Non è insolvente la società in liquidazione che può soddisfare unicamente i creditori sociali, anche in assenza di altre risorse finanziarie

Quando la società è in liquidazione, la valutazione del giudice, ai fini dell’applicazione dell’art. 5 l.fall., deve essere diretta unicamente ad accertare se gli elementi attivi del patrimonio sociale consentano di assicurare l’eguale ed integrale soddisfacimento dei creditori sociali, e ciò in quanto - non proponendosi l’impresa in liquidazione di restare sul mercato, ma avendo come esclusivo obiettivo quello di provvedere al soddisfacimento dei creditori sociali, previa realizzazione delle attività sociali, ed alla distribuzione dell’eventuale residuo tra i soci - non è più richiesto che essa disponga, come invece la società in piena attività, di credito e di risorse, e quindi di liquidità, necessari per soddisfare le obbligazioni contratte.

Con la sentenza n. 16752 del 4 luglio 2013, la Corte di Cassazione si sofferma sui presupposti dell’insolvenza di cui all’art. 5 della legge fallimentare, per precisarne la differenza nel caso di società in liquidazione rispetto alla differente ipotesi di società pienamente operativa. Il caso. La sentenza in commento ha origine da una sentenza di fallimento, poi revocata in sede di reclamo, relativa ad una società in liquidazione. In particolare, la Corte di Appello, in sede di reclamo, aveva disposto la revoca dal fallimento sulla base di alcune considerazioni – soprattutto, il rapporto tra attivo e passivo – che non tenevano in considerazione la peculiarità della situazione della società, ossia il fatto che la società fosse, appunto, in liquidazione e, quindi, funzionalmente destinata soltanto a soddisfare i creditori esistenti, senza necessità di avere a disposizione ulteriori capitali per investimenti o altra liquidità. Da ciò l’accoglimento della Cassazione al ricorso promosso dalla curatela, con rinvio alla Corte di Appello, in altra composizione, perché valuti la situazione della società in relazione al suo particolare stato di liquidazione e non di piena operatività. La nozione di insolvenza quale presupposto per il fallimento. La dichiarazione di fallimento, secondo la consolidata interpretazione offerta dalla giurisprudenza, trova il suo presupposto, dal punto di vista obiettivo, nello stato d’insolvenza del debitore, come disciplinato dall’art. 5 l.fall., il cui riscontro prescinde dall’indagine sull’effettiva esistenza dei crediti fatti valere nei confronti del debitore è infatti sufficiente, a tal fine, l’accertamento di uno stato d’impotenza economico-patrimoniale, idoneo a privare tale soggetto della possibilità di far fronte con mezzi normali” ai propri debiti. Manifestazione dello stato di insolvenza come e perché. Ai fini della dichiarazione di fallimento, lo stato di insolvenza deve essere manifesto, ossia deve aver comportato ritardi nei pagamenti delle obbligazioni assunte, lasciando di fatto libero l’imprenditore di gestire in via autonoma eventuali problemi finanziari che, comunque, non si ripercuotono all’esterno dell’impresa stessa. Solo nel momento in cui l’insolvenza si manifesta all’esterno il legislatore considera pericolosa tale situazione, disponendo, quindi, che la società sia dichiarata fallita – al ricorrere degli altri presupposti di legge - o, diversamente, soggetta ad altre procedure concorsuali. Società in liquidazione quale insolvenza? Quanto precede non trova applicazione con riferimento ad una società in liquidazione - fisiologicamente destinata alla cessazione dell’attività ed al pagamento dei debiti – il cui stato di insolvenza va apprezzato considerando se i beni e le attività della società siano sufficienti soltanto al pagamento dei suoi debiti da ciò discende che, in presenza di un ammontare di questi ultimi molto elevato, è comunque onere della società, al fine di dimostrare l’inesistenza dello stato di insolvenza, dare la prova della proprietà di beni o di attività o disponibilità finanziarie sufficienti per soddisfare, appunto, i propri creditori. Insolvenza e gruppo di società. La valutazione dell’insolvenza di una società, che sia inserita in un gruppo, cioè in una pluralità di società collegate ovvero controllate da un’unica società holding , deve essere effettuata con esclusivo riferimento alla situazione economica della società medesima, poiché, nonostante tale collegamento o controllo, ciascuna di dette società conserva propria personalità giuridica ed autonoma qualità di imprenditore, rispondendo con il proprio patrimonio soltanto dei propri debiti. Insolvenza civile” e decadenza dal beneficio del termine. Di insolvenza si può parlare anche con riferimento ai rapporti obbligatori tra soggetti privati non imprenditori. Si fa riferimento, in particolare, all’art. 1186 c.c., in tema di decadenza del debitore dal beneficio del termine. In tale articolo, l’insolvenza è da intendersi come situazione di dissesto economico, sia pure temporaneo, in cui il debitore venga a trovarsi, la quale renda verosimile l’impossibilità da parte di quest’ultimo di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni tale stato di insolvenza non deve rivestire i caratteri di gravità e irreversibilità, potendo conseguire anche ad una situazione di difficoltà economica e patrimoniale reversibile, purché idonea ad alterare, in senso peggiorativo, le garanzie patrimoniali offerte dal debitore, e va valutato con riferimento al momento della decisione. In un caso, in particolare, il S.C. ha confermato la sentenza di merito, la quale aveva escluso la legittimità della richiesta di decadenza del debitore dal beneficio del termine, avendo valutato che il mancato versamento di alcune rate di prezzo di una compravendita, accompagnato dalla spedizione di una lettera da parte del debitore, che motivava il rifiuto di onorare le rate del debito con riferimento specifico a pretesi inadempimenti della creditrice, non costituisse, di per sé, segno rivelatore di uno stato di sbilancio economico. Crisi ed insolvenza fattispecie a confronto. Alla luce della nuova normativa introdotta dal d.l. 34/2005, convertito nella legge n. 80/2005, è ora possibile parlare, anche a livello di fattispecie normativa, di crisi” con tale nozione, si intende una condizione patrimoniale meno grave dello stato di insolvenza e differisce da quest’ultimo in quanto solo in caso di crisi è possibile ricorrere al concordato preventivo mentre in caso di insolvenza vi è il presupposto oggettivo per la dichiarazione di fallimento.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 22 maggio - 4 luglio 2013, n. 16752 Presidente Carnevale - Relatore Di Amato Svolgimento del processo Con sentenza del 26 agosto 2009 la Corte di appello di Roma, accogliendo il reclamo proposto dalla s.p.a. Nordex Industries in liquidazione, ne revocava il fallimento dichiarato dal Tribunale di Latina, con sentenza del 14 aprile 2009, su istanza di F.S. , S Z. e A G. , lavoratrici dipendenti della società. In particolare, la Corte di appello osservava che 1 i crediti delle lavoratrici, accertati da sentenze del Tribunale di Latina, erano ancora oggetto di contestazione, la cui pretestuosità doveva escludersi considerato che per essi erano intervenute transazioni per importi notevolmente inferiori rispetto a quelli portati dalle sentenze pertanto, poiché si trattava di crediti contestati, il loro mancato adempimento non poteva considerarsi sintomo di insolvenza 2 era irrilevante la circostanza che le transazioni de quibus potessero essere intervenute dopo la dichiarazione di fallimento poiché, in ogni caso, vi era stata una parziale soddisfazione del credito con rinunzia al residuo da parte delle creditrici 3 le modalità di vendita dell'unico immobile della società, in ipotesi a prezzo inferiore al valore di mercato ed a favore della controllante della Nordex, non potevano considerarsi sintomo dello stato di insolvenza se, comunque, la situazione finanziaria e patrimoniale era tale da garantire, trattandosi di società in liquidazione, l'adempimento delle obbligazioni sociali 4 la non corrispondenza dell'attivo patrimoniale al valore dichiarato in bilancio era stata affermata ma non dimostrata dalla curatela 5 l'esistenza di ulteriori debiti dedotta dalla curatela non escludeva che l'attivo patrimoniale risultante dal bilancio fosse sufficiente ad estinguere tutte le passività e ciò senza tenere conto che si trattava di crediti contestati giudizialmente. Il fallimento propone ricorso per cassazione, deducendo tre motivi illustrati anche con memoria. La s.p.a. Nordex Industries in liquidazione resiste con controricorso. Le creditrici istanti F.S. , S Z. e A G. non hanno svolto attività difensiva. Motivi della decisione Con il primo motivo il fallimento ricorrente deduce la violazione degli artt. 5 l. fall., e 2697 c.c., lamentando, in primo luogo, che la Corte di appello non ha valutato tutti gli atti e fatti che potevano dimostrare la sussistenza dello stato di insolvenza, ma ha adottato un criterio di giudizio selettivo, omettendo di valutare la relazione depositata dal collegio sindacale nel corso dell'istruttoria prefallimentare e la relazione del curatore fallimentare. In secondo luogo, il fallimento lamenta che la sentenza impugnata ha erroneamente ritenuto irrilevanti gli inadempimenti di debiti contestati, ancorché recati da titoli provvisoriamente esecutivi, quando il creditore non dimostra la pretestuosità della contestazione, ritenendo illogicamente, sulla base di un indizio non univoco, che nella specie la serietà della contestazione era dimostrata dalla transazione per un importo notevolmente inferiore a quello portato dal titolo giudiziale. In terzo luogo, con lo stesso motivo, la curatela lamenta che la Corte ha ritenuto possibile dare rilievo ad un fatto, cioè la transazione, anche se in ipotesi sopravvenuto alla dichiarazione di fallimento. In quarto luogo, la curatela lamenta che la Corte ha preso in considerazione soltanto la cessione dell'unico bene immobile della Nordex e non anche le cessioni dei beni immateriali e delle merci, tutte comunque caratterizzate da anomalie quanto ai soggetti cessionari, al pagamento del prezzo mediante tratte ed alla girata di tali tratte. Il motivo è fondato per quanto di ragione. La Corte di appello, esattamente, dovendosi valutare la sussistenza dello stato di insolvenza di una società in liquidazione, ha ritenuto di dare rilievo all'accertamento della sufficienza o meno dell'attivo a soddisfare in sede di liquidazione tutti i debiti della società, indipendentemente dalla capacità o meno di adempiere regolarmente le proprie obbligazioni. Infatti, nella giurisprudenza di questa Corte, è consolidato il principio secondo cui per le società in liquidazione la valutazione del giudice, ai fini dell'applicazione dell'art. 5 della legge fall., deve essere diretta unicamente ad accertare se gli elementi attivi del patrimonio sociale consentano di assicurare l'eguale ed integrale soddisfacimento dei creditori sociali” e plurimis Cass. 14 ottobre 2009, n. 21834 . Coerentemente la sentenza impugnata ha ritenuto di per sé irrilevanti le vicende relative alle cessioni dei beni mobili ed immobili della società e le critiche svolte sul punto dal collegio sindacale, in presenza di un attivo ritenuto sufficiente a soddisfare tutto il passivo ciò vale anche per la notazione del collegio sindacale che le operazioni di vendita alla data del 23 marzo 2009 non avevano generato alcuna movimentazione di denaro”, poiché tale notazione è neutra rispetto all'accertamento della idoneità dell'attivo, composto anche da crediti, a soddisfare integralmente il passivo la doglianza formulata al riguardo dal fallimento è perciò inammissibile poiché non coglie la ratio della decisione. La censura del fallimento è, poi, inammissibile per genericità, laddove lamenta la mancata considerazione della relazione ex art. 33 l. fall., del curatore, senza precisare quali elementi decisivi potevano trarsene per affermare la sussistenza dello stato di insolvenza. Nel resto la censura è fondata. Infatti, anche nella valutazione della sussistenza o meno dello stato di insolvenza di una società in liquidazione deve tenersi conto dei debiti quando il creditore, ancorché ne siano contestate le ragioni è munito di titolo esecutivo. L'attivo patrimoniale, per escludere l'insolvenza, deve essere idoneo ad assicurare, all'esito della liquidazione, anche il soddisfacimento di tali crediti, pur potendosi ammettere che il concreto soddisfacimento del credito contestato sia rinviato, salvo essere assoggettati ad esecuzione forzata, al momento del suo definitivo accertamento. Nella valutazione della sufficienza dell'attivo, si deve tenere conto della situazione esistente al momento della dichiarazione di fallimento e, pertanto, non è indifferente accertare se le transazioni con le creditrici istanti siano avvenute prima ovvero dopo la dichiarazione di fallimento senza considerare l'inefficacia di una tale transazione rispetto ai creditori, ai sensi dell'art. 44 l. fall. . Con il secondo motivo il fallimento ricorrente deduce la violazione dell'art. 18 l. fall., nonché il vizio di motivazione, lamentando che la Corte di appello, provvedendo in una fattispecie nella quale era applicabile la riforma della legge fallimentare nella versione dettata dal c.d. decreto correttivo n. 169/2007, aveva disatteso l'effetto pienamente devolutivo del reclamo ed aveva omesso l'analisi di alcuni elementi di decisivo rilievo quali la relazione depositata dal collegio sindacale e la relazione del curatore fallimentare. Il motivo è inammissibile per le ragioni esposte nell'esame della prima parte del primo motivo. Con il terzo motivo il fallimento deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2423 e 2424 c.c. nonché il vizio di motivazione, lamentando che la Corte di appello aveva omesso di considerare che 1 con riferimento all'attivo, dalla relazione del curatore risultava che lo stesso aveva rinvenuto in magazzino soltanto componenti a marchio Nordex che necessitavano di essere assemblati, ed erano perciò di modico valore, e solo una piccolissima percentuale di prodotti finiti 2 con riferimento al passivo non risultavano le poste passive indicate dal curatore per debiti erariali, debiti verso fornitori e verso dipendenti nonché le istanze tardive di insinuazione al passivo per rilevanti importi 3 nella valutazione del passivo non si era tenuto conto del valore del capitale sociale. Il motivo è fondato per quanto di ragione. Escluso che nell'ambito del passivo possa considerarsi il capitale sociale, che viene iscritto al passivo dello stato patrimoniale solo per ragioni contabili, ma che non rappresenta certo un debito della società, le censure formulate dal ricorrente evidenziano l'insufficienza della motivazione con cui la Corte di appello ha escluso la sussistenza dello stato di insolvenza senza accertare quale fosse l'ammontare dell'attivo e del passivo al momento della dichiarazione di fallimento. P.Q.M. accoglie per quanto di ragione il primo ed il terzo motivo dichiara inammissibile il secondo motivo cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte di appello di Roma in diversa composizione.