ai limiti del giudicato interno, secondo l’orientamento di cui si è sopra dato conto. 4.8. Il Reg. UE 848/2015, entrato in vigore il 26 giugno 2015, che ha abrogato il Reg. CE 1346/2000, ed ha trovato applicazione a partire dal 26 giugno 2017, - che va qui considerato, anche se non era vigente al momento dell’adozione della sentenza statunitense - non contiene alcuna disposizione vincolante per gli stati membri in tema di verifica di crediti, né una disciplina unitaria, perché esso rinvia alla disciplina dello Stato di provenienza art. 7, lett. h , senza escludere la possibilità che l’accertamento del debito venga effettuato dall’esterno della procedura concorsuale art. 32 , essendo dunque consentito che, in quello Stato come accade in Italia , l’accertamento dell’esistenza e dell’entità, anche solo di alcune categorie di crediti concorsuali, in una sede diversa da quella della procedura. Deve pertanto escludersi che l’Unione Europea sia portatrice di principi irrinunciabili che impongano a tutela della par condicio creditorum, necessariamente, l’accertamento dei crediti in sede concorsuale. 4.9. Il riconoscimento della decisione statunitense non è neppure precluso in riferimento all’avvenuta liquidazione degli interessi maturati in pendenza della procedura concorsuale. 4.10. La L. Fall., art. 55, comma 1, secondo cui agli effetti del concorso, e per tutta la durata della procedura, opera la sospensione del decorso degli interessi convenzionali o legali, corrispettivi, compensativi o moratori sui crediti chirografari sorti prima della dichiarazione di fallimento, attiene, infatti, all’accertamento non già dell’an o del quantum del credito, ma alla concorsualità del credito la verifica della sua opponibilità alla procedura - anche solo di quello accessorio, come è il credito al pagamento degli interessi - è riservata all’ammissione al passivo, sicché la decisione non incide sul concorso dei creditori, per la parte in cui contenga la condanna al pagamento degli interessi maturati sul credito chirografario in pendenza della procedura concorsuale, proprio perché l’accertamento del credito fuori del fallimento non esclude la necessità dell’insinuazione al passivo, che è l’unica via per partecipare al riparto. La relativa verifica dovrà essere interamente regolata dalle disposizioni del diritto nazionale in tesi, se nel titolo sono conteggiati interessi sospesi ai sensi della L. Fall., art. 55, il credito non verrà ammesso al passivo per la parte ad essi corrispondente . 5. Con il quarto motivo, si censura la statuizione sub d di parte narrativa per violazione e falsa applicazione della L. n. 218 del 1995, art. 64, lett. g . La Corte bolognese, affermano le ricorrenti, ha accertato che le somme vantate da Citibank nel processo statunitense e nella procedura concorsuale coincidono, ha riconosciuto, pure, che le pretese avanzate innanzi alle due giurisdizioni sono fondate sulle stesse vicende e sugli stessi fatti, e, ciononostante, ha ritenuto diversi i crediti in ragione della fonte aquiliana fatta valere in USA e contrattuale in sede di ammissione allo stato passivo, così legittimando l’indebita duplicazione delle pretese creditorie di Citibank, in violazione dell’ordine pubblico economico e dei principi in tema di concorso tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale in quanto la coesistenza tra i due tipi di responsabilità, astrattamente possibile, era nella specie inesistente non essendo mai stata ipotizzata ex adverso alcuna lesione di diritti ulteriori rispetto a quelli derivati dai rapporti contrattuali. 5. Il motivo è inammissibile. 5.2. Dopo aver dato conto delle difese di Citibank secondo cui le Corti statunitensi avevano rigettato l’eccezione della Procedura riferita alla duplicazione delle poste creditorie, la Corte bolognese ha escluso che la statuizione di condanna americana in favore di Citibank riflettesse gli stessi crediti dalla stessa insinuati al passivo, rilevando, all’esito di un’analitica valutazione delle domande avanzate in sede concorsuale, non trattarsi degli stessi crediti, ma di coincidenza di importi l’uno dovuto a fonte contrattuale, l’altro a responsabilità aquiliana truffa, false rappresentazioni fornite colposamente e distrazione . E questo accertamento, basato sulla valutazione della natura dei danni considerati e liquidati dal giudice americano, non può essere denunciato in questa sede, dovendo trovare applicazione il principio secondo cui il contenuto del provvedimento da delibare costituisce un apprezzamento di fatto riservato al giudice del merito ed esula dall’ambito del giudizio di legittimità cfr. SU n. 16601 del 2017 in motivazione, che cita 1183/07 e, ivi, i richiami a Cass. n. 1266/1972, n. 3709/1983, n. 3881/1969 . 5.2. Peraltro, già in astratto, un’autonoma declinazione dell’ordine pubblico da qualificarsi economico , come postulato delle ricorrenti, non è ravvisabile nell’ordinamento nazionale, dovendo il perimetro dei limiti ostativi al riconoscimento di un prodotto giuridico straniero esser desunti dai principi costituzionali e dalle leggi che ne costituiscono attuazione, secondo quanto illustrato al § 4.4. dovendo, ancora, rilevarsi in concreto che, come riconoscono le stesse ricorrenti, il concorso tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale non è contrario all’ordine pubblico costituendo istituto conosciuto nel diritto nazionale cfr. Cass. n. 20260 del 2006, secondo cui il contraente il cui consenso risulti viziato da dolo può bene richiedere giudizialmente il risarcimento del danno conseguente all’illecito della controparte lesivo della libertà negoziale, sulla base della generalissima previsione in tema di responsabilità aquiliana di cui all’art. 2043 c.c. e Cass. n. 3012 del 2014 n. 25016 del 2008 in tema di contratti di compravendita . E, nella specie, si tratta di consentire l’ingresso nell’ordinamento italiano di un titolo diverso di un danno, determinato secondo criteri compensativi volti ad evitare indebite duplicazioni o locupletazioni. Infatti, le parti riferiscono concordemente che nel dichiararsi non convinto dell’eccezione sollevata dalla Procedura riferita alla duplicazione del medesimo danno - ritenuta dunque non provata cfr. pag. 97 del controricorso che riproduce parte della decisione con la quale la Appellate Division ha rigettato il gravame proposto dalla soccombente - il giudice Harris ha posto attenzione a tale questione, affermando di essere intenzionato ad attuare una rigorosa sorveglianza affinché la stessa convenuta Citibank non ottenga rimedi eccessivi o una duplice riparazione giudiziaria cfr. pag. 47 in fine e 48, primo periodo della memoria depositata da ricorrenti in vista dell’adunanza camerale del 21.2.2018 . Resta da aggiungere che il relativo conseguimento seguirà le regole del concorso, secondo quanto si è esposto al termine del precedente § 4.10. 6. Col sesto motivo, si critica la statuizione sub f di parte narrativa, per violazione e falsa applicazione della L. n. 218 del 1995, art. 64, lett. g , D.Lgs. n. 347 del 2003, art. 4 bis. Nella specie, i crediti insinuati ex adverso allo stato passivo sono stati soddisfatti nella misura prevista dalla proposta di concordato, rilevano le ricorrenti, sicché il riconoscimento di un nuovo titolo di credito, fondato sui medesimi fatti, consentirebbe alle Società di pretendere una soddisfazione maggiore rispetto a quella stabilita nella proposta di concordato, che amplierebbe la duplicazione delle pretese in violazione del principio della par condicio creditorum. 6.1. Il motivo è inammissibile. Esso presuppone, infatti, che il credito accertato dalla sentenza statunitense sia quello stesso insinuato al passivo, inoltre l’obbligatorietà degli effetti esdebitatori derivanti dal provvedimento di omologazione del Concordato non preclude l’insinuazione tardiva come significativamente afferma la controricorrente che riproduce le previsioni in tal senso della proposta di Concordato . Non è chiaro, infine, in parte qua quale principio di ordine pubblico costituirebbe ostacolo al riconoscimento della decisione straniera. 7. Col settimo motivo, si deduce la violazione falsa applicazione della L. n. 218 del 1995, art. 64, lett. e ed f , e L. Fall., art. 96, u.c Le ricorrenti lamentano che la Corte bolognese non abbia considerato l’eccezione con cui avevano evidenziato che il riconoscimento non poteva aver luogo per essere la sentenza americana contraria ad altra pronunciata dal giudice italiano e passata in giudicato. Erroneamente, proseguono le ricorrenti, siffatta opposizione era stata ritenuta da loro non proposta - per esser stata prospettata quella della lesione dell’ordine pubblico in ragione della riserva della decisione al giudice della procedura concorsuale - in quanto, pur potendo le questioni coincidere, era stato dedotto, anche, il diverso e distinto profilo di cui alla L. n. 218, art. 64, lett. e ed f avendo le domande riconvenzionali proposte da Citibank e totalmente accolte dal giudice statunitense, oggetto assolutamente identico alle domande di insinuazione al passivo, sulle quali il Tribunale fallimentare di Parma aveva pronunciato, in parte accogliendole ed in parte rigettandole, con statuizioni, ad eccezione di una, definitive L. Fall., ex art. 96, u.c La sentenza straniera non è dunque riconoscibile, perché tesa a sovrapporsi e ad aggirare i pronunciamenti endofallimentari non più impugnabili o soggetti all’esame del giudice nazionale . 7.1. Il motivo è infondato. Non essendovi identità tra le domande, secondo quanto affermato a proposito dell’esame del quarto motivo, l’invocata preclusione da giudicato endofallimentare è, in radice, esclusa, laddove la deduzione della litispendenza in riferimento alla L. n. 218 del 1995, art. 64, lett. f, lo è a fortiori essendo entrambi i giudizi, aventi in tesi il medesimo oggetto, già entrambi conclusi. 8. In considerazione dell’assoluta novità e rilevanza della questione relativa alla controversa natura di ordine pubblico sostanziale dell’istituto della par condicio creditorum, quale limite al riconoscimento di sentenza straniera, L. n. 218 del 1995, ex art. 64, lett. g , la Corte ritiene di dover compensare interamente tra le parti le spese del giudizio. P.Q.M. Rigetta il ricorso e compensa le spese. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.