Gli estratti conto sono idonei a provare il credito della banca nell’ammissione al passivo?

Il caso in rassegna affronta la questione della prova del credito nel fallimento. Nello specifico si tratta di stabilire se gli estratti conto bancari abbiano, o meno, efficacia probatoria ai fini dell’ammissione al passivo fallimentare.

E, i Giudici della Prima Sezione civile di Piazza Cavour, con l’ordinanza n. 31195/18, depositata il 3 dicembre, chiariscono che nell’insinuare al passivo fallimentare il credito derivante da saldo negativo di conto corrente la banca ha l’onere di dare conto dell’intera evoluzione del rapporto tramite il deposito degli estratti conto integrali il curatore, eseguite le verifiche di sua competenza, ha l’onere di sollevare specifiche contestazioni in relazione a determinate poste, in presenza delle quali la banca ha a sua volta l’onere di integrare la documentazione, o comunque la prova, del credito relativamente alle contestazioni sollevate il giudice delegato o, in sede di opposizione, il tribunale, in mancanza di contestazioni del curatore, è tenuto a prendere atto dell’evoluzione storica del rapporto contrattuale come rappresentata negli estratti conto, pur conservando il potere di rilevare d’ufficio ogni eccezione non rimessa alle sole parti, che si fondi sui fatti in tal modo acquisiti al giudizio. Il fatto. La Banca Alfa s.p.a. presentava due istanze di ammissione al Fallimento Beta s.p.a., l’una per l’importo di L. 4.038.489.215 rispetto al saldo del conto corrente n. Y, l’altra per L. 406.323.287 in relazione ad una fideiussione prestata dalla società fallita in favore di Gamma soc. coop. a r.l Il giudice delegato, tuttavia, ammetteva al passivo della procedura la sola somma di L. 2.056.229.488, corrispondente al saldo debitore del predetto conto corrente n. Y alla data del 31 marzo 1997, e respingeva le ulteriori pretese perché non provate. In seguito, il Tribunale di Napoli, con sentenza del 27 ottobre 2005, respingeva l’opposizione proposta dall’istituto di credito in quanto la consulenza espletata aveva quantificato lo scoperto del conto corrente della fallita in misura inferiore all’importo già ammesso al passivo, con una differenza superiore all’ulteriore credito vantato dalla banca per la fideiussione prestata dalla fallita in favore di Gamma soc. coop. a r.l. Ed anche la Corte territoriale, con sentenza del 18 dicembre 2012, pur rilevando che il Tribunale partenopeo aveva erroneamente ritenuto che le somme risultanti a credito della banca in base alla consulenza tecnica espletata non rientravano nel saldo di L. 2.056.229.488 per il quale l’appellante aveva ottenuto l’ammissione al passivo fallimentare, rigettava comunque l’impugnazione proposta, in mancanza di idonea prova del credito da insinuarsi al passivo infatti, a fronte della contestazione del curatore dell’inidoneità della documentazione prodotta a fornire la prova dell’esistenza del credito vantato, la banca non potendo avvalersi nei confronti del curatore fallimentare del disposto dell’art. 2710 c.c., non aveva documentato di aver inviato al correntista gli estratti conto relativi ai rapporti in contestazione in epoca anteriore alla dichiarazione di fallimento. Avverso quest’ultima decisione ha proposto ricorso per cassazione la Omega s.p.a., già costituitasi in appello quale successore a titolo particolare nel rapporto controverso, facendo valere tre distinti motivi di gravame. In particolare, la ricorrente con il terzo motivo lamentava la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1832 c.c., poiché la Corte territoriale, a seguito della produzione degli estratti conto relativi ai rapporti bancari facenti capo alla fallita, aveva ritenuto non adeguatamente dimostrata l’esistenza del credito pur in mancanza di circostanziate contestazioni dell’organo della procedura dirette contro le singole annotazioni. E, gli Ermellini, non potendosi ritenere che in ambito di insinuazione al passivo l’estratto conto debba essere considerato in via generalizzata come privo di qualsiasi valore probatorio, accolgono il motivo de quo, rinviando la causa alla Corte d’Appello di Napoli in diversa in composizione. La prova del credito da parte della Banca nel fallimento si fornisce attraverso la produzione degli estratti conto. Secondo l’opinione maggioritaria della giurisprudenza di legittimità, v., da ultimo, Cass. n. 22208/18 , sebbene non operino nei confronti del curatore gli effetti di cui all’art. 1832 c.c., lo stesso procedimento di insinuazione al passivo e di successiva opposizione fungono da procedimento di rendicontazione al fine dell’individuazione della esatta consistenza del credito vantato dalla banca e contribuiscono a fornire all’estratto conto che rappresenti l’intera evoluzione storica dello svolgimento del rapporto un valore di prova a suffragio delle ragioni dell’istituto di credito che abbia presentato insinuazione al passivo. Il dovere di procedere ad una verifica della documentazione prodotta dal creditore che si insinua nel passivo spetta al curatore. A un simile, puntuale, controllo farà seguito un obbligo di specifica contestazione, in particolare, della verità storica delle singole operazioni oggetto di rilevazione contabile che non trovino adeguato riscontro. In presenza di siffatte confutazioni da parte del curatore l’istituto di credito ha l’onere, in sede di verifica dello stato passivo o quanto meno in sede di opposizione, di arricchire la documentazione prodotta con atti idonei ad attestare l’effettivo svolgimento delle operazioni oggetto di rilevazione contabile in contestazione. Per contro ove il curatore, costituendosi, o meno, in sede di opposizione, nulla abbia osservato in merito all’evoluzione del conto nel senso rappresentato negli estratti prodotti, il Tribunale non potrà che prendere atto dell’evoluzione storica del rapporto contrattuale nei termini rappresentati all’interno dell’estratto conto integrale depositato né potrà pretendere ulteriore documentazione a suffragio dei fatti storici in questo modo risultanti, pur mantenendo, come per regola generale, ogni più ampia possibilità di sollevare d’ufficio le eccezioni, non rilevabili ad esclusiva istanza di parte, giustificate in base ai fatti in tal modo acquisiti in causa. In conclusione. È orientamento acquisito quello per cui gli estratti conto bancari, ovvero il saldo del conto corrente certificato dal funzionario a ciò abilitato dal Testo Unico Bancario, se costituisce prova della sussistenza del credito nel procedimento monitorio, non ha pari efficacia probatoria ai fini dell’ammissione al passivo fallimentare. Difatti, la Banca che prospetti una sua ragione di credito verso il fallito derivante da un rapporto obbligatorio regolato in conto corrente e ne chieda l’ammissione al passivo, ha l’onere di provare il credito secondo il disposto dell’art. 2697 c.c., mediante la documentazione relativa allo svolgimento del conto, senza poter pretendere di opporre al curatore, stante la sua posizione di terzo, gli effetti che derivano dall’art. 1832 c.c. per il quale l’estratto conto trasmesso da un contocorrentista all’altro si intende approvato, se non è contestato nel termine pattuito o in quello usuale. Invero, il Tribunale, - come viene chiaramente ribadito nell’ordinanza in commento - in mancanza di specifiche contestazioni da parte del curatore, è tenuto a prendere atto dell’evoluzione storica del rapporto contrattuale come rappresentata negli estratti conto, dal momento che gli estratti conto possono costituire documenti idonei a legittimare l’ammissione al passivo del saldo finale.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 27 settembre – 3 dicembre 2018, n. 31195 Presidente De Chiara – Relatore Pazzi Fatti di causa 1. Banca Antoniana Popolare Veneta s.p.a. presentava due istanze di ammissione al passivo del fallimento omissis s.p.a., l’una per l’importo di Lire 4.038.489.215 rispetto al saldo passivo del conto corrente n. su cui era confluito, mediante giroconto, il saldo passivo dei conti correnti e , l’altra per Lire 406.323.287 in relazione a una fideiussione prestata dalla società fallita in favore di Val Cellina soc. coop. a r.l Il Giudice delegato ammetteva al passivo della procedura la somma di Lire 2.056.229.488, corrispondente al saldo debitore del conto corrente n. alla data del 31 marzo 1997, e respingeva le ulteriori pretese perché non provate. 2. Il Tribunale di Napoli, con sentenza del 27 ottobre 2005, respingeva l’opposizione proposta dall’istituto di credito in quanto la consulenza tecnica espletata aveva quantificato lo scoperto del conto corrente della fallita in misura inferiore all’importo già ammesso al passivo, con una differenza superiore all’ulteriore credito vantato dalla banca per la fideiussione prestata dalla fallita in favore di Val Cellina soc. coop. a l 3. La Corte d’Appello di Napoli, con sentenza del 18 dicembre 2012, pur rilevando che il Tribunale aveva erroneamente ritenuto che le somme risultanti a credito della banca in base alla consulenza contabile espletata corrispondevano ai saldi negativi dei conti e e non rientravano nel saldo di Lire 2.056.229.488 per il quale l’appellante aveva già ottenuto l’ammissione al passivo fallimentare, rigettava comunque l’impugnazione proposta, in mancanza di idonea prova del credito da insinuarsi al passivo infatti, a fronte della contestazione del curatore dell’inidoneità della documentazione prodotta a fornire la prova dell’esistenza del credito vantato, la banca, non potendo avvalersi nei confronti del curatore fallimentare del disposto dell’art. 2710 cod. civ., non aveva documentato di aver inviato al correntista gli estratti conto relativi ai rapporti in contestazione in epoca antecedente alla dichiarazione di fallimento, onde consolidare la prova delle operazioni annotate, né aveva dimostrato l’esistenza del proprio credito mediante la produzione di documentazione attestante l’effettivo svolgimento delle operazioni annotate in contabilità. 4. Ha proposto ricorso per cassazione avverso questa pronuncia Prelios Credit Servicing s.p.a., quale mandataria di Elipso Finance s.p.a., già costituitasi nel giudizio di appello quale successore a titolo particolare nel rapporto controverso, affidandosi a tre motivi di impugnazione. Ha resistito con controricorso la curatela del fallimento omissis s.p.a L’intimata Banca Antoniana Popolare Veneta s.p.a. non ha svolto alcuna difesa. Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c Ragioni della decisione 5.1 Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 112, 342 e 346 cod. proc. civ. ed assume la conseguente nullità della sentenza impugnata, in quanto il giudice di appello, in violazione del principio di necessaria corrispondenza fra chiesto e pronunciato e del principio tantum devolutum quantum appellatum, avrebbe d’ufficio, oltre i limiti del gravame proposto, esaminato e posto a base della decisione questioni non specificamente devolute alla sua cognizione, concernenti l’inidoneità delle scritture contabili della banca a costituire prova contro il curatore ex art. 2710 cod. civ., la mancata dimostrazione dell’invio al cliente poi fallito degli estratti conto in epoca antecedente al fallimento e la carenza di prova rispetto al debito principale di cui il fallimento era chiamato a rispondere quale fideiussore al contrario la corte territoriale, una volta riconosciuta la certezza della data, avrebbe dovuto accogliere l’appello, senza poter valorizzare eccezioni che, non essendo state specificamente riproposte, dovevano intendersi per rinunciate ai sensi dell’art. 346 cod. proc. civ 5.2 Il motivo non è fondato. In vero secondo la giurisprudenza di questa Corte l’onere di espressa riproposizione in appello delle eccezioni non accolte in primo grado riguarda esclusivamente le eccezioni in senso proprio, attinenti cioè a fatti modificativi, estintivi o impeditivi, e non anche le contestazioni sull’esistenza del fatto costitutivo della domanda o di elementi dello stesso, le quali devono ritenersi implicitamente comprese nella richiesta di rigetto dell’appello formulata dall’appellato vittorioso nel giudizio di primo grado cfr. Cass. n. 13218/2005, Cass. n. 927/1996 . Allo stesso modo il disposto dell’art. 346 cod. proc. civ. non riguarda le mere difese Cass. n. 10811/2011, Cass. n. 27/2015 , le argomentazioni giuridiche e le questioni di fatto e di diritto addotte a sostegno delle medesime, che devono viceversa ritenersi implicitamente richiamate con la semplice istanza di rigetto dell’impugnazione da parte dell’appellato Cass. n. 1277/2005 , nonché i fatti dedotti dalle parti a fondamento della domanda e le inerenti deduzioni probatorie, i quali, sottoposti al giudice di primo grado, vengono di nuovo a costituire oggetto di esame, valutazione ed accertamento da parte del giudice di appello, in quanto questi, a causa della impugnazione, torna a doversi pronunciare sulla domanda accolta e quindi a dover esaminare fatti, allegazioni probatorie e ragioni giuridiche già dedotte in primo grado e rilevanti ai fini del giudizio sulla domanda o sull’eccezione Cass. n. 6843/1993 . Non si prestano perciò a censure di sorta le valutazioni della corte territoriale laddove, dopo aver preso atto delle contestazioni della procedura, in entrambi i gradi, in merito all’idoneità della documentazione prodotta dal creditore istante ad assolvere l’onere della prova, ha proceduto al vaglio della congerie istruttoria verificando se la stessa, alla stregua delle regole che ne disciplinavano la valenza probatoria, fosse atta a suffragare le pretese dell’appellante. 6.1 Il secondo mezzo di impugnazione lamenta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2710 cod. civ., di cui la corte territoriale avrebbe erroneamente escluso l’applicabilità malgrado si trattasse di provare, nell’ambito di un giudizio promosso non dall’organo fallimentare ma contro lo stesso, l’esistenza di un rapporto obbligatorio fra due imprenditori sorto in epoca anteriore al fallimento. 6.2 Il motivo è infondato. In proposito è sufficiente richiamare la statuizione delle Sezioni Unite di questa Corte secondo cui l’art. 2710 cod. civ., che conferisce efficacia probatoria tra imprenditori, per i rapporti inerenti all’esercizio dell’impresa, ai libri regolarmente tenuti, non trova applicazione nei confronti del curatore del fallimento il quale agisca non in via di successione di un rapporto precedentemente facente capo al fallito, ma nella sua funzione di gestione del patrimonio del medesimo, non potendo egli, in tale sua veste, essere annoverato tra i soggetti considerati dalla norma in questione, operante soltanto tra imprenditori che assumano la qualità di controparti nei rapporti d’impresa Cass. n. 4213/2013 . La norma in questione, che individua l’ambito operativo della sua speciale disciplina nel riferimento, necessariamente collegato, all’imprenditore ed al rapporto di impresa, non può perciò trovare applicazione con riguardo al curatore del fallimento, il quale, essendo convenuto nel giudizio di opposizione allo stato passivo, opera nella sua funzione di gestione del patrimonio del fallito ed assume, rispetto ai rapporti tra quest’ultimo ed il creditore, la qualità di terzo. 7.1 Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1832 cod. civ., poiché la corte territoriale, a seguito della produzione degli estratti conto relativi ai rapporti bancari facenti capo alla fallita, aveva ritenuto non adeguatamente dimostrata l’esistenza del credito pur in mancanza di circostanziate contestazioni dell’organo della procedura dirette contro le singole annotazioni nessuna rilevanza rivestiva la mancata dimostrazione dell’invio degli estratti all’imprenditore fallito, essendosi trasferito nel processo l’onere di contestazione previsto nell’ordinario rapporto, da assolversi in maniera specifica nelle forme, nei limiti e nei tempi previsti dalle regole processuali. 7.2 Il motivo è fondato. La corte territoriale ha ritenuto a pag. 7, punto 2, della sentenza impugnata che la mancata specifica contestazione da parte del curatore del contenuto degli estratti conto prodotti non valga ad attribuire agli stessi alcun valore privilegiato in ordine alla veridicità delle annotazioni ivi riportate e all’esistenza del credito. Un simile assunto non può essere condiviso, non potendosi ritenere che in ambito di insinuazione al passivo l’estratto conto debba essere considerato in via generalizzata come privo di qualsiasi valore probatorio. Questa Corte ha anche già avuto modo di osservare che, fermo il principio per cui l’istituto di credito ha l’onere di dare piena prova del suo credito, assolvendo lo stesso attraverso la produzione della documentazione relativa allo svolgimento del conto, il collegio dell’opposizione tuttavia non può prescindere dalla valutazione, doverosa e necessaria, circa la completezza ed esaustività delle schede integrali prodotte dalla creditrice, che rappresenta va la premessa logica indispensabile per procedere al successivo consequenziale apprezzamento della ulteriore produzione documentale. E del resto non può trascurarsi di osservare che l’ammissibilità di prove atipiche, che proprio con riguardo al caso di specie è stata più volte sottolineata dalla giurisprudenza di merito oltre che in dottrina, imponeva all’organo giudicante di tenerne conto, in considerazione dell’assoluta mancanza di contestazioni provenienti dalla curatela fallimentare Cass. n. 19028/2013 . È opinione di questo collegio che, sebbene non operino nei confronti del curatore gli effetti di cui all’art. 1832 cod. civ., lo stesso procedimento di insinuazione al passivo e di successiva opposizione fungano da procedimento di rendicontazione al fine dell’individuazione della esatta consistenza del credito vantato dalla banca e contribuiscano a fornire all’estratto conto che rappresenti l’intera evoluzione storica dello svolgimento del rapporto un valore di prova a suffragio delle ragioni dell’istituto di credito che abbia presentato insinuazione al passivo. In linea generale ogni qual volta sia necessario rendere un conto il sistema si pensi al meccanismo previsto dagli artt. 1832 cod. civ., 119 T.U.B. e, più in generale, 263 e ss. cod. proc. civ. prevede che la parte onerata proceda alla rendicontazione tramite la precisa indicazione dell’evoluzione storica del rapporto, mentre la controparte ha l’obbligo entro un determinato termine di sollevare contestazioni, specificando le partite che intende porre in contestazione. Un simile meccanismo vale, tramite lo sviluppo del procedimento di verifica delle insinuazioni al passivo, anche nei confronti della procedura fallimentare, a cui la banca, a prescindere dagli estratti inviati al fallito ed eventualmente approvati prima dell’apertura del concorso, è tenuta a dare conto dell’esistenza e dell’intera evoluzione del rapporto tramite il deposito degli estratti conto nella loro completa consistenza. A fronte di questa produzione non si può trascurare di considerare che sul curatore incombe il dovere di procedere a una verifica della documentazione prodotta dal creditore che si insinua al passivo e dunque di controllo delle emergenze dell’estratto conto secondo le risultanze in suo possesso. Ed è proprio la pregnanza di questo obbligo di verificazione che consente il parallelismo con il procedimento di rendimento del conto e la valorizzazione dell’estratto conto integrale prodotto, così analizzato, quale prova. A un simile, puntuale, controllo farà seguito un obbligo di specifica contestazione, in particolare, della verità storica delle singole operazioni oggetto di rilevazione contabile che non trovino adeguato riscontro. In presenza di siffatte confutazioni da parte del curatore l’istituto di credito ha l’onere, in sede di verifica dello stato passivo o quanto meno in sede di opposizione, di arricchire la documentazione prodotta con atti idonei ad attestare l’effettivo svolgimento delle operazioni oggetto di rilevazione contabile in contestazione. Per contro ove il curatore, costituendosi o meno in sede di opposizione, nulla abbia osservato in merito all’evoluzione del conto nel senso rappresentato negli estratti prodotti, il Tribunale non potrà che prendere atto dell’evoluzione storica del rapporto contrattuale nei termini rappresentati all’interno dell’estratto conto integrale depositato né potrà pretendere ulteriore documentazione a suffragio dei fatti storici in questo modo risultanti, pur mantenendo, come per regola generale, ogni più ampia possibilità di sollevare d’ufficio le eccezioni, non rilevabili ad esclusiva istanza di parte, giustificate in base ai fatti in tal modo acquisiti in causa. Il provvedimento impugnato non si è attenuto a questi principi assumendo l’inidoneità degli estratti conto prodotti, pur in mancanza di specifiche contestazioni del curatore, a fornire la prova dell’evoluzione del rapporto e dell’esistenza del credito finale e ha così addossato al creditore istante un onere di integrazione del materiale istruttorio già depositato non correlato al contenuto dei rilievi compiuti dal curatore rispetto alle risultanze degli estratti conto messi a disposizione della procedura. La sentenza impugnata andrà dunque cassata, con rinvio alla Corte d’Appello di Napoli, la quale si atterrà al seguente principio nell’insinuare al passivo fallimentare il credito derivante da saldo negativo di conto corrente la banca ha l’onere di dare conto dell’intera evoluzione del rapporto tramite il deposito degli estratti conto integrali il curatore, eseguite le verifiche di sua competenza, ha l’onere di sollevare specifiche contestazioni in relazione a determinate poste, in presenza delle quali la banca ha a sua volta l’onere di integrare la documentazione, o comunque la prova, del credito relativamente alle contestazioni sollevate il giudice delegato o, in sede di opposizione, il Tribunale, in mancanza di contestazioni del curatore, è tenuto a prendere atto dell’evoluzione storica del rapporto contrattuale come rappresentata negli estratti conto, pur conservando il potere di rilevare d’ufficio ogni eccezione non rimessa alle sole parti, che si fondi sui fatti in tal modo acquisiti al giudizio. La corte territoriale, nel procedere a nuovo esame della causa, avrà cura anche di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, rigetta gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’Appello di Napoli in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.