La cessione di quote è immediatamente valida ed efficace dalla data di stipulazione

La cessione della quota sociale si perfeziona, secondo il principio consensualistico, alla data della stipulazione ed è pertanto immediatamente valida ed efficace tra le parti. La disciplina in tema di trasferimento di quote, di cui all’art. 2322 c.c., è opponibile soltanto alla società o ai suoi soci ne consegue che il consenso del socio accomandatario opera solo quale mera condizione di efficacia del trasferimento della quota del socio accomandante.

L’articolo 2322, comma 2, c.c., subordina l’efficacia del trasferimento della quota del socio accomandante al consenso dei soci che rappresentino la maggioranza del capitale sociale a differenza del trasferimento della quota dell’accomandatario che esige invece l’unanimità. Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 17255 depositata il 12 luglio 2013. Il caso . Con atto di citazione la una s.a.s. conveniva dinanzi al Tribunale di Ferrara gli eredi del socio socio accomandante nonché il fallimento di quest'ultimo per sentir accertare I'inefficacia nei propri confronti, della cessione della quota sociale, stipulata tra l’erede e la di lui madre, successivamente deceduta tale cessione si sarebbe conclusa, a dire di parte attrice, in violazione dell'articolo 11 dello statuto societario che prevedeva il requisito del consenso scritto del socio accomandatario. Il Tribunale di Ferrara rigettava le domande attoree e altrettanto faceva la Corte d'appello di Bologna. In particolare, la corte territoriale motivava - che nelle società di persone il consenso richiesto per il trasferimento della partecipazione sociale non incide sul perfezionamento e sulla validità del contratto traslativo ad effetti reali, operando quale mera Condicio Juris dell’opponibilità alla società. Inoltre, quand'anche reputato necessario il consenso al trasferimento della quota dell'accomandante poteva essere prestato anche dopo I'atto di vendita e, nella specie, restava efficace pur se espresso dopo la dichiarazione di fallimento del dante causa, tuttora in bonis e capace di agire alla data di stipulazione del negozio. La società ricorreva in Cassazione. Essenziale del consenso nelle società di persone. La società ricorrente denunzia la violazione dell’articolo 2322 c.c. sostenendo che nelle società di persone il consenso degli altri soci al trasferimento della quota è elemento essenziale del contratto di vendita. La corte di legittimità ritiene infondata la tesi di parte ricorrente e aderisce al consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui la cessione si perfeziona, secondo il principio consensualistico, alla data della stipulazione ed è pertanto immediatamente valida ed efficace tra le parti. In effetti, prosegue nel proprio ragionamento la Suprema Corte, la disciplina di cui al citato articolo 2322 c.c. è opponibile soltanto nei confronti della società o dei sui soci, sicchè il consenso del socio accomandatario opererebbe solo quale mera condizione di efficacia del trasferimento della quota del socio accomandante. In sostanza, è da escludere che il consenso degli altri soci sia condizione di validità della cessione della quota. Efficacia del trasferimento. Gli Ermellini chiariscono poi la portata dell’articolo 2322 c.c., precisando che l’efficacia del trasferimento della quota del socio accomandante è subordinata al consenso dei soci che rappresentino la maggioranza del capitale sociale a differenza invece del trasferimento della quota dell’accomandatario che esige l’unanimità. Efficacia del consenso del socio fallito . La società ricorrente afferma che il consenso degli altri soci alla cessione della quota non poteva intervenire dopo il fallimento del dante causa –in un momento in cui il socio era stato escluso dalla compagine sociale perché dichiarato fallito. Gli Ermellini esaminano la questione partendo dal presupposto incontestato che il fallimento del socio di una società di persone, comportando la sua esclusione di diritto dalla compagine sociale determina la perdita della capacità dispositiva della sua partecipazione sociale. Tuttavia, nel caso di specie, i giudici di legittimità ravvisano come il socio aveva ceduto la propria quota in data anteriore alla dichiarazione di fallimento quando ancora godeva del potere dispositivo, rimanendo irrilevante che il consenso degli altri soci sarebbe intervenuto in data successiva alla dichiarazione di fallimento del socio accomandante. Questo perché, come già stabilito dalle sezioni unite con sentenza del 4.12.1975, n. 4010, la natura di condicio juris e non di elemento essenziale del consenso scritto dell’atto traslativo ne importa, una volta intervenuto la retroattività degli effetti alla data dell’atto dispositivo.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 6 febbraio – 12 luglio 2013, n. 17255 Presidente Salmè – Relatore Cristiano Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato l'l-6 aprile 1999 la Fantoni Gianluca & amp C s.a.s. conveniva dinanzi al Tribunale di Ferrara i sigg. T.G. e F. , quali eredi di T.A. , già socio accomandante, nonché il fallimento di quest'ultimo, per sentir accertare l'inefficacia, nei propri confronti, della cessione della quota sociale, stipulata tra A T. e la di lui madre, signora O V. , successivamente deceduta cessione, conclusa in violazione dell'art. 11 dello statuto societario, che prevedeva il requisito del consenso scritto del socio accomandatario. Con il conseguente accertamento che i convenuti, eredi della signora V. , non rivestivano la qualità di soci. Costituendosi ritualmente, i convenuti eccepivano il consenso al trasferimento della partecipazione espresso con lettera dal socio accomandatario, sig. G F. , contenente il riconoscimento della qualità di socio della signora V. . Con sentenza 20 novembre 2002 il Tribunale di Ferrara rigettava le domande. Il successivo gravame era respinto dalla Corte d'appello di Bologna con sentenza 4 agosto 2005. La corte territoriale motivava - che nelle società di persone il consenso richiesto per il trasferimento della partecipazione sociale non incide sul perfezionamento e sulla validità del contratto traslativo ad effetti reali, operando quale mera condicio juris dell'opponibilità alla società - che, nella specie, l'art. 11 dello statuto, contrariamente a quanto sostenuto dalla società appellante, richiedeva il consenso scritto solo per l'alienazione della quota appartenente al socio accomandatario - che, in ogni caso, quand'anche reputato necessario, il consenso al trasferimento della quota dell’accomandante poteva essere prestato anche dopo l'atto di vendita e, nella specie, restava efficace pur se espresso dopo la dichiarazione di fallimento del dante causa, tuttora in bonis e capace di agire alla data di stipulazione del negozio. Avverso la sentenza, non notificata, la Fantoni Gianluca & amp C. s.a.s. proponeva ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi e notificato il 10 ottobre 2006. Resistevano con controricorso i sigg. T.F. , C.L. e Te.Fr. i due ultimi, quali eredi di T.G. , nonché, con separato controricorso, la curatela del fallimento di A T. . All'udienza del 6 febbraio 2013 il Procuratore generale ed il difensore dei sigg. T. precisavano le rispettive conclusioni come da verbale, in epigrafe riportate. Motivi della decisione Con il primo motivo la Fantoni Gianluca e C. s.a.s. denunzia la violazione e falsa applicazione dell'art. 2322 cod. civile. Assume che nelle società di persone il consenso degli altri soci al trasferimento della quota, implicando la modifica dell'atto costitutivo, è elemento essenziale del contratto di vendita e non mera condicio juris dell'opponibilità del negozio alla società. Il motivo è infondato. Secondo l'orientamento consolidato di questa Corte, cui il collegio intende aderire Cass., sez. 1, 31 luglio 2008 n. 20.893 Cass., sez. 1, 9 settembre 1997, n. 8784 Cass., sez. 1, 10 aprile 1979 n. 2055 , la cessione si perfeziona, in base al principio consensualistico, alla data della stipulazione ed è pertanto immediatamente valida ed efficace tra le parti mentre resta soggetta alla disciplina di cui all'art. 2322 cod. civile, ed eventualmente statutaria, ai soli fini dell'opponibilità all'ente e agli altri soci e cioè, in ordine ad aspetti successivi ed estrinseci alla fattispecie traslativa. Ne consegue che la corte territoriale ha correttamente ritenuto che il consenso dell'accomandatario F. operasse quale mera condizione di efficacia del trasferimento della quota dell'accomandante. Con il secondo motivo, relativo alla violazione degli articoli 2252, 2315, 2316 cod. civile, la ricorrente, premesso che l'art. 11 dello statuto societario, riportato erroneamente nella sentenza impugnata, prevedeva il consenso scritto dell'accomandatario al trasferimento della quota dell'accomandante, sostiene che nelle società di persone la modifica della compagine sociale incide sempre sugli elementi essenziali del contratto sociale e non può quindi intervenire senza il consenso unanime degli altri soci. Il motivo è inammissibile. A prescindere dal rilievo che la ricorrente ha chiesto la dichiarazione di inefficacia, e non di nullità della cessione di quota, resta che nel giudizio di merito è stato definitivamente accertato che il socio accomandatario prestò il proprio consenso scritto – e quindi, nel rispetto delle modalità statutarie - alla cessione della quota con lettera del 29 febbraio 1984 in cui comunicava all'acquirente, signora V. , che a far data dalla presente lei sarà ritenuta a tutti gli effetti soda di diritto . Al riguardo, occorre premettere, in sede dogmatica, che l'art. 2322, secondo comma, codice civile subordina l'efficacia del trasferimento della quota del socio accomandante al consenso dei soci che rappresentino la maggioranza del capitale a differenza del trasferimento della quota dell'accomandatario, che esige invece l'unanimità. La norma peraltro ha natura dispositiva Salvo diversa disposizione dell'atto costitutivo .11 . E la diversa disciplina può consistere sia in un divieto assoluto di trasferimento, sia nella trasferibilità senza limiti sia, infine, nella necessità del consenso dei soli accomandatari sempre, comunque, unicamente ai fini dell'opponibilità alla società, e non pure della validità ed efficacia inter partes . In proposito, la ricorrente lamenta che la clausola statutaria n. 11 sia stata inesattamente letta e riportata dalla corte territoriale che l'ha ritenuta riferibile alla sola cessione della quota dell'accomandatario ma non ne riproduce l'esatto testo, incorrendo pertanto nella violazione del requisito di autosufficienza. Occorre peraltro rilevare come ogni dubbio interpretativo in astratto prospettabile sia eliminato, in limine, dalla circostanza di fatto riferita dallo stesso ricorso pag. 7 che la Fantoni Gianluca e C. s.a.s. era formata da due soli soci, l'accomandatario F.G. e l'accomandante A T. cosicché non è dato ravvisare, neppure nell'ottica della tesi difensiva, quale ulteriore consenso, oltre quello espresso per iscritto dal F. , fosse necessario per consentire l'opponibilità alla società della cessione della quota del T. . Ed è perfino dubbio - anche se non ha formato oggetto della ratio decidendi , né di eccezione di parte - che il medesimo F. potesse esercitare, poi, uno jus poenitendi , in veste di amministratore di una società, priva di personalità giuridica, che al momento dell'assenso alla cessione della quota si identificava con la sua persona, avendo perso la plurisoggettività dopo il decesso del T. . Con il terzo motivo, denunziando violazione degli articoli 2252, 2315, 2316 cod. civile, la Fantoni Gianluca s.a.s. contesta che il consenso scritto potesse intervenire in data successiva alla stipulazione dell'atto di cessione. Allega che il trasferimento in questione avvenne per atto pubblico, la cui validità non poteva essere subordinata, in assenza di apposita menzione, ad una condizione futura ed incerta e deduce altresì che la natura del consenso, quale vero e proprio presupposto della validità della cessione, doveva necessariamente preesistere alla stipulazione, stante l'inammissibilità di una successiva integrazione dell'atto pubblico. Anche questo motivo è infondato. Si deve in primo luogo escludere, per le ragioni già esposte, che il consenso degli altri soci sia condizione di validità della cessione della quota e tanto basterebbe a condurre al rigetto la censura. È appena il caso di aggiungere, peraltro, che le argomentazioni addotte risultano prive di fondamento sotto ciascuno degli aspetti illustrati posto che anche nei contratti soggetti a formalismo ad substantiam quale non è la cessione di quota sociale , nulla impedisce che l'accordo possa formarsi in fasi successive. Con l'ultimo motivo, si denunzia la violazione degli articoli 2228, 1334, 1345 e 1421, sotto il profilo che il consenso degli altri soci alla cessione della quota non poteva intervenire dopo il fallimento del dante causa - ovvero in un momento in cui questi era già escluso, di diritto, dalla compagine sociale - in quanto in tal caso esso avrebbe integrato un contratto revocabile, stipulato in frode alla legge e dunque nullo. Anche questa doglianza è priva di pregio. Il fallimento del socio di una società di persone, comportando la sua esclusione di diritto dalla compagine sociale art. 2288 cod. civ. , determina la perdita della capacità dispositiva della sua partecipazione sociale. Ma se, come nella specie, il socio ha ceduto la quota quando ancora godeva del potere dispositivo pieno, in data anteriore alla dichiarazione di fallimento, resta irrilevante che il consenso degli altri soci, richiesto al solo fine dell'opponibilità alla società, intervenga dopo la sentenza di fallimento. La natura di condicio juris propria del consenso richiesto - e non di elemento essenziale dell'atto traslativo, che è immediatamente produttivo di effetti reali, sia pur limitato alle parti contraenti - ne importa, una volta intervenuto, la retroattività degli effetti alla data dell'atto dispositivo Cass., sezioni unite, 4 dicembre 1975 n. 4010 e quindi ad una data in cui l'accomandante, sig. T.A. , godeva ancora della propria capacità di agire in sede patrimoniale. Non pertinente si palesa, infine, il riferimento alla revocabilità della vendita della quota, in quanto stipulata in frode alla legge art. 1344 cod. civ. . A parte l'erronea configurazione del negozio revocabile - in sé perfettamente valido, pur se soggetto a pronuncia costitutiva di inefficacia nei confronti della massa - si osserva come non competa alla società partecipata di ingerirsi in eventuali conflitti tra la procedura concorsuale ed il cessionario spettando alla sola curatela la legittimazione ad esperire l'eventuale azione revocatola, nella ritenuta sussistenza dei presupposti. Il ricorso è dunque infondato e va respinto. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo, sulla base del valore della causa del numero complessità delle questioni trattate. P.Q.M. - Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di giudizio, liquidate in Euro 6200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre gli accessori di legge, in favore del fallimento di A T. ed in eguale misura, unitariamente, in favore di F T. e degli eredi di G T. .