Risoluzione del concordato fallimentare e riapertura del fallimento: immodificabile lo stato passivo

La riapertura del fallimento conseguente alla risoluzione del concordato fallimentare produce la reviviscenza dell'originario procedimento concorsuale e non un nuovo, autonomo procedimento, con la conseguenza che alla riapertura del fallimento non può operarsi alcuna modificazione dei provvedimenti di ammissione od esclusione dei crediti resi in sede di formazione del passivo nell'antecedente fase concorsuale.

Con la pronuncia del 13 settembre 2017 n. 21219, il S.C. interviene sul problema dei crediti sorti in pendenza di un concordato fallimentare, qualora il concordato venga risolto per inadempimento. Il caso. La sentenza in commento prende le mosse dal ricorso promosso dal curatore di un fallimento avverso il provvedimento del Giudice delegato di ammissione di un credito maturato nella fase di concordato fallimentare poi risolto per inadempimento. Il S.C., richiamando una serie di precedenti pronunce, e dopo aver precisato che la riapertura del fallimento non determina un nuovo procedimento ma solo la prosecuzione del precedente, ritiene non corretta la decisione impugnata, non essendo possibile, nella fase successiva alla riapertura, modificare lo stato passivo già formatosi includendo nuovi e diversi crediti. Riapertura del fallimento continuità o rottura? Secondo un orientamento giurisprudenziale consolidato e richiamato dalla pronuncia in commento, la riapertura del fallimento conseguente alla risoluzione del concordato fallimentare produce la reviviscenza dell'originario procedimento concorsuale e non un nuovo, autonomo procedimento ciò determina, tra le altre conseguenze, l’impossibilità di modificare lo stato passivo già formatosi ed inserire eventuali crediti maturati in pendenza dell’esecuzione del concordato fallimentare. Riapertura fallimento e trasferimento sede. Il principio sopra descritto ha trovato applicazione, in un precedente della Cassazione a Sezioni Unite, relativamente al trasferimento della sede sociale. Si è infatti osservato, al riguardo, che in caso di riapertura del fallimento di una società che abbia trasferito la sede legale all'estero dopo la chiusura della precedente procedura concorsuale, sussiste comunque la giurisdizione del giudice italiano, in quanto la riapertura non equivale ad una nuova dichiarazione di fallimento ma, al contrario, determina la reviviscenza dell'originario procedimento concorsuale ciò si desume, da un lato, dall'uso del termine riapertura e, dall’altro, dalla non necessità di riesaminare i requisiti soggettivi ed oggettivi di accesso alla procedura, a nulla rilevando, ai fini della continuità ed unicità del procedimento chiuso e successivamente riaperto, che possano essere ammessi a partecipare anche creditori divenuti tali dopo la precedente chiusura e che gli atti compiuti medio tempore dall'imprenditore possano essere revocati. Riapertura del fallimento e precedente attività. Se, come visto sopra, il fallimento riaperto non può essere considerato un procedimento nuovo e diverso tout court rispetto al precedente, deve precisarsi che il nesso di continuità consiste nel fatto che tutte le acquisizioni derivanti dal fallimento precedentemente chiuso assumono la rilevanza di accertamenti non più discutibili. Riapertura del fallimento e compenso del curatore. La riapertura del fallimento conseguente alla risoluzione del concordato fallimentare produce la reviviscenza dell'originario procedimento concorsuale e non un nuovo, autonomo procedimento con la conseguenza che il compenso del curatore, richiamato in ufficio è unico e riferito alla unitaria procedura.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 4 luglio – 13 settembre 2017, numero 21219 Presidente Didone – Relatore Dolmetta Fatti di causa I Fallimenti della s.numero c. omissis e dei soci illimitatamente responsabili M.G., M.F. e M.C. ricorrono per cassazione nei confronti di G.A. , svolgendo due motivi avverso il decreto emesso dal Tribunale di Taranto il 27 ottobre 2012, in via di accoglimento dell’opposizione proposta contro l’esclusione dallo stato passivo stabilita dal giudice delegato. Ad avviso di quest’ultimo, il credito di G.A. andava escluso in quanto derivato da un incarico affidatogli da M.C. eF. nella pendenza del loro personale fallimento. A nulla valeva in proposito - proseguiva il giudice delegato - la circostanza che successivamente il fallimento di tali soggetti fosse stato chiuso, perché il concordato fallimentare, che vi aveva posto fine, era poi stato risolto per inadempimento del terzo assuntore e, di conseguenza, il fallimento riaperto ai sensi dell’art. 137 comma 4 legge fall. Secondo il giudizio del Tribunale, per contro, l’avvenuta chiusura dell’originario fallimento faceva sì che la posizione di G.A. fosse comunque da annoverare nell’ambito dei nuovi creditori , abilitati quindi a partecipare al concorso di cui alla riapertura in ragione della norma dell’art. 122 legge fall. Così ritenendo che non sia da ravvisare alcuna differenza tra la posizione del credito sorto per attività del fallito durante lo svolgimento della procedura originaria e quella del credito sorto invece nel periodo intercorrente tra la chiusura e la riapertura della procedura medesima. Rilevando altresì che trattavasi di credito da incarico professionale conferito in funzione della chiusura di tutti i fallimenti coinvolti nell’impresa omissis , il Tribunale ha pure ritenuto di disporre la detta ammissione al passivo sia nel riaperto fallimento sociale, che in quelli individuali dei singoli soci illimitatamente responsabili . Nei confronti del ricorso presentato dai Fallimenti resiste G.A. , che ha depositato un apposito controricorso. I Fallimenti ricorrenti hanno pure depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ. Ragioni della decisione 1.- I motivi di ricorso formulati dai Fallimenti denunziano i vizi qui di seguito richiamati. Il primo motivo censura, in segnata specie, violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 comma 1 numero 3 cod. proc. civ., dell’art. 44 legge fall. con riferimento all’art. 42, 43, 120, 121, 122, 123, 140 legge fall. . Il secondo motivo a sua volta lamenta violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 comma 1 numero 3 cod. proc. civ., dell’art. 148 legge fall. . 2.- Nell’assumere che il decreto del Tribunale tarantino abbia violato la norma dell’art. 44 legge fall. - per cui gli atti compiuti dal fallito dopo la dichiarazione di fallimento restano inefficaci rispetto ai creditori -, il primo motivo essenzialmente svolge il percorso argomentativo che segue. La riapertura del fallimento, come si desume da una serie di indici normativi, non implica un nuovo fallimento, ma la riviviscenza di quello originario il procedimento fallimentare resta senza soluzione di continuità unitario . Questo sistema di ricongiungimento del fallimento riaperto alla originaria procedura concorsuale configgerebbe con i principi che lo sorreggono - si rileva altresì, in via di conseguenza - se, nel caso di riapertura, gli atti e i pagamenti compiuti dal fallito in costanza e prima della chiusura del fallimento restassero insensibili alla sanzione di inefficacia di cui all’art. 44 legge fall. . Il motivo merita accoglimento, secondo i termini che si vengono ad illustrare. 3.- È orientamento risalente di questa Corte, quanto pure costante, che la riapertura del fallimento - così come considerata negli artt. 121 ss., 137 comma 4, 138 comma 2, 139 s. legge fallimentare costituisca un fenomeno di reviviscenza, ovvero di prosecuzione nel segno dell’unitarietà, della procedura originaria che dapprima viene chiusa e poi, per l’appunto, riaperta . Si vedano in questa prospettiva già ma non mancano arresti ancor più lontani Cass., 22 novembre 1974, numero 3769, sull’immodificabilità delle statuizioni sull’ammissione dei crediti al passivo, intervenute prima della chiusura del fallimento Cass., 19 ottobre 2006, numero 22380, a proposito della liquidazione dell’unitario compenso al curatore dell’originaria e della riaperta procedura Cass., 5 aprile 2013, numero 8427, sulla non applicazione delle norme con il d.lgs. numero 169/2007 alla procedura di riapertura di un fallimento svoltosi sotto il precedente regime. La tesi della prosecuzione pure si giova, del resto, dell’avallo di una pronuncia delle Sezione Unite di questa Corte. Si veda, così, la sentenza, 2 novembre 2007, numero 23032, a proposito dell’irrilevanza del trasferimento all’estero della sede della società - avvenuta prima della riapertura, ma dopo la chiusura della procedura originaria - per il punto della determinazione della giurisdizione italiana. 4.- Nel corso del tempo, in ambito dottrinale - e pure nel contesto della giurisprudenza di merito - si sono venute a sviluppare, tra le altre, opinioni intese a considerare il fenomeno della riapertura in termini di procedura autonoma e nuova e anche delle tesi che ne hanno affermato il carattere composito e misto tesi, queste ultime, rimaste peraltro a un livello di sostanza non più che descrittiva . Tuttavia, il tradizionale orientamento seguito da questa Corte rimane tuttora persuasivo. A sorreggere lo stesso, in effetti, tra gli altri elementi stanno dati di peculiare rilievo e importanza. Come è quello, in particolare, per cui la riapertura prescinde proprio dall’accertamento della attuale sussistenza dei presupposti del fallimento come rilevava antica dottrina, basta pensare che il fallito può non avere esercitato più il commercio dopo la chiusura per rendere difficilmente configurabile un nuovo fallimento , senza che in proposito assuma rilievo alcuno la dimensione temporale stabilita dalla norma dell’art. 10 legge fall. Con specifico riferimento alla riapertura derivata da inadempimento del concordato fallimentare, secondo il caso che qui viene concretamente in interesse, è poi da segnalare, su un piano più strettamente disciplinare, la regolamentazione delle azioni revocatorie dettata dall’art. 140, comma 2, legge fall. in punto di riproposizione di azioni interrotte per la chiusura una simile regolamentazione si manifesta oggettivamente incompatibile con una ricostruzione della riapertura in termini diversi da quelli della semplice prosecuzione. Non si può dimenticare, del resto, che - nel caso di risoluzione del concordato - la riapertura discende direttamente da vicende interne alla procedura originaria in precedenza dispiegata, tale evidentemente risultando l’assunzione di obblighi poi rimasti per l’appunto inadempiuti contrassegnati dallo scopo specifico di addivenire proprio alla chiusura della procedura medesima. 5.- Alla constatazione che la riapertura del fallimento integra una semplice prosecuzione una riviviscenza della procedura originaria segue direttamente, tra l’altro, che il debito assunto dal fallito in costanza della fase iniziale del suo fallimento rimane inefficace rispetto ai creditori anche nella fase successiva. L’applicazione della norma dell’art. 44 legge fall. a questo tipo di fattispecie risulta, in buona sostanza, di taglio diretto e immediato. Né certo può dirsi di ostacolo a tale conclusione il fatto che la norma dell’art. 122 legge fall. faccia intendere che al concorso della riapertura partecipano anche i nuovi creditori , come pur sostiene il decreto impugnato, che discorre di completa rinnovazione della massa passiva. Il detto riferimento normativo va, all’evidenza, ai soli crediti sorti per l’attività del debitore che risulta successiva alla chiusura del suo fallimento, come pure anteriore alla riapertura del medesimo senza che nella vicenda risulti in qualche modo coinvolta anche l’attività da questi svolta in pendenza della fase iniziale del suo fallimento. 6.- Ad avviso del Tribunale di Taranto, la soluzione disciplinare qui rappresentata e accolta creerebbe un’ingiustificata disparità di trattamento tra i crediti per attività del fallito in pendenza della procedura iniziale e i crediti sorti dopo la chiusura che, non si comprende bene la ragione, dovrebbero essergli preferiti . L’assunto non può essere condiviso. E ciò, se non altro, per due dirimenti ragioni, che si pongono tra loro in termini di sostanziale complementarietà. La prima è che pareggiare i creditori posteriori alla chiusura a quelli anteriori significherebbe rendere retroattiva la sentenza dichiarativa della riapertura si vanificherebbe completamente, cioè, il pur sussistente intervallo tra la fase originaria e quella successiva della procedura con connesso grave pregiudizio dei commerci . La seconda è che, nel periodo interno a detto intervallo, il debitore mantiene l’amministrazione e disponibilità del proprio patrimonio, laddove nella pendenza della procedura nella fase originaria, non meno che in quella successiva la stessa non gli compete, per legge essendo la stessa deferita al curatore art. 42 legge fall. . 7.- Il secondo motivo di ricorso rimane assorbito dall’accoglimento del primo. 8.- In conclusione, va accolto il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, con conseguente cassazione del decreto impugnato e rinvio della controversia al Tribunale di Taranto che, in diversa composizione, provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo, assorbito il secondo cassa l’impugnato decreto e rinvia la controversia al Tribunale di Taranto che, in diversa composizione, deciderà anche sulle spese del giudizio.