Risponde l’imprenditore anche se l’illecito concorrenziale è compiuto da un proprio dipendente

Ai fin della configurabilità della fattispecie di concorrenza sleale per interposta persona ex art. 2598 c.c., non si richiede un pactum sceleris tra l'imprenditore concorrente e il terzo, ma è necessario e sufficiente una relazione di interessi tra tali soggetti tale da far ritenere che il terzo, con la propria attività, abbia inteso realizzare proprio quegli interessi al cui soddisfacimento i rapporti erano funzionali, non essendo sufficiente la mera corrispondenza del fatto illecito di quest'ultimo all'interesse dell'imprenditore. In assenza di riferibilità, anche indiretta, della condotta del terzo all'imprenditore viene meno proprio il presupposto il rapporto di concorrenza tra le parti della fattispecie costitutiva degli atti di concorrenza sleale.

Con la sentenza n. 18691 del 22 settembre 2015, il Supremo Collegio ribadisce che l’illecito di cui all’art. 2598 c.c. può configurarsi anche qualora sia compiuto da un terzo non in diretta concorrenza con il danneggiato, purché risulti che il terzo si trovi in una particolare situazione di vicinanza con il soggetto avvantaggiato da tale condotta. Il caso. La sentenza in commento risolve la controversia azionata da una società che lamentava, tra l’altro, il compimento di attività di concorrenza sleale da parte della società convenuta, la cui denominazione sociale e l’oggetto venivano assunti quali eccessivamente affini a quelli della società attrice, nonché per aver svolto attività di storno di dipendenti. Parzialmente accolta in primo grado, la domanda viene invece rigettata in appello, con contestuale accoglimento della domanda riconvenzionale promossa dalla convenuta, sulla base di alcune testimonianze rese e che confermavano la sussistenza di frasi denigratorie imputabili ad un dipendente delle società attrice. Tale decisione viene sostanzialmente confermata anche in sede di legittimità, ad eccezione di un capo della sentenza in punto di risarcimento del danno, che però non va a modificare il principio di diritto espresso nella massima di cui sopra. Concorrenza sleale e rapporto di concorrenzialità come e perché. È pacificamente riconosciuto in giurisprudenza che la concorrenza sleale deve ritenersi fattispecie tipicamente riconducibile ai soggetti del mercato in concorrenza, non ravvisabile, pertanto, ove manchi il presupposto soggettivo del cosiddetto rapporto di concorrenzialità , senza che, tuttavia, la configurabilità dell'illecito concorrenziale sia da escludere quando l'atto lesivo venga compiuto da un soggetto il cosiddetto terzo interposto , il quale agisca per conto di un concorrente del danneggiato, o comunque in collegamento con lo stesso, dovendo, in tal caso, ritenersi il terzo responsabile in solido con l'imprenditore che si sia giovato della sua condotta. Concorrenza sleale e responsabilità del dipendente. Come visto nella sentenza in commento, la corte di appello ha ritenuto responsabile delle frasi denigratorie un dipendente della società attrice e, sulla base delle testimonianze rese nel giudizio, ha accolto la domanda riconvenzionale. Il principio espresso dalla Corte, al riguardo, attiene alla circostanza che, ai sensi dell’art. 2049 c.c., dei fatti del dipendente risponde sempre il datore di lavoro, come anche nel caso di specie in ordine all’attività denigratoria, riconducibile alla concorrenza sleale. In giurisprudenza, infatti, si afferma che la responsabilità della banca per fatto illecito – e la responsabilità ex art. 2598 c.c. è da ricondursi nell’alvo della responsabilità extracontrattuale - dei propri dipendenti scatta ogniqualvolta il fatto lesivo sia stato prodotto, o quanto meno agevolato, da un comportamento riconducibile all'attività lavorativa del dipendente, e quindi anche se questi abbia operato oltrepassando i limiti delle proprie mansioni o abbia agito all'insaputa del suo datore di lavoro, sempre che sia rimasto comunque nell'ambito dell'incarico affidatogli Concorrenza sleale e storno di dipendenti la fattispecie. Lo storno di dipendenti e collaboratori, quale illecito riconducibile all'interno del paradigma giuridico-normativo di cui all'art. 2598, n. 3, c.c., presuppone necessariamente, sotto il profilo oggettivo, che i dipendenti/collaboratori fuoriescano da una determinata impresa a seguito e per effetto di vis actractiva esercitata da altra impresa già esistente ed operante sul mercato, la quale, con modalità abusive, scorrette e, quindi, illecite, con il fine precipuo di danneggiare l'impresa concorrente, attiri a sé i dipendenti/collaboratori di quest'ultima, sottraendoli alle loro originarie mansioni ed incombenze, al fine di inserirli nella propria organizzazione produttiva. Concorrenza sleale e violazione di norme di diritto pubblico. Con riferimento all’attività di concorrenza sleale, si è precisato che i comportamenti lesivi di norme di diritto pubblico non necessariamente integrano, di per se stessi, atti di concorrenza sleale, ai sensi dell'art. 2598, n. 3, c.c. ciò in quanto l'obiettivo anticoncorrenziale può essere raggiunto anche attraverso comportamenti che, benché non siano previsti dalla legge, siano connotati dallo stesso disvalore di quelli espressamente regolati. In particolare, la violazione delle norme pubblicistiche è sufficiente ad integrare la fattispecie illecita quando essa è stata causa diretta della diminuzione dell'altrui avviamento ovvero quando essa, di per se stessa, anche senza un comportamento di mercato, abbia prodotto il vantaggio concorrenziale che non si sarebbe avuto se la norma fosse stata osservata. Concorrenza sleale e confusione tra imprenditori quale tutela per la ditta. Ai fini della tutela della ditta o della denominazione sociale accordata dagli artt. 2564 e 2567 c.c., quando si deduca il periodo di confusione per l'uso fattone da altro imprenditore, così come ai fini della tutela ex art. 2598, n. 1, c.c. quando tale uso integri altresì concorrenza sleale, è sufficiente che si verifichi una situazione potenzialmente pregiudizievole e cioè la virtuale possibilità di confusione tra le ditte e le denominazioni sociali di due imprenditori, ovvero la astratta idoneità del comportamento tenuto dalla ditta o società concorrente ad incidere negativamente sul profitto che l'imprenditore si propone di ottenere attraverso l'esercizio dell'impresa. Concorrenza sleale e denigrazione limite ed estensione. La concorrenza sleale di cui all'art. 2598 n. 2 cod. civ., consistente nel diffondere notizie ed apprezzamenti sull'attività altrui in modo idoneo a determinarne il discredito, richiede un'effettiva divulgazione della notizia ad una pluralità di persone, e non è, pertanto, configurabile nell'ipotesi di esternazioni occasionalmente rivolte a singoli interlocutori nell'ambito di separati e limitati colloqui. Nel caso di specie, peraltro, la Cassazione precisa dalle testimonianze rese nel giudizio si è accertato il carattere non occasionale della condotta e la portata espansiva di tali comunicazioni, rivolte a soggetti determinati ma idonee ad estendere i propri effetti ad una pluralità di persone.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 30 aprile – 22 settembre 2015, n. 18691 Presidente Rordorf – Relatore Mercolino Svolgimento del processo 1. — L'Italcoop Soc. coop. a r.l. convenne in giudizio la Special Coop Italia Soc. coop. a r.l., B.G. e R. , per sentirli condannare al risarcimento dei danni cagionati da atti di concorrenza sleale consistenti nella costituzione della società convenuta, avente denominazione assonante ed oggetto sociale affine a quello di essa attrice, nell'uso di segni distintivi simili, nello storno di soci lavoratori, nello sviamento di clientela, nell'artificiosa pratica di bassi prezzi e nella sottrazione di documentazione. Si costituirono i convenuti, e resistettero alla domanda, chiedendo in via riconvenzionale la condanna dell'attrice al risarcimento dei danni derivanti dalla diffusione di notizie false e denigratorie nei confronti della Special Coop e di B.G. . 1.1. — Con sentenza del 6 dicembre 2001, il Tribunale di Milano accolse parzialmente la domanda principale, ritenendo sussistente unicamente la concorrenza sleale per sviamento della clientela, ravvisarle nella diffusione di una lettera circolare sottoscritta dal B. , e condannando quest'ultimo e la Special Coop al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separato giudizio dichiarò invece inammissibile la domanda riconvenzionale proposta dai convenuti. 2. — L'impugnazione proposta dalla Special Coop e dai B. è stata parzialmente accolta dalla Corte d'Appello di Milano, che con sentenza non definitiva del 28 dicembre 2004 ha dichiarato ammissibile la domanda riconvenzionale, confermando nel resto la sentenza di primo grado, e con sentenza definitiva del 15 maggio 2007 ha ritenuto sussistente la concorrenza sleale anche a carico dell'Ital-coop, condannandola al risarcimento dei danni arrecati agli appellanti, da liquidarsi in separato giudizio. A fondamento della decisione, la Corte ha ritenuto che dalle deposizioni dei testimoni escussi emergesse effettivamente la diffusione di notizie false ed apprezzamenti idonei a determinare discredito nei confronti della Special Coop e del B. , attribuendone la paternità a G.D. , il quale, nell'incontestata qualità di fiduciario e mandatario della società appellata, in occasione della riconsegna dei libretti di lavoro a due dipendenti passate alla Special Coop, si era lasciato andare ad affermazioni diffamatorie nei confronti del B. , accusandolo di essere mafioso e di essere stato arrestato per aver sottratto denaro alla società tali affermazioni, volte a scoraggiare il trasferimento, erano state fatte in modo subdolo e tendenzioso e in un contesto tale da indurre nelle lavoratrici un giudizio fortemente negativo in ordine alla persona del B. ed alle loro prospettive di lavoro presso la nuova società. 3. — Avverso la predetta sentenza l'Italcoop propone ricorso per cassazione, articolato in tre motivi. Gl'intimati non hanno svolto attività difensiva. Motivi della decisione 1. — Con il primo motivo d'impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione o la falsa applicazione dell'art. 2598 cod. civ., nonché l'omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, osservando che la sentenza impugnata ha imputato alla società frasi denigratorie proferite da un suo socio lavoratore, senza accertare se esse fossero state pronunciate per conto della società ovvero in collegamento con la stessa. Premesso che la controversia traeva origine dal recesso del B. dall'Italcoop, a seguito della sua estromissione dalla gestione della filiale di XXX e dell'affidamento della stessa al G. , afferma che l'incarico conferito a quest'ultimo, limitato a tale aspetto operativo, non consentiva di ascrivere ad essa ricorrente le frasi da lui pronunciate, non essendo stata dimostrata la riconducibilità delle stesse alla volontà della società o la sussistenza di un nesso di occasionalità necessaria con le mansioni affidate al socio lavoratore. 1.1. — Il motivo è infondato. Com'è noto, il principio secondo cui la concorrenza sleale costituisce una fattispecie tipicamente riconducibile ai soggetti del mercato in concorrenza, pur escludendone la configurabilità in mancanza del presupposto oggettivo rappresentato dal cd. rapporto di concorrenzialità, non impedisce di ravvisare l'illecito in questione anche nel caso in cui l'atto lesivo del diritto del concorrente venga posto in essere da un soggetto cd. terzo interposto che, pur non essendo egli stesso in possesso dei necessari requisiti soggettivi, ovverosia della qualità di concorrente del danneggiato, si trovi con il soggetto avvantaggiato in una particolare relazione, tale da far ritenere che l'atto sia stato oggettivamente compiuto nell'interesse di quest'ultimo cfr. Cass., Sez. I, 6 giugno 2012, n. 9117 9 agosto 2007, n. 17459 8 settembre 2003, n. 13071 . Qualora poi, come nella specie, l'autore dell'illecito sia un dipendente dell'imprenditore che ne ha tratto vantaggio, quest'ultimo è tenuto a risponderne ai sensi dell'art. 2049 cod. civ., sulla base del mero rapporto intercorrente con il soggetto agente, anche se l'atto non sia causalmente riconducibile allo esercizio delle mansioni affidate a quest'ultimo, risultando sufficiente che tra le stesse e l'illecito sia configurabile un rapporto di occasionalità necessaria, nel senso che il dipendente abbia agito nell'ambito dell'incarico affidatogli, sia pur eccedendo i limiti delle proprie attribuzioni o all'insaputa del datore di lavoro cfr. Cass., Sez. III, 4 aprile 2013, n. 8210 12 marzo 2008, n. 6632 Cass., Sez. lav., 25 marzo 2013, n. 7403 . Alla stregua di tali principi, costantemente ribaditi dalla giurisprudenza di legittimità, non merita censura la sentenza impugnata, nella parte in cui, pur avendo accertato che le espressioni diffamatorie nei confronti del B. e denigratorie nei confronti della Special Coop erano ascrivibili al G. , ne ha addebitato la responsabilità all'Italcoop, in virtù del rapporto di dipendenza intercorrente tra quest'ultima ed il predetto soggetto, nonché della circostanza, concordemente riferita dai testi, che le medesime espressioni erano state pronunciate in occasione della chiusura dei rapporti di lavoro con altri dipendenti. L'affermazione della ricorrente, secondo cui il G. subentrò al B. nella gestione della filiale di XXX della Cooperativa, suona d'altronde come un'ulteriore conferma della circostanza, ritenuta pacifica dalla sentenza impugnata e desunta comunque anche dalle deposizioni dei testi, che l'autore dell'illecito agì in qualità di fiduciario o mandatario dell'Italcoop, alla quale pertanto la Corte di merito ha correttamente imputato gli effetti delle sue dichiarazioni. 2. — Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la violazione o la falsa applicazione dell'art. 2598 nn. 2 e 3 cod. civ., sostenendo che, nel qualificare come atti di concorrenza sleale le espressioni riferite dai testi, la Corte di merito non ha considerato che le stesse non riguardavano i prodotti o l'attività della Special Coop, ma vicende personali del B. , estranee all'attività prestata nell'ambito della Special Coop o al periodo in cui ne era socio, ed attinenti al rapporto intercorso con l'Italcoop esse, non essendo rivolte ai clienti ma a soci lavoratori già transitati nella Special Coop, non integravano una forma di divulgazione illecita, e non erano quindi idonee a provocare discredito, né potevano cagionare alcun danno all'impresa concorrente. 2.1. — Il motivo è infondato. Ai fini della configurabilità della concorrenza sleale per denigrazione, non è infatti necessario che le notizie e gli apprezzamenti diffusi tra il pubblico riguardino specificamente i prodotti dell'impresa concorrente, potendo gli stessi avere ad oggetto anche circostanze od opinioni inerenti più in generale all'attività di quest'ultima, e quindi anche alla sua organizzazione o al modo di agire dell'imprenditore nell'ambito professionale con esclusione, quindi, della sua sfera strettamente personale e privata , la cui conoscenza da parte dei terzi risulti comunque idonea a ripercuotersi negativamente sulla considerazione di cui l'impresa gode presso i consumatori. È pur vero che la lettera dell'art. 2598 n. 2 cod. civ., richiedendo la diffusione” delle notizie e degli apprezzamenti denigratori, fa riferimento ad un'effettiva propalazione di fatti e giudizi tra un numero indeterminato, o quanto meno tra una pluralità di persone, in tal modo escludendo, in linea di principio, la configurabilità della fattispecie in esame nell'ipotesi di esternazioni occasionalmente rivolte a singoli interlocutori nell'ambito di separati e limitati colloqui cfr. Cass., Sez. I, 8 marzo 2013, n. 5848 30 maggio 2007, n. 12681 . Nella specie, tuttavia, la potenzialità lesiva delle dichiarazioni denigratorie è stata affermata in virtù del loro contenuto fortemente diffamatorio e della loro destinazione ai dipendenti dell'Italcoop in procinto di trasferirsi presso la Special Coop, nonché della finalità dissuasiva della divulgazione, che. in quanto volta a scoraggiare l'assunzione di tali iniziative da parte dei lavoratori, è stata correttamente ritenuta sufficiente a dimostrare il carattere non occasionale della condotta e la portata espansiva della comunicazione, rivolta a soggetti determinati ma idonea ad estendere i propri effetti ad una pluralità di persone cfr. al riguardo, Cass., Sez. I, 29 luglio 1968, n. 2728 . 3. — Con il terzo ed ultimo motivo, la ricorrente lamenta la violazione o la falsa applicazione dell'art. 112 cod. proc. civ. e/o dell'art. 2598 cod. civ., rilevando che la condanna al risarcimento dei danni è stata pronunciata anche in favore di B.R. , sebbene la relativa domanda fosse stata proposta soltanto dalla Special Coop e da B.G. aggiunge che, nel riconoscere ai B. il predetto diritto, la Corte di merito non ha considerato che gli stessi non rivestivano la qualità di imprenditori, con la conseguente esclusione della configurabilità di un rapporto di concorrenza con essa ricorrente. 3.1. — Il motivo è parzialmente fondato. Come si evince dalle conclusioni rassegnate nel giudizio d'appello e riportate testualmente nell'epigrafe della sentenza impugnata, la domanda proposta in via riconvenzionale, pur trovando fondamento nell'asserita diffusione di notizie ed apprezzamenti idonei a screditare la Special Coop ed il suo presidente B.G. , aveva ad oggetto la condanna dell'attrice al risarcimento dei danni in favore di tutti i convenuti può quindi escludersi che, nel pronunciare la predetta condanna, la Corte territoriale sia incorsa in ultrapetizione, ravvisabile esclusivamente nel caso in cui il giudice di merito, interferendo nel potere dispositivo delle parti, abbia alterato gli elementi obiettivi dell'azione, sostituendo i fatti costitutivi della pretesa cd. causa petendi o emettendo un provvedimento diverso da quello richiesto c.d. petitum immediato , ovvero attribuendo o negando un bene della vita diverso da quello conteso c.d. petitum mediato cfr. ex plurimis , Cass., Sez. lav., 11 gennaio 2011, n. 455 Cass., Sez. III, 22 marzo 2007, n. 6945 Cass., Sez. II, 12 luglio 2005, n. 14552 . Mentre peraltro alla Special Coop doveva essere senz'altro riconosciuta la qualità di soggetto passivo dell'illecito concorrenziale, in quanto società commerciale esercente un'attività in concorrenza con quella dell'Italcoop, non poteva dirsi altrettanto per B.G. e R. , i quali, come è pacifico tra le parti, rivestono rispettivamente la carica di amministratore e la qualità di socio della società convenuta la fattispecie prevista dall'art. 2598 cod. civ., presupponendo innanzitutto la sussistenza di un rapporto di concorrenzialità tra soggetti che esercitino contemporaneamente un'attività industriale o commerciale in un ambito territoriale anche solo potenzialmente comune, non è infatti configurabile nell'ipotesi in cui, come accade nella specie, uno di essi non sia in possesso della qualifica di imprenditore, svolgendo la predetta attività non già in proprio, ma attraverso una società. Nei confronti di B.G. , che aveva costituito direttamente e personalmente oggetto delle dichiarazioni denigratorie, la mancanza della qualifica d'imprenditore non impediva tuttavia di affermare l'illiceità dell'attività posta in essere dal fiduciario dell'Italcoop, la cui portata diffamatoria, traducendosi nella lesione dell'onore e della reputazione dell'interessato, consentiva ugualmente il riconoscimento della responsabilità della società attrice, ai sensi degli artt. 2043 e 2049 cod. civ., indipendentemente dalla configurabilità dell'illecito concorrenziale. È solo nei confronti di B.R. , dunque, che il difetto della qualifica d'imprenditore impediva di ravvisare qualsiasi responsabilità a carico della società attrice, non essendo da un lato configurabile rispetto a quest'ultima il rapporto di concorrenzialità richiesto dall'art. 2598 cod. civ., e non potendo la convenuta essere considerata soggetto passivo del reato di cui all'art. 595 cod. pen., in quanto le dichiarazioni diffamatorie del G. si riferivano esclusivamente all'amministratore della Special Coop. 4. — La sentenza impugnata va pertanto cassata, nei limiti segnati dai motivi accolti, e, non risultando necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell'art. 384, ultimo comma, cod. proc. civ., con il rigetto della domanda di risarcimento dei danni proposta da B.R. . 5. — La mancata costituzione della Special Coop e di B.G. esclude la necessità di provvedere al regolamento delle spese del giudizio di legittimità nei rapporti tra gli stessi e la ricorrente. Nei rapporti tra quest'ultima e B.R. , la peculiarità delle questioni trattate induce invece a dichiarare integralmente compensate tra le parti le spese dei tre gradi di giudizio. P.Q.M. La Corte rigetta i primi due motivi di ricorso, accoglie parzialmente il terzo motivo, cassa la sentenza impugnata, e, decidendo nel merito, rigetta la domanda di risarcimento dei danni proposta da B.R. dichiara interamente compensate le spese dei tre gradi di giudizio tra l'Italcoop Soc. coop. a r.l. e B.R. .