Per la compensazione dei crediti è sufficiente che i requisiti sussistano al momento della pronuncia

La compensazione nel fallimento è ammessa anche quando il controcredito del fallito divenga liquido od esigibile dopo il fallimento, purché il fatto genetico dell’obbligazione sia anteriore alla dichiarazione di fallimento.

È quanto deciso dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 21784/15, depositata il 27 ottobre. Il caso. La curatela del fallimento di una s.n.c. agiva in giudizio per ottenere il risarcimento dei danni causati dal convenuto esercitando l’usura, secondo quanto accertato in un giudicato penale. Il Tribunale condannava il convenuto al risarcimento del danno. Interposto appello avverso tale decisione, la Corte d’appello accoglieva il gravame, disponendo la compensazione fra il credito dell’appellato fallimento e quello vantato dall’appellante ex art. 56 l. fall Il fallimento ricorre per cassazione avverso tale pronuncia. Secondo parte ricorrente, infatti, contrariamente a quanto avvenuto nel caso di specie – in cui il fallimento della curatela era stato dichiarato nel 1985, mentre i crediti dell’originario convenuto erano stati accertati giudizialmente nel 1990 -, affinché la compensazione sia opponibile alla massa, è necessario che i crediti contrapposti alla stessa siano preesistenti al fallimento, prevedendo la legge che le condizioni per la compensabilità devono essersi verificate prima della dichiarazione di fallimento. È sufficiente che i requisiti per la compensazione ricorrano al momento della pronuncia. Sul punto, gli Ermellini hanno chiarito che in tema di compensazione, nel caso in cui alla domanda della curatela di un fallimento per la riscossione di un credito sia contrapposta domanda riconvenzionale riguardante un controcredito, il giudice di merito, accertati gli stessi, è tenuto a dichiarare la compensazione, ove richiesta, dei reciproci debiti e sino alla loro concorrenza. Un simile conclusione discende dall’applicazione dell’art. 56 l. fall., la cui ratio è di evitare che il debitore del fallimento, che abbia corrisposto il debito di questo, sia poi esposto al rischio di realizzare a sua volta un proprio credito in moneta fallimentare, dal rispetto della regola corrispondenza tra chiesto e pronunciato e dal fatto che la compensazione si configura come conseguenza della pronuncia sulla domanda riconvenzionale per contro, non potrà pronunciarsi sentenza di condanna del fallimento al pagamento del debito nella misura corrispondente all’eventuale eccedenza del credito verso il fallito, perché ciò dovrà eventualmente essere oggetto di autonomo procedimento di insinuazione al passivo del fallimento. In altri termini, specificano ulteriormente da Piazza Cavour, la compensazione nel fallimento è ammessa anche quando il controcredito del fallito divenga liquido od esigibile dopo il fallimento, purché il fatto genetico dell’obbligazione sia anteriore alla dichiarazione di fallimento ne deriva che è sufficiente che i requisiti di cui all’art. 1243 c.c. Compensazione legale e giudiziale ricorrano da ambedue i lati e sussistano al momento della pronuncia. Il fatto che le sentenza di accertamento del controcredito siano intervenute successivamente alla dichiarazione del fallimento, quindi, per la Corte di nomofilachia deve ritenersi irrilevante. Per le ragioni sopra illustrate, dunque, la Corte ha respinto il motivo di ricorso esaminato.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 24 giugno – 27 ottobre 2015, n. 21784 Presidente Berruti – Relatore D’Amico Svolgimento del processo La Curatela del Fallimento Elettromeccanica M. & amp C. s.n.c. convenne in giudizio C.L. per ottenere il risarcimento dei danni da quest'ultimo causati esercitando l'usura, secondo quanto accertato in un giudicato penale. Il C. chiese il rigetto della domanda. Il Tribunale, con sentenza del 15 agosto 2005, condannò il convenuto a pagare alla Curatela attrice la somma di Euro 125.887,76. Il C. chiese la riforma della detta sentenza, eccependo la compensazione con altri controcrediti ex art. 56 della legge fallimentare. Resistette il fallimento appellato il quale chiese il rigetto dell'appello. La Corte d'appello ha accolto il gravame e, in riforma della impugnata sentenza, ha disposto la compensazione fra il credito dell'appellato Fallimento Elettromeccanica M. , pari ad Euro 125.887,76 e quello dell'appellante C.L. , pari a Euro 219.765,46 con declaratoria del residuo credito dell'appellante C. , pari ad Euro 93.877,70. Propone ricorso per cassazione il Fallimento Elettromeccanica M.P. & amp C. s.n.c. con due motivi. Resiste con controricorso C.L. che propone ricorso incidentale. Motivi della decisione I ricorsi sono riuniti ai sensi dell'art. 335 c.p.c. Con il primo motivo parte ricorrente denuncia violazione di legge - violazione e falsa applicazione dell'art. 345 c.p.c. - Si chiede l'annullamento della sentenza impugnata per omessa declaratoria di inammissibilità delle domande nuove proposte nei confronti del fallimento M. s.n.c. - art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.”. Sostiene la ricorrente Curatela che il C. , in primo grado, ha concluso chiedendo al Tribunale di rigettare la domanda attrice perché infondata in fatto e in diritto. Nel successivo atto di appello il medesimo C. ha chiesto la riforma della sentenza del Tribunale eccependo la compensazione con altri controcrediti ex art. 56 L.F La ricorrente Curatela, con la comparsa di risposta, ha eccepito l'inammissibilità della nuova domanda di compensazione. A suo avviso l'impugnata sentenza ha errato nell'accogliere il gravame e disporre la compensazione in violazione dell'art. 345 c.p.c. Il motivo è infondato. Correttamente l'impugnata sentenza ha applicato il principio di diritto affermato da questa Corte secondo il quale, per la disposizione dell'art. 345 c.p.c., nella formulazione anteriore alla novella del 1990, ancora valevole per le controversie pendenti, come nel caso in esame, alla data del 30 aprile 1995, era possibile sia proporre nuove eccezioni che chiedere l'ammissione di nuovi mezzi di prova. L'eccezione di compensazione, essendo diretta, quale semplice mezzo di difesa, a paralizzare in tutto o in parte la pretesa, poteva essere proposta per la prima volta in grado d'appello nella precedente formulazione dell'art. 345 c.p.c Con il secondo motivo parte ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 56 L.F. e 1243 del codice civile - omessa pronuncia - motivazione insufficiente e contraddittoria - art. 360, comma uno n. 3 e 5 c.p.c ” Ad avviso della ricorrente, affinché la compensazione sia opponibile alla massa, è necessario che i crediti contrapposti alla stessa siano preesistenti al fallimento, dal momento che le condizioni previste dalla legge per la compensabilità devono essersi verificate prima della dichiarazione di fallimento. Il fallimento della s.n.c. M. è stato dichiarato dal Tribunale di Taranto in data 19 aprile 1985, mentre i crediti del C. nei confronti della M. sono stati riconosciuti con sentenze successive alla suddetta data Tribunale di Taranto 11 ottobre 1990 Tribunale di Taranto 3 settembre 1993 crediti rinvenienti dalle revocatorie . Sempre ad avviso della ricorrente l'impugnata sentenza erra laddove afferma che i crediti erano preesistenti alla dichiarazione del fallimento. Il motivo è infondato. In tema di compensazione, nel caso in cui alla domanda della curatela di un fallimento per la riscossione di un credito sia contrapposta domanda riconvenzionale riguardante un controcredito, il giudice di merito, accertati gli stessi, è tenuto a dichiarare la compensazione, ove richiesta, dei reciproci debiti e sino alla loro concorrenza. Tale conclusione deriva dall'applicazione dell'art. 56 del r.d. 16 marzo 1942 n. 267 cosiddetta legge fallimentare , la cui ratio è di evitare che il debitore del fallimento, che bene abbia corrisposto il credito di questo, sia poi esposto al rischio di realizzare a sua volta un proprio credito in moneta fallimentare, dal rispetto della regola della corrispondenza tra chiesto e pronunciato art. 112 c.p.c. , dal fatto che la compensazione si configura come conseguenza della pronuncia sulla domanda riconvenzionale. Per contro, non potrà pronunziarsi sentenza di condanna del fallimento al pagamento del debito nella misura corrispondente all'eventuale eccedenza del credito verso il fallito, perché questa deve essere oggetto di autonomo procedimento di insinuazione al passivo del fallimento Cass., 13 gennaio 2009, n. 481 . In altri termini, la compensazione nel fallimento è ammessa anche quando il controcredito del fallito divenga liquido od esigibile dopo il fallimento, purché il fatto genetico dell'obbligazione sia anteriore alla dichiarazione di fallimento, con la conseguenza che è sufficiente che i requisiti di cui all'art. 1243 c.c. ricorrano da ambedue i lati e sussistano al momento della pronuncia Cass., 31 agosto 2010, n. 18915 . Il fatto che le sentenze di accertamento del controcredito siano intervenute successivamente alla dichiarazione del fallimento è da ritenersi del tutto irrilevante. Nel caso in esame la ricorrente prospetta più che una violazione di legge, un vizio argomentativo della decisione, sollecitando in questa sede il riesame del materiale probatorio al fine di farne discendere una conclusione diversa da quella alla quale è pervenuto il giudice di merito. Tale indagine non rientra nelle attribuzioni del giudice di legittimità che non ha il potere di rivedere il merito dell'intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logica e formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito. Stabilire se il credito del C. era preesistente o no al fallimento involge una quaestio facti. Con il ricorso incidentale C. denuncia violazione di legge art. 112 c.p.c. corrispondenza fra chiesto e pronunciato omessa ed insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio prospettato dall'appellante ex art. 360, co. 1 n. 5 . Sostiene il C. che la Corte d'appello, ha giudicato ultra petita per aver esteso la domanda di condanna ai danni provocati da usura anche al trasferimento di un terreno con sovrastante capannone c.d. affare Smoter . Per il ricorrente, contrariamente a quanto affermato nella sentenza impugnata, in sede penale non fu dimostrato che l'affare Smoter era intervenuto fra le persone fisiche del C. e del M. , i quali, invece, erano rispettivamente il primo amministratore unico, legale rappresentante della Smoter s.r.l. e il secondo amministratore e legale rappresentante della Elettromeccanica M.P. & amp C., s.n.c. Il motivo è infondato. Non sussiste ultrapetizione perché la sentenza impugnata ha fatto proprio l'accertamento effettuato in sede penale che il C. , approfittando della speranza del M. di costituire con lui una società che valesse a sollevarlo da una situazione finanziaria estremamente precaria acquisì dei beni del valore di 130/140 milioni di lire con l'esborso di una somma non superiore a L. 20.000.000, il che trovò conferma nelle dichiarazioni dello stesso C. . Ed ha arricchito con un proprio accertamento di fatto ritenendo che la censura del ricorrente è generica, tenuto conto che l'affare Smoter fu dimostrato in sede penale, essere intervenuto tra le persone fisiche del C. e del M. e che il valore come sopra enucleato ha tratto origine dalla perizia svolta dal dr. P. . Il ricorrente tenta di effettuare una ricostruzione del fatto diversa da quella effettuata dalla Corte d'appello. In conclusione, riuniti i ricorsi, devono essere rigettati sia il ricorso principale, sia l'incidentale, con compensazione delle spese del giudizio di cassazione in ragione della reciproca soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta i ricorsi riuniti e compensa le spese del giudizio di cassazione.