Ammissione al passivo e credito di rivalsa IVA del commercialista

Una volta effettuate prestazioni professionali a favore di un imprenditore poi fallito, il credito di rivalsa IVA di un professionista che sia stato ammesso al passivo in via privilegiata e abbia emesso la fattura per il relativo compenso a seguito del pagamento ricevuto in esecuzione di un riparto parziale non è qualificabile come credito di massa da soddisfare in prededuzione.

Sul punto è tornata ad esprimersi la Corte di Cassazione con ordinanza n. 31188/18, depositata il 3 dicembre. Il caso. Un commercialista proponeva opposizione al passivo del fallimento di una s.r.l., chiedendo che il proprio credito per rivalsa dell’IVA su prestazioni professionali fosse ammesso in prededuzione per l’ammontare che risultava dalla notula da emettere in relazione all’importo collocato in sede di riparto. Il Tribunale rigettava l’opposizione del commercialista e tale pronuncia veniva confermata dalla Corte d’Appello. Così il commercialista propone ricorso per cassazione denunciando che l’orientamento giurisprudenziale che nega la prededuzione del credito IVA sarebbe in contrasto con i principi comunitari di neutralità ed effettività dell’IVA. Il credito di rivalsa IVA. La Suprema Corte ha più volte affermato che il credito di rivalsa IVA di un professionista che, una volta effettuate prestazioni professionali a favore di un imprenditore poi fallito, sia stato ammesso al passivo per il relativo capitale in via privilegiata e abbia emesso la fattura per il compenso a seguito del pagamento ricevuto in esecuzione di un riparto parziale non è qualificabile come credito di massa da soddisfare in prededuzione, ex art. 111, comma 1, l. fall questo perché l’art. 6 d.P.R. n. 633/1972 dispone che le prestazioni di servizi si considerano effettuate all’atto del pagamento del corrispettivo, non ponendo una regola generale rilevante in ogni campo, individuando solo il momento in cui l’operazione è assoggettabile a imposta e può essere emessa fattura. Sulla base di quanto detto, la Suprema Corte rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 26 settembre – 3 dicembre 2018, n. 31188 Presidente De Chiara – Relatore Terrusi Fatto e diritto Rilevato che D.C. , dottore commercialista, propose opposizione al passivo del fallimento di omissis s.r.l., chiedendo che il proprio credito per rivalsa dell’Iva su prestazioni professionali fosse ammesso in prededuzione per l’ammontare risultante dalla notula da emettersi in relazione all’importo utilmente collocato in sede di riparto l’opposizione fu rigettata dall’adito tribunale di Cagliari e la sentenza è stata confermata dalla locale corte d’appello, previo richiamo dell’orientamento giurisprudenziale che notoriamente esclude, in simile evenienza, che il credito possa atteggiarsi come credito di massa D. ha proposto ricorso per cassazione sorretto da un solo motivo la curatela non ha svolto difese. Considerato che deducendo la violazione o falsa applicazione 18 e 19 del d.P.R. n. 633 del 1972, il ricorrente sostiene che l’orientamento giurisprudenziale che nega la prededuzione del credito Iva si porrebbe in contrasto coi principi comunitari di neutralità e di effettività dell’Iva come costantemente interpretati in sede comunitaria, poiché avrebbe l’effetto di trasformare il professionista in un contribuente di fatto il professionista infatti, ove non gli fosse corrisposto l’importo dell’Iva indicato in fattura, sarebbe comunque tenuto al versamento dell’imposta all’erario il ricorso è infondato questa Corte ha più volte affermato che il credito di rivalsa Iva di un professionista che, eseguite prestazioni a favore di imprenditore poi dichiarato fallito, sia stato ammesso per il relativo capitale allo stato passivo in via privilegiata e abbia emesso la fattura per il relativo compenso a seguito del pagamento ricevuto in esecuzione di un riparto parziale non è qualificabile come credito di massa, da soddisfare in prededuzione ai sensi dell’art. 111, primo comma, legge fall., in quanto la disposizione dell’art. 6 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, secondo cui le prestazioni di servizi si considerano effettuate all’atto del pagamento del corrispettivo, non pone una regola generale rilevante in ogni campo, ma individua solo il momento in cui l’operazione è assoggettabile a imposta e può essere emessa fattura in alternativa al momento di prestazione del servizio invero dal punto di vista civilistico la prestazione professionale conclusasi prima della dichiarazione di fallimento resta l’evento generatore anche del credito di rivalsa Iva, autonomo rispetto al credito per la prestazione ma a esso soggettivamente e funzionalmente connesso e quel medesimo credito di rivalsa, non essendo sorto verso la gestione fallimentare, come spesa o credito dell’amministrazione, o dall’esercizio provvisorio, può giovarsi del solo privilegio speciale di cui all’art. 2758, secondo comma, cod. civ., nel caso in cui sussistano beni - che il creditore ha l’onere di indicare in sede di domanda di ammissione al passivo - su cui esercitare la causa di prelazione cfr. in sequenza Cass. 15690-08, Cass. n. 3582-11, Cass. n. 8222-11, Cass. n. 13771-15, Cass. n. 1034-17 in nessun modo gli argomenti spesi dall’odierno ricorrente si palesano idonei a un mutamento di giurisprudenza, essendo essi riferibili a principi - quale in particolare quello di neutralità fiscale dell’Iva - che attengono al sistema di contabilizzazione e di riscossione dell’imposta da parte dell’erario, e che niente aggiungono alla dimensione del diritto concorsuale il compenso del professionista è, quanto al regime dell’Iva, soggetto all’imposta in relazione al fatto generatore del tributo, da identificare, proprio alla luce del diritto comunitario e del principio di neutralità fiscale, con l’espletamento dell’operazione cfr. risolutivamente Cass. Sez. U n. 8059-16, anche in relazione a Corte giust., 19 dicembre 2012, in causa C549/11, relativamente alla prestazione di servizi la dianzi affermata regola di neutralità, alla quale è pur collegato il sistema della rivalsa, non induce a ritenere, in materia concorsuale, un’inesistente prededuzione quanto all’afferente credito, atteso che la prededuzione non è in tal senso contemplata dalla legge art. 111 legge fall. né si palesa correlabile al fatto generatore della pretesa. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.