Risoluzione del contratto di trasferimento di azienda: opponibile al fallimento solo se trascritta la relativa domanda

Ove l’azione di risoluzione contrattuale sia stata promossa dalla parte in bonis prima della dichiarazione di fallimento del contraente inadempiente, l’opponibilità della relativa domanda alla massa - quando il contratto abbia per oggetto beni immobili - presuppone sempre la trascrizione della medesima domanda giudiziale.

Con la pronuncia del 25 settembre 2017, n. 22280, il S.C. interviene in tema di efficacia ed opponibilità al fallimento della domanda di risoluzione di un contratto, precisando che la stessa può essere opponibile al fallimento soltanto nell’ipotesi in cui sia avvenuta la trascrizione della domanda presso i registri immobiliari. Il caso. Veniva proposta, innanzi al Tribunale competente, la domanda di restituzione di una serie di beni, mobili ed immobili, facenti parte di un ramo di azienda il cui contratto di trasferimento in favore della società fallita era stato risolto per inadempimento di quest’ultima. Il Tribunale rigetta la domanda sul rilievo che l’azione di risoluzione, pur azionata prima del fallimento della società cessionaria, non risultava trascritta nei registri immobiliari e, quindi, non era opponibile al fallimento stesso, ai sensi dell’articolo 72, comma 5, legge fallimentare. Decisione confermata dalla Cassazione con la sentenza in commento. Risoluzione del contratto la regola generale sull’efficacia. L'efficacia retroattiva della risoluzione, per inadempimento, di un contratto preliminare comporta l'insorgenza, a carico di ciascun contraente, dell'obbligo di restituire le prestazioni ricevute, rimaste prive di causa, secondo i principi sulla ripetizione dell'indebito ex articolo 2033 c.c., e, pertanto, implica che il promissario acquirente che abbia ottenuto la consegna e la detenzione anticipate del bene promesso in vendita debba non solo restituirlo al promittente alienante, ma altresì corrispondere a quest'ultimo i frutti per l'anticipato godimento dello stesso. Risoluzione del contratto azione costitutiva o di accertamento? Analogamente a quanto sopra illustrato, in giurisprudenza è pacifico che l'azione di risoluzione del contratto per inadempimento, ex articolo 1453 c.c., tendendo ad una pronuncia costitutiva diretta a sciogliere il vincolo contrattuale previo accertamento da parte del giudice della gravità dell'inadempimento, differisce sostanzialmente dall'azione di risoluzione di cui all'articolo 1456 c.c., tendente ad una pronuncia dichiarativa dell'avvenuta risoluzione di diritto a seguito del verificarsi di un fatto obiettivo previsto dalle parti come determinante per la sorte del rapporto. Ne consegue che, ove la domanda di risoluzione ex articolo 1453 c.c. sia stata proposta per la prima volta in appello, deve considerarsi domanda nuova, e pertanto preclusa a norma dell'articolo 345 c.p.c Azione di risoluzione e fallimento. Se, come visto poc’anzi, l'azione di risoluzione del contratto ex articolo 1456 c.c. tende ad una pronuncia di mero accertamento dell'avvenuta risoluzione di diritto a seguito dell'inadempimento di una delle parti previsto come determinante per la sorte del rapporto, in caso di fallimento del locatario - ad esempio - l'effetto risolutivo di un contratto deve ritenersi già verificato ove la volontà di avvalersi della clausola risolutiva espressa sia stata comunicata anteriormente alla data della sentenza di fallimento, spettando il relativo accertamento al giudice delegato in sede di verifica dello stato passivo. Risoluzione del contratto e trasferimenti immobiliari. I principi espressi in precedenza vanno ovviamente raccordati con la disciplina dei trasferimenti immobiliari. In particolare, ai sensi dell’articolo 2652, comma 1, n. 1, c.c., le domande giudiziali tese alla risoluzione dei contratti, quando abbiano ad oggetto il trasferimento di beni immobili, devono essere sempre trascritte nei registri immobiliari e ciò al fine di assicurare l’effetto prenotativo connesso alla successiva sentenza di accoglimento della domanda, restando invece inopponibile ai terzi che abbiano precedentemente trascritto il titolo di acquisto, la pronuncia che dichiari l’intervenuta risoluzione di un contratto traslativo di diritti reali su beni immobili. Risoluzione del trasferimento di azienda e fallimento. La Cassazione, nell’applicare i consolidati principi sopra esposti, precisa, peraltro, che qualora una azione di risoluzione del contratto di trasferimento di azienda sia stata promossa prima della dichiarazione di fallimento, ai fini della opponibilità del fallimento di tale risoluzione non è sufficiente la trascrizione nel registro delle imprese, ma è necessaria la trascrizione nei registri immobiliari. Del resto, tale disciplina costituisce applicazione dell’articolo 45 legge fallimentare, ossia la cristallizzazione dell’attivo fallimentare rendendo inopponibili ai creditori tutte le formalità eseguite successivamente all’apertura della procedura concorsuale.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 13 luglio – 25 settembre 2017, n. 22280 Presidente Nappi – Relatore Fichera Fatti di causa Il Tribunale di Perugia, con decreto depositato il 12 aprile 2012, respinse l’opposizione allo stato passivo del fallimento della s.r.l., proposta da Società Ittica Europea s.p.a., in amministrazione straordinaria di seguito SIE , in relazione alle domande di restituzione dei beni, mobili ed immobili, costituenti un ramo d’azienda e di risarcimento del danno, già oggetto di cessione in favore della società poi fallita in forza di un contratto risoltosi per inadempimento di quest’ultima. Ritenne il giudice di merito che, pure essendo stato promosso il giudizio teso all’accertamento dell’intervenuta risoluzione del contratto di cessione da parte della SIE prima del fallimento della s.r.l., poiché non era stata trascritta presso i registri immobiliari la relativa domanda giudiziale, la stessa fosse divenuta inopponibile alla massa fallimentare, ai sensi dell’art. 72, comma quinto, l.fall. Avverso la detta sentenza del tribunale, SIE ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi il fallimento della ha depositato controricorso e ricorso incidentale fondato su tre mezzi. Le parti hanno depositato memorie ex art. 380-bis.1 c.p.c Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo SIE deduce violazione dell’art. 1456, comma secondo, c.c. poiché il tribunale erroneamente ha ritenuto che il contratto di cessione di ramo d’azienda in favore della società poi fallita non si fosse già risolto, a seguito della dichiarazione proveniente dalla venditrice di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa pattuita tra le parti, senza necessità di un ulteriore giudizio. Con il secondo motivo assume violazione degli artt. 72, comma quinto, e 92 l.fall., non avendo il giudice di merito valutato che il contratto di cessione del ramo di azienda si era ormai risolto definitivamente al momento della dichiarazione di fallimento, residuando soltanto domande restitutorie e risarcitorie formulate innanzi al giudice delegato. Con il terzo motivo assume ancora violazione dell’art. 72, comma quinto, l.fall., poiché il tribunale ha erroneamente affermato che la domanda di accertamento dell’intervenuta risoluzione del contratto di cessione di ramo d’azienda, doveva essere trascritta nei registri immobiliare ai fini della sua opponibilità alla massa fallimentare. Con il quarto motivo assume di nuovo violazione dell’art. 72, comma quinto, l.fall. nonché vizio di motivazione, ex art. 360, primo comma, n. 5 , c.p.c., poiché il giudice di merito ha contraddittoriamente affermato che la domanda di restituzione e risarcimento andava riproposta in sede fallimentare e poi ritenuto la stessa inammissibile. 2. Con il primo motivo del ricorso incidentale il fallimento della s.r.l., in liquidazione, deduce violazione dell’art. 72, comma quinto, l.fall. perché il tribunale non ha ritenuto che il giudizio teso alla risoluzione del contratto di cessione doveva essere riassunto nelle forme ordinarie, restando riservate alla cognizione del giudice delegato soltanto le domande restitutorie e risarcitorie. Con il secondo motivo del ricorso incidentale deduce violazione degli artt. 299, 300, 303 e 305 c.p.c. e dell’art. 16, secondo comma, l.fall., poiché la prosecuzione davanti al giudice delegato del giudizio di risoluzione, già in precedenza interrotto per il fallimento della convenuta, è intervenuta oltre il prescritto termine semestrale dall’evento interruttivo. Con il terzo motivo del ricorso incidentale denuncia violazione degli artt. 10 e 91 c.p.c., nonché degli artt. 1, 4 e 5 del d.m. 8 aprile 2004, n. 127, atteso che il giudice di merito ha liquidato le spese processuali senza distinguere tra diritti ed onorari e violando la regola della inderogabilità dei minimi tariffari. 3. Tutti i motivi del ricorso principale, da esaminare congiuntamente stante il comune oggetto, sono infondati con le necessarie puntualizzazioni di cui si dirà. 3.1. Ora, è vero che secondo quanto già affermato da questa Corte l’azione di risoluzione del contratto ex art. 1456 c.c. tende ad una pronuncia di mero accertamento dell’avvenuta risoluzione di diritto a seguito dell’inadempimento di una delle parti previsto come determinante per la sorte del rapporto, in conseguenza dell’esplicita dichiarazione dell’altra parte di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa, differendo tale azione da quella ordinaria di risoluzione per inadempimento per colpa ex art. 1453 c.c., che ha natura costitutiva Cass. 17/12/2009, n. 26508 Cass. 12/01/2007, n. 423 Cass. 05/01/2005, n. 167 . Ne consegue allora che, in caso di fallimento della parte inadempiente, l’effetto risolutivo del contratto deve ritenersi già verificato ove la volontà di avvalersi della clausola risolutiva espressa sia stata comunicata anteriormente alla data della sentenza di fallimento, spettando il relativo accertamento al giudice delegato in sede di verifica dello stato passivo Cass. 18/04/2013, n. 9488 . Questi principi di sicuro condivisibili vanno tuttavia raccordati con la previsione dell’art. 72, comma quinto, l.fall., come novellato dal d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 - qui applicabile ratione temporis -, che nel caso di domande di risoluzione del contratto che siano state avanzata dal contraente in bonis prima della dichiarazione di fallimento, fa sempre salva la disciplina concernente l’efficacia della trascrizione della domanda , ai fini della sua opponibilità alla massa dei creditori. Orbene, è noto che ai sensi dell’art. 2652, comma primo, n. 1 , c.c. le domande giudiziali tese alla risoluzione dei contratti, quando abbiano ad oggetto - come nel caso in esame - il trasferimento di beni immobili, devono sempre essere trascritte nei registri immobiliari e ciò al fine di assicurare l’effetto prenotativo connesso alla successiva sentenza di accoglimento della domanda, restando invece inopponibile ai terzi che abbiano precedentemente trascritto il titolo di acquisto, la pronuncia che dichiari l’intervenuta risoluzione di un contratto traslativo di diritti reali su beni immobili. Dunque, con la novella dell’art. 72 l.fall., il legislatore del 2006 - codificando una interpretazione già avanzata da questa Corte si veda Cass. 09/12/1982, n. 6713 - ha inteso ribadire che ove l’azione di risoluzione contrattuale sia stata promossa dalla parte in bonis prima della dichiarazione di fallimento del contraente inadempiente, l’opponibilità della relativa domanda alla massa quando il contratto abbia per oggetto beni immobili presuppone sempre la trascrizione della medesima domanda giudiziale. E del resto, la norma in commento si limita a ribadire l’applicabilità, anche nell’ambito del rapporti negoziali pendenti, della regola generale fissata dall’art. 45 l.fall., la quale traducendo il principio di cristallizzazione dell’attivo fallimentare, rende comunque sempre inopponibili alla massa dei creditori tutte le formalità che siano state eseguite successivamente all’apertura del concorso. Nella vicenda all’esame, allora, è certo che a seguito dell’inadempimento del contratto di cessione di un ramo d’azienda, la cedente SIE intimò alla cessionaria la risoluzione del contratto avvalendosi della clausola risolutiva espressa ex art. 1456, secondo comma, c.c. prevista dal medesimo negozio e per tutelare le proprie ragioni ottenne anche ante causam il sequestro giudiziario dell’azienda ceduta, poi iscritto nel registro delle imprese, promuovendo tempestivamente il relativo giudizio di merito nei confronti della s.r.l. Tuttavia, né il provvedimento cautelare reso ex art. 670 c.p.c. - di cui pure si dubita la trascrivibilità, in assenza di una norma espressa prevista invece per il solo sequestro conservativo art. 679 c.p.c. -, e neppure la successiva domanda giudiziale di merito proposta nei confronti della s.r.l. ancora in bonis e tesa ad accertare l’intervenuta risoluzione del contratto di cessione del ramo d’azienda, vennero trascritti nei registri immobiliari dunque, in relazione ai beni immobili costituenti il ramo d’azienda ceduto, qualsivoglia pretesa restitutoria o risarcitoria della ricorrente, nascente dalla risoluzione del contratto di cessione, non può farsi valere nei confronti della massa dei creditori. 3.2. In direzione contraria non vale richiamare la ricordata natura di mero accertamento della sentenza che pronuncia la risoluzione del contratto ex art. 1456 c.c., perché quale che sia l’efficacia della decisione riservata al giudice costitutiva o dichiarativa , è certo che l’opponibilità alla massa della domanda di risoluzione di un contratto avente effetti reali su beni immobili, impone sempre la sua trascrizione nei registri immobiliari precedentemente alla dichiarazione di fallimento, in applicazione alla regola di carattere generale dettata dai richiamati artt. 45 e 72 l.fall In sostanza, pure a ritenere che il contratto di cessione di ramo d’azienda si fosse risolto tra le parti, in forza della clausola risolutiva espressa, già prima della dichiarazione di fallimento della cessionaria, è certo che i beni immobili costituenti l’azienda ceduta, risultavano ancora intestati alla fallita al momento dell’apertura della procedura e, dunque, per il ridetto principio della cristallizzazione della massa, non potevano più essere sottratti al soddisfacimento dei creditori concorrenti, in difetto di tempestiva trascrizione della relativa domanda giudiziale. 3.3. Né può dirsi che la ridetta domanda giudiziale tesa all’accertamento della risoluzione del contratto di cessione di ramo d’azienda non fosse soggetta, ai sensi della richiamata disciplina codicistica, alla trascrizione nei registri immobiliari, rivelandosi cioè sufficiente l’annotazione nel registro delle imprese del provvedimento che dispose il sequestro giudiziario dei beni che compongono l’azienda. È vero, infatti, che l’art. 2556 c.c. dispone che per le imprese soggette all’iscrizione nel registro delle imprese - tra le quali rientravano pacificamente le società qui in lite -, l’atto negoziale che dispone il trasferimento dell’azienda deve essere depositato per l’iscrizione nel registro. Detta pubblicità, tuttavia, all’evidenza, ha solo l’efficacia dichiarativa di cui all’art. 2193 c.c., rendendo quindi il fatto storico iscritto la cessione dell’azienda opponibile ai terzi, ma non vale certo a surrogare gli ulteriori oneri pubblicitari previsti dall’ordinamento, che in relazione ai conflitti sulla titolarità dei beni immobili sanciscono la prevalenza di chi abbia trascritto per primo art. 2644 c.c. , imponendo sempre la trascrizione di ogni altro atto o provvedimento art. 2645 c.c. che sia idoneo a produrre effetti traslativi in relazione ai suddetti beni. Insomma, nel caso di cessione di una azienda che comprenda anche beni immobili, deve ritenersi che, come è necessario tenere conto delle particolari forme stabilite dalla legge per i singoli beni che compongono l’azienda art. 2556, primo comma. c.c. - e quindi adottarsi in presenza di beni immobili l’atto pubblico o la scrittura privata autenticata -, così ai fini pubblicitari l’atto traslativo dovrà essere sia iscritto nel registro delle imprese rendendo opponibile ai terzi la cessione dell’azienda in relazione al complesso di beni di natura mobiliare, ivi compresi i crediti, che la compongono , sia trascritto nei registri immobiliari, al fine di assicurarne la prevalenza rispetto a qualunque altro atto avente efficacia reale, che venga successivamente trascritto in relazione al medesimo compendio immobiliare. 4. I due motivi del ricorso incidentale condizionati all’esito del ricorso principale restano assorbiti. 5. Il terzo motivo del ricorso incidentale, all’evidenza non condizionato all’esito del ricorso principale, è fondato. Invero, a fronte di una causa di valore pari ad Euro 21.000.000 avuto riguardo alle somme di cui si è stata invocata l’ammissione al concorso da parte della SIE , il tribunale ha liquidato soltanto Euro 6.000,00 per compensi comprensivi sia di diritti che onorari di avvocato, vale a dire un importo manifestamente inferiore ai minimi tariffari previsti dal d.m. 127 del 2004, ancora applicabile in via transitoria al momento della liquidazione giudiziale 12 aprile 2012 , ai sensi dell’art. 9, comma 3, del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito con modificazioni dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, essendo entrato in vigore il successivo d.m. 20 luglio 2012, n. 144, soltanto il successivo 23 agosto 2012. 5.1. Non essendo peraltro necessari ulteriori accertamenti in fatto, decidendo nel merito in relazione al motivo del ricorso incidentale accolto, può senz’altro darsi la liquidazione delle spese in favore della curatela del fallimento della s.r.l., in liquidazione, per il giudizio di opposizione allo stato passivo avuto riguardo al valore della causa e all’attività difensiva prestata, si liquida la somma complessiva, comprensiva di diritti ed onorari di avvocato, di Euro 20.000,00, oltre spese generali ed accessori di legge. 6. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza. P.Q.M. Rigetta il ricorso principale assorbiti i primi due motivi del ricorso incidentale. Accoglie il terzo motivo del ricorso incidentale, cassa il decreto del Tribunale di Perugia in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, liquida in favore del fallimento della s.r.l., in liquidazione, per diritti e onorari di avvocato, la somma complessiva di Euro 20.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 12,50 per cento ed agli accessori di legge. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 38.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.