Anche gli assegni contraffatti possono essere qualificati come titoli di credito

L’avvenuta redazione dei titoli posti all’incasso su moduli illecitamente sottratti e abusivamente riempiti non esclude la possibilità di qualificarli come assegni, ove gli stessi siano provvisti dei requisiti formali prescritti dall’art. 1 R.D. n. 1669/1933, la cui falsità è irrilevante per l’esistenza del titolo di credito in quanto tale, risultando a tal fine sufficiente la mera apparenza della loro genuinità o veridicità.

Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 20108 del 7 ottobre 2015. Il caso. Poste Italiane conveniva in giudizio una cassa di risparmio per la restituzione di una somma pagata a mani di un suo funzionario che aveva presentato due assegni postali non trasferibili, risultati poi contraffatti. Sia in primo che in secondo grado la domanda veniva respinta. La corte d’appello fondava la propria decisione nella carenza di legittimazione passiva della convenuta in ordine alla ripetizione dell’indebito. Avverso detta pronuncia ricorre per cassazione Poste Italiane. La società ricorrente si duole per non aver colto la corte territoriale che la cassa di risparmio aveva direttamente negoziato gli assegni presso l’ufficio postale, attraverso un proprio impiegato che aveva apposto sui titoli la dicitura per quietanza e a garanzia . Queste circostanze, secondo la prospettiva difensiva, non avrebbero dovuto far escludere la legittimazione della cassa, in qualità di mandataria della cliente, attesa, altresì, l’impossibilità giuridica di qualificare come titoli degli assegni contraffatti. Peraltro, dalla posizione di girataria per l’incasso, doveva dedursi l’esistenza di una girata piena in ragione dell’avvenuta riscossione dei titoli direttamente presso lo sportello postale. Tra girata per l'incasso e conferimento del mandato. La Corte di Cassazione rigetta il ricorso. Gli Ermellini, innanzi tutto, spiegano che la questione non verte tanto sulla legitimatio ad causam , quanto sulla titolarità passiva della pretesa azionata in giudizio. Tanto premesso, ritengono di non poter accogliere la tesi di Poste Italiane perché la contraffazione di un assegno non è ostativa a qualificare lo stesso quale titolo di credito. Ciò che conta è l’apparenza formale di genuinità o veridicità del titolo, purché conforme a quanto stabilito dall’art. 1 R.D. n. 1669/1933. Da ciò consegue l’applicazione dell’art. 26 R.D. n. 1669/1933 che, come noto, ricollega alla girata per l’incasso il conferimento di un mandato. È in questa ipotesi che il giratario è legittimato all’esercizio dei diritti inerenti all’assegno, senza però acquistarne la titolarità, con impossibilità di individuare nello stesso l’ obbligato alla ripetizione della somma riscossa. Inoltre, è del tutto irrilevante che il titolo sia stato riscosso senza presentazione in stanza di compensazione ed accreditamento diretto dell’importo facciale sul conto corrente della società prenditrice. Questo perché si tratta di un adempimento alternativo la cui equipollenza è stabilita direttamente dall’art. 34 del citato R.D. e ciò esclude in radice la possibilità di modificare la posizione del giratario per l’incasso. In concreto. Sempre secondo gli Ermellini, dal punto di vista operativo la strategia difensiva non ha colto nel segno. Giacché, in un tale scenario, la domanda andava formulata in termini risarcitori e non già quale ripetizione di indebito ex art. 2033 c.c Occorre rilevare, infatti, che sulla banca girataria di un assegno munito di clausola di non trasferibilità incombe pur sempre un obbligo professionale di protezione nei confronti di tutti coloro che sono interessati al buon fine dell’operazione. Nella fattispecie in commento però nessuna deduzione è stata operata da Poste Italiane a tal riguardo es. negligenza dei funzionari nel non aver rilevato l’avvenuta contraffazione dei titoli dolo degli stessi per aver collaborato con i responsabili dell’illecito .

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 7 luglio – 7 ottobre 2015, n. 20108 Presidente Forte – Relatore Mercolino Svolgimento del processo 1. - La Poste Italiane S.p.a. convenne in giudizio la Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza S.p.a., per sentirla condannare alla restituzione dell'importo di Lire 142.080.000, pagato a mani di un funzionario della convenuta, a fronte della presentazione di due assegni postali non trasferibili apparentemente tratti in favore della Azimut S.r.l. sul conto corrente intestato al Comando Regione Militare Meridionale, Reparto Comando Amministrativo, e risultati successivamente contraffatti. 1.1. - Con sentenza del 18 febbraio 2005, il Tribunale di Crema dichiarò inammissibile la domanda per difetto di legittimazione della convenuta. 2. - L'impugnazione proposta dalla Poste Italiane è stata rigettata dalla Corte d'Appello di Brescia con sentenza del 28 gennaio 2008. A fondamento della decisione, la Corte ha ribadito la carenza di legittimazione della convenuta in ordine all'azione di ripetizione dell'indebito, osservando che la clausola valuta per l'incasso” apposta alla girata dell'assegno ne limitava gli effetti al conferimento di un mandato a riscuotere, in virtù del quale la Cassa era abilitata all'esercizio di tutti i diritti derivanti dal titolo, ma non ne risultava titolare, dovendo riversare al girante l'importo ricevuto. La predetta girata, pur implicando il compimento di tutti gli atti necessari per l'incasso, non equivaleva ad una cessione di credito, e non comportava quindi l'assunzione da parte della mandata-ria di alcun rischio in ordine all'esistenza ed all'esigibilità del credito. Ha aggiunto la Corte che, anche a voler accedere all'assunto dell'attrice, secondo cui i titoli presentati all'incasso non erano qualificabili come assegni, in quanto redatti su moduli rubati e riempiti abusivamente, avrebbe dovuto comunque escludersi la legittimazione della Cassa, il cui funzionario, nel presentare allo incasso i titoli, aveva agito nella veste di mandatario, in virtù di delega effettivamente e validamente conferitagli dalla Azimut, sul conto della quale era stato riversato immediatamente il relativo importo. La Corte ha ritenuto pertanto irrilevanti l'avvenuta contraffazione degli assegni e la sottoscrizione sugli stessi apposta per garanzia” dal predetto funzionario, osservando che la predetta clausola, oltre ad essere inidonea a mutare gli effetti della girata per l'incasso, imponeva alla Cassa di attestare l'identità tra il beneficiario ed il presentatore dei titoli, e rilevando che dall'istruttoria espletata era risultata l'immunità dei titoli da vizi e l'avvenuto rilascio di ampie assicurazioni da parte dell'ufficio postale. 3. - Avverso la predetta sentenza la Poste Italiane ha proposto ricorso per cassazione, articolato in tre motivi. La Cassa di Risparmio ha resistito con controricorso. Motivi della decisione 1. - Con il primo motivo d'impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell'art. 100 cod. proc. civ., degli artt. 2013 e 2049 cod. civ., dell'art. 185 cod. pen. e dell'art. 22 del regio decreto 14 dicembre 1933, n. 1669, nonché l'omessa ed insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, osservando che, nel dichiarare il difetto di legittimazione della convenuta, la sentenza impugnata non ha considerato che la Cassa non aveva sollevato alcuna eccezione al riguardo, ma aveva pienamente manifestato il proprio interesse a contraddire. Essa, infatti, non aveva richiesto il versamento dell'importo degli assegni sul conto corrente della cliente, ma li aveva direttamente negoziati presso l'ufficio postale, attraverso un proprio funzionario, il quale aveva apposto, dopo il timbro dell'Azimut, quello della Cassa, preceduto dalle locuzioni per quietanza ” e a garanzia ”. Nell'escludere la legittimazione della Cassa, in qualità di mandataria della cliente, la Corte d'Appello non ha poi tenuto conto della falsità degli assegni, redatti su moduli rubati e riempiti abusivamente, e della conseguente impossibilità di qualificarli come titoli, nonché di riconoscere un potere rappresentativo alla convenuta. Essa non ha considerato l'illiceità penale del fatto, che comportava una responsabilità per i danni, né il ruolo attivo svolto dalla Cassa ai fini della riscossione dei titoli, la cui contraffazione aveva impedito all'operatore postale di accorgersi della falsità, né infine la conoscenza del beneficiario da parte della convenuta, a conferma della quale il funzionario di quest'ultima aveva apposto sui titoli la clausola di garanzia. 2. - Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione dell'art. 2013 cod. civ., dell'art. 22 del regio decreto n. 1669 del 1933 e dell'art. 2 del decreto-legge 3 maggio 1991, n. 143, convertito con modificazioni dalla legge 5 luglio 1991, n. 197, nonché l'omessa ed insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, sostenendo che, nell'attribuire alla Cassa la posizione del giratario per l'incasso, la Corte di merito non ha considerato che l'avvenuta riscossione dei titoli direttamente presso l'ufficio postale doveva intendersi come una girata piena, da cui derivava la responsabilità della girataria. In quanto avente ad oggetto assegni non trasferibili, la girata per l'incasso comportava inoltre la sostituzione della banca girataria a quella trattarla nell'obbligo di procedere all'identificazione del presentatore e l'assunzione da parte della prima del rischio professionale derivante dall'apertura del rapporto con il cliente beneficiario. 3. - Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione dell'art. 2033 cod. civ., nonché la carenza assoluta di motivazione, osservando che, nell'attribuire alla clausola per garanzia ” l'unico scopo di certificare l'identità del presentatore degli assegni, la sentenza impugnata non ha considerato che la stessa costituiva espressione della volontà d'inserirsi nella circolazione dei titoli, in quanto, oltre a non essere accompagnata dalla locuzione per conoscenza ”, era stata apposta dalla Cassa, incaricata della riscossione degli assegni. 4. - I predetti motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto aventi ad oggetto questioni strettamente connesse tra loro, sono in parte infondati, in parte inammissibili. È opportuno premettere che, nonostante il riferimento della sentenza di primo grado alla legittimazione passiva, la questione concernente l'individuazione del soggetto tenuto alla restituzione della somma pagata a seguito della presentazione degli assegni contraffatti non ha propriamente ad oggetto la legitimatio ad causam della convenuta, bensì la titolarità passiva della pretesa azionata in giudizio, la cui contestazione, attenendo non già alla sussistenza del potere di promuovere il giudizio o resistervi, ma ai requisiti di fondatezza della domanda, è assoggettata agli oneri deduttivi e probatori ordinariamente incombenti alle parti, con la conseguente operatività delle relative preclusioni, ove con la stessa s'introducano nuovi temi d'indagine cfr. tra le altre, Cass., Sez. II, 29 novembre 2013, n. 26859 Cass., Sez. III, 14 febbraio 2012, n. 2091 5 agosto 2010, n. 18207 . Tali oneri, nella specie, devono peraltro ritenersi tempestivamente adempiuti, avendo la convenuta sollevato la predetta questione fin dalla comparsa di costituzione in primo grado, nella quale ha individuato il soggetto passivo della pretesa restitutoria nella società prenditrice degli assegni, affermando di aver provveduto all'incasso dei titoli in qualità di delegata della stessa e di aver immediatamente versato la somma ricevuta sul suo conto corrente. 4.1. - Ciò posto, non merita consenso la tesi sostenuta dalla difesa della ricorrente, secondo cui l'avvenuta contraffazione degli assegni impedirebbe di qualificarli come titoli di credito, con la conseguente inapplicabilità della relativa disciplina, e segnatamente dell'art. 26 del regio decreto n. 1669 del 1933, che, ricollegando alla girata per l'incasso il conferimento di un semplice mandato, in virtù del quale il giratario è legittimato soltanto all'esercizio dei diritti inerenti all'assegno, senza acquistarne la titolarità, esclude la possibilità d'individuare nello stesso il soggetto obbligato alla restituzione della somma riscossa. L'avvenuta redazione dei titoli posti all'incasso su moduli illecitamente sottratti ed abusivamente riempiti non esclude infatti la possibilità di qualificarli come assegni, ove gli stessi siano provvisti dei requisiti formali prescritti dall'art. 1 del regio decreto n. 1669 del 1933, la cui falsità è irrilevante per l'esistenza del titolo di credito in quanto tale, risultando a tal fine sufficiente la mera apparenza della loro genuinità o veridicità. È altresì irrilevante, ai fini dell'applicabilità dell'art. 26 cit., la circostanza che la riscossione degli assegni abbia avuto luogo presso gli sportelli della società trattaria, mediante consegna materiale dei titoli da parte di un funzionario della Cassa di Risparmio contro il pagamento in contanti del relativo importo, successivamente versato sul conto corrente della società prenditrice, anziché mediante presentazione in stanza di compensazione ed accreditamento diretto del medesimo importo sul predetto conto corrente si tratta di modalità diverse di effettuazione del medesimo adempimento, la cui equivalenza, espressamente prevista dall'art. 34 del regio decreto n. 1669 cit., esclude la possibilità di ricollegare all'adozione dell'una piuttosto che dell'altra forma l'effetto di modificare la posizione del giratario per l'incasso la legittimazione di quest'ultimo all'esercizio di tutti i diritti inerenti all'assegno, in quanto attribuita nella veste di semplice mandatario, non gli consente infatti d'inserirsi nella circolazione del titolo in qualità di titolare, in tal senso deponendo la stessa lettera dell'art. 26, secondo cui egli può girare l'assegno soltanto per procura. 4.2. - È pur vero che, come affermato ripetutamente da questa Corte, la banca girataria per l'incasso di un assegno munito di clausola di non trasferibilità è soggetta ad un obbligo professionale di protezione, operante nei confronti di tutti i soggetti interessati al buon fine dell'operazione sottostante, il quale le impone di adoperarsi affinché il titolo stesso sia inserito nel circuito bancario in conformità delle regole che ne presidiano la circolazione e l'incasso, con la conseguenza che, qualora abbia consentito la riscossione del titolo in violazione delle regole specifiche poste dall'art. 43 del regio decreto n. 1669 del 1933, dev'essere ritenuta contrattualmente responsabile nei confronti di tutti i soggetti nel cui interesse quelle regole sono dettate e che per la violazione delle stesse abbiano subito un danno cfr. Cass., Sez. Un., 26 giugno 2007, n. 14712 Cass., Sez. Ili, 22 maggio 2015, n. 10534 30 marzo 2010, n. 7618 . Nella specie, tuttavia, la società ricorrente, pur avendo allegato nell'atto di citazione in primo grado la condotta colposa o dolosa della Cassa di Risparmio, i cui funzionari avrebbero omesso di rilevare la contraffazione degli assegni o addirittura collaborato attivamente con i responsabili dell'illecito, non ha posto a fondamento della domanda la predetta responsabilità, ma si è limitata a chiedere, nelle conclusioni dell'atto, la dichiarazione d'insussistenza di ogni causa debendi del pagamento effettuato in favore della convenuta, con la conseguente condanna di quest'ultima alla restituzione della somma ricevuta ai sensi dell'art. 2033 cod. civ. in tal modo, essa ha proposto inequivocabilmente una domanda non già di risarcimento dei danni, in ordine alla quale avrebbe potuto riconoscersi la legittimazione passiva della Cassa di Risparmio, ma di ripetizione dell'indebito, rispetto alla quale può ritenersi legittimato esclusivamente il soggetto che, in qualità di girante per l'incasso, ha ricevuto il pagamento dell'assegno per il tramite della girataria. 4.3. - Quanto infine al significato da attribuirsi alla clausola per garanzia ”, apposta alla sottoscrizione del funzionario della Cassa di Risparmio al momento della riscossione degli assegni, la ricorrente, nel contestare l'interpretazione fornitane dalla Corte distrettuale, si limita ad insistere sulla possibilità di ravvisarvi una manifestazione dell'intento della convenuta d'inserirsi nella circolazione dei titoli, senza tuttavia essere in grado d'individuare le lacune argomentative o le carenze logiche del ragionamento seguito dalla sentenza impugnata in tal modo, essa dimostra di voler sollecitare, attraverso l'apparente deduzione dei vizi di violazione di legge e difetto di motivazione, una nuova lettura dell'atto, non consentita a questa Corte, alla quale non spetta il compito di riesaminare l'interpretazione fornita dal giudice di merito, ma solo quello di verificare l'eventuale violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale, nella specie neppure dedotta, e la coerenza logica delle argomentazioni svolte a sostegno della decisione cfr. ex plurimis , Cass., Sez. III, 10 febbraio 2015, n. 2465 Cass., Sez. lav., 9 ottobre 2012, n. 17168 Cass., Sez. 11,31 maggio 2010. n. 13242 . 5. - Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso, e condanna la Poste Italiane S.p.a. al pagamento delle spese processuali, che si liquidano in complessivi Euro 6.200,00, ivi compresi Euro 6.000,00 per onorario ed Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.